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Pensiero stupendo 4. Il ritorno di Antonio


di Lillyrose
16.05.2024    |    5.087    |    11 9.9
"Mi aveva anche chiesto di fare sesso online..."

Quando Luca e Anna se ne andarono ebbi un senso di colpa per Antonio. Non c’era dubbio che gli avevo piantato un bel paio di corna, eppure, nonostante questo, un brivido profondo mi assaliva. Quando Luca mi scopava, è vero, pensavo ad Antonio, ma non immaginavo di farlo con lui, immaginavo di farlo davanti a lui. Per Anna, beh, era una storia diversa. Anna me la figuravo come un peccato veniale. Con una donna è un’altra cosa, mi dicevo. Mica sono corna con una donna. O no?

Mi misi sul letto e fissare il soffitto. Lo sapete anche voi a cosa mi misi subito a pensare, no? A quei due che mi avevano appena fatto la festa. La mia mente vacillò. Gli occhi sul soffitto.

Guardai meglio, una cosa nera alla quale non avevo mai fatto caso. Era nascosta, ma spuntava fuori un pezzetto. Mi avvicinai: era una telecamera. Feci di corsa il giro della casa, ce ne erano dappertutto. Nascoste, ma se guardavi bene, le scoprivi.

Doveva averle messe Antonio, senza dirmelo. Mi ricordai che mesi fa avevano detto che i ladri avevano fatto una ripassata nel quartiere e lui doveva averle messe per sicurezza, senza dirmi nulla per non farmi preoccupare.

“Cazzo! Mi aveva di sicuro vista. Che casino. Eppure era da un pezzo che facevo movimenti particolari, che mi ero aperta, avrebbe potuto fermarmi e non l’ha fatto.”

Ripensai al fatto che ultimamente Antonio mi sembrava sempre eccitato. Mi aveva anche chiesto di fare sesso online. Antonio. Dico, Antonio! E non cosette così, mi faceva vestire da zoccola e si segava. Io facevo quella difficile, ma alla fine, mossa dal senso di colpa per quello che stavo facendo io, lo accontentavo. Credevo lo avesse chiesto perché era solo. Insomma, stavo ricucendo i vari pezzi. Antonio mi stava osservando dall'inizio, e si stava eccitando da morire a guardarmi mentre mi toccavo o scopavo.

Decisi che potevo divertirmi un po', con questa cosa. Quando mi chiedeva di fare le video call facevo la finta ingenua, ma lo facevo morire dal desiderio, lo tenevo sulla corda. Facevo finta di non capire quello che mi chiedesse, ma poi con una maestria facevo davvero la zoccola, ma in maniera sottile, senza farmi scoprire. Pensavo a quanto doveva essersi segato, mentre scopavo con Luca e Anna. Che porco.

Una volta mi fece: “Daniela, ma perché non ti fai fare un massaggio qualche volta?” la buttò lì, ma intanto si stava segando a tutto spiano.

“Ti eccita questa cosa? Ma che ti pare che sono una zoccola?”

Alla parola “zoccola” schizzò in maniera spaventosa. Una gettata da catapulta.

La cosa si ripetè, mi parlava di un massaggio ipotetico, ripetevo la parola “zoccola” e lui sborrava subito come un ragazzino. Gli domandavo se si eccitasse a sapere se qualcuno mi toccasse, ma non si sbottonava. Una volta alla domanda “Preferisci che me lo faccia un uomo o una donna?” lui venne dicendo: “Tutti e due!”

Si era scoperto, ma non dissi nulla. Stava pensando a Luca e Anna.

Le fantasie continuavano, mentre facevamo sesso online. Continuava a dirmi che fantasticava di vedermi con altri. Io non gli facevo capire che sapevo. Una volta mi disse “Ma anche con il ragazzo della pizza…”

Non gli feci finire la frase che avevo ordinato una capricciosa. Antonio era allibito, lo avevo preso contropiede. Ero già vestita da troia, misi solo una vestaglietta su. Antonio continuava a smanettarsi e non diceva nulla.

Squillò il citofono, qualche istante e mi trovai un ragazzo davanti, era davvero giovanissimo. Mi voleva dare la pizza sulla porta, ma lo feci entrare per prendere i soldi, gli dissi. Non si fece pregare. Il telefono era davanti a me. Antonio mi fece un pollicione.

Feci sedere il ragazzo davanti a me. Non faceva che guardarmi. La vestaglietta era un po’ aperta sulle tette e ogni tanto la facevo salire. Antonio continuava a mandarmi il pollice su, per dirmi di andare avanti. Il ragazzo era senza fiato. Io facevo dondolare la pantofolina con il piede. Il ragazzo era ipnotizzato. Allargai un po’ le gambe, i suoi occhi fissi su di me. Feci cadere i soldi. Il ragazzo si inginocchiò davanti a me, io allargai le gambe facendogli vedere il perizoma di velo trasparente. Lui mi sfiorò il piedino. Lo guardai, mi avvicinai e gli mollai un ceffone.

Una sfilza di pollici su.

Lui balbettò “Ma io che credevo che lei…”

“Io, che? Pensi che io sia una zoccola?” e gli mollai un secondo ceffone.

Sapevo che la parola avrebbe scatenato Antonio, mi scrisse in chat: “Ti prego, ti prego, ti prego, fallo.”

“Voglio essere buona, vieni qui.”

Gli tirai giù la zip, era gonfissimo. Glielo tirai fuori, era completamente eretto. Puntava verso il soffitto. Quel porco di mio marito si stava segando. Gli tirai la pelle giù facendo arrivare le dita sui coglioni, schizzò subito sulle mie gambe. Delle belle macchie bianche sulle mie calze.

Si rivestì e scappò senza neanche prendersi i soldi della pizza.

Raccolsi la sborra con l’indice e me la portai alle labbra. Non era niente male. Me la finii tutta.

Tre secondi e tutto era cambiato. Il ragazzo si era fatto una schizzata e Antonio era uscito solo scoperto. Io facevo un po' la sostenuta, lui ripigliava l'argomento e io mi negavo. A lui il cazzo era diventato duro.
“Hai visto come l'hai fatto diventare duro al ragazzino?”
“Sei un porco.”
"Sì." E se lo menava. Anche io me la toccavo. Le gambe aperte sdraiata sul divano di pelle grigio ardesia. Sembravo una regina, le calze 15 Den davano quella leggera parvenza di esistenza. Un leggero fumo sulle mie gambe diafane. Un'idea di esistenza. Delicate, eleganti. Il mio dito mi sfiorava le labbra con svogliata delicatezza, come se fosse lì per caso. Sorridevo e lo guardavo che si faceva un gran segone. Lo guadavo segarsi.
"Com'era, com'era quel cazzo?" Fece in maniera scomposta, con fiato corto.
"Mah..." Risposi annoiata.
“Che sintetica mah?”
“Un ragazzino. Un cazzettino di un ragazzino.”
Era rosso in viso. Ce lo avevo in pugno e mi divertivo.
“Come ti piacciono? Come ti piacciono?”
"Mah, non certo un cazzetto di un ragazzino. Se proprio devo scegliere..."
"Come li vuoi, i cazzi, come lo vuoi?" Disse con le vene del collo gonfie, con la mano sudata che gli andava su e giù.
“Come quelli di Luca.”
E schizzó.
Avevo fatto coming out. O meglio lo aveva fattAntonio. Da quel momento non faceva che segarsi, mentre si faceva raccontare di quella volta.
“Ma se ci hai visti...”
“Mi piace che me lo racconti tu...”
Allora iniziavo a raccontare aggiungendo cose palesemente false. E lui si accalorava di più, anche se sapeva che non erano vere.
E lui sborrava, sborrava, sborrava.
Però a me stava facendo aumentare la voglia, e non di fantasie. La mia mano era carina, ma non mi bastava.
Una sera mi misi in tiro mentre Antonio mi guardava. Continuava a domandarmi, ma facevo la vaga. Quanto mi divertivo!
Me ne uscii senza dirgli nulla. Lasciandolo così, con la mano sul pacco e la bocca aperta.
Mi sentivo libera.
Me ne andai a bere una cosa in un locale molto frequentato, ero al bancone. Mi divertivo a farmi abbordare e a fare la sostenuta. Accavallavo le mie gambe che finalmente avevo scoperto. Sempre vestita di nero e grigio, con pantaloni e scarpe basse. Aveva ragione Antonio, ero una suorina. Ma ora non più.
Al bancone, minigonna, calze con dei disegnini geometrici e degli stivali a punta. C'era la fila. Avrei dovuto mettere l'elimina code. C'era quello più banale, il creativo, lo sfrontato e il poeta. Anche nel reale c'erano i poeti. Non mancano mai. Uno addirittura mise sul bancone un bigliettino. "Vai nel bagno delle donne che ti faccio vedere una cosa."
Chissà cosa voleva farmi vedere. La collezione di farfalle? Una rara moneta del Kazakistan? Una prima edizione del Moby Dick?
Ma voi dovevate vederlo, una faccia di cazzo che la metà bastava. Capelli raccolti in un codino, mentre sui lati completamente rasati. Non molto altro. Occhiali da sole rayban. Eravamo quasi al buio e se ne stava con gli occhiali da sole! Che testa di cazzo!
Si tolse il giubbotto, indossava una t-shirt bianca. Era muscoloso come non mai e su quel corpo duro e gonfio ogni sorta di tatuaggio.
Mi sorrise, quel bastardo. E mi fece cenno con la testa di andare in bagno. Schiacciò l’occhio.
Ma pensava davvero che io ci sarei andata?
Feci un cenno di no con la testa e mi girai dall'altra parte.
Mi si avvicinò e mi sussurrò: "Mica ti mangio, giusto per chiacchierare."
Vabbè, se era per chiacchierare...
Dopo un attimo eravamo tutti e due li. Io in piedi spalle al muro, lui davanti a me con la mano sinistra sulle mattonelle.
“E allora, che dovevi farmi vedere?”
“Vedrai.”
“Hai proprio una bella faccia!”
“Me lo dicono in tante.”
“Che hai una faccia di cazzo?”
“Qualche volta.”
Sorrideva e piegava appena il gomito. Il braccio poggiato sul muro era appena flesso. Si avvicinava impercettibilmente a me, credendo non me ne accorgesse. Quasi mi alitava di sopra, quel porco. Poggiò il secondo braccio sull'altro lato, stringendomi al muro. Entrò una ragazza, non si curò di noi e entrò nel bagno.
"C'è una ragazza..." Dissi con un filo di voce.
"Lo so." E si avvicinò ancora.
Aveva il suo naso poggiato sul mio. Ero immobile, mi era passata tutta la spavalderia. Me lo baciò. Non mi mossi. Mi prese i fianchi e mi baciò. Lo feci fare, mi infilò la lingua in bocca.
“C'è una ragazza in bagno...”
“Ragazza in bagno, ci senti?”
“Sì...”
“Ti dà fastidio se ci baciamo?”
"No!" Rispose ridendo.
"Vedi, non le da fastidio." E riprese a limonarmi di brutto. La lingua mi profanava la bocca. Uno sconosciuto mi stava baciando nel cesso di un locale.
Uscì la ragazza. Incastrata com'ero, stretta tra le sue grinfie, non l'avevo vista bene. Sui vent'anni, capelli neri con codini tenuti da elastici con ciliegine, completino da collegiale.
"Sono andata ad un raduno nazionale, io sono una cosplayer." Fece, come dovesse giustificarsi. Io limonavo con uno sconosciuto e di giustificava lei. Si sedette sul lavandino accanto a noi, per studiarci. Il tipo continuava a rovistarmi la bocca con la lingua.
"Disturbo?" Fece lei?
"No, no." Fece lui, staccandosi un secondo e aggiustandosi il ciuffo e i rayban.
Il mio parere non venne preso in considerazione. Ammetto che mi eccitava avercela accanto, quella stronzetta. Lei giocava a fare la finta tonta, lui faceva il bullo di periferia iperpalestrato. Tastò il culo ad entrambe, prima sfiorandolo, poi il maniera più decisa. Mi scostó il perizoma e cominciò a tastarmi la figa. Dalle smorfie della collegiale le stava dedicando lo stesso trattamento. Bació anche lei. Poi lei decise di chiudere il cerchio e bació anche me.
Lui ci tirò dentro un bagno, senza tanti complimenti ci fece inginocchiare e tirò giù la zip. Non ci aveva messo tanto. Ci trovammo davanti un'affare niente male. La collegiale fece scodinzolare i codini come se dicesse: Ci tocca farlo!
Bació il prepuzio, poi lo scappelló con le labbra, con perizia unica. Altro che collegiale. Le sue guance di gonfiarono e lo fece entrare tutto quanto. Mi mise una mano sulla coscia, la troietta. Agitava in maniera sbarazzina quei codini, mentre pompava e faceva salire la mano tra le mie gambe. Il tipo pompava i muscoli e faceva le pose come fosse stato in palestra a farsi i selfie. Poi alla fine lo disse: "Posso fare una foto, non si vedono i visi, solo le nuche mentre me lo succhiate. Mi serve per i feedback in rete."
Non aspettó la risposta e cominciò a scattare. A un certo punto cominciò a emettere gridolini e capii che stava facendo un video. Finalmente posó quel cazzo di telefono. La tipa intanto mi aveva infilato le dita dentro la figa. Aveva il tocco delicato, la stronzetta. Vediamo come hai la lingua. Mi sollevai e gliela piazzai davanti. Vediamo che preferisci. Era un po' come dire se vuoi più bene a mamma o papà. Preferì mamma. Dio, come la leccava. Sembrava non avesse fatto altro nella vita. Arrivava nei punti giusti, ci giocava di con la lingua, succhiava di quel tanto che bastava, poi si fermava. Sentivo il suo fiato caldo sulla figa. Voleva che la implorassi di continuare.
Eravamo un surplace.
Come fossimo stati ferme in pista sulle biciclette per fare lo scatto finale. Sparamuscoli guardò la scena e sborrò senza che nessuno lo toccasse. Gli schizzi ci colarono di sopra. Sì tirò su i pantaloni e uscì.
La cosplayer era accovacciata tra le mie cosce e mi faceva smorfie dispettose.
"E dai, leccamela!" Feci con un filo di voce.
Lei mi guardò e fece di no con la testa agitando i codini.
“Che devo fare?”
"Non so." Fece con aria sufficiente, da sotto.
“Dai, che arriva qualcuna.”
“Pregami.”
“Ti prego...”
“Di più.”
“Ti supplico. Ti prego, per favore, sei bravissima.”
Fece un sorriso birichino e ritornò a essere la ricamatrice di orgasmi di prima.
Ci mise molto impegno e maestria, con la sua lingua di velluto. Poi, poi divenni una fontanella. La ricambiai con devozione e riconoscenza, ma capii che ero una dilettante che tanto aveva da imparare. Le chiesi il numero di telefono e lei mi aggiunse su Instagram. Secondo me aveva messo in rete tutorial di leccata di figa.
Me ne tornai a casa che tremavo per l'intensità dell'orgasmo.

Antonio mi scrisse: “E allora, che hai fatto?”

“Niente, solo due passi per prendere un po’ di aria.”

Dopo qualche tempo Antonio tornò in Italia. Il mio sentimento era strano, da una parte mi faceva piacere, dall’altra avevo paura di perdere alcuni miei spazi di libertà. Ma oramai ero un’altra donna.


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