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Lui & Lei

A15, La Cisa


di Arturo72
22.10.2018    |    7.269    |    2 9.4
"Avvicino una mano a lei, ma mi fa capire che non è ancora il momento..."
L’A15, la Cisa per intenderci, sa regalare emozioni.
La percorro piuttosto spesso, avanti e indietro da casa a Milano. Nel corso degli anni ne sono successe, di cose. Poliziotti incazzati neri con cui dover scendere a patti per evitare multe e patente sequestrata; ore e ore di code chilometriche sotto il sole o sotto la neve, con la paura che la benzina potesse finire e perdere il tepore del riscaldamento o la rigenerante aria fresca del condizionatore; caffè e cene di volata nei pochi autogrill che ci sono. Pisciate fin troppo trattenute e scaricate clandestinamente nelle piazzole.

Sa regalare anche emozioni, però. Quelle belle, quelle inaspettate.

Rientro a casa, direzione sud, metà pomeriggio di un piacevole venerdì soleggiato d'Ottobre. Non guido troppo veloce, ma comunque mi mantengo sulla corsia di sorpasso. Da qualche chilometro, direi da Fornovo o forse Borgotaro, ho nello specchietto una piccola utilitaria, che mi sta incredibilmente al culo. Ad un tratto due flash.. tipo “fammi passare, ho fretta”. Lascio la via, e vedo questa piccola Citroen bianca sfilarmi sulla destra, arrancando. Mi rimetto dietro, cercando di capire fin dove questa macchinetta possa spingersi. Mi mantengo a distanza temendo che ad ogni curva possa perdere il controllo e vada dritto. Il solito giochino stupido del gatto e del topo, a turno. Passo io, e divento topo in fuga: lascio passare e divento gatto. Alla guida una ragazza, con indosso un paio di occhiali da sole fotonici, con lenti di mille colori diversi. Il giochino del gatto e del topo serve anche per sbirciare chi è l’altro pazzo con cui si “gareggia”. Sono e rimango incredulo per come questa ragazza sappia gestire la guida in maniera così azzardata.

Ma tant’è… Proseguiamo adesso con più calma, rallentando entrambi. Autogrill Km 5,0. Autogrill Km 1,5. Autogrill Km 0,5. Metto la freccia, la ragazza fa altrettanto. Il fatto che anche lei abbia intenzione di fermarsi mi arrapa: in un attimo mi accendo. Nonostante ci siano posti prossimi all’autogrill, parcheggio in zona leggermente defilata. Lei fa altrettanto. Rimango in auto, in attesa di una sua mossa. Lei fa altrettanto. Apro lo sportello, esco e giro intorno alla mia auto ma lei, nel frattempo, mi ha anticipato. E’ uscita e si è posizionata in piedi davanti al bagagliaio aperto. Cerca qualcosa, o fa finta di farlo. Indossa un paio di leggins neri ed una t shirt bianca. Ai piedi un paio di sneakers, di colore improbabile. Una pashmina avvolta al collo. E’ giovane, molto giovane. Troppo giovane per i miei gusti. Certo è che avrà comunque almeno 18 anni. Le vado incontro ed esordisco con un: “Ragazza”, le dico sorridendo “hai idea del modo con cui bruci la strada?”.
Si volta e mi guarda: non ha capito se la sto cazziando o cosa. Vedo un punto di domanda nei suoi occhi.

“Mi scusi”, risponde davvero quasi a scusarsi - “ha ragione. Guido sempre troppo forte quando ho fretta”. Mi da del lei, cazzo. Del “LEI”. Ci sono almeno 25 anni di differenza e dunque, lo capisco quel rispetto, e forse ci sta tutto. Ma non me lo aspettavo.
La tranquillizzo quantomeno sul fatto che non la stessi cazziando. “Non sono tuo padre, per fortuna”. E le racconto di quanto mi abbia incuriosito vedere questa macchinina bianca, con lei a bordo, piegarsi ad ogni curva e mangiare la strada per chilometri e chilometri. E’ delicata. Giovane e delicata. Pelle bianchissima, e occhi celesti. “Prendiamo un caffè, posso invitarti?” le dico, notando sotto quella maglia due capezzoli duri come poche altre volte ho visto. “Sta raffrescando, mi pare”. Sarà giovane, ma ha colto all’istante la provocazione. “Guidare forte mi fa sempre questo effetto” mi dice, abbassando lo sguardo sul seno e sorridendo maliziosamente.
Mi sorprende però la mia reazione: ho il nodo in gola. Quarantasei anni contro forse venti, ma ho il nodo in gola. Sorrido, credo, e le faccio strada verso il bar. Mi dice che sta rientrando a casa, da Pavia, dove studia. Mi informo sul percorso di studi, mi risponde. Ci ritroviamo davanti alla cassa, e mentre pago i due caffè mi accorgo che sta sbirciando un cornetto alla crema dietro la vetrinetta. “Mi aggiunga due cornetti alla crema” dico alla cassiera. Lei mi guarda incuriosita e trasforma il suo sguardo da giovanissima studentessa in femmina d’esperienza: “Come fa ad aver capito che sono ghiotta di crema?” E lo dice in quel modo che solo una donna bagnata riesce a dire.
Prendo i due dolci, e ritornando al bancone mi soffermo un po’ troppo dietro al suo bellissimo culo. Ho il cazzo duro, e lei lo sente. “Conosco un posto, vicino a casa mia”, mi dice “in cui la crema è sempre calda ed espressa”. Anche stavolta il suo modo di parlare e di fare, così schietto e dritto al punto mi lascia allibito. E quegli occhi da gatta fanno il resto. Il mio cazzo ha un sussulto. La sbatterei li sul bancone, la porterei nel cesso zozzo e la scoperei appiccicandola al muro. Ma la situazione è piuttosto delicata. Il tizio accanto a noi ha capito il gioco e rimane in ascolto, facendo finta di nulla. La ragazzina spreme il cornetto come fosse un cazzo, e fa uscire un po’ di crema: ne raccoglie un po’ con la lingua e poi intingendo il dito, penetrando il cornetto in maniera così autentica che pare l’autogrill intero si sia fermato di colpo. “No, mi dice”, dopo il primo boccone. “Non ci siamo. Non è né abbastanza calda né fresca”. Un altro paio di morsi e butta via il cornetto nel cestino. Beve il caffè. “Mi ci voleva un caffè” dice “ ma mi è rimasta voglia di crema. Dovrò fermarmi in quel posto che le dicevo, prima di rientrare a casa”.

Ho in testa l’idea di un bukkake con al centro la giovane studentessa.

“Senti” le dico “ facciamo così”, e parlando la accompagno cingendole la vita verso l’uscita. Salutiamo, salve, arrivederci. Il tizio nostro vicino di bancone ci guarda. “Tu hai voglia di crema fresca” proseguo “e io a questo punto ho voglia di soddisfare questo tuo desiderio”. Lei mi guarda, incuriosita da quello che sto dicendo e, spero, ansiosa di sapere come proseguirò. Siamo fuori dal bar, e ci stiamo dirigendo verso le auto. “Le cose sono due”, dico gesticolando e mimando il due, con le dita. “O ognuno monta sulla propria auto, ed io ti seguo fino al tuo posto segreto, o adesso ti apro la portiera e tu sali”. Dicendolo, clicco il telecomando e le portiere si sbloccano. Mi soffermo e la vedo girare intorno alla mia auto. “Sali” mi ripeto dentro di me “Sali”.

Apre lo sportello, sale. Chiude. Io sono impietrito. Cazzo di marmo e impalato li fuori, dal lato opposto, a guardarla li seduta. Salgo pure io, e lascio fuori ogni mia possibile ulteriore forma di eccesso di rispetto. Ci guardiamo. Si sfila la t shirt e rimango di sasso nel vedere entrambi i capezzoli, enormi, duri, perforati da un piercing. Li prende tutti e due, incrociando le braccia e le mani. Pollice e indice che afferrano il metallo del piercing e tirano. Le piccole tette si sollevano ad ogni tiro. “Non ho preservativi” è il mantra che mi ripeto nella testa. “Cazzo, non ho preservativi”. Mi slaccio i pantaloni e li accompagno fino a terra, intorno alle caviglie. Sfodero il cazzo duro. Lei rimane li, impassibile, a giocare coi suoi capezzoli. Io me lo prendo in mano e comincio pian piano a masturbarmi. Lei si mette spalle al finestrino e mi spalanca le sue gambe davanti, foderate da quei leggins. Si tocca. Mi tocco. Non fiatiamo, perché il momento è estremamente giusto per entrambi. Ci guardiamo negli occhi, a lungo, continuando a masturbarci. Avvicino una mano a lei, ma mi fa capire che non è ancora il momento. Nessun problema, per me, penso. Situazione stranissima, e del tutto arrapante. Ho voglia di leccarla, di metterle la lingua dappertutto. Ho voglia di impalarla e sfondarle quel piccolissimo culo che ha. Ma siamo li, ognuno che si accarezza per come crede. Devo rallentare, perché di questo passo non duro ancora molto. D’improvviso si divincola da una scarpa e sfila una gamba dai leggins. Una sola. Si rimette com’era, ma questa volta a fica spalancata e tremendamente offerta. Una striscetta di pelo chiaro a cappello di una fica bellissima. Un bellissimo clitoride gonfio, pronunciato, dal quale si staccano le piccole labbra così belle che sembrano disegnate. Si abbassa, scivolando con la schiena al finestrino. Piega le ginocchia al petto e mi sfodera davanti il suo buco del culo rosa e strettissimo intorno al quale comincia a girellare col polpastrello del medio. Il mio cazzo sta per esplodermi in mano. Devo fermarmi. Mi fermo e lei mi chiede se è abbastanza troia, per un uomo della mia età. “Tu sei troia per ogni età, ragazza” le rispondo. E’ contenta di come la cosa procede, a giudicare dal suo sorriso. Mi avvicino a lei, sul sedile, tenendomi il cazzo in mano. Mi avvicino perché ho voglia di farle venir voglia di toccarmi. “Un cazzo così lo ritroverai difficilmente, ragazza”, penso. Non finisco la frase e lei si bagna con la bocca la mano libera: mi prende in mano, stringe, tasta, misura. Sento la sua mano scivolare come se fosse saponata. Le sue dita non riescono a prendermi tutto, e me lo fa notare “c’hai il cazzo grosso” mi dice “ non riesco a girarci intorno con le dita, guarda”, e mi fa vedere che pollice e medio non si toccano.
Continua a toccarsi, sempre più forte e il il suo ritmo segue quello che regala a me.
Sa contorcere il proprio polso per arrivare a toccare i suoi punti più nascosti. “Ho voglia di crema” mi dice. “Non voglio perderne nemmeno un po’”. In un attimo si tira su, si mette in ginocchio col culo alto al finestrino e inizia a succhiarmi così forte che trattenermi è davvero difficile. E’ dura, vorace, sega e spompina in maniera strana. Ma è fantastica. “Spalanca la bocca” le dico “Spalanca e tira fuori la lingua”. Esegue alla perfezione. Mi prendo il cazzo in mano e dopo un attimo le schizzo in bocca una quantità infinita di “crema fresca”. Cinque-sei fiotti dritti e potenti. Gli ultimi due o tre più deboli. Mi guarda soddisfatta : non manda giù, però. Riprende il cazzo in bocca e dopo averci giocato ancora un attimo ci lascia colare sopra tutto quel ben di dio. “Non ti conosco”, mi dice “ma la prossima volta che ci mettiamo a gareggiare in autostrada avremo più confidenza e ti berrò tutto”. Sorride, e io con lei.
Il tizio del bancone del bar, nel frattempo, butta via la sigaretta e si incammina. Glielo indico, ammiccandolo. “Avresti voluto che si avvicinasse?” mi chiede. “Avrei voluto scoparti”, rispondo. “Qui, sul cofano”.

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