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Lui & Lei

l'amico.3


di amichetta
22.09.2016    |    783    |    0 8.0
"Mi ero macchiata di un peccato mortale..."
(segue da amico 2).Con una mano mi stringeva forte le chiappe e mi sollevava dal pavimento mentre il suo inguine sbatteva contro il mio causandomi una sensuale tortura. L’alternanza del dolore al piacere mi dava una sensazione dolce e brutale allo stesso tempo. Il mio corpo fremette e mi inarcai per favorirgli un affondo più profondo. Il desiderio stava ritornando e la mia mano manigolda raggiunse il centro della mia femminilità, poi frettolosamente si mie a soffregarlo per acuirne il piacere. I suoi movimenti decisi e armonici mi risvegliarono un gusto idilliaco, infervorata al parossismo, tesa come la corda di un arco celavo l’ardente desiderio che avvertivo avvampare paventando che mi precludesse il terrificante cataclisma che presagivo imminente. Mi mise una mano fra i capelli e ancora una volta provai la magia delle sue labbra sulle mie. Mi baciò con una improvvisa passione che mi travolse, un languore si impossessò di me; poi, altrettanto improvvisamente si stacco da me. Mi disse, + sei sovra eccitata tesoro? E’ più che comprensibile con quello che ti ho fatto in queste ore, lo so che non dovevo troncare così brutalmente, ma ho dovuto farlo.+ Sembrava tutto così assurdo, quelle parole pronunciate in quel tono così tranquillo e ragionevole mi sconvolsero. Il robusto filisteo si stava godendo nel modo più ignobile tra le mie rovine. Prima attonita poi infuriata, la rabbia mi diede il mal di mare, ma ero talmente sfibrata con i nervi a pezzi che non trovai l’energia per reagire. Senza dirmi altro mi prese per i piedi e mi trascinò sul pavimento come se fossi un corpo inerme fino a raggiungere e essere stesa sulla pelle di vacca che avevo appena sostituito da alcuni giorni con la moquette messa dalla sua ex compagna. Nel attrito col pavimento la maglietta che contro ogni spiegazione logica indossavo ancora, si arrotolò e decisi di sfilarmela definitivamente. Nuda come ero venuta al mondo, apparsi a lui, che preso due cuscini sul divano adiacente me li posizionò sotto al deretano, poi con determinazione mi spalancò le gambe e si stese sopra di me. Subitaneamente avvertii il suo dardo risalire tra i condotti della mia caverna madida e incominciare a muoversi divinamente. I troppi orgasmi procrastinati mi avevano esasperata, ero al estremo della sopportazione, non ricordavo di aver tanto bramato la voluttà. Mentre il suo membro animoso continuava la sua ritmica fluttuazione la sua mano mi vezzeggiò un capezzolo mentre l’altro finì tra i suoi denti che strinse con voracità. Uno straziante guaito uscì dalla mia bocca ma lui inclemente lo interpretò come un godimento più intenso. Mi limitai a sbattere la testa a destra e a sinistra per non contrariarlo, avevo imparato a mie spese che latrati, lamenti e urla di dolore, risuonavano agli uomini come corroboranti e un incentivo a procedere. Attaccò con: + ti piace è, vuoi che ti faccia venire così? La mia brava e adorabile bambina è pronta.+ Sorpresa, gemetti e farfugliai nel mio stato di eccitazione frenetica -- Si! Si! Dai!-- + No! Ho deciso di no! Non ti permetterò di godere prima di fissare il prossimo appuntamento + -- Ohh No! Ancora!-- Ebbi un impeto d’ira. Il manigoldo si gozzovigliava nella sua impresa impietosa. Purché plumbea tentai di dargli una risposta. --Ti ho già promesso che ti farò gustare la carne viva, cosa vuoi ancora da me, vuoi farmi morire?-- + Quando: dobbiamo stabilire come e quando. + --Non posso, non è il momento giusto per fissare una data, ci rivedremo, sei l’uomo giusto per farlo, ce l’hai tanto largo e mi farai tanta bua, ma hai la testa che comanda e lo scettro che ubbidisce, spero che tu lo userai con giudizio nel mio culo, così in seguito potrò stare con altri uomini senza più preoccuparmi di dover soffrire: magari anche con due insieme.-- -Non a caso esordii con quella insinuazione, fu solo una sceneggiata ben orchestrata. Avevo imparato a conoscere gli uomini quel tanto che mi bastava per aver appreso che essi avevano l’esigenza di degradare la donna che stavano fottendo a oggetto sessuale, a un essere eticamente inferiore alla quale non dovesse nutrire titubanze estetiche, che non sapesse niente di lui e che non potesse giudicarlo nella sua vita di tutti i giorni, a una donna alla quale non avrebbe dovuto portarle alcun rispetto: solo con una donna simile avrebbe sviluppato tutta la sua forza e potenza sessuale.- Proprio quello che a me serviva in quel preciso momento. E gli effetti non tardarono. + Brutta cagna rognosa, te lo farò fare da te, mi cavalcherai e una volta che te lo avrò sistemato nella posizione corretta dovrai solo lasciarti andare e ti romperai il culo da sola. Poi dovrai continuare a farlo almeno una volta al mese se vorrai restare allenata.+ --Ma, ma, ma io non sono esperta!-- + Imparerai. Sono sicuro che ce la farai, dovrai farcela! + -- Credi che a me piacerà? Mi farai male?-- + Un po’ di male farà parte del gioco, ma per te sarà anche una conquista. La testa del cazzo non è dura come un cetriolo, è di carne morbida, duttile, sentirai come si adatterà perfettamente al tuo buco. Potrei usare un anestetizzante come la crema xxxx, ma perderemmo entrambi di sensibilità e io voglio sentirmelo strozzato nella morsa del piacere e ascoltare i tuoi gemiti mentre soffrirai e godrai insieme. Il decorso dipenderà molto anche da te, da come ti comporterai. Se ti applicherai e se ti saprai rilassare probabilmente ti piacerà. Se invece farai la preziosa o non ti renderai disponibile contraendo lo sfintere come hai fatto prima, diverrà una impresa laboriosa e ti farà anche più male. Se nel frattempo riuscirai a masturbarti il clitoride magari proverai anche un orgasmo. Le uniche cose di cui sono certo è che una volta che avremo iniziato non ti lascerò vie di uscita e in un modo o nell'altro perseguiremo il nostro obiettivo. L’altra, l’unica che mi interessa, è che con tutte le grazie che mi metterai a disposizione io ne sarò sicuramente soddisfatto.+ Provai un disgusto palpabile, tuttavia glissai su quella affermazione. --Sei un abietto, sadico egoista-- + Non e affar mio se sei nata femmina: ovvero con tanti buchi da tappare + -Un turpiloquio sarcastico, inopportuno, dettato dalla esigenza di schermire, di umiliare e anche egli non poteva non rendersene conto. Tanto a me non interessava per niente, di certo avrei eluso quella abominevole promessa.- Il suo contegno lo sottintesi come un diversivo, un’astuzia per controllarsi, per non eruttare. Una sconveniente perdita di tempo utile per me che ero impaziente, fremente e palpitante di concludere una odissea che si era ormai protratta troppo a lungo. Nonostante ciò mi conveniva stare al gioco, ero certa che accendergli la fantasia gli avrebbe acuita la volontà di fare e alla fine avrei avuto quello che concupivo. Si sarebbe attanagliato nel immedesimarsi, nel pregustare quel momento nella aspettativa del soddisfacimento che avrebbe provato, sarebbe stato come desiderare il desiderio stesso. A quel punto feci sfoggio di tutte le mie qualità di femmina e con voce fanciullesca gli dissi. --Metterai la suppostina alla tua bambolina tanto birichina e lei ti ricambierà con un regalino e ti farà un bel bocchino, hahaha-- Una provocazione che lo sorprese. + Ti spaccherò il culo schifosa troia. Sei solo una vacca che si fa fottere sulla pelle di una sua consanguinea. Adesso ti sistemo io, ti darò il toccasana che ti meriti.+ Era quello che io sospiravo: e l’avrei voluto subito, all’istante! Mi mise le mani ai lati delle le cosce facendole poi scorrere fino alle mie caviglie. Mi alzò le gambe spingendomele in alto tenendole come se fossero un manubrio di una bicicletta fino a che raggiunsero le mie spalle. Posizione sacrificale per me, ma permetteva a lui di sbattermi senza indulgenza alcuna. Appoggiato di peso sulle mie gambe incominciò a incornarmi come un rinoceronte, il suo inguine sbatteva contro il mio pube e non mancava di cozzare tutta la parte esterna del mio sesso e i suoi coglioni mi solleticavano il sederino. Ero tutta un rantolare e un gemere. Sopra di me, ansimante, potevo scorgere la sua faccia da paradigmatico vizioso. La rabbia, il desiderio tangibile gli distorceva il viso. Una maschera con due occhi avidi mi scrutavano con sguardo ferino pronti ad azzannarmi. I nostri sguardi famelici si studiavano come preda e istinto nutrendosi l’uno dell’altra. D’impulso, con la lingua esposta tra i denti lo snobbai con una lieve pernacchia. Una provocazione per fargli intendere che nonostante il suo furore selvaggio che lo pervadeva, la sua sprezzante arroganza, la sua ostentata supremazia non sarebbe mai riuscito a sopraffare la mia carne. Reagì lasciandomi le gambe e afferrata per i capelli appena sopra le orecchie con un gesto animalesco mi sbatté la testa sul pavimento alcune volte con vigore e con disprezzo senta tuttavia alzarla dallo stesso così l’effetto fu più blando di quanto temetti. --Si! Così! Battimi, fammi male! Sfondami. Adesso.-- + Abbi pazienza bimba! Se vorrai sentire bene a fondo il piacere di cui voglio inebriarti, devi dimenticare te stessa, perderti, fonderti, abbandonarti a un godimento carnale e delirante.+ Meditai un attimo su quelle parole, mi convinsi che si era tuffato in un pozzo nel quale sarebbe annegato prima di trovarci il fondo. Sdraiata sul dorso, le cosce ben divaricate, abbandonata senza tema e senza riserve continuavo a godere il senso di pienezza che la sua asta inferocita mi regalava. Si avvicinò al mio orecchio destro e mordicchiandomelo incominciò a sussurrarmi con la sua deontologia professionale ingiurie sanguinose. Mi redarguì come lurida sgualdrina, una vacca che la dava al primo che incontrava, che godevo come una troia e ero anche puttana perché la davo via in cambio di regali. Forse incarnavo un’altra donna che l’aveva disgustato e riversava su di me tutto il suo biasimo. Qualcuna che aleggiava tra me e lei senza che egli ne avesse più coscienza. Della sua inusitata durezza ne ero ormai assuefatta e non avevo né voglia né tempo di commentare: volevo solo godere. Quella sera, seppure tutto mi appariva semplicissimo e inevitabile, meditai di come fossi stata tanto sprovveduta di lasciarmi sedurre come una ingenua fanciulla. Ormai era tardi per ripensamenti. Mi ero galvanizzata e si sarebbe rivelata una canzonatura se non ne avessi ricavato un finale soddisfacente in cui giustificare il rischio che stavo correndo. E la famelicità di sesso che mi stava divorando era un motivo sufficiente per perdurare. Le sue dita giocherellarono capricciosamente tra i miei capelli e io lo ricambiai con un ineffabile, languido, voluttuoso sorriso. I suoi baci, i suoi brutali morsi volarono dalla testa al collo, poi giù per i seni, il ventre. La sua bocca, le sue mani si moltiplicarono. Mi sentii azzannata, pizzicata, sfregata, manipolata. Pareva che un fuoco infernale lo tormentasse. Emanavo grida acute quando un tocco efferato, più ardente, mi provocò un lungo sospiro. Mi aveva sostituito il gingillo con la lingua che affondò tra le due ninfe arrossate aizzando le due piccole labbra rosee. La lingua continuò la sua opera implacabile, mentre io lentamente stavo esaurendo tutte le voluttà fra gli stimoli più esasperanti che potessi provare. Attento ai progressi del mio delirio si fermava o raddoppiava il ritmo a seconda dell’appressarsi o dell’allontanarsi dell’orgasmo. --Era troppo, huuu! Hooo! Ero ridotta così male! Hooo! Muuooio!-- Con un balzo diruppe sul mio corpo e tornò a sopprassarmi tutta. Eccitata all’inverosimile mi portai rapida una mano su quel luogo nevralgico, mi strusciai per pochi istanti, ma subito lui me la strappò. + Non è ancora giunto il momento, ogni cosa a suo tempo.+ Sentenziò l’infame. -Volsi uno sguardo al passato e feci un confronto su quante vicende di sesso analoghe avevo rischiato la mia integrità morale e corporea. Avventurette in cui avevo superato qualunque azzardo. Dove nella più completa assenza di senno avevo soprasseduto su pericoli di contagi, sul rischio di gravidanze e molti altri azzardi. In molti casi giungevo a livelli di eccitazione che mi facevano valicare la soglia del buon senso e pur di dare sollievo ai miei tormenti avrei rischiato la lapidazione. La mia buona stella mi aveva sempre protetta e in cuor mio mi auguravo che anche questa volta l’avrei scampata a buon mercato. O semplicemente da tardona non mi preoccupai promettendo a me stessa che non ci sarebbe stata un’altra volta . La sua sicurezza, la sua destrezza, mi avevano ormai plagiata. Le minacce che incombevano su di me si dissolsero e mi parve una buona idea lasciarmi andare giocoforza alla lussuria abbandonando la nave al suo destino- Mi chiese se me lo sentivo dentro, con tono sprezzante continuò denominandomi rotta-inculo. Avvezza alle sue lordure non ci prestai attenzione. Ero consapevole che il denigrarmi lo aizzava a infliggermi tutta la sua potenza sessuale e in quel mentre era la mia finalità. E di sicuro necessitavo di tutto il suo fervore per poter spegnere l’incendio che divampava nel mio ventre. In modo insolitamente pacato continuò col chiedermi: + quanti anni avevi quando ti hanno lacerato il sederino?+ Non era che morissi dalla voglia di rivelargli i miei intimi segreti, ma con lui avevo ormai infranto la mia labile disponibilità al non trasgredire che mi ero imposta da quando stavo col mio ultimo concubino. Temevo che se non l’avessi compiaciuto mi avrebbe castigata e non volli rischiare, la pavidità questa volta mi convinse a descrivergli i fatti veri. Intanto ne approfittai per gettare un altro po’ di benzina sul fuoco. --19 credo-- + Dove e con chi?+ La mia confessione l’aveva sbigottito, mi scopava con movimenti trascinanti, liberi e profondi, lentamente, come se si muovesse sott’acqua. Il mio allupato già bollente divenne incandescente. Capivo che il parlare lo eccitava e lo distraeva permettendogli di controllarsi e non venire. Ma inevitabilmente interagiva anche su di me sbollendo la pentola e dovendo poi ripartire sempre daccapo. Gemendo gli risposi, --in un albergo di un grande città-- + e lui quanti anni aveva + --non ricordo bene, mi pare sui 60, era un commerciante ebreo, sposato con figli. Ma poi, non so dirti come, avvenne che in stanza ci trovammo in tre e sai m’è, quello che avevo di dietro, in più al buio, non l’ho nemmeno visto. Ma ti assicuro che l’ho sentito e a giudicare dagli argomenti aveva eccellenti requisiti. La storia completa è troppo lunga, te la finirò la prossima volta. Che io avrei di certo latitato dandomi alla macchia: ma questo lo tacqui. Prima scettico, poi imbestialito si scatenò e come avevo presunto la fiaccola si riaccese. Trasalii e incomincia ad avvertire il culmine dell’estasi. Il mio corpo si era irrigidito dalle ondate di piacere che lo attraversarono. Non potevo concedergli lo sfizio di svellermelo anzitempo proprio nel momento in cui percepivo l’arrivo di un orgasmo sfrenato e per tutelarmi lo avvinghiai con le gambe e lo stringai con le braccia in una tenaglia che non gli dava scampo: questa volta non si sarebbe liberato di me. Percepivo che anche lui stava erompendo. La mia ultima confidenza lo aveva destabilizzato. Ansando grugnì: + lurida bagascia ti vengo dentro.+ --Si dai riempimi tutta, sii! siii! Lo voglio tutto dentro. Sei un porco, dai, sbattimi! Sono tua la tua troietta, voglio essere tua zoccoletta la tua cagnetta. Haa! Dai, spingi! Così, così, ancora più forte! Più in foondooo! Ti prego! Non ti fermare!-- Lo avrei voluto aspirare tutto dentro di me mentre lui voleva sprofondare dentro di me. Due corpi in perfetta simbiosi in un momento in cui la nostra intima soddisfazione risuonava all’unisono. La mia stretta letale non gli concedeva movimenti propulsivi, ma il mio dimenarmi era sincrono con il roteare del suo dardo il quale fluttuava nel mio canale vaginale causandomi rigurgiti che mi spingevano in un'altra dimensione e che attraversando tutto il mio corpo mi elargivano divine sensazioni. Il suo corpo imprigionato nel mio mi trasmetteva il fremito di ogni suo muscolo. Sentii il sangue bollirmi nella testa e, precipitando in un vortice di deliquio mi sentii scomparire nel nulla. Proprio in quel momento esordì: + giura, voglio sentirti giurare che lo farai.+ In quel momento avrei venduto anche l’anima al diavolo pur di ultimare la scaramuccia. --Va bene! Te lo giurooo, hoooo! --L’aspettativa di deflorarmi quel buco ove tutti gli uomini vorrebbero immolarsi lo sbottò. Divenne una bestia selvaggia liberata dalla gabbia. Un uragano che annunciava la fine del mondo. Con un presagio proveniente dal nulla, perdetti ogni percezioni del mondo. Un mugolo profondo uscì dalla mia bocca Hhhaahoo! Il cuore mi scoppiava nel petto, i capezzoli turgidi e doloranti. Le grandi labbra prominenti sotto la pressione del flusso sanguigno coglievano l’attrito radente del dardo tumefatto all’agonia. Dal profondo mi emerse una sensazione fortissima di piacere quasi dolorosa che si irradiò ovunque. Il mio corpo teso come un arco, fu percorso da spasmi e contrazioni irrefrenabili. Le parti arcaiche del cervello presero il sopravvento impadronendosi della favella che ormai si era ridotta a frammenti di parole miste a grida e rantoli soffocati. Lo tsunami dell’orgasmo proruppe dal fondo e mi travolse tutta. Una pietra cadde nel mio ventre e, uno due tre cinque sette cerchi concentrici si espansero risalendo le parti vaginali e uterine. L’eco di quei cerchi crebbe sollecitando i miei centri vitali fino a confluire nella mente e partii per un viaggio in una nuova stratosfera. Il tempo si fermò e non saprei dire di quanto restai nello stato di transizione. Poi, ridesta da quell’idilliaco trasporto mi ritrovai spossata, schiena rotta, gambe morte, svigorita: un animale abbattuto. La mente vorticava e il cuore mi batteva all’impazzata. La luce della stanza colpì i miei occhi come un affronto ignominioso. Ritornata nel pieno delle mia facoltà, mi ritrovai sdraiata e ancora intrappolata. Le sue mani mi artigliavano le spalle attorno al collo e mi trascinavano verso il basso. Le poderose spinte del suo bacino mi spingevano verso l’alto, e nel contempo venivo assordata dai suoi rantoli cavernosi. Scorsi il suo volto contratto mentre stava sfogando le sue infime voglie. Vedevo dal basso i suoi occhi vitrei, scialbi, privi di espressione e ormai libera dal delirio che lambiva i miei centri nervosi il disagio su di me ebbe il sopravvento. Non vibravo più al suo tocco e con un tono acido gli chiesi: --ma cosa mi stai facendo!-- + Che ti ha preso? Ma che ti sei bevuta il cervello?+ Dopo quel breve dialogo demenziale, tornò alla sua attività di svago. Per me fu l’unica ricompensa vocale alle mie tribolazioni. Tentai di liberarmi, ero pronta per cacciarlo mossa da qualcosa di molto simile al puro e semplice ribrezzo. Intrappolata dal porcello e inguaiata dalla sua verga che danzava nella mia profonda caverna madida e sfibrata, contrita per l’essermi involontariamente prestata seppur senza entusiasmo a ogni suo desiderio, dovetti ancora soggiacere senza ritegno alla sua indefessa attività - Ma che ci potevo fare? Il dado era tratto! Non mi restò che affidarmi alla mia buona stella e sperare che arrivasse celermente alla fine del viaggio. Gli agevolai l’azione alzando bene le ginocchia e divaricando al massimo le cosce mentre potevo scorgere il suo posteriore che si alzava, roteava e ricadeva tempestandomi di spintoni che martellanti mi slabbravano la carne stanca per arrivare fino alle ossa. Il suo viso era una maschera rossa -rigida- nella posa selvaggia di un animale pronto a combattere. Un improvviso colpo da gran cassa -brusco- roboante come un tuono rintonò l’ambiente di una sensazione pre-eiaculatoria. Me lo sentivo dentro animoso come una protuberanza che si dibatteva in spasmi e convulsioni: ancora mezza dozzina di saettate commiste a babelici respiri affannosi, un gemito gutturale da maiale sgozzato e si arrestò come incollato nel fondo del mio sesso. Captavo i decisivi spasmi del suo ariete e degli eloquenti caldi zampilli vischiosi infrangersi contro il collo del mio utero. La macchia calda che si spargeva nelle mie profondità era inequivocabile: stava godendo dentro di me, mi stava flocculando tutto il suo ambrosia. Mi ero rilassata e lui liberato da ogni impedimento, gli fu possibile infliggermi le sue ultime brutali sterzate inoculando nel profondo delle mie intimità le sue conclusive gocce della sua sbobba ricamate dalla sua vigorosità. Ultimo immondo sfogo tanto lesivo per la mia dignità da farmi precipitare nel pantano. Quell’energumeno aveva una potenza sessuale di un cavallo da tiro e relativi contributi fisici. Esausto, ansante come un tisico all’ultimo stadio, restò immobile sopra di me. Il suo peso mi soffocava. Impaziente, attendevo di sentire il suo stelo sgonfiarsi per poi essere espulso naturalmente dal mio contenitore ormai stropicciato. Trascorso un tempo che non saprei definire, la sua mazza restava dura, inalterata: come se non fosse mai venuto. Mi preoccupavo del tempo trascorso del quale ne avevo perso ogni riferimento. Diedi un’occhiata alla sveglia e mi resi conto che avevamo impiegato più tempo di quanto credessi. Preoccupatissima, se il mio compagno fosse tornato in quel momento avrebbe trovato la devastazione di un tornado e non si sarebbe limitato al guardare. Tutta la mia reputazione da liliale mogliettina acquisita l’avrei persa in pochi attimi. In qualche modo scivolai sotto di lui liberandomi e lo invitai a darsi una mossa e andarsene al più presto: la ricreazione era finita. Mi alzai in piedi e provai una tremarella alle gambe, la sua cavalcata selvaggia mi aveva gonfiato la vulva. Ero messa così male! Il cinico gagliardo si era messo in ginocchio e vedendolo restai attonita scorgendo ancora la sua stupefacente virilità. Il suo gioiello si era deflesso solo di pochi centimetri. Un pendolo ancora vigoroso e apparentemente pronto per una nuova ripresa. Oltre che turgido era anche sporco di macchie biancastre deturpanti, sembrava un tronco d’albero ricoperto da funghi. Presi da un cassetto dei fazzoletti di carta e lo invitai a pulirsi per poi andarsene il più velocemente possibile. Come diavolo faceva a controllarsi così non lo capivo. Se lo pulì e lo scorsi nel suo nuovo splendore. Aveva perso i bitorzoli e acquisito un formato, più liscio, più morbido, sembrava anche più grosso. Il demonio che sotto nuova forma continuava a stuzzicare. Mentre si stava vestendo mi chiese una data e un luogo in cui avremmo dovuto incontrarci per fare onore alla mia promessa. Io ero rimasta nello stato in cui mi trovavo, nuda, sudata alla sua veduta, con le cosce bagnate fino alle ginocchia provavo imbarazzo. Con una mano infilata tra le gambe mi tamponavo provvisoriamente la crepa che grondava effluvi di miei umori e della sua brodaglia della quale me l’aveva riempita. Uno spettacolo immondo! E lo sciagurato non si decideva ad andarsene. Lapidaria, gli risposi che ero in agonia e che non era il momento per fissare una data, ma lo invitai a parcheggiare la sua auto di fianco alla mia nel parcheggio della fabbrica e io alla fine della giornata sarei, con tutta la discrezione possibile, sgusciata sulla sua. In pectoris posso affermare senza esitazione che ero fermamente decisa a non dare un seguito a quella promessa. Non avevo alcuna intenzione di farmi aprire uno spiraglio nel sentiero non ancora battuto, di lasciarmi ammaestrare in un altro stupro, di lasciarmi modellare dalle esigenze di un depravato libertino. Covavo nel cuore un gran desiderio di vendetta, di rivalsa, e avrei giocato con l’unico intento per dargli soddisfazione. Ma, in quel momento l’unico intendimento che ambivo era che se ne andasse. Così, per farla breve gli riconfermai il mio impegno, e lui indossando gli ultimi indumenti con un: + Allora siamo d’accordo, ciao. + Finalmente lasciò la stanza.
Finalmente sola frettolosamente rimisi al suo posto i cuscini constatando che uno era macchiato tanto da richiedere un lavaggio. Lo girai e rimandai l’operazione al giorno dopo. Raccolsi i miei pochi indumenti, spensi la luce e salii le scale. Alla sottesa illuminazione proveniente dall’esterno entrai in bagno, mi sedetti sul bidet e mi rinfrescai. Con due dita cercai di liberarmi di quanto mi fu possibile. Quel porco me ne aveva iniettato dentro mezzo chilo senza farsi scrupoli e senza preoccuparsi minimamente di una mia possibile gravidanza. Non fu di certo uno stupore: così facevan tutti, davano per scontato che in qualche modo mi tutelassi. Con quale sistema a loro poco interessava e la responsabilità ricadeva sistematicamente su di me. A differenza di altre situazione nelle quali mi ero lasciata assuefare dalla magia delle parole, da una atmosfera romantica e di qualche sorso di spumante di troppo, quella sera ero stata sedotta e soggiogata da un insidiatore sofisticato, dalla sua arroganza e dal suo fascino, tanto, da lasciargli esaudire tutti i suoi desideri. Un pervertito pervertitore. Tuttavia non v’era comparazione. Nelle altre occasioni ero lontano da casa, una perfetta sconosciuta in un ambiente tentatore. Tra uomini con almeno il doppio di anni di me, magici, carismatici, tentatori, perfidi incantatori. Uomini suadenti che si fermavano a parlarmi di stelle, di misteri affascinanti. Mi consideravano una cucciola ben ammaestrata per scopi ben precisi, così ogni loro azione era incanalata nell’intento di possedermi . Con mediazioni e scelte strategiche, il loro istinto sensuale si faceva discorso fino a perdersi in sublimazioni poetiche. Il punto G era nelle mie orecchie, inutile cercarlo più in fondo o più in basso. Mi accompagnavano in ristoranti di lusso offrendomi cenette inebrianti al lume di candela. Ma che ci potevo fare? Ero una fanciulla in una fase di grande richiamo sessuale, giovane e ingenua, emotiva con un carattere labile. Sembravo consona per farmi facilmente imbonire. L’ideale per soddisfarli a loro uso e consumo giacché univo la freschezza di una margheritina, all’innocenza e candore a un corpo ampiamente usato. Ditemi pure della sprovveduta e non mi difenderò, ma risparmiatemi l’oltraggiosa ingiuria di puttana poiché io non ho mai cercato nessuno né ho mai chiesto una lira a nessuno. Lo giuro! Ero solo una gallinella che veniva dalla campagna al calar del sole che si credeva emancipata: quante possibilità avevo di sottrarmi e portar fuori le penne in quei snaturati ambienti di dissolutezza? Tutti apprezzavano la mia lepidezza, qualcuno mi regalava gioielli, altri vestiti e vari indumenti alla moda che non avrei mai potuto nemmeno sognare. E io che ci potevo fare? Non avevo nulla da dargli in cambio, così mi sentivo obbligata a riconoscere in qualche modo i loro favori e l’unico fine a cui ambivano era il mio corpo che io gli aprivo le gambe felice perché mi sentivo desiderata. Ed era l’unica cosa che potevo fare, l’unica cosa che possedevo: l’unica che era realmente mia. E ne ero felice quando poi li scorgevo soddisfatti. Tutto questo apparteneva a un tempo passato. Quella sera le cose andavano viste e analizzate diversamente. Ero in casa del mio compagno a cui avevo promesso fedeltà. Per non trasgredire sul lavoro avevo disdetto ogni trasferta. Non l’avevo programmato, non l’avevo desiderato e come sempre di quanto era successo io non ne avevo preso l’iniziativa. Eppure era accaduto e su questo non v’erano dubbi di sorta. Mi ero macchiata di un peccato mortale. Quello che era stato era stato e non ci sarebbe stato ritorno. Tutto sarebbe scorso come il destino avrebbe stabilito. Eppure non riuscivo a raccapezzarmi. Ai giochi erotici dell’usurpatore potevo sottrarmi o non ho voluto sottrarmi? Quella domanda ancora mi perseguita. Se avessi saputo allora quello che so adesso, i fatti sarebbero andati in modo diverso? Inutile tormentarmi, le cose così sono andate. Assorta, seduta sul bidet il mio pensiero tornò a quello sciagurato tanto invadente, prepotente da permettersi di giudicarmi come se fosse una mia vecchia conoscenza. E io l’avevo subito, gli avevo appena donato tutto di me e portavo ancora il suo sperma dentro i meandri della mia vagina. Il suo comportamento era stato sconcertante, era troppo sicuro di se stesso, troppo rilassato considerando la scabrosità del momento. Oppure doveva essere certo che il mio pseudo consorte non sarebbe tornato, o almeno conoscerne l’ora esatta del suo rientro. Pensieri contorti mi vennero alla mente -e se fosse stato d’accordo con lui?- Quella ipotesi avrebbe giustificato la sua sicurezza, la tranquillità del suo comportamento. Una scommessa- vuoi scommettere che la tua donna ci sta? Oppure con amici - Scommettiamo che quella si fa scopare? Se così fosse stato sarei caduta in un diabolico complotto pianificato con furbizia, ma questo non sarebbe stato un buon pretesto per assolvermi, né legittimare, né discolpare la mia indecente, ignobile, mostruosa lascivia. Mi aveva giudicata correttamente, le sue parolacce risuonavano appropriate: mi ero comportata da gran troia. Stizzita, gettai le mutandine inzuppate nel cestino e sempre nuda, nella penombra mi recai nella stanza da letto. Aprii un cassetto di fianco al letto e ne tirai fuori un paio di pulite. Quel nefasto, terribile presentimento che turbinava nella mia mente e che per tutta la sera l’avevo glissavo sbattendolo dalla parte sinistra alla parte destra del cervello si realizzò prendendo dimensione e alla fine dovetti ascoltarlo. E se il mio compagno si fosse stufato di me e avesse organizzato una messa in scena? Quale miglior pretesto avrebbe potuto avere se non quello di un tradimento? Il mio cervello implose a quel pensiero. No! Non poteva essere tanto bastardo. Ciononostante non avrebbe mai eguagliato la mia biasimevole ignominia. Che fare? Stavo per sprofondare in un incubo! Mi misi le mutande pulite e stavo per tornare in bagno per gli indumenti che comunemente indossavo per la notte quando le mie lugubri considerazioni vennero interrotte dai caratteristici rumori provocati dal suo rientro. Impietrita, non ebbi l’energia di proseguire le mie abitudini. Come una bambina terrorizzata mi nascosi sotto le lenzuola per proteggermi dei fantasmi. Sentii distintamente la basculante alzarsi, l’auto entrare in garage e il richiudersi del portone. Seguì il suo calpestio fino al pianerottolo di marmo. Poi il silenzio perché aveva indossato le ciabatte di stoffa. Percepii i vari clic degli interruttori, lo sentii andare in bagno e dopo pochi minuti entrare nella stanza. Il tutto avvenne in un modo inconsueto, avvenne troppo velocemente. Io, silenziosa, per rendere plausibile il momento alle altre sere in cui tornava sul tardi, fingevo di dormire. Accese una abasciur. Fatto molto insolito per lui, soprattutto a quell’ora tarda in cui cercava di fare silenzio per non destarmi. Senza il minimo preavviso dispiegò di netto coperta e lenzuola scoprendomi completamente. A quel punto con una mossa simulata finsi di svegliarmi e con artefatta sorpresa gli chiesi: --ma che fai! sei impazzito-- non ebbi risposta. Un faro allarmante si accese nella mia testa. Il mio sguardo scivolò verso il basso e mi apparve minaccioso il suo dardo, scappellato, pronto per essere usato. Tanto duro e curvato verso l’alto da sembrare uno zucchino. Freddi ragni di panico mi corsero lungo la schiena. Nonostante la consuetudine del vederlo quel batacchio mi terrorizzò. Salì sul letto con una violenza strana, in tutto il tempo in cui avevo vissuto con lui non l’avevo mai visto così. Mi venne di sopra e rapido si cimentò nel togliermi le mutande. Sgomenta gli chiesi: --ma che, vuoi scopare?-- +a te cosa sembra? + Si insidiò tra le mie gambe e prima che me ne rendessi conto aveva già centrato la scriminatura tra le mie grandi labbra ancora gonfie. Ancora un battito di ciglia e l’ebbi tutto dentro.
Fatto che per lui dovette sembrargli una scioccante atipicità! Contrariamente alle altre volte in cui mi penetrava ignorando i preliminari, ovvero: me lo ficcava dentro “a secco” o quasi, centimetro dopo centimetro, spingendo con energica pressione e furiose scappellate. Era così che lui mi voleva e io, piacevolmente mi adattavo, anche se a volte dovevo medicarmi le abrasioni. Quella sera si inoltrò dentro senza alcuna difficoltà, con un unico affondo preciso. Ero così fradicia e sciorinata dal bellimbusto che mi aveva fatto il primo comizio d’apertura, che delle dimensioni del suo attrezzo ne sarebbero passati almeno due. Nonostante ciò avendo la tana abrasa, febbricitante dall’antefatto drastico stantuffamento, mi sembrò di essere invasa da un arma contundente. In quel luogo sotterraneo, attraverso la fessura, mi parve fosse entrato il ruggire del fuoco con tutte le sue fiamme ardenti. Di sicuro non era la prima volta che gli accadeva di trovarmi fluida, ma in quei casi ero legittimata in quanto gli amplessi erano il seguito di eventi eccitanti, come vedere insieme un film a luce rossa, o ludici e lussuriosi momenti trascorsi con amici. Riscontrandola -lubrificata - fu come se il mio corpo di donna mi avesse tradita. Non avevo previsto l’eventuale, -considerando l’ora,- improbabile sua esigenza di un amplesso. Mi ero persuasa di averla sfangata per non essere stata colta sul fatto, ma l’anomalia del suo comportamento mi paventava del contrario. Non riuscivo ad immaginare il movente della sua esuberante frenesia. L’incertezza mi inquietava e, un atroce perplessità mi era insorta. Mi spaventai del mio stesso dubbio. Conoscendo le mie inclinazioni e attitudini oltre alle zone erogene palmo a palmo, mi convinsi che egli cercasse un riscontro, ma non mi era ancora dato a sapere quale né per quale motivo, ma intuivo che lui aveva un atroce diffidenza. Aveva avuto l’input di un indizio che lo aveva istigato e audacemente cercava la conferma a quel dubbio amaro, quel sospetto che gli accendeva il sangue: in fondo anche le sante potevano avere il pelo sullo stomaco! Avrei preferito sapere che il suo umore brioso fosse generato da attrazione, invece supposi, temetti cercasse -la prova regina- e, la prova delle prove sarebbe stata l’inequivocabile pistola ancora fumante, - “la figa bagnata.”- L’unico riscontro che avrebbe legittimato i suoi timori, mentre io sarei stata incapace di fornire una spiegazione plausibile. Ancora non comprendevo in quale labirinto mi ero cacciata. Una dissonanza che metteva a nudo la mia inadeguatezza ai mercimoni. E le conseguenze le avrei pagate di persona. Sulla mia pelle per di più. Ma tutto era ancora aleatorio: c’era ancora spazio per l’illusione. Il cuore mi balzava nel petto. Stavo veramente male! Mentre io tra sospetto e ansia mi lambiccavo in questa serie di considerazioni, lui mi sbatteva in modo furente. Riscontravo in lui una foga inusuale alle sue ormai da me sperimentate e collaudate abitudini. Non avevo aperto le gambe alla pletora di abusivi privi di senso morale, i quali mi percepivano unicamente come oggetto da cui potevano trarre qualche soddisfazione e, al di fuori di quell’uso, scomparivano senza lasciare la minima traccia. Ero coinvolta con l’uomo con cui dividevo la sorte e con lui avrei dovuto continuare a dividere il letto di quella notte e la vita nei giorni successivi. Se non mi avesse strozzata pochi minuti dopo avermi scopata. Che ci potevo fare? Ero veramente accorata, ma mi sentivo innocente come il cinguettio degli uccellini sugli alberi. Il giudizio interiore era incline al senso di vergogna più che di colpa per una azione che avevo compiuto pur non volendola compiere, preda di una voluttà non ben definita. Tuttavia, i fatti dimostravano il contrario. Non mi restava che guardare dinanzi. Ardii dirgli con una supplica che avrebbe cavato latte da una roccia -- No! Non cosi!-- Come risposta mi mise una mano sotto le chiappe per tirarmi a sé in modo da potermelo infilare meglio, più in fondo, fino all’ultimo millimetro. Turbata, precipitata in un lago di sgomento sopportavo passivamente quello che sembrava essere più una punizione corporale che una fottuta. O forse erano i miei sensi di colpa a farmelo credere? No! Non era possibile dissimulare. Conoscevo abbastanza gli uomini per decifrarne il comportamento e se ne indovinavo il motivo lui diffidava che l’avessi tradito e ora stava duellando. Una competizione con l’altro passato di lì dentro poco tempo prima di lui. Una reazione a una pulsione insufflata dalla specie, gareggiare, azzuffarsi nella competizione data una mia possibile gravidanza, spargermi il suo seme dentro di me e spingerlo più in alto, più in fondo per arrivare prima e per primo germogliare. Non poteva sapere che non avrebbe mai potuto vincere la gara perché l’altro ce l’aveva almeno cinque centimetri più lungo e me l’aveva intrufolato direttamente nell’utero. Non conoscevo i suoi pensieri in quel nefasto frangente, ma di certo non si rendeva conto che il suo cazzo stava sguazzando come un pesce nella sborra dell’altro. Gli stavo infliggendo la più oscena, ripugnante, blasfema, infida azione che una donna potesse compiere nei confronti del proprio compagno. Mi sentivo una lercia fedifraga, avrei voluto dirgli che la mia era stata una incostanza senza alcun valore e non un tradimento. Ma i fatti avrebbero smentito le mie recriminazioni. Tuttavia continuai a starmene zitta e ansimante udivo il letto cigolare e la lettiera sbattere contro il muro, non ricordavo di averlo avvertito con tanto impetuoso ardore. E’proprio vero, pensai, che la gelosia è un potente afrodisiaco che fa ribollire il sangue. In preda all’eccitazione il desiderio sessuale aveva scatenato il suo appetito. Se non avessi avuto la coscienza tanto infangata non gli avrei mai permesso di penetrarmi in un modo tanto bestiale da degradarmi a un buco in cui sfogare le sue pulsioni animalesche. Il cuore mi rimbombava nel petto. Stavo davvero male. Ansimavo in cerca di aria. Il suo viso era una maschera da cui spuntavano due occhi ipnotici. --Dai fammi a brandelli,-- volevo dirgli. Invece sbuffavo come una vaporiera ma stavo zitta. Lo stomaco mi si era liquefatto. Lo scrutavo nella penombra, sembrava che gli dessi tanto piacere e avrei voluto condividerlo. --Dai sfondami- puniscimi- fammi male!-- Frase che non sono mai riuscita a realizzare se gliela dissi o se l’avessi solo meditata. Pompava su e giù con movimenti intensi, con i muscoli del viso contratto. Ogni tanto fermava la testa dell’ariete all’imbocco della caverna e poi lo spingeva di nuovo dentro con un colpo secco e un respiro profondo. Ogni secondo che passava lo sentivo sempre più intensamente, ma la carne si era troppo allargata e mi sembrava di non riuscire più a stringerla. Cercai di accavallare le gambe, ma il suo corpo inserito tra di esse me lo impediva. Rivelandomi stizzosa interruppe l’azione, di soppiatto mi ribaltò a pancia in giù e si inserì nuovamente tra le mie gambe. Allarmata, temetti la vendetta. Ho, povera me! Adesso per castigarmi mi deflora il culetto! Quando si dice il momento propizio! Bendisposta, strabuzzai gli occhi, strinsi i denti immolandomi a qualunque flagellazione mi avesse sottoposta. Ma lui non ebbe il gusto sottile di profanare nuove strade. Per quella sera aveva altre finalità: doveva gareggiare. Era impellente fecondarmi. E il proposito venne subito messo in atto. Per la espiazione c’era tempo. Prese un cuscino e me lo mise sotto la pancia, con le mani si aggrappò alle mie spalle e subitamente sondò, da dietro, con un percorso a zig zag il canale poc’anzi battuto affondando il nerbo duro fino a quando più non poteva nella voragine dolorante che avvertivo tra le cosce. Sentivo il membro in stato di violentissima erezione accelerare i colpi, andare sempre più rapido. In quella particolare evenienza mi si pose l’ambivalenza del dubbio: tra, il subire o il fare. Scelsi il fare. Tirai il muscolo allo spasimo, ma non ce la facevo, volevo acchiapparlo, agguantarlo ma mi scappava via. Mi dissi- tira, tira, dagli una bella strizzata - (CONTUNUA-4)




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