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Lui & Lei

It looks like a brazilian butt


di juvarra
07.09.2018    |    2.560    |    3 9.8
"A te, “my little cute”, con la speranza di stringerti ancora tra le mie braccia..."
“Do you know father’s office bar?”

L’idea di mettermi in un taxi, in una metropoli asiatica da cinque milioni di abitanti, con i check point della polizia ogni 2 km, per andare ad incontrare una sconosciuta incrociata su tinder 12 ore prima, un po’ mi scocciava, ma tanto nell’ultimo mese e mezzo me ne erano successe di ogni…

“I’m coming. My smartphone is off”

E così, lasciati i miei commensali a finire la millesima birra della serata in una viuzza della chinatown, nel caldo asfissiante che precede la stagione dei monsoni e sfruttando l’ultimo alito di batteria, chiamai un taxi con “grab”.

Tinder, in italia, è un posto strano: o belle addormentate nel bosco alla ricerca di principi azzurri, oppure “wanna be influencer” alla ricerca di follower per i loro profili instagram. E francamente, seppur dall’altro capo del mondo, non sapevo cosa aspettarmi da questa ragazza; le sue connazionali, mi avevano stupito per la loro riservatezza, e qualche expat con cui avevo parlato, mi aveva spiegato che la società impone loro valori molto simili a quelli della morale cattolica. Però ero estremamente curioso: aveva un sorriso che bucava lo schermo, vestiva all’occidentale e dalle poche battute che avevamo scambiato durante la giornata sembrava una donna in gamba; e poi…tutte le donne che avevo incontrato lasciavano intuire, sotto gli abiti tradizionali, un culo da mille e una notte… E una chiacchierata con una persona del posto era proprio quello di cui avevo bisogno per “completare” il mio viaggio-immersione nel paese: volevo farmi raccontare da un millenial cosa volesse dire crescere in un paese con un PIL che avanza a doppia cifra, ma dove la dittatura militare è tosta e presente.

Ma quanta bellezza in più ci dona un sorriso? Faticai a riconoscerla appena entrata nel pub! Dopo una giornata di lavoro, aveva il viso travolto dalla stanchezza; aveva appena finito una riunione con il collettivo femminista, in quanto l’indomani sera avrebbe recitato, in inglese, uno dei “monologhi della vagina”. Mi resi conto immediatamente che avevo a che fare con una donna, giovane, appena ventiquattrenne, ma estremamente emancipata e decisa. Il tempo di un paio di pinte di IPA e qualche marlboro (quanto son belli i pub ove si può fumare dentro?) bastò affinché mi dicesse che lei si definiva Queer, e che si, era su Tinder perché le piaceva il sesso. Una chiacchierata per i viali della città semideserta, condita da risate e resoconti del mio viaggio on the road, fece venire fuori tante affinità, fino ad arrivare a condividere una strana prima volta”: nè io in un mese di zingarate in giro per la nazione, né lei in 24 anni di vita, avevamo mai provato a masticare il “betel nut”. Sconvolto fin dal primo giorno di viaggio da questi uomini che masticavano e sputavano questa poltiglia rossastra, non avevo mai avuto il coraggio di provarla…inutile raccontarvi le risate e le prove necessarie per arrivare a padroneggiare le tecniche di sputo!

Fu lei, dandomi ancora prova di carattere e determinazione, a chiedermi di salire in camera nel mio hotel, per usare il bagno. E poi, dopo un’altra mezz’ora di chiacchiere e risate, un primo bacio colmo di passione e desiderio. In pochi minuti si ritrovò nuda tra le mie braccia, un seno grosso e sodo, un culo in stile brasiliano, una pelle perfetta e naturalmente scura come la mia, invece bruciata da mesi di sole tropicale. Fu un piacere enorme toglierle delle enormi e bruttissime mutande, e trovare tra le gambe un triangolo nerissimo e folto. E ancora di più metterle finalmente la lingua dentro, trovandola incredibilmente bagnata ed eccitata.

Passai così le mie ultime 48 ore nel paese tra le braccia di questa piccola fantastica creatura, brillante, volitiva, arguta, e veramente scatenata tra le lenzuola. Lei decise che per i successivi due giorni avrebbe lavorato dalla camera del mio hotel. Scoprii in fretta che a lei piaceva essere presa con forza, le piaceva soffocare sul mio cazzo e farsi mordere forte i capezzoli.
Notai che le poderose manate che le assestavo sul culo avevano l’effetto di farla grondare di piacere, con il frutto della sua eccitazione che le colava fino alle ginocchia. Un sesso stupendo, senza freni, che mai mi è capitato di sperimentare in una “one night stand” e talvolta nemmeno in relazioni più o meno durature.

Ci lasciammo il sabato pomeriggio, dopo che lei volle portarmi a visitare l’ufficio della fondazione per cui lavorava, e non perdendo l’occasione di farmi infilare la mano nei pantaloni mentre l’ascensore ci portava al ventiduesimo piano.

Ci rivedemmo qualche settimana dopo, in un’altra metropoli: io ero al termine della mia avventura, avevo il volo per l’italia, lei un volo per andare ad un workshop in svezia, e combinammo tutto per passare altre meravigliose 48 ore insieme.
A te, “my little cute”, con la speranza di stringerti ancora tra le mie braccia.
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