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Lui & Lei

La cavallerizza


di smerkuz
28.07.2020    |    6.977    |    0 9.3
"Anche le sue movenze ed i suoi atteggiamenti lo erano..."
Me ne stavo seduto su una panchina a leggere un libro.
L’ombra del colonnato ricoperto dalle piante arrampicanti alleviava il caldo soffocante di quel giorno di inizio agosto. Il canto incessante delle cicale. Il suono delle campane di una piccola chiesa in lontananza.
Poche ore prima, lungo la strada, ammaliato dai colori della campagna e dai campi di girasoli in fiore, mi ero imbattuto in un cartello stradale che indicava la presenza di un bed & breakfast. Stanco di guidare ed affaticato dalle temperature torride avevo deciso di concedermi una tappa. Seguì l’indicazione inerpicandomi per una stradina collinare.
Una volta arrivato parcheggiai la macchina, scesi, mi guardai intorno ed aspettai parecchi minuti prima che un uomo mi venisse incontro.
“Salve!” esordì sorridente. In mano teneva delle grandi cesoie. Era un signore distinto, con la barba e capelli scuri nonostante l’età. Poteva avere settant’anni portati bene o cinquanta malissimo, pensai; ma la mia priorità non era indovinare la sua età quanto trovare un addetto all’accoglienza clienti.
Risposi al saluto.
“Buongiorno! Mi chiedevo se c’era la possibilità di dormire qui questa notte… A chi mi posso rivolgere?”
“Vuole pernottare? Venga, mi segua”
L’uomo mi accompagnò lungo il viale che portava all’ingresso della maestosa villa. Si asciugava la fronte con uno straccio, intervallando fiatone e domande tipo “bella giornata vero?” o “anche lei soffre il caldo?”. Giungemmo in una stanza dalla temperatura decisamente più gradevole rispetto a quella esterna. Il signore si presentò come il proprietario della casa.
“Ah mi scusi, non pensavo fosse…” mi rivolsi a lui prima d’essere interrotto “Non si preoccupi. Oggi sono in tenuta da giardiniere. I domestici sono i ferie e sono io a dovermi occupare di tutto.” Poi continuò: “Mi serve solo un documento e poi l’accompagno alla sua stanza”
Così feci. Salimmo le scale, attraversammo l’ennesimo corridoio ed arrivammo davanti ad un’anonima porta. “Ecco, questa è la sua camera”
“E’ silenziosa?” chiesi. Sorrise. “Certo. Oggi è l’unico cliente”
L’uomo si congedò con un saluto e tornò ad occuparsi del parco. Entrai nella stanza, diedi un’occhiata veloce e ne apprezzai l’ampiezza, i mobili antichi, l’odore della poltrona in velluto e della biancheria profumata. Prima di scendere a prendere il bagaglio mi soffermai a guardare fuori dalla finestra il magnifico e lucente paesaggio di cui disponeva il podere.
Posai il trolley, mi rinfrescai e scesi a leggere un libro.
Stavo apprezzando il fresco del portico ed il silenzio circostante quando venni distratto dal lontano rumore di un cavallo al trotto. Alzai lo sguardo e scorsi in lontananza un bel esemplare cavalcato da una altrettanto bella ragazza. La cavallerizza tirò le redini verso di sé ed ordinò al cavallo di avanzare al passo fino a quando non si fermarono davanti a me.
“Salve! La stavamo aspettando…” Disse ad alta voce mentre scese.
Dal movimento riuscì a scorgere le sue gambe affusolate ben risaltate dai pantaloni della divisa da equitazione, mentre il viso rimase parzialmente coperto dal caschetto nero.
Si rivolse nuovamente a me: “Non pensavo sarebbe passato oggi. Venga, le faccio vedere…”
Probabilmente mi aveva confuso con qualcun altro “Buongiorno” risposi “guardi non credo di essere la persona che stava aspettando”.
La ragazza infilò il frustino in uno dei lunghi stivali neri, si tolse il casco e palesò il suo volto. I capelli biondi erano raccolti in un’ordinata coda intrecciata. Aveva una corporatura esile ed un viso luminoso. In un primo momento pensai fosse molto giovane. Osservandola meglio mi resi conto che era una donna di mezza età.
“Non è lei il tecnico delle caldaie?”
Un pomeriggio pieno di equivoci.
“No mi spiace. Sono un cliente”
La donna continuò a camminare assieme al cavallo in direzione delle stalle.
“Cosa fa lì impalato? Venga…”
Riposi libro e perplessità sulla panchina e cominciai a seguirla.
Accompagnò il quadrupede color caffelatte in uno dei numerosi stabbioli e lo liberò dalla sella e dalle briglie.
“Ecco fatto. Lei è una cavalla bravissima ed obbediente. La mia principessa”
La congedò baciandola sul muso. Assistevo alla scena in silenzio ed un po’ spaesato. Ancora non capivo il perché mi trovavo in quella situazione.
“Adesso invece le presento il ribelle di casa” Mi prese per mano e mi accompagnò nel compartimento dove si trovava un bellissimo purosangue inglese nero.
Si tolse la giacca rossa e l’appese su un gancio in ferro.
“Aspetti qua che è molto geloso” disse invitandomi a rimanere fuori dal cancelletto mentre entrava. Il cavallo indirizzò lo sguardo verso di me. Cominciò a scuotere la testa e sbuffare. Alcune volte scalpitò. “Dai stai buono. E’ solo un amico. Non fare così…”
La ragazza si avvicinò sicura alla grande bestia che non sembrò tranquillizzarsi. Nella mano sinistra calzò una spazzola e cominciò a passargliela sul dorso. Lo accarezzò sul muso, passò l’altra mano sul collo e poi scivolò sul suo fianco fino ad arrivare alla coscia. Dalla mia postazione notai i testicoli dell’animale. Due spropositate sacche gonfie. Rimasi sorpreso dell’interminabile fuoriuscita telescopica del pene che raggiunse dimensioni pazzesche.
Lei guardò il gigantesco membro nero e sussurrò al cavallo “Vedi che allora ti piace”. Con un gesto delicato tese le dita verso l’organo genitale e lo sfiorò in tutta la sua interminabile lunghezza aumentando al massimo l’eccitazione del purosangue. L’asta rigonfia scattò dritta numerose volte frustando il ventre del cavallo che di tanto in tanto cercava di scalciare con la zampa posteriore.
L’eccitazione del purosangue mi accese un fuoco dentro. Sentì un formicolio lungo tutto il corpo e probabilmente arrossai in viso. Un’eccitazione mai provata prima.
La donna prese una spugna imbevuta di lubrificante e cominciò a dedicarsi alla pulizia del membro. “Ecco bravo, fermo così…” Continuò a strofinare delicatamente su e giù “Ho quasi finito”
Ci fu una prima lieve fuoriuscita di liquido seminale che finì sullo stivale della ragazza.
Continuò a dedicarsi al lavoro che stava portando a termine senza sosta. Seguirono altre colate, man mano più potenti. La densità ed il volume dello sperma aumentava di volta in volta.
“Ecco fatto” La donna si alzò scostandosi dal purosangue che ritrasse il pene nella sacca.
Si diede una pulita sommaria passando le mani sulla candida camicetta bianca e rindossò la giacca. Entrambi uscimmo dalla stalla. Cercai di non farmi notare mentre guardavo la chiazza di sperma sullo stivale. Assistere a quella scena aveva contribuito a gonfiare di desiderio i miei testicoli; sentivo l’impellente necessità di svuotarli come lo stallone.
“Bene, buon proseguimento allora. Grazie per la compagnia”
La ragazza salutò come niente fosse e se ne andò lasciandomi solo.
Sudavo freddo e contavo i passi che mi separavano dalla mia camera dove avrei potuto tirarlo fuori e masturbarmi con in testa l’immagine di lei che accarezza l’enorme e sbrodolante pene del cavallo.
Raggiunsi la mia stanza. Il tempo di chiudere la porta ed avevo già abbassato pantaloncini e mutande. Mi stava letteralmente esplodendo la cappella. Dal forellino cominciò ad uscire qualche goccia. Mi piaceva ammirarlo così ingigantito e sentirlo marmoreo tra le dita. Mi eccitai a guardare scendere dei sottili fili di umore che raccolsi con la mano. Li assaggiai. Ero tentato di approfittare della situazione per condividere con qualche amica il momento inviando delle foto del mio membro. Non feci in tempo a riorganizzare le idee che non riuscì ad impedire la spinta dell’impetuoso e primordiale flusso di sperma che terminò la corsa sulla porta a vetri della doccia e sul pavimento del bagno.
Dopo aver riposato qualche ora cominciai ad organizzarmi per la cena. Il posto in cui pernottavo non offriva nessun alcun tipo di ristoro, così chiesi consiglio al proprietario che, dopo aver terminato i lavori in giardino, si reimpossessò delle sue signorili sembianze.
“Non molto distante da qui c’è una locanda dove fanno da mangiare molto bene. Cose naturali” mi indicò il luogo sorridente
Chiesi il nome.
“Da Teresa”
Ringraziai. Dopo qualche passo in direzione del parcheggio venni richiamato dal proprietario della villa.
“Aspetti. Ma perché non si ferma a cena con me e mia figlia? Gradirebbe?”
“La ringrazio ma davvero non mi sembra il caso…”
Rimasi sorpreso ed un po’ intimidito dalla proposta.
“Guardi che ci farebbe piacere. Le piace il vino?”
Risposi di sì, chiaramente il vino mi piaceva.
Il sole al tramonto aveva deciso di stupirci un’altra volta illuminando con sfumature arancio e rosa il cielo e morbide nuvole sornione di passaggio.
In lontananza il canto di un gallo echeggiava tra i campi di girasole ed i filari delle vigne. Di tanto in tanto si riusciva a sentire anche il soffio dei cavalli rinchiusi nella stalla. Mi era difficile non rivangare ciò a cui avevo assistito nel pomeriggio ma cercavo di autoconvincermi che solo un pazzo perverso poteva eccitarsi a quell’idea.
“Ho stappato questa bottiglia di Chambolle-Musigny del 2017. Assaggi.” disse l’uomo mentre lo versava nei due calici sistemati sul tavolo.
Sulla porta del salone si presentò la figlia con un lungo e leggero vestito a fiori.
“Eccoti amore. Stasera abbiamo un ospite” aggiunse il signore senza distrarsi dal riempire i bicchieri. Provavo attrazione per la ragazza ed imbarazzo per il segreto che l’accomunava ai miei pensieri.
Lei non cenò assieme a noi. Rimase silenziosa seduta sul divano. Sembrava assorta nei suoi ragionamenti.
Tra uomini parlammo di mestieri, di episodi di vita quotidiana, di vino e vigneti.
Il padre mi confidò che la perdita della madre durante l'infanzia l’aveva profondamente turbata. Si era chiusa in se stessa per molti anni ed affrontato diverse terapie prima di ristabilirsi. Non del tutto, evidentemente.
L’uomo era molto gentile e premuroso. Finimmo la bottiglia di quello che effettivamente era un ottimo vino. Guardavo le foto incorniciate di lei. Da bambina, a cavallo, con i genitori. Ritratta sorridente assieme a sua mamma. Le assomigliava molto in effetti.
L’istinto mi spingeva a cercarla con lo sguardo; cercai di contenermi.
“E’ stato tutto di suo gradimento?” chiese il padrone di casa.
“Sono stato davvero molto bene. Grazie davvero” gli risposi.
“Temo che la carne ed il vino le faranno venire un po’ di sete. Si porti una bottiglia d’acqua in camera” continuò.
“La ringrazio ma credo d’averne a sufficienza”
“Nel caso ne avesse bisogno scenda pure a prenderla” Mi indicò il frigo.
Poi si rivolse alla figlia “Si è fatto un po’ tardi. E’ ora di andare a dormire”
Ringraziai nuovamente per l’inaspettata ospitalità, salutai e salì in camera.
Steso sul letto ripensai alla giornata trascorsa. L’aria condizionata mitigava la temperatura della stanza. Indossavo una maglietta ed un paio di boxer. In mente continuavano a scorrere le immagini della cavallerizza mentre accudiva il membro dello stallone. Mi sentì irrigidire il pene. Cominciai a toccarlo. Si induriva sempre di più mentre lo sfioravo con la mano. Diedi un ultimo sorso alla bottiglietta d’acqua prima di accorgermi d’averla terminata. Accidenti che seccatura, pensai.
Indossai un pantaloncino ed uscì dalla camera evitando ogni rumore. Nella discesa delle scale fui accompagnato dal cigolio del legno antico della scala. Seguì il corridoio facendo luce con il telefono. Finalmente arrivai davanti al grande frigo americano. Aprì la porta metallica e presi una bottiglia d’acqua.
Non feci in tempo a richiuderlo che sentì una presenza dietro di me ed una mano che mi afferrò i testicoli. Una voce femminile sussurrò al mio orecchio “Mi desideri vero?” In un primo momento il terrore aveva preso il sopravvento. Mi ci volle qualche secondo per realizzare. La sua bocca sfiorava il mio collo e ripeteva “Cosa mi vuoi fare?” La stretta della morsa delle mie parti più intime aumentava provocandomi una contemporanea sensazione di eccitazione e dolore.
Cominciò a sbottonare i pantaloncini che presto finirono a terra assieme ai boxer, lasciandomi vestito della sola maglietta. Afferrò l’asta eretta e cominciò a menarla con una mano. Con l’altra mi stuzzicò lo scroto che di tanto in tanto tirava verso il basso ottenendo l’effetto di aumentare l’indurimento del membro. L’assecondai senza proferir parola. I nostri respiri erano intensi e sempre più affannati. Le sue mani si muovevano con maestria. Pensai che poche ore prima fece praticamente lo stesso con il suo cavallo.
“Ti piace maiale… Sì ti piace. Adesso guarda cosa ti faccio…”
Mi passò il medio sulla lingua. Me lo fece leccare. Ripose la mano nelle parti basse e con il dito insalivato cominciò a stuzzicarmi l’ano. Lo inseriva un po’ per volta. Con delicatezza. Un gemito della ragazza accompagnò la penetrazione finale. Mi stava masturbando con un dito infilato nello sfintere.
Decisi di prendere iniziativa girandomi di scatto e ponendo fine alla passività. Stavolta fui io ad afferrarle le braccia. La guardai negli occhi e lei abbassò lo sguardo. Tentai di baciarla ma girò la testa e mi rifiutò.
“Che fai maiale… Sei un lurido maiale” ripeteva mentre la trascinavo verso il muro più vicino. A passo di pinguino avevo disseminato sul pavimento i miei pochi indumenti. Se in quel momento il padre si fosse presentato in cucina ed avesse acceso la luce si sarebbe trovato una scena non proprio edificante. Il suo ospite nudo a metà, con il membro dritto puntato verso la figlia, a sua volta in camicia da notte ansimante e bloccata sul muro.
“Non puoi scoparmi lo sai?” disse digrignando i denti
Continuai a non risponderle. Si inginocchiò davanti a me e si concentrò a guardare la cappella rossa e gonfia. Ci sputò sopra e lo fece sparire nella gola immediatamente dopo. Lo tratteneva in bocca con ingordigia. La salivazione le aumentò a tal punto da farla uscire in grandi quantità. Si bagnò la camicia da notte e dalle trasparenze si notarono i capezzoli induriti del suo piccolo seno. La osservavo nella penombra mentre continuava a provocarmi piacere. Aveva un fisico adolescenziale. Anche le sue movenze ed i suoi atteggiamenti lo erano. Con una mano le stringevo la treccia, con l’altra le sfioravo le spalle. Aveva la pelle morbida e profumata. La carnagione chiara si fondeva con i riflessi della luna piena che penetravano le vetrate della sala da pranzo. Mi abbassai in cerca della sua intimità. La sfiorai. Era completamente rasata e liscia. Con le dita riuscì a sentire i suoi umori. Sentendosi accarezzare il suo movimento si intensificò. Si stacco da me facendo un respiro profondo. Prese la mia mano e la indirizzò sulla sua vagina. Afferrò poi la mia bottiglia d’acqua, ne bevve un sorso e passandosela sulle guance ne sfruttò la frescura del vetro.
Mi guardò decisa e me la consegnò “Infilamela”
La feci alzare ed appoggiare alla credenza da lavoro della cucina. Lei si fece spazio spostando gli oggetti presenti. Tenne alzata la camicia da notte liberando la perfezione del suo rotondo sedere. Gli dedicai la mia ammirazione per qualche istante prima di inserire deciso nella fessura verticale il collo della bottiglia. “Sì spingi, spingi” Mi ordinava accompagnando il mio movimento con la sua mano. Colpo dopo colpo aumentò la lubrificazione e la dilatazione dell’utero che cominciò ad inghiottire anche la parte più larga. Ero durissimo. In preda all’eccitazione entrambi facevamo colare grosse quantità di liquidi sul pavimento. Lei aveva le cosce fradice, io la costante perdita di un sottile filo di sperma.
Riprese a masturbarmi mentre continuai a farla godere con la bottiglia.
La ragazza cominciò a contorcersi mentre raggiungeva l’orgasmo. Il ritmo della sua mano che afferrava il mio pene aumentò a tal punto che mi fu impossibile trattenere il getto di sperma che le finì sul seno e sul collo.
Imperversò il silenzio. Tornammo a dar retta al suono delle cicale. Il ronzio del frigo. I nostri respiri.
Nessuno dei due ritenne necessario parlare.
Recuperai i miei boxer e pantaloncini preoccupandomi di indossarli in fretta. Lei si dedicò ad asciugare il pavimento.
Ci guardammo un’ultima volta. Ci lasciammo così. Con la sensazione che le nostre anime si fossero date appuntamento dentro a corpi presi in prestito.
L’indomani mattina feci colazione presto e, nonostante il desiderio di incontrarla per un saluto, non la vidi. Il padre disse che era uscita per delle commissioni e non sapeva quando sarebbe rientrata.
Qualche mese dopo mi ritrovai di passaggio in zona e decisi di recarmi nuovamente nella villa che trovai nascosta dalle impalcature. Chiesi agli operai del cantiere notizie riguardanti gli inquilini ma nessuno sapeva nulla.
Mi fermai a pranzare nella Locanda da Teresa e fu proprio la signora a comunicarmi che il podere era stato venduto. I due si erano trasferiti senza lasciar detto nulla a nessuno.

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