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LA TERZA, LA QUARTA, LA QUINTA …


di Soonia
06.02.2013    |    8.253    |    1 9.0
"Poi lo rimettevo dentro tutto fino in gola facendogli sentire che mi arrivava fin’oltre l’ugola soffocandomi; tentavo di tenerlo quanto più possibile in gola e..."
LA TERZA, LA QUARTA, LA QUINTA …
Era piena estate, quel periodo fra la fine di luglio e l’inizio di agosto in cui di solito ci sono uno o due giorni di pausa: chi ha finito le ferie stava già facendo le valigie, chi stava per iniziarle era ancora in viaggio o stava svuotando i bagagli. Ero al mare e faceva caldo; tutti i pomeriggi di quei giorni assolati trascorrevo qualche ora nella stazione radio della spiaggia che diffondeva musica direttamente per il lido antistante e, via radio, per il villaggio dove trascorrevo le vacanze.
Mi piaceva starmene lì all’ombra a sentire la musica che adoravo; mi piaceva sia farla sentire agli altri, sia riascoltarla sapendo che non ero solo io ad apprezzarla; e comunque il posto era carino, vicinissimo all’arenile, era fresco nel pomeriggio e c’era sempre tanta gente che gironzolava intorno. La stazione radio era a piano terra, dove c’era una saletta con qualche divanetto per tutti ed era diventata un punto di ritrovo molto apprezzato per l’organizzazione delle serate e delle nottate estive; separata dalla saletta da un vetro e da una porticina insonorizzati c’era la zona di trasmissione, il mio regno in quelle ore pomeridiane, dove c’erano mixer, consolle, lettori vari dischi e tutto quanto altro servisse; la zona trasmissione era molto stretta, oltre il banco mixer rimaneva uno stretto passaggio di qualche metro di lunghezza per mezzo metro circa di larghezza.
C’era anche una stanza e un bagnetto al piano superiore, al quale si accedeva con una scala dalla saletta, così stretta da sembrare la scala di una barca. Il piano superiore era un vero e proprio mito per tutti: si raccontava che i proprietari della stazione radio, che erano cinque o sei, la utilizzassero come garçonierre nelle lunghe notti estive per sé e per gli amici più intimi, grazie anche a una seconda uscita di sicurezza che permetteva di rimanere lontani da occhi troppo curiosi. Anzi si mormorava che la stazione radio, la musica e il piano terra non fossero altro che una specie di copertura per le lussuriose attività che si svolgevano al piano superiore.
Uno dei proprietari era Giovanni: aveva trentasei anni, non troppo alto, un fisico snello e atletico, portava i capelli lunghi come un attore degli anni settanta e il suo sguardo era sempre celato dietro un paio di Ray-Ban scuri. Non parlava mai Giovanni, intorno a sé aveva sempre come un alone di mistero e di fascino, era molto apprezzato dalle donne, io lo conoscevo da più di un paio di estati e l’avevo sempre visto con donne diverse. Si diceva che non gli piacesse la stessa ragazza per più di due o tre volte, aveva spezzato molti cuori. A uno così una cameretta riservata doveva servire come il sangue a un vampiro.
Io avevo sedici anni e mezzo e tanta voglia di vivere, di avere esperienze; oramai indossavo solo abiti femminili quando potevo e anche quando non avrei potuto mi arrangiavo comunque con vestiti unisex; comunque la mia biancheria intima era sempre e rigorosamente femminile. Per fortuna la natura – pur sbagliandosi di sesso nei miei confronti – mi aveva dotata di un corpo efebico non troppo mascolino e più tendente al femminile che al maschile.
Ebbene, quel pomeriggio avevo fatto un po’ tardi e, uscendo di casa, avevo indossato velocemente una magliettina e un paio di shorts bianchi di tela; sotto avevo un paio di mutandine alla brasiliana tutte pizzo e ricami che mi stavano un incanto, erano bianche per evitare trasparenze sotto gli shorts; ero convinta che bastava non metterle colorate o – peggio – nere per evitare sguardi indiscreti. Quando arrivai alla stazione radio c’era solo Giovanni in saletta; stravaccato su un divanetto sfogliava stancamente dei giornali. Continuò a guadare riviste e rotocalchi vari lasciati lì per ospitalità mentre io cambiavo dischi, mixavo, sceglievo altra musica e armeggiavo con la consolle. Pensai che stesse aspettando qualcuno, non c’era modo di saperlo visto com’era taciturno e misterioso.
Al terzo pezzo che misi su Giovanni si alzò, aprì la porticina insonorizzata e venne dal mio lato oltre il vetro a cercare qualcosa; controllò nella scaffalatura che era alle mie spalle e uscì con un disco in vinile rimettendosi a sedere per leggere, forse, i testi in inglese delle canzoni. Dopo pochi minuti tornò dal lato mio e ripose il disco, guardando verso il lato opposto; capii che doveva passare oltre la mia postazione e cercai di stringermi al banco mixer per lasciarlo passare dietro di me, situazione quanto mai imbarazzante visto che comportava lo strusciarsi. Dall’altro lato prese un altro disco e mi oltrepassò strusciandosi di nuovo contro il mio corpo; confrontò il nuovo disco con quello che guardava in precedenza, io distrattamente continuavo la mia attività e con la coda dell’occhio ero incuriosita da ciò che stava facendo quell’uomo così tenebroso e pieno di fascino quando – sempre in silenzio – lo vidi sorridere verso di me (aveva sempre i Ray-Ban sul naso) e alzare le sopracciglia per scusarsi di dover passare ancora dall’altra parte.
Di nuovo lo sentii strusciarsi contro la mia schiena e il mio sedere, riporre il disco tornare a strusciare mentre affannosamente io cercavo di cambiare il disco senza lasciare pause. Mi chiesi: ma se doveva solo metterlo di là quel disco, non poteva darmelo che ce lo mettevo io? Uscì dalla mia zona, oltre il vetro lo vidi attraversare la saletta che mi faceva il segno della sigaretta non capii se per dirmi che andava a fumare fuori o per invitarmi a uscire; non ci feci caso anche perché non fumavo se non occasionalmente. Rientrò dopo cinque minuti e venne direttamente dal mio lato del vetro; avevo le cuffie in testa e lui mi fece segno che fuori era troppo caldo mentre si appoggiava fra lo sgabello e il mixer. Attese solo una canzone, poi si mise di fianco a me facendomi cenno di lasciar cambiare disco a lui; ne approfittai per togliere la cuffia e spegnere tutti i microfoni, appena partì la musica si girò verso di me e disse: “hai delle bellissime mutandine!”.
Un attimo e realizzai contemporaneamente che: a) i miei shorts erano trasparenti, b) si vedeva tutto (e meno male che era la prima volta che facevo quell’abbinamento), c) forse il motivo di tanto indugiare di Giovanni quel pomeriggio ero io. E adesso? dissi fra me e me, devo negare l’evidenza o giustificarmi? Intanto lui continuò dicendo “quando me le farai vedere?”. Erano già più di tutte le parole che avessi mai sentito uscire dalla sua bocca e soprattutto suonavano come una proposta vera e propria. Ma come? Il Casanova sciupafemmine mi aveva appena proposto di ammirare il mio intimo? Lui guardava insistentemente verso il mio bacino proteso verso il banco mixer, sembrava compiaciuto; guardando anch’io osservai che il pizzo delle mutandine in effetti faceva volume sotto gli shorts e lasciava notare tutti i ricami; come avevo fatto a non farci caso prima a casa mia?
Appena vide che mi controllavo le trasparenze gli bastò allungare una mano per sfiorare delicatamente con un dito la linea dello slip. La sua mano che mi sfiorava mi dava i brividi, lui sorrideva. Ancora con la mano che sfiorava il mio sedere mi prese un braccio con l’altra e disse che quel nastro che aveva appena messo su era preregistrato, aveva una durata di tre ore intere di musica non-stop e aggiunse: “vieni su con me”.
Ecco come funzionava! me lo ero chiesto da un pezzo: nastro preregistrato e via … solo che questa volta il nastro girava per me. Mi lasciai trasportare dalla sua mano che mi conduceva su per la stretta scaletta che portava al piano di sopra. La porta d’ingresso – rigorosamente chiusa a chiave – si apriva su una unica stanza da letto grande, su una parete c’era un letto a due piazze, con due cuscini e lenzuola bianche, di fronte un salottino composto da due comode poltroncine imbottite, un divanetto e uno specchio enorme proprio di fronte al lettone. La stanza affacciava su una strada laterale e – di lato – si vedeva la spiaggia e il mare; su un’altra parete c’era una seconda porta che dava su una scala di servizio esterna al fabbricato e finiva in un vicoletto sul lato opposto alla spiaggia, molto riservato e lontano da occhi curiosi. Si capiva perché di quella stanza si parlasse ma, in effetti, nessuno aveva mai visto chi la frequentasse. Completavano il tutto un bagnetto piccolo ma molto comodo, completo di doccia e una larga armadiatura con diverse ante ognuna delle quali aveva la sua serratura. Aveva l’aspetto di una buona camera d’albergo, grazie anche alla pulizia che era mantenuta quotidianamente dalla stessa donna che provvedeva ai locali di sotto; in bagno c’erano diversi tipi di sapone e asciugamani.
Ci avrei trascorso diverso tempo in quella stanza, ogni particolare è impresso nella mia memoria indelebilmente. Giovanni mi fece entrare e richiuse a chiave la porta dietro di sé, poi si gettò letteralmente su una delle poltroncine di fronte al letto e – fissandomi intensamente – si tolse i Ray-Ban scuri. Sentivo un misto di emozione e orgoglio per essere stata condotta in quella garçonierre e proprio da quel ragazzo così affascinante, non sapevo cosa fare e come muovermi, cosa voleva da me, cosa aveva in mente? Mi chiese: “allora? vediamo come ti stanno queste belle mutandine” e fece cenno con la mano di avvicinarmi al letto di fronte a lui.
Non dissi nulla, cominciai a sbottonare gli shorts e girandomi di spalle lentamente li sfilai e li riposi sul bordo del letto. Rimasi di spalle per secondi interminabili, girai la testa per osservare cosa stesse facendo; lui forse lo prese come un invito o forse aspettava solo un mio gesto, si alzò e venendomi accanto cominciò a carezzarmi il culetto fissandolo. Proseguì applicandosi anche con l’altra mano, mi tastava, saggiava la consistenza delle mie carni ampliando le carezze su tutto il sederino e sulle cosce nude; “ti stanno molto ma molto bene” sussurrò dopo qualche minuto, “sembrano disegnate proprio per te”. Mi fece sedere sul bordo del letto rimanendo in piedi e lentamente si sbottonò i jeans lasciando la patta aperta sui suoi slip bianchi; era a meno di venti centimetri dal mio viso; mi prese un braccio e mise la mia mano sopra i suoi slip dicendomi “senti come gli piaci? secondo te cosa vuole da te adesso?”. Lo guardavo negli occhi dal basso mentre gli massaggiavo l’uccello da sopra gli slip, era già abbastanza eccitato, non proprio al massimo, ma ci mancava poco. Era incredibile, mi sembrava di essere in un sogno: quell’uomo affascinante e tenebroso mi aveva appena condotta nella sua garçonierre e mi desiderava! “Datti da fare” - disse - e io lentamente gli abbassai i jeans, poi coi i pollici sotto l’elastico pianissimo abbassai le sue mutande e di colpo balzò fuori il suo pene; era di dimensioni non eccezionali, direi normalissime come lunghezza, ma molto grosso; anzi più che grosso era spesso e consistente, come una specie di manico di manganello e dritto come un fuso, dalla pelle liscissima.
Dal basso fissavo i suoi bellissimi occhi chiari mentre prendevo confidenza con quell’arnese caldo, lui mi sorrideva, poi chiuse gli occhi e alzò la testa emettendo un sensuale “mmmmmmm”. Si aspettava che glielo prendessi in bocca e lo feci di buon grado, mi dedicai a baciarlo prima, poi a leccarne la punta e a prendere fra le labbra la cappella ancora ricoperta dal prepuzio. Mi lasciava fare restando fermo davanti a me; dedicai i successivi venti minuti a slinguare il suo cazzo che intanto era completamente eretto e ancora più spesso e grosso di prima, fu una cosa molto lenta, mi stavo eccitando in maniera vergognosa. Aggrappandomi ai suoi fianchi con le mani lo presi in bocca completamente senza tenerglielo e cominciai a succhiarglielo, prima solo alla punta, poi fino a metà. Volevo fargli un pompino memorabile, volevo fare la migliore figura possibile e intanto mi chiedevo chissà quante ragazze avesse portato in quella camera, chissà in quante gli avevano fatto una cosa simile, magari meglio di me. Notai che anche lasciandolo uscire dalla bocca rimaneva sempre dritto davanti alla mia faccia o – addirittura – scattava verso l’alto … buon segno! vuol dire che gli piace! E lo riprendevo in bocca senza mani, lasciandolo scorrere dentro e fuori della mia bocca; variai solo usando le mani per carezzargli le palle e per scappellarlo; mi eccitavo a sentire la sua cappella liscia sotto la mia lingua, tracciavo larghi cerchi attorno ad essa per poi puntare a frugare con la lingua alla base del suo glande, proprio sotto la piega, o lungo il frenulo e sull’orifizio in cima al suo cazzo. Poi lo rimettevo dentro tutto fino in gola facendogli sentire che mi arrivava fin’oltre l’ugola soffocandomi; tentavo di tenerlo quanto più possibile in gola e intanto gli massaggiavo delicatamente i coglioni, poi passavo a titillare con la punta della lingua le sue palle e a succhiargliele mentre la mia mano si riempiva della sua grossa asta.
Si fece spompinare per più di mezz’ora, non mi sarei stancata mai di quella delizia; poi si staccò da me, si spogliò completamente, mi tolse la maglietta che ancora avevo addosso e disse “non togliere le mutandine”; si accomodò appoggiandosi al capezzale del letto, con un cuscino dietro la schiena, e aprì le sue gambe lasciando svettare il suo uccello in aria invitante. “Vai a prendere un asciugamano in bagno e mettilo sotto di me, poi vieni qui, mettiti comoda e continua”. Il suo proposito era inequivocabile, lo raggiunsi a quattro zampe, sistemai l’asciugamano sotto di lui e ripresi la mia piacevolissima opera, questa volta col culetto che sventolava per aria. Ci davo dentro stringendolo in pugno e agitandomi sopra di lui, alternavo leccate lungo tutta l’asta e succhiotti sulla cappella infoiata; ero troppo eccitata e indaffarata per controllare, ma son sicura che si stesse godendo dallo specchio dietro di me lo spettacolino del mio culetto che svettava in aria. Cominciò a guidarmi anche con le parole. Più forte, più delicata, fammi sentire la gola, stringi le labbra, diceva guidandomi anche con le mani. Mi stava istruendo su come farlo godere meglio. Ogni tanto mi faceva interrompere, immagino per evitare un orgasmo prematuro, per poi farmi tornare a sbocchinarlo più forte di prima. Sarei rimasta per ore e ore a farlo, tanto era piacevole; la pelle del suo prepuzio scorreva nella mia bocca come seta, quando di colpo inarcò i fianchi piantandomelo tutto in gola e gemendo dal piacere cominciò a schizzare. Mi ritrassi dal suo sesso, anche se i primi due fiotti li avevo sentiti distintamente in bocca e lo lasciai venire in tranquillità mentre glielo impugnavo saldamente, continuava a schizzare all’inverosimile, i suoi getti si alzavano anche di cinquanta centimetri sulla cima del suo uccello, non finiva mai. Ne emise una quantità spaventosa. Dopo quel lungo pompino capii come voleva godere e quali erano le sue preferenze; la tecnica che mi insegnò la applicai più volte in seguito anche con altri uomini e devo dire che i suoi insegnamenti sono stati molto appropriati.
Rimasi immobile a godermi quello spettacolo per un po’, gli avevo provocato un bel po’ di godimento, ma anche parecchio sperma che gli scolava dappertutto e andava a finire sull’asciugamano sotto di lui. Restò un minuto immobile a godersi le sensazioni, sollevando leggermente la testa e guardandomi negli occhi mi sorrise, aveva un sorriso dolcissimo, di quelli da fare sciogliere qualsiasi ragazza. Indicando il suo sesso grondante mi disse: “lo lasci così? tutto grondante?” Gli piaceva che glielo coccolassi anche dopo il piacere e che lo ripulissi; mi rimisi all’opera cercando di asciugare ciò che ancora scolava con la mia lingua, se ne stava buono buono senza agitarsi mentre eseguivo quel gesto di gratitudine e devozione; io sentivo una eccitazione quasi animalesca dentro di me al solo sentire l’odore che emanava, quell’afrore di maschio in calore mentre stavo sbaciucchiando e leccando proprio la fonte di quella meraviglia.
“Sei abbastanza brava”, mi disse; “vedrai che ti insegnerò anche come rendere maggiormente felice un uomo e andrà sempre meglio”… Dunque non sarebbe stata l’unica volta? Appena mi balenò questa idea sentii un entusiasmo invadermi, pensavo che avrei potuto farlo altre volte, avrei fatto qualsiasi cosa per lui, per trascorrere altri momenti del genere.
Non mi accorsi neanche che nel frattempo si era alzato e – completamente nudo – aveva attraversato al stanza per prendere qualcosa dall’armadio che aprì con una chiave presa dai jeans che giacevano a terra. Tornò a sedersi sul letto posando un pacchettino e una boccetta sul comodino, mi prese per le cosce e mi trascinò sul bordo del letto facendomi mettere a quattro zampe col culetto rivolto verso l’esterno del lettone, nel farlo trascinò anche l’asciugamani che era servita a raccogliere il suo succo: era completamente intriso del suo sperma, me lo mise sotto le ginocchia; tentò di scostare le mie mutandine per denudare il mio sederino, ma poi decise di abbassarle semplicemente. Girò attorno al letto per mettersi anche lui sulle ginocchia ma davanti a me, mi porgeva il suo cazzo sventolante davanti alla mia faccia e lo presi nuovamente in bocca dolcemente. Aveva un sapore dolciastro e leggermente salato al tempo stesso, era caldo e invitante, ero al massimo dell’eccitazione al solo pensiero di avere quel pezzo di ragazzo tutto per me in quella stanza; non dava cenni di stanchezza o di noia.
Si staccò da me scivolando giù dal letto, aveva un sorriso beffardo e soddisfatto mentre prendeva la boccetta dal comodino e mi diceva di abbassare la testa sul materasso e aprirmi le natiche. La boccetta conteneva vasellina, se ne versò n po’ sulla mano destra e mi venne dietro in piedi dicendo: “vedrai, non ti farò male, rilàssati e abbi fiducia in me”. Evidentemente era convinto che fossi ancora vergine, ma in realtà non lo ero, mi guardai bene dal deluderlo tanto sono sempre stata molto stretta per conformazione anatomica. Cominciò a spalmarmi la vasellina sull’ano con tutto il palmo della mano aperta, massaggiava sopra l’orifizio e tutto intorno, io cercavo di stringere i muscoli dello sfintere per simulare una verginità che non avevo. Poi cominciò a usare le dita, sapientemente titillava tutto intorno e al centro, lasciò scivolare il dito medio per qualche centimetro all’interno rivestendo le pareti del mio sfintere di viscida vasellina. Fu molto rilassante e lui dovette sentire che oramai ero pronta quando riservò le ultime gocce per il suo palo. Il cuore mi batteva all’impazzata, pensavo che da un momento all’altro mi avrebbe presa e fatta sua quando mi sussurrò: “dovrei usare il preservativo, ma è più forte di me, fìdati non hai proprio nulla da temere, voglio sentirti tutta mia, un culo così è un peccato non goderselo al massimo”. Dopo un complimento del genere non avrei mai potuto resistere e negargli nulla. Mi afferrò per i glutei e puntò la cappella sul mio buchetto rilassato e ben oleato, fu una penetrazione dolcissima; lentamente ma inesorabilmente affondò dentro di me, solo a tratti dava qualche spinta gentile. Volevo urlare di gioia, era la più bella sensazione che avessi mai sentito fino ad allora, cercai solo di esagerare con qualche lamentuccio un po’ per fare la verginella, ma non era colpa mia, se me l’avesse chiesto prima glielo avrei anche detto che l’avevo già fatto, ma in quella situazione non mi sembrava il caso di puntualizzare, non volevo deluderlo.
Sentii solo un immenso e indescrivibile piacere, era sapiente, aveva esperienza, ci sapeva fare proprio bene. Mi penetrò completamente, sentivo i peli del suo pube solleticarmi quel che restava del mio ano completamente dilatato per riceverlo. Fu una chiavata dolcissima, la sua mazza spessa e dura mi riempiva totalmente e sapeva andare avanti e indietro a suo piacimento ritmando i colpi e dosando la profondità. Non saprei dire quanto durò, ma avrei voluto che non finisse mai, mi fece raggiungere l’orgasmo dopo un tempo indeterminato, poi ebbi l’impressione che il mio piacere si interrompesse e riprendesse dopo un solo minuto più intenso e più lungo di prima per durare ancora. Sentendomi godere aumentò il ritmo e l’intensità della scopata, poi cominciò a farmi cambiare posizione, prima si stese supino e mi fece mettere a cavalcioni su di lui a smorza candela , poi mi distese sul letto aprendomi le gambe e mettendomelo dentro mentre mi stava sopra, infine mi fece distendere pancia in giù e mi mise un cuscino sotto il bacino per sollevare il culetto. In quella posizione mi venne dentro profondamente, gemendo dal piacere col suo cazzo piantato tutto dentro il mio forellino. Si distese tutto sopra di me coprendomi col suo corpo e mi baciò la nuca, mi leccò le orecchie … io lo implorai di restare dentro di me e lui mi accontentò. Mi sentivo la donna più desiderata al mondo, l’essere più completo dell’universo, giacevo sotto il mio uomo dopo avergli donato abbondante piacere per ben due volte di seguito e lo sentivo duro e pulsante dentro di me, il suo sperma mi aveva riempita e avevo l’impressione che non se ne fosse dispersa neanche una goccia.
Mentre mi baciava mi disse “adesso sei la mia amante, devi sempre mettere biancheria e abiti femminili per me, ogni pomeriggio ti scoperò, sei mia”. Con gli occhi chiusi le mie labbra si aprirono in un sorriso fino alle orecchie al suono di quelle dolci parole, balbettai qualcosa di cui non riesco a ricordare il significato per acconsentire a quel sacro patto.
Purtroppo la magia finì quando si sollevò e sfilò il suo membro dal mio culo, sentii improvvisamente un senso di privazione, come se mi avessero mozzato un braccio, sentivo un vuoto proprio lì e il bisogno di sentirlo ancora attaccato a me. Lo sentii mentre in bagno si sciacquava e mi diceva qualcosa circa l’orario, era effettivamente tardi: eravamo lì a scopare dal primo pomeriggio e oramai dalla finestra si intravedeva che era l’ora del tramonto. Il resto fu molto veloce, tranne il momento prima di vestirsi in cui mi abbracciò completamente nudo e mi baciò teneramente in bocca, era la prima volta che un uomo mi baciava e non lo scorderò mai.
Mi fece uscire dalla scala esterna e mi consegnò una copia delle chiavi della porta e dell’armadio dicendo che avrei potuto portare dei vestiti lì e metterli per lui e che ci saremmo visti l’indomani pomeriggio alla stessa ora, si sarebbe preoccupato lui della musica di sotto, avrebbe rimediato con dei nastri. Appena a casa misi tutte le mie cose in un borsone pensando solo a ciò che mi aveva detto, non mangiai, non dormii, l’alba mi sorprese con gli occhi spalancati e un sorriso sognante; maledicevo solo che ci volessero ancora così tante ore prima di rivederlo, era una giornata splendida e non andai neanche in spiaggia, riuscivo a trascorrere il tempo solo pensando a cosa avrei messo per lui di lì a poco.
Il pomeriggio seguente non persi un solo secondo ed entrai nella stanza dalla scala secondaria, come mi aveva chiesto Giovanni. Lui mi stava aspettando, sembrava accigliato; lo salutai a mala pena e mi chiusi in bagno con il borsone pieno dei miei vestiti. Indossai per lui un body bianco di pizzo, molto scosciato, di quelli con il tassello sotto il perineo, non pensai neanche a mettere vestiti sopra, a parte che faceva molto caldo, perché non volevo perder tempo e pensai che non sarebbero durati molto. Ai piedi misi un paio di sandali con il tacco basso e persi qualche minuto per mettere un po’ di matita e di rossetto.
Quando uscii dal bagno e mi vide il suo viso si aprì in un sorriso eloquente, aveva uno sguardo molto seducente; se ne stava mezzo steso sul divanetto e fece cenno di andare da lui; mi prese praticamente in braccio carezzandomi e mi disse “ti è piaciuto ieri eh? … a me ancora di più, ti desideravo da un bel po’” … e chi se lo immaginava!? a saperlo da prima non avrei perso tempo. Era un uomo molto risoluto; continuò dicendo “ sarai la mia amante segreta, se ti piace ti farò veder le stelle, non devi fare altro che salire qui e farmi godere come ieri, se vorrai ogni pomeriggio appuntamento fisso e – in caso di cambio dei programmi – ti lascerò un biglietto ben chiuso giù, perciò ogni mattina, prima di andare in spiaggia, passa a controllare”.
Cos’altro potevo desiderare dalla vita? Volavo fra le nuvole, mi sentivo innamorata e appagata mentre lui cominciava a scoprirmi il seno e a baciarmi i capezzoli; avrei fatto qualsiasi cosa mi avesse chiesto. Quel secondo giorno mi baciò e carezzò a lungo sul divanetto, si dedicò alle mie tettine adolescenziali mettendomi a sedere sul divanetto mentre mi stava di fronte e mi strusciava il suo pene sul seno. Io tentavo di prenderglielo in bocca. Quel secondo pomeriggio fu come il precedente, lo succhiavo, lui mi baciava, poi mi prese per terra, come se fossi la sua donna, steso sopra di me. Lo spompinai in piedi, da seduto, poi mi penetrò, questa volta di fianco. Lo ebbi in tutte le posizioni immaginabili, sentivo il suo cazzo dappertutto, per cinque ore di fila. Mi venne addosso per tre volte e ogni volta era più selvaggia della precedente. Sborrava abbondantemente, mi feci schizzare dappertutto e non ne avevo mai abbastanza; mi provocò due orgasmi indimenticabili. Ricordo che ero talmente distrutta alla fine da non riuscire a parlare tornando a casa, mi sentivo come in un’altra dimensione.
Di nuovo il giorno dopo e il giorno appresso ancora, ogni pomeriggio ero sua per ore e ore; di solito arrivavo per prima e mettevo qualcosa addosso, quasi esclusivamente biancheria intima sexy e lo attendevo stesa sul letto. Mi piaceva aspettarlo come un’amante aspetta il suo uomo in quei caldi pomeriggi di agosto; per me non esisteva altro al di fuori di quella stanza. Non tardava quasi mai e ogni volta era diverso. Agosto era iniziato e la spiaggia era piena di gente allegra e festosa, ma per me esisteva solo un essere e solo quelle ore in quella stanza, il resto mi sembrava solo immaginazione. Verso il tre o il quattro di agosto mi regalò una guepière nera con i ganci e i merletti sul bordo, disse che era un regalo per la prima settimana, ma gli risposi che da quanto ricordavo era passata meno di una settimana! Ne nacque un battibecco, pensai che era il primo litigio fra due innamorati; mi resi conto che anche lui doveva aver perso un po’ di riferimenti con la realtà se non riusciva a ricordare i giorni. Per far pace mi feci aiutare ad allacciare i gancetti della guepière e feci un piccolo defilé per lui; ancheggiavo e sculettavo come una prostituta per la stanza mentre lui si toccava, il bustino mi strizzava la vita lasciando debordare sopra i miei seni rigonfi e sotto il culetto che sembrava ancora più tondo e a mandolino evidenziato dal merletto nero, al di sotto del quale tutto era a sua completa disposizione. Quel giorno mi prese sbattendomi da dietro mentre mi appoggiavo al muro di fronte al grande specchio nel quale vedevo il mio viso stravolto dal piacere e dalla goduria e – dietro di me – il suo corpo aitante e muscoloso che mi prendeva voluttuosamente.
Ero completamente sua, ogni centimetro del mio corpo gli apparteneva, sapevamo entrambi come soddisfare l’altro e non c’era mai ombra di stanchezza. In tutto quel mese ci vedemmo quasi tutti i pomeriggi, tranne tre volte; a volte c’erano impegni, si riusciva a fare solo una sveltina, ma la si faceva e molto intensa, altre volte durava e durava, anche fino all’imbrunire, come la prima volta ed erano scintille. Un paio di giorni ebbi doppia razione: oltre al pomeriggio ci vedemmo anche la sera, dopo cena, fino alle ore piccole. Di solito mi lasciava un bigliettino in busta chiusa al piano di sotto se c’erano variazioni al programma, altrimenti io sapevo che – da brava amante – avrei dovuto attenderlo sdraiata sul letto solo con la biancheria intima addosso e al massimo una sottoveste, un po’ di trucco e tanta voglia di essere posseduta da lui. Non mi importava di godere, anche se spesso avevo più di un orgasmo, lui era sempre generoso nel darmi quello che voleva e nel prendersi le gioie degli amplessi ripetuti. Tutto durò fino al ventinove di agosto.
Sì, proprio fino al ventinove: quel giorno, come al solito, ero semidistesa sul letto con un completino di pizzo bianco: perizoma e reggiseno a balconcino; avevo messo anche un babydoll velato sopra che arrivava fino all’inguine. Il giorno prima mi aveva preannunciato una grossa sorpresa; ero curiosa di sapere cosa fosse, pensavo a un regalino, magari un completino ancora più sexy che avrebbe voluto vedermi addosso, ma non ero impaziente, mi bastava e avanzava di gran lunga tutto ciò che avevo già. Sentii aprire la porta e – sorridendo– mi girai ma non entrò lui: davanti all’uscio c’era un uomo di mezza età, capelli brizzolati, alto e distinto che mi sorrideva meravigliato. Giovanni era dietro di lui e appena entrato chiuse la porta a chiave e disse a quel signore: “vedi? che ti avevo detto? non è una vera meraviglia?”. Il signore in questione ahimè non era uno sconosciuto, era una persona che conoscevo fin da piccola, un amico di famiglia che mi aveva vista crescere. Sentii il mondo crollarmi addosso e – al tempo stesso – la voglia di scomparire, di essere invisibile, di non essere lì, oppure di tornare indietro nel tempo di cinque minuti per fuggire via lontano.
Ero allibita, era evidente a cosa si riferisse quando mi disse che aveva una grossa sorpresa per me, ma non sarei mai arrivata a concepire una cosa del genere; per me esisteva solo lui e pensavo che fosse lo stesso per lui e poi mettere in comune una cosa del genere proprio con una persona che conoscevo! Mi comportavo come un automa, sentivo di non avere più un briciolo di volontà. I due parlavano guardandomi compiaciuti, neanche ricordo di cosa in particolare, ma si riferivano a me, alla mia situazione in quel momento; Giovanni si stravaccò sul divanetto di fronte al letto e accese una sigaretta, il signore venne a sedersi di fianco a me sul letto e, sorridendo, mi fissava negli occhi sperticandosi in complimenti come se non avesse mai visto una donna mezza nuda.
Come aveva potuto concepire una cosa del genere? Come gli era venuta in mente? Me lo son chiesta migliaia di volte senza trovare risposte; eppure non c’era neanche segno di noia, avrebbe potuto anche chiedermi di variare qualcosa nel nostro rapporto. Non era come un fulmine a ciel sereno: fu una tempesta, un tornado. Ero incapace di aprire bocca, anche di pensare, mi trovai le mani addosso che mi palpeggiavano e le labbra che baciavano la pelle del mio collo e delle braccia mentre io restavo completamente immobile e attonita. A pensarci, dopo mesi e mesi, capii che quei due dovevano aver già sperimentato quella cosa più volte, magari scambiandosi i favori con altre ragazze. Io mi chiedevo chi altri sapesse di tutto ciò, quante altre persone erano al corrente di quel che facevo. Istintivamente ebbi la reazione di darmi completamente senza interporre alcun ostacolo, quanto meno per rendere complice di quello che facevo anche quella persona che temevo avrebbe potuto rivelare qualcosa su di me.
Piano piano si spogliò continuando a carezzarmi, non parlava; Giovanni se ne stava di fronte e si toccava guardando la scena. L’uomo mi guidò anche dolcemente verso il suo membro, non avevo nessuna voglia, ma sentivo che avrei dovuto darmi da fare, lo succhiai; mi sentivo costretta ma non opponevo alcuna resistenza. Non so quanto durò, quando mi rigirò per mettermi a quattro zampe sul letto vidi che Giovanni aveva il cazzo in mano e si masturbava lentamente, non incrociai il suo sguardo; in quel momento lo odiavo con tutta me stessa.
L’uomo mi penetrò subito dopo, per non sentire dolore nei miei sentimenti cercai di concentrarmi su quella scopata estemporanea; evidentemente lo feci bene, ho ancora nelle orecchie il suono dei suoi gemiti mentre mi riempiva. Mi fece cambiare un paio di posizioni, io ubbidivo docilmente, come se fossi una puttana pagata apposta per quello, poi sentii un altro corpo vicino a me: mentre quel signore mi sodomizzava avvertii l’odore inconfondibile del cazzo di Giovanni che mi cercava, strusciava sul mio viso in cerca della mia bocca. Mi presero contemporaneamente: uno dietro e l’altro davanti. Quando l’uomo che mi chiavava da dietro venne si staccò da me e, dopo un po’, Giovanni passò dalla mia bocca al mio culo. Li sentivo scambiarsi impressioni sulle posizioni, ma non mi importava di quello che dicessero, a parte che non si capiva granché dalle loro esclamazioni rotte da gemiti e versi di piacere. Alla fine dovetti fare un ultimo pompino al tipo mentre il mio Giovanni mi veniva sul culo.
La cosa più insopportabile fu dopo: continuavano a fare commenti su di me anche dopo aver finito, dopo che avevano preso entrambi il loro piacere, io sentivo solo che avrei voluto non esistere più per loro. Avevo capito che quel mese da sogno era finito ormai e non perché fosse il ventinove. Non andai più in quella stanza; lui non mi cercò neanche. L’estate finì e ognuno fece ritorno nella sua città. Qualche volta il signore di mezza età lo vidi a casa mia, si comportava come al solito, come se non fosse accaduto nulla fra di noi, era gentile come al solito e pieno di tatto e attenzioni; solo una sera mi avvicinò in disparte e – sottovoce – chiese di vedermi cercando di darmi appuntamento a casa sua; mi voltai e andai via senza neanche rispondergli.
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