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L’ispezione (racconto)


di Membro VIP di Annunci69.it ToroRm2020
08.04.2021    |    18.101    |    7 9.5
"Ci sputò sopra e lo puntò contro l’ano grinzoso di mia moglie, cominciando a spingere piano..."
Piccolo divertissement.

Io e Francesca siamo una coppia sposata quarantenne molto affiatata e amante dell’esibizionismo in luoghi insoliti. Fino al 6 ottobre 2018, però, non avremmo mai pensato che il nostro rapporto potesse andare oltre il piacere di farci guardare.
Quel giorno, essendo diventata improcrastinabile la sistemazione della cantina che minacciava di esplodere, decidemmo di andare al Bricofer della zona industriale di Salerno per comprare delle mensole e degli scaffali. O meglio, decise Francesca, perché io dal giorno prima avevo un po’ di gastroenterite e ne avrei fatto volentieri a meno.
Come facevo spesso le chiesi di vestirsi in modo sexy per farsi ammirare dai commessi e dalla clientela maschile del negozio.
Francesca, esibizionista per natura, colse la palla al balzo e indossò un tubino bianco aderente aperto sulla schiena che le arrivava dieci centimetri scarsi sotto l’inguine e copriva a malapena la balza delle autoreggenti. Non mise il reggiseno, che non le serviva perché le sue tette sfidavano ancora la gravità, e completò il tutto con un sandalo tacco 10.
A mezzogiorno avevamo finito i nostri giri e caricato gli acquisti in macchina, per cui, dopo un panino veloce in uno dei bar del Centro Commerciale, le proposi una passeggiata.
«Che ne dici di fare un giro dalle parti di Foce Sele?» dissi. «A quest’ora non ci sarà nessuno, così posso farti qualche foto.»
«Ma sei scemo, Luca?» protestò lei. «È pieno di zoccole e ruffiani. Rischiamo di finire in mezzo ai guai.»
«Ma se sono le cinque! C’è ancora un sacco di luce» la rassicurai. «Che vuoi succeda? Tu fai una passeggiata, io ti guardo da dietro e scatto qualche foto del tuo culo. Quando ci siamo stufati torniamo a casa.»
«Per me stiamo facendo una fesseria, ma se proprio vuoi andiamo.»
Un quarto d’ora dopo arrivammo in una stradina che costeggiava la foce del Sele e parcheggiammo. Era piacevole passeggiare vicino al mare: l’aria era calda ma non afosa e l’ombra degli alberi rendeva il tutto ancora più suggestivo.
In giro non si vedeva nessuno, anche perché non c’erano né bar né locali per almeno un paio di chilometri. I raggi del sole filtravano tra le cupole degli alberi fino al sottobosco, dando alla pineta un aspetto fiabesco.
Ci eravamo allontanati forse 800 metri dalla macchina quando accusai un forte dolore all’addome.
«Lo sapevo che dovevo restare a casa» mi lamentai.
«Guarda che sei stato tu a voler venire fin qui!» mi rinfacciò lei. «Io te l’avevo detto che era meglio di no. Non c’è neanche un bar.»
«Vabbè, senti, arrivo un attimo dietro quei cespugli e mi arrangio con i fazzoletti di carta. Tu aspettami qui.»
«Mi lasci da sola? Guarda che conciata così finisce che mi prendono per una zoccola.»
«Cinque minuti e torno» tagliai corto, mentre una fitta mi faceva quasi piegare in due. «Tu non dare confidenza a nessuno e al limite strilla che arrivo subito.»
Mi inoltrai nella pineta per una ventina di metri e mi acquattai dietro un cespuglio, da cui comunque riuscivo a tenere d’occhio Francesca.
Mi liberai con immenso sollievo, anche se solo dopo alcuni violenti spasmi addominali. Per pulirmi usai i fazzoletti come meglio potei, ma per farlo persi di vista Francesca.
Quando sollevai di nuovo lo sguardo la vidi che parlava tranquillamente con l’occupante di una macchina ferma sul ciglio della strada.
Era piegata in avanti per avere il volto all’altezza del finestrino, ma aveva flesso anche le ginocchia per evitare che la gonna corta risalisse scoprendole il culo.
Preoccupato, mi risistemai rapidamente i pantaloni e la raggiunsi, verificando con sollievo che stava parlando con un persona conosciuta, un amico che era stato il nostro testimone di nozze.
«Ehi Antonio» lo salutai, «che ci fai da queste parti?»
«Ho fatto un sopralluogo qui vicino e mi è venuta voglia di vedere il mare» spiegò. «Ma oggi c’è decisamente di meglio da guardare.»
«Hai visto che fica?» lo provocai.
«All’inizio l’avevo presa per una zoccola» stette al gioco lui. «Per questo mi sono fermato.»
«Costerei troppo per te» rispose lei, ridendo.
Stanca di stare con le ginocchia piegate, Francesca tese le gambe e poggiò le braccia all’interno del finestrino aperto, scoprendo i glutei sodi divisi dal sottilissimo filo del perizoma.
Mentre parlavo con Antonio notai che faticava a non girarsi ogni due secondi verso mia moglie, che stava esibendo il seno in modo molto disinvolto. Lei ammiccò per dirmi che era intenzionale, divertita dall’espressione stravolta del nostro amico. Notai che la patta gli si era gonfiata notevolmente e sorrisi. Mi piaceva esibirla e vedere l’effetto che faceva agli uomini.
Portammo avanti il gioco per parecchio tempo, finché mi resi conto che cominciava a essere tardi. Mi preoccupai un po’ perché di sera quella zona tendeva a diventare poco rassicurante.
L’arrivo della volante ci colse di sorpresa. Feci una smorfia quando mi resi conto che avevano goduto di una perfetta panoramica del culo sodo e completamente esposto di Francesca. Scesero dalla macchina e si avvicinarono a noi con le facce torve.
«Favorite i documenti, per favore» esordì il più grosso dei due che, a giudicare dai gradi, doveva avere il comando. «Che stavate facendo?»
«Una passeggiata» rispose tesa Francesca, che si era alzata e cercava di tirare giù la gonna con le mani.
«Alla foce del Sele alle sei e mezza di pomeriggio?» intervenne l’altro poliziotto, in tono poco convinto, guardando il collega.
«Fai il controllo, dai» lo invitò il capo pattuglia. L’altro tornò alla volante e si mise a lavorare al terminale installato sul cruscotto.
Dieci minuti dopo ci riportò indietro i documenti, scambiando uno sguardo d’intesa con il collega più anziano.
«Dovreste seguirci in commissariato» ci informò quest’ultimo.
«Perché?» obiettai. «Non abbiamo fatto niente.»
«Perché secondo me non la raccontate giusta» rispose duro l’agente capo.
«Io stavo passando per caso» provò a giustificarsi maldestramente Antonio. «Ho visto un’amica e mi sono fermato per salutarla.»
«Davvero? La conosce bene? Perché a me sembra il genere di amica che dopo ti chiede i soldi» commentò l’agente, mettendo ironicamente l’accento sulla parola amica.
«Mi sta dando della zoccola?» protestò Francesca, guardandolo con occhi che sprizzavano fiamme.
«Abbia pazienza, non si è certo vestita così per andare in chiesa, no?»
«Io mi vesto come mi pare» ribatté piccata.
«Certo, solo che questa è pure una zona di spaccio e ultimamente gira parecchia roba. Dovremo perquisirvi a fondo per escludere che abbiate con voi sostanze stupefacenti.»
«Ma non potete perquisirci qui?» chiesi, innervosito dalla prospettiva di passare ore e ore in un commissariato di pubblica sicurezza.
«Se foste solo voi due sì» intervenne il poliziotto giovane indicando me e Antonio, «ma lei è una donna e quindi per legge deve farlo una poliziotta.»
«Se mia moglie sa che sono venuto qui farà un casino» si lamentò il nostro testimone di nozze. «Penserà che vado a puttane.»
«Non possiamo fare altrimenti» ribadì il poliziotto.
«Ma se vi do il permesso io?» propose a quel punto Francesca, spaventata anche lei dalla minaccia dei due poliziotti. «Tanto si vede che non ho niente di strano addosso.»
«Si tratta di perquisizioni intime per cercare ovuli di cocaina o eroina» spiegò lui. «Dovremo infilare le dita nei suoi orifizi, signora.»
«Orifizi? Cioè nella fica?» chiese lei, stupita, facendo una smorfia disgustata quando si rese conto che il tipo di linguaggio che aveva usato la faceva davvero sembrare una battona.
«E anche nel culo» rincarò la dose l’altro, con un ghigno cattivo.
«E mettetele» acconsentì, frustrata. «Basta che poi ci fate andare via.»
I due poliziotti si consultarono un attimo a bassa voce, con quello che mi parve un lieve sorriso, ma alla fine annuirono.
«Appoggi le mani al cofano della macchina e si pieghi in avanti» le disse il più anziano. «Il collega farà il controllo. Inizieremo dalla f… dal davanti.»
«Dai amore, un po’ di pazienza e andiamo via» cercai di consolarla, pensando che i due non sembravano intenzionati a perquisire anche noi uomini. Ligi al dovere sì, ma solo fino a un certo punto.
«Vaffanculo, stronzo!» sbottò lei, mentre si piegava fino ad appoggiare il seno sul cofano. «È colpa tua se siamo in questa situazione del cazzo.»
«Signora, per favore» commentò divertito il capo pattuglia.
«Apra bene le gambe» la invitò il poliziotto più giovane, tirando giù il minuscolo perizoma ed esponendo la vulva perfettamente depilata. «Così. Purtroppo non ho il lubrificante, forse le darà un po’ fastidio.»
«Magari prima me la strofini un po’» mormorò Francesca, che ad un tratto non sembrava più così arrabbiata. «Sì, lì, continui. Così, piano piano, bravo…»
Mi resi conto che alla fine l’animo da troia di mia moglie era emerso con prepotenza: aveva sfacciatamente chiesto al poliziotto di farle un ditalino in modo da bagnarsi e ridurre il fastidio.
«Mentre tu guardi sotto, io controllo sopra» intervenne il collega, facendole alzare leggermente il busto per poter arrivare al seno, che cominciò a palpare in modo inequivocabile strizzando anche i capezzoli.
Francesca cominciò ad ansimare e ad avere il respiro corto.
La mano del poliziotto andava ormai dentro e fuori dalla fica fradicia.
«Trovato qualcosa?» si informò l’altro, tenendo una delle mani enormi chiusa a coppa sulla tetta di mia moglie.
«Non so, forse, ma non arrivo bene in fondo.»
«Provo io, lascia» disse l’altro.
«Non abbiamo più guanti» informò Francesca, «per cui dovrò fare senza. La avverto però che la mia mano è molto più grossa di quella del collega. Forse le farà un po’ male.»
«Oh sì, faccia… faccia pure» la sentii mugolare. Troia.
La penetrazione, in realtà quasi un fisting, riprese a un ritmo ancora più serrato, e Francesca smise definitivamente di far finta di soffrire e chiese al poliziotto di sfondarla senza pietà. Antonio aveva un filo di bava che gli scendeva all’angolo della bocca e la patta gonfia da scoppiare, come me del resto.
Ad un tratto Francesca sembrò in preda a un attacco epilettico, un orgasmo come ne avevo visti di rado. Urlò come un’ossessa e poi, esausta ma soddisfatta, si lasciò andare sul cofano della macchina.
Il poliziotto tirò fuori la mano lucida di umori, esponendo alla nostra vista la fica oscenamente spalancata di mia moglie.
«Davanti è tutto a posto, signora» dichiarò. «Ora dobbiamo controllare dietro.»
Francesca annuì e sporse le natiche.
«Con la mano rischio di sfondarla» la avvisò. «E come le dicevo prima non ho più guanti.»
«Non può lasciar perdere?» chiesi, eccitato e sconvolto.
«Purtroppo no, dobbiamo fare il nostro lavoro.»
«E come, se non avete gli strumenti?»
«Possiamo usare uno metodo antico ma efficace» rispose serafico il poliziotto.
«Di che sta parlando?» domandai, anche se pensavo di aver già capito a cosa si riferisse.
«La signora preferisce la mano o il pene?» chiese, rivolto a Francesca, carezzandole il culo nel contempo.
«Il pene» rispose lei, a voce bassa, ormai in balia degli eventi.
«Scelta saggia» commentò lui, aprendo la patta. Il cazzo che estrasse era enorme, duro e nodoso come un tronco di quercia.
Ci sputò sopra e lo puntò contro l’ano grinzoso di mia moglie, cominciando a spingere piano. L’anello muscolare si dilatò fino a sembrare sul punto di strapparsi, poi, un centimetro alla volta, il grosso bastone entrò tutto fino alle palle.
«Tutto a posto, signora?» si informò il poliziotto.
«Mmmmh, siiii» mugolò lei.
«Ora spingerò un po’ per arrivare più in profondità. Il collega la accarezzerà per ridurre il fastidio della procedura.»
Spingere un po’ era un eufemismo.
Cominciò a pompare come un toro mentre il suo collega sditalinava nuovamente la fica di mia moglie. Dopo qualche minuto, mentre Francesca esalava un lungo sospiro soddisfatto accompagnato da un sensuale brivido di piacere, il poliziotto emise un grugnito animalesco e un attimo dopo si sfilò. Francesca aveva accompagnato ogni momento della penetrazione anale con movimenti coordinati del bacino. Dall’ano ancora aperto lo sperma del poliziotto le colò giù lungo le cosce, denso e abbondante.
«Niente anche qui» concluse il capo pattuglia con evidente soddisfazione. «Per me potete andare.»
Francesca aveva gli occhi ancora velati di piacere e non ebbe la forza di dire nulla, tranne un “grazie” pronunciato con convinzione che mi lasciò senza parole. Ero talmente sconvolto dallo spettacolo cui avevo assistito che fu Antonio a farsi avanti per aiutarla a sistemarsi, mentre io sbrigavo le ultime formalità con i due poliziotti, i quali alla fine risalirono sulla volante.
«Ringrazi la presenza di spirito della signora se non vi facciamo un verbale» mi disse quello che aveva inculato mia moglie davanti ai miei occhi facendola venire due volte.
«Grazie al cazzo» borbottai a bassa voce mentre ripartivano.
Quando tornai alla macchina vidi che Francesca e Antonio erano entrambi sul sedile posteriore. Lui era impegnato in una sontuosa leccata di fica, la testa infilata tra le cosce di lei, e quel punto realizzai di essere davvero cornuto.
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