Una Notte in ufficio

Era passata da poco l’ora di cena. L’ufficio era vuoto, il silenzio rotto solo dal ticchettio sottile della pioggia contro i vetri e dal fruscio delle mie dita sulla tastiera. Indossavo una camicia di seta color avorio, morbida, appena trasparente sotto la luce calda della lampada. Niente reggiseno. Sotto, solo una gonna nera a tubino e autoreggenti.

Sapevo che sarebbe arrivato. Gliel’avevo scritto con un messaggio secco: “Porta fame. E pazienza.”

Antonio bussò solo per educazione, poi entrò. I suoi occhi – quei dannati occhi profondi, capaci di leggermi dentro – si posarono su di me con una calma che mi faceva paura.Indossava ancora la giacca, il colletto della camicia leggermente aperto, le maniche arrotolate.

"Chiudi la porta."

Lo fece. E in quell’istante, l’ufficio non era più un posto di lavoro. Era la nostra tana.

Si avvicinò senza dire una parola. Si mise alle mie spalle, le mani che mi scostarono i capelli e le labbra che mi sfiorarono la nuca. Il suo bacio era lento, ma carico. Profumava di agrumi e pioggia. Sentivo già il desiderio montarmi dentro come una fiamma che divampa sotto pelle e lo stomaco contorcersi.

Le sue mani si mossero con la precisione di un ladro esperto. Mi sbottonò la camicia lentamente, lasciando scoperti i seni tesi e sensibili. Mi chinò leggermente sul tavolo, accarezzandomi da dietro con il palmo caldo sulla curva dei glutei.

"Sei bagnata, Alma?"

Risposi solo con un gemito, mentre le sue dita risalivano sotto la gonna, sfiorando l’interno coscia, poi oltre, fino a trovarmi calda, pulsante, pronta.

"Che brava ragazza…" mormorò.

Mi tirò su la gonna senza troppi complimenti e mi fece piegare sul tavolo. I suoi pantaloni caddero sul pavimento con un suono sordo. Lo sentii dietro di me, la punta già premuta contro la mia apertura, e poi… entrò. Lungo, duro, caldo.

Affondò con una spinta unica e profonda, facendomi gemere contro la scrivania. Mi tenne ferma per i fianchi, cominciando a muoversi dentro di me con colpi lenti, poi sempre più affamati. La pelle contro pelle, il suono dei nostri corpi che si univano, riempiva l’ufficio come una sinfonia oscena e perfetta.

Mi tirò su per i capelli, facendomi inarcare la schiena. Una mano mi afferrò il seno, l’altra si infilò tra le mie gambe e cominciò a massaggiarmi il clitoride mentre mi scopava da dietro con decisione.

"Voglio sentirti venire addosso a me. Così. Senza vergogna."

E io venni. Forte. Scoppiando come un tuono nel silenzio, il mio corpo che tremava mentre lui non si fermava, anzi, accelerava ancora. Mi tenne stretta, mi riempì fino in fondo, e venne anche lui, con un sussurro roco del mio nome all’orecchio.

Rimanemmo fermi, lui ancora dentro di me, il respiro caldo sulla mia spalla.

Dopo qualche istante, si staccò lentamente e mi fece voltare. Mi baciò piano, quasi con dolcezza. Poi mi fece sedere sulla scrivania, ancora mezza nuda, ancora tremante.

"Domani ho bisogno di un altro appuntamento," disse, le dita che mi accarezzavano l’interno coscia.

"Porta l’agenda," risposi. "E lascia i pantaloni a casa."