Lui & Lei
Giovanna

10.01.2023 |
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"Dopo un po’ io e lui abbiamo incrociato gli sguardi, gli ho fatto un cenno e lui si è avvicinato, tirandolo fuori..."
Giovanna è (era?) una matrona napoletana, tipo quelle zie molto sovrappeso inguainate in vestitini decisamente troppo attillati e rivelatori che si vedono adesso frequentare il castello in Il Boss Delle Cerimonie. Non bassa, faccia segnata da nave scuola, lunghi capelli neri chiaramente tinti data l’età abbastanza avanzata (sicuramente nei secondi 50, probabilmente più prossima ai 60, ma la vita non l’aiutava certo a mostrarsi al meglio), tette enormi che avevano da tempo perso la battaglia con la gravità ma corredate di grosse areole con al centro capezzoli sempre eretti e grossi come falangi di un mignolo, pancia da donna che ha sfornato più figli del dovuto, figone pelosissimo con un ciuffo che spuntava dai micro-vestitini che portava mentre passeggiava vicina allo scalo su scarpe con la zeppa di paglia intrecciata, se non con le ciabatte da spiaggia. Quando era stanca e si sedeva ad aspettare clienti, il cespuglio si spartiva rivelando una spacca che sembrava un’umida ostrica super-size. Una fica che mi piaceva un casino, enorme e slabbrata, con piccole labbra grosse e pendule che si aggrappavano al cazzo quando usciva durante il movimento dentro-fuori e grandi labbra carnose e più scure. Infilare la faccia li in mezzo significava entrarci dal mento alla fronte, e succhiarle il grilletto, che era paragonabile ai capezzoli, era come farle un pompino: ho sempre amato leccare la figa (e, in seguito, succhiare il cazzo) e questa è una di quelle che ricordo con maggior piacere, sebbene gli ansimi o certi movimenti improvvisi potessero anche essere solo il frutto di professionalità e non necessariamente di vero piacere. Ma più di una volta mi ha detto che eravamo solo in due a leccarla e a non limitarsi a tirare solo fuori il cazzo, metterglielo in bocca e poi o nella figa o in culo, e apprezzava l’attenzione.
Messa così, Giovanna sembra un incubo, eppure mi ci fermavo spesso quando mi veniva voglia mentre ero in giro in auto, sebbene avessi una ragazza fissa decisamente carina, a cui non dispiaceva per niente scopare e che aveva anche il buon cuore di ingoiare e darmi il culo di tanto in quanto.
L’aspetto da prostituta da amarcord e la generale sciatteria, quei vestitini e scarpe da mercato che portava per giorni a fila, un certo aroma di sudore e l’aria di chi è lì perché le tocca ma che riesce comunque a non farti sembrare un bastardo che se ne approfitta, la rendevano irresistibile e preferibile ad altre colleghe che bazzicavano durante il giorno nei pressi nei lotti (allora) abbandonati della zona di Milano in cui esercitava.
Lotti in cui generalmente preferivo che ci fermassimo, perché scopare sulla mia Panda, vista la sua stazza e la mia altezza, era complicato. In auto quindi alla fine mi ha fatto solo un pompino una volta, ma abbiamo dovuto aprire la sua portiera in modo che potesse mettere il culo fuori per potersi inginocchiare sul suo sedile: ammetto che mi sarebbe piaciuto se si fosse avvicinato qualcuno mentre mi succhiava e gliel’avesse buttato dentro, invece mi sono solo dilettato io a infilarle dentro tre o quattro dita mentre ingoiava rumorosamente il mio cazzo fino a farlo esplodere in gola.
Ecco, anche il fatto che mandasse giù aiutava nello sceglierla tra le altre, che invece succhiavano col guanto o sputavano.
Altre volte, in periodi in cui i soldi latitavano, Giovanna era un rifugio sicuro accettando 5000 lire -invece delle solite 20000 per bocca e figa- per lasciarmi segare mentre la guardavo tra le cosce o le succhiavo quei durissimi capezzoli: essendo una gran brava donna, a volte finiva lei di menarmelo -magari lasciandomi scaricare sul seno le mie sborrate di ultraventenne- o me lo prendeva in bocca all’ultimo e me lo restituiva ripulito e lustro. In certi momenti, quando mi raccontava le sue grane a casa, mi faceva pensare che ingoiasse per mettere qualcosa nella pancia.
Spesso mi capitava di caricarla su e di spostarci un po’, fino a una zona dove le ex fabbriche e i palazzoni lasciavano improvvisamente spazio alla campagna e alle stradine che conducevano a cascine solitamente abbandonate e dove si poteva andare in camporella, complice la coperta che si portava a dietro in un borsone che pareva contenere la sua vita. Vita della quale mi raccontava per tutto il tragitto, parlando di un marito (uno dei vari) assente, di non so quanti figli con le loro richieste e bisogni, di parenti che chiedevano aiuto, dei vicini che la giudicavano per come usciva e fondamentalmente di un gran bisogno di soldi, che si procurava in parte battendo di giorno e in parte facendo lavoretti di cucito e riparazioni di sera. Poi arrivavamo al punto designato, la aiutavo a uscire all’auto, stendeva la coperta, ci si metteva sopra e -sempre senza spogliarsi mai del tutto ma alzando e abbassando le parti del vestitino necessarie- cominciava a darsi da fare. Non mi sfuggiva l’ironia, mentre affondavo la faccia in quel melone spaccato che era la sua vulva, mentre si ingoiava il mio cazzo fino alle palle o mentre la montavo a pecora o mi stendevo alla missionaria tra le sue grosse cosce, di poter vedere chiaramente il balcone della mia tipa a 3/400 metri di distanza, magari sapendo che l’avrei vista più tardi e avrebbe finito con lo spompinarmi, col mettersi nella stessa posizione per farsela leccare o si sarebbe appoggiata al balcone per farselo infilare da dietro. Le piaceva guardare le finestre degli altri palazzi mentre lo prendeva. Mi viene in mente ora, considerando quanto è successo dopo, che magari pure lei guardasse -senza saperlo- nella mia direzione mentre qualcuno glielo stava mettendo dentro.
Ho un paio di episodi che sono ancora freschi nella mente come fossero accaduti ieri, invece che trent’anni fa. Il primo è quando -in un periodo in cui avevo fatto alcuni lavori molto ben pagati- le ho tirato fuori 70000 lire e lei, da gran signora, mi ha detto “tra due ore smonterei, ma dubito di alzare altrettanto, quindi andiamo alla cascina e ti faccio qualsiasi cosa, basta che poi mi accompagni vicino a casa”. E davvero mi ha fatto qualsiasi cosa, iniziando con un rimming (ma al tempo si diceva “lingua nel culo”. Le riviste porno non avevano le categorie di X-Hamster) che mi ha praticamente sverginato il culo grazie alla sua lingua modello bassista dei Kiss, che alternava a una succhiata dell’intero scroto e poi della cappella, per poi ricominciare col culo e ripetere il ciclo fino a quando mi ha chiesto se sarei riuscito a sborrare due volte. Alla mia risposta affermativa (sebbene non ne fossi sicuro, almeno in tempi brevissimi), mi ha girato, mi ha aperto le cosce e mi ha infilato un dito nel culo mentre si è ingoiata il cazzo fino al pube con quei rumori salivosi dei quali era campionessa. Da un dito è passata a due mentre la saliva mi glassava i coglioni e, visto l’indurimento dell’asta, a tre, aprendomi definitivamente lo sfintere. Cinque minuti di quest’altalena di piacere e dolore sono terminati in uno schizzo tale che l’ha fatta starnutire e tossire allo stesso tempo, ritrovandosi così sborra colante dal naso e sul mento, situazione che ha risolto tirando su e passandosi la lingua attorno alle labbra, mangiandosi tutto prima di ritornare a ripulire il cazzo. A quel punto mi è salita in faccia e ci si è seduta sopra dicendomi “Visto che ti piace, adesso te la do fino a che voglio io”, facendomi leccare fino a quando sentiva il respiro affannato e alzandosi solo un attimo per lasciarmi respirare prima di tornare a schiacciarmi le labbra della vagina o il buco del culo sul viso. È andata avanti parecchio, ma quando ha visto il cazzo ridiventare duro si è spostata e ci si è seduta sopra infilandoselo fin dove poteva entrare, salvo poi spostarsi all’indietro e spalancare le cosce, mostrandosi in tutta la sua oscena carnalità. Le sono affondato dentro, e per fortuna che avevo svuotato prima così da non venire velocemente, perché è stata una scopata memorabile, completa di lingua in bocca tipo fidanzatini del liceo. Alla fine, con non poco sforzo e il mio aiuto, si è girata mettendosi a pecora e si è allargata le chiappe botticelliane invitandomi a farle il culo, una cosa alla quale -ipnotizzato per anni dalla sua fregna- non avevo mai pensato prima. Anche lì, per fortuna che mi aveva spremuto per bene, perché l’ho pompata per un’infinità di tempo, partendo dalla pecora e arrivando a schiacciarla a terra tenendole le gambe chiuse con le mie per sentire il culo più stretto (mi sa che gli altri clienti al suo culo avevano pensato e le avevano scavato un tunnel), fino a riempirla con un’altra serie di schizzi che mi hanno lasciato le palle doloranti. Come consuetudine, se l’è preso in bocca e me l’ha ripulito meglio di un bidet: beata incoscienza giovanile, tutto senza guanto, né prima né dopo.
Il secondo episodio invece è accaduto qualche mese dopo, mentre ero lì a prepararmi a farla salire in auto quando è arrivato a piedi un ragazzo di colore che, come me, doveva essere un habitué. Lei, salomonicamente, ha proposto di spostarci in un lotto poco distante dove avrebbe fatto prima con uno e poi con l’altro, se a noi non dispiaceva avere qualcuno che guardava. Siccome io ero lì da prima, ha cominciato tirando giù la parte superiore del vestito per tirare fuori le tette, aprendomi intanto la zip e prendendomelo in bocca mentre il ragazzo guardava. Dopo un po’ io e lui abbiamo incrociato gli sguardi, gli ho fatto un cenno e lui si è avvicinato, tirandolo fuori. Oh, poi magari non sono tutti così, ma mi ha fatto sentire un ometto: in mezzo alle gambe gli si ergeva una lattina di Coca-Cola da mezzo litro, più la cappella, nerissima…
Giovanna, da professionista consumata, ha cominciato a succhiare pure lui, alternando i nostri membri fino a prenderli entrambi in bocca assieme: non ero mai stato a contatto con un altro cazzo, e la cosa mi ha mandato un brivido lungo la schiena, nonostante il mio quasi scomparisse a confronto, così piantando il seme della curiosità per il sesso coi maschi, curiosità che fino ad allora non avevo mai avuto. Nel frattempo lui giocava con le tette e io le palpavo il culo, fino a quando l’ho sfilato dalla bocca, l’ho spinta in avanti a quattro zampe e gliel’ho infilato nella figa. Lei è andata avanti imperturbabile, facendosi scopare e succhiando, fino a quando l’ho tirato fuori e le sono venuto sul culo, guardando la sborrata colarle prima sul buco, poi sulla figa e poi sulla coperta. Il ragazzo a quel punto si è spostato dietro di lei mentre io andavo davanti per la rituale pulitura e l’ha penetrata: mentre la sua cappella le si faceva largo nella carne, le ho visto tirare su gli occhi intanto che il palato e la lingua si serravano sul mio uccello ma, al contrario del solito, invece di far vorticare la lingua, è rimasta con la bocca a stringere mentre il tipo la dilatava come sicuramente non era abituata dagli italiani. L’ho tirato fuori e mi sono messo vicino al ragazzo per guardare come quella figa veniva allargata: ad ogni colpo lo tirava fuori fino a mezza cappella e poi scivolava di nuovo dentro, accompagnato dalle piccole labbra umide aggrappate all’asta dritta e venosa e dai suoni strozzati che venivano fuori dalla gola di Giovanna, che non avevo mai sentito così: stava veramente godendo, sfondata da un cazzo che riusciva a farsi sentire anche dentro a quel canale vaginale ormai frusto. Non ho resistito e ho cominciato a segarmi mentre osservavo la scena, mesmerizzato dall’atto, fino a quando lui l’ha girata, le ha alzato e aperto le gambe e le è entrato nella pancia di colpo, strappandole un rantolo che mi ha fatto schizzare un’enorme sborrata sul suo vestito e i sui capezzoli irti come una spada. Ho tirato su i pantaloni e me ne sono andato, completamente svuotato e, allo stesso tempo, un po’ umiliato da tanta virilità. Non so come sia finita quella volta, ma spero che lei abbia continuato a godere in quel modo e abbia avuto un giusto orgasmo, perché sicuramente chi la scopava di solito non lo faceva così.
Ho continuato ad “interagire” con Giovanna per qualche altro mese traendone sempre grande godimento, sebbene averla vista gemere come una ragazzina in calore sotto i colpi del ragazzo di colore mi avesse colpito duramente, fino a quando non l’ho più vista al suo solito posto e una collega mi ha detto che se n’era andata da parenti al suo paese.
Considerata la sua età ai tempi dubito sia ancora in giro, quindi questo è il mio tributo digitale a una donna di strada che mi ha dato molto, molto di più rispetto a tante altre sue colleghe sicuramente più belle e toniche ma, forse in quanto tali, decisamente più disinteressate e umanamente sciatte. Ogni tanto penso ancora a lei e alla sua carne e ci scappa spesso una sega.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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