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Lui & Lei

Sotto pelle - 05


di Membro VIP di Annunci69.it tanyacd
05.06.2025    |    903    |    3 9.2
"Poi, piano: «Quando?» «Domani sera, se vuoi..."
La casa di Lara era in una corte interna, a due piani, piena di luce e di angoli morbidi.
Il profumo di legno e rosmarino si mescolava all’aroma del forno.
Tovaglia bianca, stoviglie sobrie, una bottiglia già stappata sul tavolo.

Lara aprì la porta.
Indossava un pantalone ampio color sabbia, camicia nera leggerissima, piedi scalzi.

«Entrate» disse.
E abbracciò ognuna. A lungo.

Irene e Elise per prime, poi Chiara, poi Viola, che sembrava tesa.
Aveva indosso un abito fluido grigio chiaro, spalle nude, collo alto, i capelli raccolti in un nodo basso.

Dentro, la casa era calda, le luci basse.
Sul divano, seduto con un bicchiere in mano, c’era lui. Nicola.
Giacca blu, jeans scuri, camicia sbottonata al collo.
Barba rasata con cura.
Occhi attenti.
Sorriso controllato.

Lara lo indicò.
«Ragazze, lui è Nicola.»

Viola non reagì.
Non lo riconobbe.
Era un uomo tra gli altri.

Irene ed Elise invece lo fissarono per un secondo in più.
Ricordavano.
Ma nessuna disse nulla.

Nicola si alzò.
«Piacere.
So che sono un ospite un po’ speciale, stasera.
Ma vi assicuro: sono qui solo per aiutare.
E se qualcosa non vi mette a vostro agio, potete dirmelo. In ogni momento.»

La voce era calma. Pulita. Non autoritaria.

Lara li fece accomodare.
Il cibo era semplice: pasta con zucchine e menta, pane appena sfornato, insalata tiepida.
Durante i primi minuti, si parlò solo di musica, ricette, storie di taxi imbarazzanti.

Poi, a tavola, quando i piatti erano quasi vuoti, fu Viola a parlare.

Non guardava Nicola.
Guardava il bicchiere.
«Mi hanno portata in un casale.
Erano tre.
Uno guidava.
Uno stava dietro.
Uno rideva. Sempre.»

La voce era ferma.
«So com’era fatta la macchina.
So il profumo che avevano.
Uno usava una colonia che pizzicava il naso.»

Nicola ascoltava. Senza interrompere.

Viola si fermò.
«Ma non so i loro nomi. Né le facce.
Solo i dettagli.
E la sensazione di essere merce.»

Un silenzio pieno.

Nicola annuì.
Poi disse, semplice:
«Sono sufficienti.
Nnoi possiamo cercare, senza lasciare tracce.»

Chiara le posò una mano sul braccio.
Irene la guardava.
Elise respirava piano, ma non distoglieva lo sguardo.

Lara servì il dolce senza dire nulla.
Poi, solo allora, prese la parola.

«Viola…
Nicola è anche l’uomo che tu non hai visto al club.
Era lui.
Ma lì era in silenzio.
Per me.
Ora è qui per te.»

Viola alzò lo sguardo.
Lo fissò.
E per un attimo, il tempo si fermò.

Il volto di Nicola davanti a lei ora aveva due facce: l’uomo silenzioso del club… e il poliziotto seduto a pochi passi.

Tenne lo sguardo fisso.
Poi disse piano:
«Non so se mi fa più strano che fossi lì… o che ora tu sia qui.
Vestito.»

Nicola non abbassò lo sguardo.
«Capisco. Ma spero che tu riesca a vedere anche altro.»

Un secondo di silenzio.
Poi Viola si alzò.
«Parliamo. Ma non qui.»

Si voltò verso Lara.
«C’è un posto tranquillo?»

Lara fece cenno verso una porta laterale.
«Lo studio.»

Viola uscì.
Nicola la seguì.

Nessuno parlò.
Ma tutti restarono in ascolto.

Nello studio, c’era una scrivania, due poltrone basse, una finestra aperta sull’interno.
Viola si sedette per prima.
Incrociò le gambe.
Non per difesa. Per contenere qualcosa.

Nicola restò in piedi.
Poi:
«Non prenderò appunti.
Non farò domande inutili.
Solo quello che vuoi raccontare.»

Viola respirò.
Poi:
«Tre uomini.
Età… tra i trenta e i quarantacinque.
Parlavano milanese stretto. Uno fumava. Uno aveva una camicia troppo stirata. L’altro… rideva sempre. Anche quando mi toccava.»

Nicola ascoltava.
Solo quello.
Ogni tanto, annuiva.

Viola parlava con calma.
A ogni parola, sembrava che il peso le uscisse dal petto.

Poi si fermò.
«Sei un poliziotto… ma ti ho visto anche inginocchiato.
Non so se fidarmi.
Ma Lara si fida.
E a me basta.»

Nicola abbassò la testa.
Poi disse:
«Il corpo è mio. Il mestiere è un altro.
Ma la mia scelta è aiutarti. Non perché sei una vittima.
Ma perché sei una donna che non deve stare zitta.»

Viola chiuse gli occhi.
Inspirò.
«Va bene. Ti dirò tutto. Ma se un giorno mi sento in pericolo… sarai tu il primo a saperlo.»

«È una promessa» rispose lui.

Viola era tornata tra le altre, più sciolta, appoggiata a Chiara sul divano, le gambe allungate, un cuscino tra le braccia.

Irene sorseggiava lentamente, le dita rilassate intorno al calice.
Elise, a piedi nudi, con le gambe piegate sotto di sé, rideva già per qualcosa che stava per raccontare.

«Ok. La più bella: una volta ero a una cena in latex, con un vestito a tubino… e a un certo punto, mi si è incollato tutto alla sedia.
Mi sono alzata e me lo sono tirato dietro. Tipo ventosa.
Tutti zitti. Io, rosso ciliegia dalla vergogna.»

Risate.
Anche Nicola sorrise, abbassando un attimo lo sguardo.

Lara lo indicò.
«Tu ridi, ma ti ricordi la volta che ti sei seduto sulla tua stessa frusta?
Con tutto l’orgoglio da dominatore, e poi a urlare come un bambino.»

Nicola scrollò le spalle.
«Quella frusta era più sottile di quanto sembrasse. E avevo i pantaloni in pelle. Non perdona.»

Chiara lo guardò.
«La pelle… sì.
Io ho rischiato di svenire la prima volta che ho messo i corsetti con gli stivali.
Avevo 19 anni. Nessuno mi aveva detto che serve allenamento.
Sembravo una statua barcollante in lattice.»

Irene rise piano.
Poi, con voce bassa:
«Io ho avuto un incidente con un vibratore da remoto.
In treno.
Chiara aveva il controllo.
Cercavo di non respirare. E lei, ogni volta che mi fermavo, aumentava.
Ho mollato alla fermata successiva.
Mi sono dovuta cambiare mutandine al bagno della stazione.»

Viola rise con le lacrime agli occhi.
«Vi odio. Mi fate venire voglia di tornare a giocare domani.
Giuro.»

Elise le passò il bicchiere.
«Torni quando vuoi. Con i tuoi tempi.
Ma sappi che qui nessuno dimentica quanto sei bella quando comandi.»

Tutti si guardarono.
E risero ancora.


Lara si alzò per prendere un altro po’ di vino, poi, mentre versava, guardò il gruppo.
«Allora… ci divertiremo nuovamente al club?»

Un silenzio teatrale, solo per farla pesare il giusto.
Nicola si sistemò meglio sul divano, le braccia distese.
«Sì.
Ma stavolta non vengo da sottomesso.
Anche se… la figa di Elise ha davvero un buon sapore.»

Risata secca di Elise, che lo colpì con il cuscino più vicino.
«Hai un talento per rovinare il romanticismo.»
Chiara rise.
Viola spalancò gli occhi fingendo uno scandalo.

Irene alzò le mani.
«Ok, stop. Se andate avanti, finiamo tutti in mutande.»
Lara si sedette di nuovo.
Sorrise.
«Promesso. In mutande, o forse neanche quelle, solo la prossima volta.»



Il giorno dopo, In cucina, Chiara era seduta sul tavolo, a piedi nudi, un caffè tra le mani, una maglia larga.

Irene era davanti ai fornelli, una camicia a righe sbottonata solo in basso.
Girava le uova con attenzione, come se ogni gesto fosse un rito.

Elise uscì dalla camera di Irene, vestita solo con un lenzuolo legato in vita e il collare ancora al collo.
Si stiracchiò, si passò una mano tra i capelli, poi si affacciò in cucina.

«Non sapevo se chiedere un caffè o un bacio» disse.
Irene le lanciò uno sguardo, serio solo per gioco.
«Forse entrambi?.»

Risero tutte.

Poi, Viola apparve.

Camminava scalza.
Solo una camicia leggera addosso, la pelle ancora un po’ segnata, ma più sua.
Si fermò sulla soglia.
Chiara si alzò subito, le andò incontro.
Nessun bacio. Nessuna scena.
Solo una carezza sulle anche, e la fronte contro la sua.

«Hai dormito bene?»
«Decisamente.
Sognavo una colazione vera.»

Irene indicò la padella.
«Stai per averla.»

Elise le passò una tazza.
«Senza domande. Solo caffè e uova strapazzate.»

Si sedettero tutte e quattro.
Nessuna fretta.
Nessuna difesa.

Una forchetta che cade.
Un sorriso.
Una battuta di Elise sul sonno agitato di Irene.
Un dito che accarezza un polso, senza motivo.

Una giornata normale.
Ma piena di libertà.


Il cellulare vibrò sul tavolo della cucina.
Viola lo prese senza fretta, ancora in maglia lunga, i capelli raccolti in una coda bassa.

Schermo: “Lara.”

Rispose.
La voce di Lara era calma, ferma, gentile.

«Ciao Viola.
Hai un minuto?»

Viola si sedette.
«Dimmi.»

Silenzio breve.
Poi Lara:

«Nicola ha incrociato le informazioni.
Uno dei tre è stato identificato.
C’è una foto. È pulita. Si vede lei che viene presa di forza e caricata sulla macchina.
Scattata da una telecamera del parcheggio.
È lui.
Ma serve che tu lo confermi.»

Viola non disse nulla per qualche secondo.
Solo respiro.

Lara continuò:
«Può venire lui da te.
In casa. Con me.
Niente questura. Nessuna pressione.
Solo una foto. E tu che dici sì o no.
E basta.»

Viola si appoggiò con la schiena alla sedia.
Guardava fuori dalla finestra.
Poi, piano:

«Quando?»

«Domani sera, se vuoi.
A orario comodo per te.»

Altro silenzio.

Poi Viola:
«Va bene.
Ma solo con Chiara e Irene accanto.
E solo se posso spegnere tutto, se mi fa male.»

«Hai la mia parola» disse Lara.

Viola chiuse la chiamata.
Restò lì qualche istante.
Poi si alzò.
Andò in salotto.

Chiara era sul tappeto.
Irene sulla poltrona.
Le guardò. E disse solo:

«Domani sera.
Verranno con una foto.
Uno di loro.»

Chiara si alzò subito.
Le andò incontro.
Le prese la mano.

«Non lo guardi da sola.»

Irene annuì.
«Siamo con te. Sempre.»

La sera dopo,
Il portone si chiuse alle spalle di Lara e Nicola.


Lara era in jeans e maglia morbida, capelli raccolti, sguardo limpido.
Salutarono senza parole.
Non c’era bisogno.

In salotto, Viola era seduta sul divano.
Chiara accanto a lei, le dita intrecciate alle sue.
Irene sul bracciolo, una mano sulla spalla nuda di Viola.
Elise seduta a terra, davanti a loro, con le gambe incrociate, e lo sguardo solo per lei.

Viola era vestita semplice.
Maglia grigia, gambe nude.
Pulita. Presente.
Ma tremava, appena.

Nicola si fermò a due passi.

Parlò piano.
«Questa è una sola immagine.
Scattata da una telecamera di parcheggio privata.
Non sei obbligata a guardarla.
Ma se vuoi… io sono qui.»

Viola annuì.
Chiara le strinse la mano.
Irene le accarezzò la nuca.

Nicola accese il cellulare.
Visualizzò la foto.

Un silenzio lungo.

Poi Viola si sporse.
Chiara con lei.
Elise non la toccava.
Ma era lì.

Viola guardò la foto.

Uno scatto nitido.
Un volto.
Occhi chiari.
Barba corta.
Camicia chiara troppo stirata.
Un ghigno di lato.

Il corpo di Viola ebbe un sussulto.
Non gridò.
Ma il respiro le si fermò per un secondo.

Poi…
«È lui.
Quello che rideva. Sempre.
Anche mentre…»

Si fermò.

Irene si chinò. Le baciò la fronte.
Chiara non lasciò la sua mano.
Elise le accarezzò il ginocchio nudo, solo una volta.
Piano.

Nicola chiuse lo schermo.
«Lo troviamo.
E lo fermiamo.»

Viola non disse niente.
Ma non aveva più paura.
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