Lui & Lei
La Vichinga e il massaggio sublim(anal)e


08.05.2025 |
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"“Te l’ho infilato tutto dentro, sei piena di cazzo adesso” le sibilò in tono quasi cattivo, prima di iniziare a estrarlo lentamente per poi tornare a..."
Non fu un caso se qualche giorno si ritrovò su quella stessa spiaggia. Non lo fu. Anche se, raccontandosi una bugia, ripetendosela a iosa nella propria testa, quasi come se parlasse a una persona estranea da convincere, la Vichinga finse quasi di meravigliarsi di tornare lì. Esattamente su quel lembo di sabbia deserto dove, quella volta davvero per caso, pochi giorni prima uno sconosciuto si era masturbato venendo sulle sue tette mentre lei, dapprima totalmente inconsapevole di quello che le succedeva intorno poi, aperti gli occhi, ormai trascinata dalla propria lussuria, si toccava inginocchiata tra quei rami accatastati e incastrati tra loro che facevano sembrare quella struttura di legno a pochi passi dal mare una capanna di fortuna. Che poi, quello sconosciuto, tre giorni dopo sconosciuto non lo fu più, visto che, non si sa per il caso – questa volta sì, ma chi sarebbe disposto a scommetterci anche un euro? – o perché aveva scoperto chi fosse, magari seguendola a distanza, si era presentato nel suo studio quasi alla fine della giornata, chiedendo se fosse possibile ancora fare un massaggio.E siccome so che, pur immaginandovela adesso in tutta la sua bellezza davanti al mare, la curiosità di quel che accadde, un po’ (solo un po’?) vi solletica, forse vi meritate un salto all’indietro, al secondo capitolo di questa storia. Quello che, lo avrete intuito, rappresenta una sliding door nella vita della nostra protagonista. Perché, lo dice anche il proverbio, se anche chiudi una porta, poi spesso si apre un portone… anche se nel caso della Vichinga ad aprirsi sarà altro.
Quindi, mettetevi comodi (che magari per qualche lettore vorrà dire allentare al lavoro la cintura dei pantaloni, o per qualche fanciulla infilare discretamente una mano dentro le mutandine mentre scorrono le parole) e torniamo a quel tardo pomeriggio. Quando, incapace quasi di replicare come ormai fosse troppo tardi, e in preda a un tumulto interno che non sapeva se fosse visibile dalla ragazza che lavorava con lei, la Vichinga aveva risposto, quasi balbettato, che va bene, avrebbe potuto fare un’eccezione non avendo impegni a breve. E liquidata sbrigativamente la sua dipendente (aveva capito qualcosa? si chiese più volte in seguito), aveva fatto accomodare l’uomo nello stanzino adibito ai messaggi. Poi, salutata la ragazza, chiusa a chiave la porta d’ingresso e spente le luci principali, trascorso qualche minuto di attesa per dare tempo all’uomo di cambiarsi – la salivazione in quel momento pressoché a zero – , era entrata a sua volta nello stanzino e, chiusa la porta scorrevole, si era preparata a… a cosa?, si domandò senza trovare una vera risposta.
Con mille domande, emozioni e fantasie che, inevitabilmente, iniziavano a riempirle la mente oltre a, e anche questo lo percepì benissimo, un’umidità crescente fra le cosce che, ne era sicura, non solo si sarebbe potuta percepire a livello di olfatto ma vedere tra i suoi leggings, non fosse per il camice bianco che scendeva fino a poco sopra il ginocchio, respirò profondamente e si avvicinò al lettino. Nell’aria, una di quelle musiche orientali che a forza di sentirle tutto il giorno ormai faticava sempre più a sopportare.
L’uomo era sdraiato a pancia in giù, le braccia rilassate sopra la testa, a sua volta infilata nell’apposito buco del lettino, l’asciugamano a coprire natiche e parte inferiore della schiena. Dando una veloce occhiata ai vestiti accatastati su una sedia, la Vichinga notò le mutande piegate sopra i pantaloni. E anche quel dettaglio, che normalmente non avrebbe dovuto esserci, contribuì ad accelerarle ulteriormente i battiti del cuore. Un paio di battute veloci, di quelle scontate sul massaggio da fare, sulla forza da esercitare, e i primi minuti scivolarono via in un silenzio quasi imbarazzato, sicuramente da parte della Vichinga. Che iniziò a massaggiare le gambe dell’uomo, in un continuo andirivieni dalle caviglie fin quasi all’altezza dei glutei, ma stando attenta a non valicare quella zona rossa (anche se in un paio di occasioni percepì con la punta dei polpastrelli la morbida consistenza dei testicoli). Nella sua testa, nel frattempo, i pensieri continuavano a tornare alla spiaggia. A lei che, quasi si guardasse da un drone, si masturbava sempre più furiosamente inginocchiata a gambe large sulla sabbia, e l’uomo che a pochi centimetri da lei faceva altrettanto, dopo averla pregata di non smettere nel momento in cui la nostra bionda se lo era ritrovato davanti. E con la mente che vagava lontana, si ritrovò a dedicare sempre più attenzione all’area superiore delle cosce, con l’uomo che, dapprima impercettibilmente, ma poi quasi senza più nascondersi, aveva allargato decisamente le gambe.
La situazione era accelerata, ma non ancora precipitata, quando la Vichinga, un calore interno esagerato che l’aveva portata inconsapevolmente ad aprire un bottone del camice alla ricerca di un refrigerio che non esisteva, dal massaggio alle gambe era passata alla schiena. Già un paio di volte le mani dell’uomo, a penzoloni sul lato del lettino, avevano sfiorato le sua gambe, ma quando lei si era portata sulla parte anteriore e aveva iniziato a lavorare sulla parte alta della schiena, quelli che potevano sembrare solo tocchi casuali, casuali non lo erano improvvisamente più stati, con entrambe le mani a cingerle la parte posteriore delle cosce, con un movimento dapprima molto leggero ad accarezzarle delicatamente ma che, dopo qualche minuto, le aveva viste salire spudorate fino a cingerle con una stretta decisa il sedere.
“Può girarsi”, bofonchiò trafelata, dopo qualche minuto in cui le mani dei due sembrarono lavorare in simbiosi, quelle della Vichinga a massaggiare quella schiena tonica, quelle dell’uomo a pastrugnare, quasi fosse una pagnotta in fase di lievitazione, il culo di lei, senza che peraltro la Vichinga facesse nulla per fermarlo.
“Va bene. Tu però togliti il camice. Voglio guardarti” rispose con un tono dolce, ma che allo stesso tempo non ammetteva repliche, l’uomo. Del quale, le venne in mente solo in quel momento mentre, quasi come dotate di vita propria, le dita una dopo l’altra aprivano ubbidienti i bottoni, non sapeva neppure il nome. Ma anche quel dettaglio, per il fatto che fosse una situazione così paradossale e incredibile, contribuiva a rendere tutto ancora più eccitante.
“Hai tette bellissime” disse lui in modo crudo ma ancora una volta con un tono dolce, una dicotomia tra fare autoritario ed essere gentile che le risultava quasi spiazzante. Perché sotto il camice la Vichinga indossava solo un reggiseno e, vista la sua misura importante, adesso che il camice giaceva per terra, era difficile nascondere alla vista tanto ben di Dio. Come del resto era impossibile che l’asciugamano nascondesse quella forma sempre più rigida e imponente tra le gambe dell’uomo. Se pochi giorni prima la Vichinga non aveva avuto modo di osservarlo per davvero, tra la propria eccitazione che le obnubilava la mente e quella mano che si muoveva velocissima nascondendo la reale consistenza del cazzo, adesso, seppure celato agli occhi da pochi centimetri di cotone, la Vichinga non poté fare a meno di notare come le misure dovessero essere decisamente ragguardevoli. E anche se non era mai stata tra quelle convinte che un cazzo grosso risolvesse i problemi di felicità di una donna, altrettanto non disdegnava un equipaggiamento che difficilmente sarebbe passato inosservato.
I pensieri sempre più indecenti su cosa le si nascondesse ala vista vennero però spazzati via quasi immediatamente da una mano che, quasi a riprendere il discorso interrotto poco prima, risalì velocemente il retro della coscia per tornare a prendere possesso di quel sedere che regolari lezioni di pilates e ginnastica avevano reso un piccolo capolavoro anatomico. Con la differenza che, rispetto a poco prima, questa volta i loro occhi si incontrarono, anzi si incastrarono gli uni negli altri, mentre la mano dell’uomo si faceva sempre più audace e, da una natica, si spostava con decisione in quel valico che custodiva il suo piacere, con il tessuto che da bagnato ormai era diventato decisamente fradicio.
Non fece quasi nemmeno in tempo a rendersene conto, la Vichinga, che l’altra mano dell’uomo all’improvviso le afferrò il polso e, senza che lei opponesse un minimo di resistenza, lo trascinò fino a farle posare la mano sul cazzo. “Odia essere trascurato” le sorrise in maniera provocatoria, mentre l’altra mano stringeva decisa il gluteo destro. La presa sul polso si alleggerì dopo pochi secondi, ma seppur libera, la Vichinga non ritrasse la mano da quel cazzo che sentiva pulsare sotto di lei. Lentamente, anzi, prese a massaggiarlo in maniera delicata, mentre l’uomo, gli occhi fissati sul suo volto sempre più accaldato, con la mano destra continuava a toccarle indecentemente il culo.
Che la fase di stallo fosse ormai finita, lo capirono entrambi quando l’uomo con un movimento rapido afferrò l’elastico dei leggings abbassandoli, e, sollevandosi appena, si aiutò con l’operazione anche con l’altra mano, trascinando verso il basso anche il perizoma. Che fosse fradicio serve che lo si dica? Un attimo dopo, due dita le trafissero la figa in maniera così impietosa quanto sorprendente che alla Vichinga scappò un gemito talmente forte che, ci fosse stato qualcuno nella stanza di accoglienza del salone, sarebbe accorso preoccupato che si fosse fatta male. Anche se la sensazione che la bionda giunonica stava provando fosse esattamente l’opposto dello star male, con le ginocchia che per un attimo cedettero sotto l’assalto feroce dell’uomo, mentre la mano destra si trovava a stringere, e stringere era quasi riduttivo, quel cazzo ormai durissimo.
“Devo vederlo” quasi chiese scusa la Vichinga, la mente obnubilata da quelle dita che scavavano impietose dentro di lei con uno sciacquettio di umori che raccontava bene il suo stato attuale. “Caz…zooh” si lasciò sfuggire quando subito dopo l’asciugamano andò a far compagnia sul pavimento al camice. “Questo non è un cazzo, è un Signor Cazzo” continuò come parlando tra sé e sé, mentre la mano provava a stringere, senza riuscirci totalmente, quel cazzo che qualcuno avrebbe anche potuto definire un’arma impropria.
La sua trance davanti a quell’organo destinato a diffondere il piacere nell’universo femminile, fu interrotta quando l’uomo, con il suo solito tono che non ammetteva repliche, le intimò un “Spogliati” che per un attimo la fece rabbrividire. Come già pochi minuti prima, ormai entrata in una dimensione quasi eterea, la Vichinga si trovò a obbedire come un automa, via in un colpo solo leggings e mutandine, via, dopo un’occhiata alla quale non serviva aggiungere parole, anche il reggiseno.
“Sei di una bellezza indicibile, sei meravigliosa, da quegli occhi scuri che viene voglia di tuffarcisi dentro, a queste tette maestose da mordere, per non parlare del tuo culo perfetto, del viso armonico, delle gambe slanciate… e di questa figa bollente che mi sta quasi ustionando le dita” la decantò l’uomo arpionando in maniera decisa, quasi cattiva, la figa della Vichinga. Che colta ancora una volta alla sprovvista chiudendo gli occhi si lasciò andare all’ennesimo gridolino di piacere.
“Sai di buono” le disse un attimo portandosi le dita alla bocca e succhiandole lentamente, mentre la Vichinga, spazzata da quella presenza tra le gambe, quasi si trovò a implorare di venire trafitta di nuovo. “È da quando ti ho visto ieri che mi chiedevo che sapore avessi. Avevo sete di te. E adesso ne ho infinitamente di più. Sali sul lettino e siediti sulla mia faccia” le disse con un tono che, anche questa volta, non ammetteva replica alcuna. E anche questa volta la Vichinga si ritrovò a ubbidire senza titubare.
“No, girati” le ordinò ancora, facendosi dare le spalle, le mani a prendere possesso ancora una volta di quel culo marmoreo e ad allargare le natiche, prima che un tocco di lingua, morbido, delicato, prolungato, che la percorsa dal buchetto del culo al clitoride, le strappasse un profondo sospiro. Che l’uomo sapesse il fatto suo in materia di cunnilingus, la Vichinga non tardò a scoprirlo, con quella lingua invadente, la bocca affamata che risucchiava come una ventosa le sue labbra, i denti affilati che cominciarono a giocare con il suo sesso, ormai un vero colabrodo di piacere. Più che leccare, sembrava le stesse mangiando la figa, con cambi di ritmo e tecnica continui.
“Cazzo, così mi fai morire” disse la Vichinga, parlando quasi più a se stessa, mentre a occhi chiusi si strizzava con violenza i capezzoli, muovendo i fianchi incurante di stare quasi soffocando l’uomo. Del resto, dovendo prima o poi tutti morire, quella per soffocamento da figa di Vichinga sarebbe anche potuta diventare una morte accettabile, venne quasi da ridere all’uomo nel pensarci, con quell’ondeggiamento dei fianchi sempre più marcato e violento alla ricerca della lingua per farla invadere il più in profondità possibile il suo corpo, il culo a schiacciare senza remore la faccia zeppa di umori.
Quando poi, all’improvviso, un dito le infilzò violentemente il culo, la Vichinga si lasciò andare a un nuovo urlo di piacere, mentre il corpo quasi collassava, quasi incapace di accogliere tanto piacere. E quando, aprendo gli occhi, si trovò quel cazzo, rigidissimo e svettante a pochi centimetri dal volto, la Vichinga non impiegò neppure un istante a spalancare le labbra e a fagocitarlo nella propria bocca, vorace nel volersi impossessarsi di quel pezzo di carne pulsante.
Le era sempre piaciuto leccare il cazzo, dai primi pompini fatti di nascosto ai tempi della scuola che in poco tempo le avevano dato la fama di “biondina svuotacazzi”. E se qualcuno pensa che la cosa le desse fastidio, beh, sbaglia di grosso. Con le sue due sorelle, con le quali il legame era da sempre stato strettissimo e nessun tema era tabù, in quegli anni dell’adolescenza si era innescata quasi una gara a chi svuotasse il maggior numero di cazzi e, nonostante lei fosse la minore, se si fosse fatta la conta, alla fine non sarebbe stata lei a uscirne perdente. Così, mentre la lingua dell’uomo sembrava quasi consumarsi dentro la sua figa, l’accenno di barba le sfregava con insistenza quasi dolorosa le labbra, e i risucchi provenienti da in mezzo alle sue gambe raccontavano meglio di tante parole quanto fosse oscenamente fradicia, la Vichinga iniziò a dedicarsi con devozione a quel cazzo che sentiva pulsare bollente nella sua bocca. Con la lingua avvolse il glande e lo risucchiò lentamente in bocca, mentre con una mano teneva salda l’asta e con l’altra accarezzava le palle dell’uomo, così grosse, dure e gonfie che non poté fare a meno di chiedersi quanta sborra contenessero.
Quell’approccio lento e quasi di ammirazione durò però poco, fino a quando una gamba dell’uomo all’improvviso si piegò sulla sua testa, spingendola con decisione a imboccare il più possibile il cazzo. Contemporanea, altro atto di tradimento carnale che le fece perdere completamente la brocca, la lingua dell’uomo scivolando con dolcezza sulla pelle, prese a stuzzicare prima e poi a infilarsi nel buco del culo. Lo stimolo dei nervi, in quel punto del corpo estremamente erogeno, fu la goccia che fece tracimare il vaso del suo piacere e, mentre la cappella dell’uomo provava a oltrepassare il confine della gola, con un urlo feroce solo parzialmente attutito dal cazzo che la possedeva, la Vichinga ebbe un orgasmo violento.
Il raggiungimento del piacere fu così intenso che nei secondi che lo seguirono la Vichinga cominciò quasi a saltare come un’indemoniata sulla faccia dell’uomo, il cazzo che ormai le era sprofondato completamente in gola e quella gamba che la schiacciava prigioniera che le impediva di respirare. Quando ormai era sicura che sarebbe morta per asfissia, l’uomo sollevò la gamba, permettendole di ricominciare a respirare, fili infiniti di saliva a collegare la sua bocca a quel cazzo turgido e lucidissimo di bava.
“Ti oDio” sussurrò in maniera quasi incoerente con quel suo accento marcato quando il picco dell’orgasmo iniziò a scemare. E quando, trovata un po’ di forza, il respiro ancora affannato, sollevò i fianchi, lo spettacolo della faccia dell’uomo completamente fradicia dei suoi umori le rese ancora più l’idea di quanto potente fosse stato il suo orgasmo.
“Non è ancora finita” le disse lui, mollandole una sberla sul culo che risuonò nel silenzio della stanza. Sì, perché, se la Vichinga era venuta, quel cazzo durissimo raccontava che adesso anche l’uomo era pronto a prendersi la sua parte.
“Girati. E. Cavalca. Il. Mio. Cazzo.” scandì ogni parola senza ammettere repliche. E quando la Vichinga tardò a ubbidire, un’altra sberla, molto più violenta dell’altra, le fece capire di non perdere tempo. La faccia stralunata, i capelli biondi incollati di sudore sul volto paonazzo ancora in preda del piacere di pochi minuti prima, la Vichinga dopo essersi girata si posizionò sulle cosce dell’uomo, una mano ad accarezzare lentamente su e giù il cazzo, gli occhi che sembravano persi chissà dove, i seni che si alzavano e abbassavano al ritmo di un respiro ancora pesante.
“Infilalo nella figa” le ripeté l’uomo, facendola uscire da quella sua trance momentanea. “Mi spacchi” gli rispose, cominciando però a sollevarsi, con la mano che teneva saldo il cazzo, la cappella ad accarezzare le labbra gonfie e pulsanti, in un movimento lento che le fece aumentare i brividi. In quel momento, nel quale un uomo di cui non conosceva neppure il nome, del quale non sapeva assolutamente nulla, sdraiato sul lettino dove ogni giorno massaggiava le sue clienti, la stava dominando, la figa un forno bollente che reclamava ancora attenzioni, la Vichinga si sentì libera come da tantissimo tempo non le accadeva. Il pensiero del suo uomo, sempre più geloso e prepotente non aveva spazio in quella stanza. Come quello della sua famiglia, delle amiche, della sua vita normale. Quello era un momento tutto suo. La sua femminilità, il suo piacere, la sua voglia di essere donna e troia erano le sole cose che contavano.
La cappella che schiaffeggiava il clitoride gonfio e pulsante le strappò un altro sospiro e la riportò alla realtà, come le dita dell’uomo che, nel vederla viaggiare chissà dove con la mente, le artigliarono i capezzoli in maniera dolorosa, stringendoli e torcendoli. Quella sensazione mista di dolore e piacere le scatenò qualcosa dentro e, quasi fosse posseduta da un istinto animale, con un gesto rapido la Vichinga si sollevò ancora di qualche centimetro, posizionò la cappella tra le labbra e, con un movimento lento ma continuo si sedette su quel cazzo possente.
“Aaaaah oddiooooo, mi spacchi” urlò incurante di tutto il mondo la Vichinga, che per un attimo rimase perfettamente immobile a godersi quella sensazione di riempimento, prima di cominciare a ondeggiare lentamente con i fianchi, il cazzo completamente dentro. “Mi stai toccando dove pochi sono arrivati, è…è… è bellissimo” ansimò a bassa voce, gli occhi chiusi, la testa reclinata verso il basso, le mani sul petto dell’uomo, il quale, con un ghigno sadico, continuava a stringerle in una morsa i capezzoli, tirandola e allontanandola da sé.
“Fammi vedere quanto sei brava a cavalcare” le disse bruscamente, tirandole contemporaneamente una sberla al seno sinistro che la fece guaire di piacere. Il sesso ruvido, violento, l’essere presa quasi fosse un animale da domare e dominare le era sempre piaciuto, nel coito ricercava spesso il dolore, e anche se quell’uomo non sapeva nulla di lei, dal modo in cui la trattava sembrava la leggesse come fosse un libro aperto. Una seconda sberla dopo, la Vichinga iniziò ad alzare i fianchi, risalì lentamente lungo tutta l’asta fin quasi a fare uscire il cazzo, e poi con un guaito animale tornò ad abbassarsi, catturandolo dentro di sé. E poi ancora e ancora, sempre più veloce e sempre più violentemente, i capezzoli in fiamme nella morsa di quelle dita robuste.
“Metti le mani dietro la testa” le ordinò l’uomo, e quando la Vichinga ubbidì, lui cominciò a prendere a sberle le tette, che tra il movimento del suo corpo e le manate sempre più intense iniziarono un ballo frenetico che contribuì ad alzare la sua soglia del piacere. Il respiro sempre più affannato, il sudore che colava sul petto dell’uomo, la Vichinga sentì crescere dentro di sé per la seconda volta in pochi minuti un orgasmo potente. Al contrario, per quanto con quella cavalcata sempre più selvaggia lo dovesse mettere a durissima prova, la resistenza dell’uomo sembrava di ferro.
“Spaccami. Riempimi. Aprimi la figa come mai nessuno ha fatto. Usami. Violentami. Allagami. Prendi possesso del mio utero. Disintegrami con questo braccio che ti ritrovi. Ma non fermarti. Oddio, non fermarti”. Tra un sale e scendi, tra una sberla e l’altra, con le tette che ogni tanto arrivavano a colpirle la faccia per la violenza dei movimenti, erano queste le parole che uscivano in maniera sempre più incoerente dalla bocca della Vichinga, mentre i cigolii sempre più disperati del lettino facevano immaginare che continuando di quel passo i due a breve si sarebbero ritrovati per terra. E quando, afferratala per i fianchi, l’uomo le mollò un paio di colpi di cazzo che le fecero pensare di essere stata sfondata in maniera definitiva, la Vichinga venne ancora una volta, urlando parole indecenti che la consacrarono a regina del porno amatoriale.
La violenza di questo secondo amplesso fu così intensa che per qualche secondo la Vichinga perse come i sensi, visto che, quando iniziò a tornare in sé, si ritrovò sdraiata a pancia in giù sul lettino, priva completamente di forze, il corpo madido di sudore e di piacere, il respiro affannato, la sensazione di essere stata travolta da un treno in piena corsa e un bruciore intenso ai seni. “Oddio, oddio…” si limitò a biascicare, le parole che quasi inciampavano nei respiri rapidi e brevi del post orgasmo.
“Cosa? Ohhh nooo, basta, non ce la faccio…” provò a opporsi quando sentì due mani allargarle le natiche e la lingua tornare a leccarle la figa, lappando con voluttà quasi fosse un cane che si abbevera alla fonte. “Basta, ti prego”, provò a lamentarsi, la figa che le faceva quasi male da quanto era sensibile. Provò a sollevarsi sul lettino, ma una mano decisa la immobilizzò.
“Stai ferma. Voglio godermi questo panorama” le disse l’uomo anche lui tradendo l’affanno di una scopata che aveva prosciugato le forze a entrambi. Cominciò ad accarezzarle le natiche, sode, tonde quasi fossero state disegnate da un artista. Dapprima in maniera leggera, quasi da farle venire i brividi, poi sempre più insistenti e pesanti, fino a quando una sberla violenta la fece urlare. “Aaaaaah” urlò la Vichinga, che non aveva finito di protestare che subito dopo una seconda, e poi una terza e una quarta sberla echeggiarono forti nella stanza.
“Se fossi la mia donna non passerebbe giorno senza prendere a sberle questo culo perfetto” le disse con un tono che tradiva l’eccitazione l’uomo. “E poi ti inculerei” aggiunse. Nel sentire quelle parole, alla Vichinga scappò un gemito. “Ti piace immaginarlo, eh? Che troia che sei” continuò l’uomo. Che ancor prima di terminare la frase le infilò due dita in figa, incominciando a masturbarla furiosamente.
“Oddio, non ce la faccio più” provò a protestare la Vichinga. Tradita però dalla reazione del suo corpo, con le gambe che, inconsciamente, si allargavano, quasi a dare ancor più accesso all’uomo. Che allargandole con forza le chiappe, la sorprese iniziando ancora una volta a leccarle quel buchetto posteriore che lei aveva concesso sì, ma solo a pochi eletti. “Oooohhh sìììì” le scappò di bocca, quasi a incitare ancora di più quella lingua che, forzando, le aveva invaso lo sfintere. Un paio di minuti dopo di quel piacere così diverso, eppure non per questo meno intenso, un paio di sputi le fecero capire cosa sarebbe successo.
“Nooo, nel culo noooo” provò a protestare la Vichinga. Arrivò il terzo sputo. “Mi spaccherai, non hai un cazzo normale, ma un braccino, non ci sta nel mio culo” tentò ancora una volta di opporre resistenza. Inutilmente. Perché subito dopo sentì un dito invadere il suo culo, al quale poco dopo ne seguì un secondo.
“Ti ho bevuto, ti ho sfondato la gola e ho preso possesso della tua figa. Adesso ti spacco il culo”. Bastarono quelle parole a farla quasi venire per la terza volta. Ormai un corpo in balìa delle decisioni altrui, la Vichinga non oppose resistenza quando l’uomo la spostò sul lettino, facendole appoggiare le gambe per terra, il clitoride pulsante di piacere schiacciato sull’angolo. “Per favore, fai piano” si arrese la Vichinga.
“Allargati le chiappe” fu il nuovo ordine. E anche questa volta la Vichinga, che nella vita di tutti i giorni era una persona che nessuno provava a comandare, ubbidì senza protestare, mostrando quel buchetto leggermente più scuro lucido di saliva. Pochi istanti dopo, la cappella dell’uomo bussò all’accesso posteriore. “Per favore…” sussurrò piano la Vichinga, mentre sentiva lo sfintere cedere alla spinta lenta ma incessante del cazzo.
Per quanto fosse dominante nelle sue richieste, l’uomo si dimostrò comunque attento e paziente, con il cazzo che dopo avere superato il primo anello, scivolò lentamente in quel culo sul quale migliaia di sguardi fantasiosi si erano posati in quegli anni. Solo a vedere il cazzo che veniva come assorbito dall’ano della Vichinga fece quasi venire l’uomo, che tra pompino e scopata ormai era arrivato al limite della resistenza. Ma prima, mentre una mano andava ad artigliare una ciocca bionda, stringendola tra le dita e tirando all’indietro la testa, provocando un grido di dolore, c’era da completare l’opera.
“Mi stai spaccando il culo, me lo devasti, me lo hai rovinato per sempre” iniziò a lamentarsi, sempre più eccitata, la Vichinga. “AAarrghhhhh” urlò, quando per infilare gli ultimi centimetri che ancora restavano, l’uomo diede un violento colpo di reni. “Te l’ho infilato tutto dentro, sei piena di cazzo adesso” le sibilò in tono quasi cattivo, prima di iniziare a estrarlo lentamente per poi tornare a infilarlo. “Oddioooo mi fai male… ma non smettere, quanto mi piace” arrivò la capitolazione definitiva.
Perché, quando l’uomo iniziò a ritrarre il cazzo, la Vichinga allo stesso modo iniziò ad andargli incontro, quasi timorosa di sentirsi svuotata, per poi lanciare un urlo gutturale nel momento in cui con un colpo di reni, l’uomo la inculò nuovamente. “Mi entri nelle budella” borbottò a fatica, mentre una sberla ancora più poderosa delle altre, oltre a lasciarle un bel segno sulla natica destra, mise alla prova i suoi decibel.
Per qualche minuto l’uomo continuò a scoparla a un ritmo regolare, mentre la Vichinga, sdraiata sul lettino balbettava parole mozzate, quasi fosse vicino a uno stato di incoscienza. Ma quando l’uomo la afferrò saldamente per i fianchi e la spostò di qualche centimetro, con il clitoride che si ritrovò schiacciato sull’angolo del lettino, provocandole spasmi di dolore ma anche un piacere che era impossibile descrivere a parole, la Vichinga capitolò. I colpi di reni con il quale l’uomo aveva preso possesso del suo culo, le scosse del clitoride martoriato, le sberle che a intervalli regolari le marchiavano il culo, la fecero precipitare nell’abisso della lussuria. E quando pochi istanti dopo, l’uomo con una mano l’afferrò violentemente per i capelli tirandole indietro la testa e sollevandola con il busto, mentre con l’altra mano le afferrava alla gola, la Vichinga esplose. E per qualche attimo svenne, mentre l’uomo, con un urlo animalesco, le riempiva il culo di sborra.
I minuti successivi se li ricorderebbe “Slightly out of focus”, per scomodare il grande fotografo Robert Capa, piuttosto fuori fuoco, la vista annebbiata, le forze che l’avevano abbandonata, un dolore generale in tutto il corpo come se fosse stata travolta da una macchina. Sopra di lei, a sua volta scosso da profondi respiri, l’uomo era ancora dentro il suo culo, mentre con una mano le accarezzava la schiena.
“Sei stata oltre ogni mia possibile fantasia. Tu sei nata per scopare” le sussurrò in un orecchio, baciandole una guancia. Il primo bacio che si davano pensò la Vichinga. Pochi istanti dopo, lentamente, l’uomo estrasse il cazzo ormai moscio dal culo e la Vichinga sentì distintamente un fiume di sborra che, lentamente, iniziava a colare lungo le cosce. Istintivamente si portò una mano di dietro, le dita a ispezionare l’entrata posteriore. “Mi hai spaccato per davvero” si disperò nel sentire due dita che entravano senza alcuno sforzo nel culo.
“Tranquilla, tempo qualche ora e torna come nuovo. Così la prossima volta…” ridacchiò lui, dandole una sberla leggera su una natica. La Vichinga non replicò, avrebbe voluto dirgli che non ci sarebbe stata una prossima volta, ma poi, lo avesse rivisto, sarebbe davvero riuscita a resistergli?
Nel frattempo, con lei ancora immobile sul lettino, l’uomo si rivestiva. Un paio di minuti più tardi, vide apparire davanti ai suoi occhi tra banconote da 20 euro. “Avevamo detto 50 euro per il massaggio, giusto? Ma ti sei meritata la mancia” rise l’uomo.
“La mancia della Troia” disse tra sé e sé la Vichinga, sul volto sfinito una parvenza di sorriso soddisfatto, mentre sentiva l’uomo sferragliare con le chiavi, aprire la porta del negozio e uscire nella calda serata sarda.
Passarono pochi giorni, e la Vichinga si ritrovò su quella spiaggia. Non fu un caso. Ma, questa, è un’altra storia.
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