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Prime Esperienze

In vacanza, in spiaggia, leggo un libro (part 1)


di tamerlano_
10.08.2021    |    6.819    |    5 9.8
"Finalmente al riparo da qualunque sguardo, cedo alla curiosità e sfioro un capezzolo col dito..."
Su una spiaggia per famiglie come quella da sola non ci sarei mai andata. Normalmente.
Sono una ragazza socievole e sociale, ma anche timida. Per questo avevo accettato di fare quel viaggio in Salento con Tiziana: spigliata, simpatica, una PR mancata.
Avevo però sottovalutato che Tiziana è anche un animale da discoteca: la mattina è knock-out. Ma, per diamine, siamo venute al mare, ed io andrò al mare!

La spiaggia e’ affollata di tavoli, ombrelloni e bottiglie di te’.
All’arrivo, l’onda d’urto degli sguardi maschili mi investe mentre mi sfilo gli abiti di dosso sfoggiando il nuovo bikini rosso (non dovevo ascoltare Tiziana: quello slip risalta troppo il mio sedere).

Metto su gli occhiali da vista, prendo il mio libro e lo apro, cercando una posizione che non dia adito ad ulteriori voli pindarici delle numerose linee patriarcali tutt’attorno a me.
Sono una bella ragazza. Lo so. Non me ne vanto mai e non sono esibizionista. In genere non dò sfoggio delle mie curve, ma le tante ore in palestra ed un buon corredo genetico mi hanno regalato un sedere marmoreo che inevitabilmente attira più sguardi di quanto vorrei. Forse anche per via dei fianchi sottili e della linea arcuata della schiena, regalo, quelli, dei dieci anni di danza.
E poi il mio seno sta perennemente su, anche a 32 anni. Potrei tranquillamente fare a meno del reggiseno, ma lo uso lo stesso, perché i miei capezzoli tendono ad indurirsi facilmente e diventano troppo visibili, ingenerando vagonate di imbarazzo che mi fanno arrossire con una precisione snervante.
Ho il nasino all’insù, come in una canzone francese, lineamenti delicati, occhi chiari, capelli bruni ricci e pelle piuttosto scura. Più di qualcuno mi ha detto, pensando di adularmi, che somiglio ad un personaggio di Milo Manara e nel momento stesso in cui me lo hanno detto ho capito cosa sperassero di ottenere da me.

Ecco il motivo di quegli sguardi sincronizzati di due o tre generazioni di uomini, seguiti da gomitate e guardatacce da parte dell’intero sistema matriarcale che silenziosamente dirige queste province meridionali.

Quando, finalmente, l’entusiasmo del momento svanisce e mi sento meno osservata, mi rilasso in una posizione più comoda: seduta, con le gambe incrociate ed il libro posato in mezzo alle cosce, spalle incurvate, così che il mio largo cappello fornisca l’ombra che mi serve per leggere.
Alzo lo sguardo per guardare il mare ed incrocio degli occhi che continuano a scrutarmi da sotto l’ombrellone vicino. È un gruppo composto da più famiglie. Per farvi capire: donne robuste con braccia spugnose, gruppo di figli che va dai cinque ai venti anni, mariti in slippino ed addomi tanto rigidi quanto sformati.
Quei due occhi però no. Sopracciglia folte, pelle affumicata da un lavoro pesante, forse di muratore o da pescatore, sguardo torvo, poco incline al sorriso. Sopra i 50 anni sicuramente, ma con un corpo grezzamente asciutto, parzialmente coperto da una camicia sbottonata, sprezzantemente noncurante della situazione.
Mi mette a disagio, però mi incuriosisce per pochi secondi, fino a quando lo scavalco concentrando il mio sguardo sul mare dietro di lui, per poi tornare alla lettura.

Solo quando poso gli occhi sul libro mi accorgo che le mie cosce divaricate, complice lo slip scelto da Tiziana, hanno creato un effetto “sottovuoto” attorno al mio pube, quasi un camel toe. Allo stesso tempo, insinuandosi tra natiche e telo, quello slip può facilmente istigare la fantasia di un occhio più avventuroso. Improvvisamente sento il peso del mio seno posato pigramente sul ventre piatto e lo stridio della goccia di sudore che dalla fronte scivola rapidamente lungo il collo e verso la clavicola. Prego con tutta me stessa che non prosegua in mezzo ai seni, ma ovviamente va proprio lì.
Presa da quel panico che è preludio a me ben noto di rossore, getto gli occhi in avanti e trovo i suoi che non hanno smesso di scrutarmi per un solo secondo. E continuano. Quell’uomo non conosce imbarazzo o educazione. E la cosa peggiore è che la donna accanto a lui non osa nemmeno ribellarsi, ma si sforza di guardare altrove. Solo per un attimo concentra i suoi occhi ambrati e furiosi su di me, mentre i miei provano a scusarsi, ma ne ottengono solo una ruga in piu’ attorno all’ambra dei suoi e poi l’indifferenza.

Le mie mani si affrettano a rimediare. Infilo un dito dentro lo slip, lungo il pube, per staccare il tessuto dalla pelle. Ma sono un disastro: nel fare ciò non faccio altro che concedere agli occhi torvi di lui una sbirciata. Se stava guardando lì avrà sicuramente scorto le mie grandi labbra asciutte e richiuse su loro stesse, prima che lo slip ricomponesse il tutto.
Lo guardo. I suoi occhi sono esattamente lì in quel momento. Ma ora stanno penetrando i miei. Mi sento nuda. Lui lo capisce e li lascia scendere lascivamente lungo il mio collo, la clavicola. Li sento quasi sfiorarmi quando iniziano a scivolare in mezzo ai seni, raccolti verso il centro dalle mie braccia che tengono il libro in basso. Ora so con certezza che i miei capezzoli sono duri, così come so che lui li sta guardando.

Assorbita dall’intensità di quello sguardo non mi sono accorta che altri due occhi stanno strisciando lungo la mia pelle, come un rivolo di sudore che passando la solletica.
Sono quelli di un ragazzo di circa venti anni. Anch’essi torvi, accigliati, poco inclini al sorriso, ma spolverati con l’ambra della madre. Il ragazzo è seduto sulla sabbia, poco distante dall’uomo. È sicuramente il figlio. Un ragazzo di una bellezza intrisa tanto della brezza inebriante del mediterraneo quanto dell’afa bollente del Sahara.
Il suo corpo è asciutto, longilineo, più minuto di quello del padre, ma nerboruto e definito.

Mi sento schiacciata dalla loro attenzione insistente e spregiudicata.
Guardo in basso, ma i miei occhi, tradendomi, di tanto in tanto tornano a loro, li controllano. Sono inconsciamente terrorizzata dall’idea che uno di loro si alzi e si avvicini per trascinarmi via. Ho già appoggiato il libro sopra le cosce, per privarli di qualunque scusa per fissarmi.
Mi assale un dubbio, sposto lo sguardo oltre il mio naso: i capezzoli lottano contro il costume. Sono durissimi. Mi conosco, so bene che chi è al mio lato li può vedere sporgere vistosamente sotto il costume. Ma anche dal punto di vista dei due uomini di fronte c’è poco da immaginare. La luce zenitale del sole disegna un’ombra inequivocabile sul mio seno. Sussulto e nel farlo percepisco i capezzoli ormai sensibilissimi sfregare contro il tessuto.

Non reggo più questa pressione. Sono tentata di andarmene, non mi è mai piaciuto sentirmi “aggredita” dagli sguardi maschili, ma non voglio permettere a due incivili di rovinarmi quella bella giornata di mare.
Decido di andare in acqua.

Nel sollevarmi sento lo slip di nuovo incollato alla mia pelle. Ed al mio pube. Maledetta Tiziana!
Cammino rigida verso il bagnasciuga.
Non devo sculettare! Non devo sculettare! Non devo sculettare!!!
E maledetta danza anche!

Entro in acqua senza testarla. Rabbrividisco.
Finalmente al riparo da qualunque sguardo, cedo alla curiosità e sfioro un capezzolo col dito. Non l’ho mai sentito così duro e non capisco perché’. Quel tocco ridicolo lo ha quasi fatto pulsare.

Devo nuotare. Voglio stare lontana da tutti.
Quando finalmente sono al largo mi posso rilassare. Allargo le braccia, lascio che il sole mi abbracci come nessun amante sa fare. Lascio che i miei arti si stacchino dalla postura rigida che il mio senso di decenza gli impone. Le braccia si allargano, le gambe si divaricano.
Sorrido.
Lo slip insiste con quell’aderenza così sconveniente al mio pube. Normalmente non mi piace perché’ mi rende troppo consapevole del mio corpo, ma per una volta lo assecondo. È quasi come stare nudi, con la differenza che il tessuto elastico, aderendo alla ruvidità della rasatura recente, impedisce alle labbra di dischiudersi.

Ma perché’ penso ancora a quegli occhi? E perché’ quegli occhi si stanno trasformando in mani nei miei pensieri? Perché’ i miei capezzoli sono ancora così duri?
Mentre lo penso la mia mano sale verso il bikini per sfiorare quella sporgenza turgida. Solo un attimo, per vedere se provoca lo stesso brivido di prima.
Nel farlo le mie palpebre si contraggono, un brivido percorre l’arco della schiena fino alle natiche e più giù, la mia mascella trema ed i muscoli della mano fremono. Devo impedirle di proseguire verso il basso. Il mio labbro inferiore sparisce tra i denti.
È in quel momento che sento un tocco lungo il fianco. Quasi affogo per lo spavento, inizio a divincolarmi, pensando di aver sbattuto contro qualche creatura acquatica. Ma più mi divincolo più scivolo nella sua morsa, finche’ sento una voce che mi dice di calmarmi, che “non è niente”. L’accento è forte e sa di tabacco.
Solo allora mi rendo conto di ritrovarmi nell’abbraccio di qualcuno che mi cinge da dietro, tenendomi a galla. Non ho bisogno di guardarlo. So chi è.

“Ok ma lasciami ora”.
Le mie gambe non stanno facendo alcuno sforzo per nuotare. Bastano le sue braccia.
Sento invece le sue gambe muoversi con forza controllata.
Lotto per un po’, cerco di divincolarmi, ma lui non molla la presa.
“Tranquilla, sei al sicuro”.
La pelle liscia di lui sembra cromata dal mare, è vellutata quasi come i suoi occhi chiari.

Noto il suo braccio asciutto che mi tiene con delicatezza e fermezza cingendo il mio ventre, giusto sotto il seno. Il bikini si è un po’ spostato, svelando la linea bassa dell’abbronzatura. I capezzoli, spinti in alto dalla pressione del braccio, sono come piccoli coni d’incenso che bruciano sotto il tessuto.
Smetto di lottare, la mia voce recupera la naturale dolcezza.

“Ti ringrazio. Scusa mi sono spaventata”.
Non risponde.
“Puoi lasciarmi andare ora, so nuotare”.
Le mie parole escono lentamente. Sempre più lentamente, mentre prendo gradualmente coscienza dell’erezione che spinge contro il mio sedere. L’ultima parola che pronuncio è un sussurro, accompagnato da una sua mano che aderisce alle mie costole, percorrendole verso l’alto, insinuandosi sotto il bikini, fino al capezzolo.
Sussulto con imbarazzo, tirando in su il mento. Non c’è resistenza nella mia reazione. Dal capezzolo si irradiano scosse che raggiungono ogni centimetro della mia pelle.
Allento i tendini, lascio che il mio sedere si poggi su quell’erezione portentosa che lo brama.
Gemo.

Poi però mi riprendo.
Metto a fuoco la situazione. Sono una ragazza di trentadue anni e lui è un ragazzino di venti che mi ha teso un’imboscata. Non sarò una delle turiste arrapate che si fanno scopare per hobby.

“BASTA”, lancio una gomitata patetica dietro di me.
“Lasciami o ti denuncio. Per chi mi hai presa?”. Ricomincio a divincolarmi, so che così rischio di spingere entrambi sul fondo, ma non mi interessa. Non posso sperare che qualcuno ci veda, la corrente ci ha spinti dietro un gruppo di rocce.
Più mi divincolo, più le sue mani mi toccano. Non è lui che si muove, sono io, ma non me ne rendo conto. Lui è stabile, imperturbabile, lascia che il mio corpo porti le sue mani dove io non le vorrei. È così che in pochi secondi sono sui miei seni, il bikini completamente fuori posto, il mio sedere ripetutamente “colpito” dalla sua verga. Basta che una sua mano si riassesti scivolando più in basso perché’ si trasformi in una morsa strettissima attorno al mio bacino, che mi tiene ancora di più pressata contro il suo corpo, ancora più spinta verso la sua erezione. Inizio a sentirla distintamente battere tra le mie natiche. Credo che il movimento l’abbia liberata dal boxer. Credo di sentire la cappella liscia che sfrega contro il mio interno coscia.
Ora contro la mia vagina.
Urlo senza emettere suoni.
Lotto senza liberarmi.
Resisto senza smettere di bagnarmi dentro.
Sono fuori di me. E non mi rendo conto che non sto lottando affatto, ma che invece il mio bacino sta cercando quel contatto, la mia bocca sta pregando di lasciarmi ma gemendo, le mie mani lo spingono via afferrando le sue gambe ed i suoi glutei.
So che sto iniziando ad arrendermi ed è proprio in quel momento che le dita di lui scivolano piano dentro i miei slip, sulla mia vagina.
Solo quando lui ci scivola dentro mi rendo conto di quanto fossi bagnata. Probabilmente ho iniziato a bagnarmi già in spiaggia.
Le mie gambe si abbandonano indietro. Le sue ci tengono a galla e nel farlo fanno muovere con voluttà il suo pene tra le mie natiche.
Mi tocca benissimo, senza la fretta dei ventenni. Le sue dita non cercano di penetrarmi, cercano il mio clitoride, usano i miei fluidi per contrastare la salinità secca del mare. L’altra sua mano si dedica ai miei capezzoli, sembra aver capito che posso impazzire se un uomo ci gioca in quel modo.

Mi sto trasformando in una di quelle troie che si fanno scopare da uno sconosciuto, ed in una situazione ambigua come quella oltretutto.
Ma qualcosa sta sbocciando dentro di me. Cerco di ricacciarlo indietro, ma più sento il mio corpo cercare il suo cazzo, più quel pensiero si innesta nella mia testa: ho bisogno di sentirmi troia.
E come se non bastasse, si insinua la fantasia di altre due mani che si uniscono al festino che si sta facendo su di me. Quelle del padre.
Il ragazzo mi fa stendere sul pelo del mare. Mi ruota in modo che la sua testa sia tra le mie gambe. Mi dice di scostare il costume. Le mie dita fanno scivolare il tessuto al di là del monte di venere, sento quasi la mia vagina respirare al contatto con l’aria.
Inizia a leccarmi, mentre le sue possenti braccia mi tengono a galla, scivolando sotto il mio culo e la mia schiena.
Il piacere che provo è subito fortissimo. Mi inarco per permettergli di scivolare in me. Stringo la sua testa. Dopo aver giocato col mio clitoride rendendolo durissimo, sento la sua lingua penetrarmi e muoversi dentro. Mi sta divorando la fica.
Sto per godere. In qualche modo il suo labbro superiore mi sta scopando il clitoride.
Gli vengo in bocca, urlando. E mi rilasso in quella posizione per qualche secondo.

La sua lingua però rimane lì.
Mi sta concedendo un po’ di tempo per recuperare fiato. Poi sento lentamente, quasi impercettibilmente, quel corpo mellifluo riprendere vita dentro di me. Come se si stesse gonfiando mentre scivola fuori dalla mia vagina, per sciogliersi pigramente tra le mie chiappe. Le sue mani si allargano sotto di me, una si muove in basso, verso il mio osso sacro, scivola tra le natiche e due dita le allargano, permettendo alla lingua di insinuarsi.
Inizia a darmi dei colpetti sul buchetto. Mi congelo. Non l’ho mai concesso a nessuno.

Ma qualcosa è irrimediabilmente cambiata in me. Mi rilasso, assecondo la punta di quella lingua indiscreta. So che sono completamente in balìa della corrente che mi ha travolta.
So che non sarei in grado di negargli nulla.
Madonna quanto mi fa sentire eccitata anche soltanto l’idea di quella lingua che sta spingendo per entrare nel mio culo! Sento che farmi riempire dietro potrebbe persino farmi venire in questo momento.
La mia fica ricomincia ad inondarsi.
La sua bocca si stacca da me: “apri il culo”.
Resto a galla soltanto grazie al suo sostegno, non ho bisogno delle mie braccia per farlo. Le porto dietro di me, affondo le dita nella carne soda delle natiche e le spalanco.
“Continua, leccami, ti prego”.

La lingua passa dalla mia fica, la assaggia ancora un po’, poi torna al mio ano.
Percepisco la sua eccitazione montare, la sua lingua si muove più disordinatamente, passa dall’ano alla fica con lunghe leccate che mi fanno sentire tutta la ruvidità di quel mollusco rigido che mi penetra con eccitazione animalesca.

Poi improvvisamente mi tira giù, in posizione verticale. Il mio volto contro il suo. Ora la sua lingua mi scopa la bocca.
Poi fissa i suoi occhi nei miei “prendilo in bocca”, e senza dire altro inizia a spingermi la testa in basso, trattengo il fiato e scendo a prendermi quel cazzo poderoso che mi aspetta da sempre negli abissi delle mie fantasie più sudicie.
Le sue mani spingono in basso la mia testa, mentre gli permetto di penetrarmi la bocca e scoparmela per tutti i secondi concessi dalla mia preparazione atletica.
Lo rifa’ per tre volte, poi il mio fiato comincia a mancare.
Allora mi afferra la vita e porta la mano sotto il mio culo. Mi spinge due dita nella fica facendomi sussultare. Le muove benissimo. Entrambi facciamo con le gambe quello che dobbiamo per restare a galla.

Ma ad un certo punto non basta più.
Riporta un dito verso il mio ano e mi sussurra “Lo voglio”. Mi prende la mano ed inizia a nuotare verso quelle rocce che ci nascondono dal mondo.
Si mette spalle contro uno scoglio, arpionandolo con le mani. Ormai so benissimo cosa fare. Gli scivolo lungo il corpo, lui si stende orizzontale. Il suo cazzo è ancora più grosso di quanto avessi percepito. Lo voglio con tutta me stessa. E lo prendo, nella mia bocca, che non dice parolacce, che non parla mai male della gente, che non ride mai sguaiatamente, che è stata addestrata a non avere inflessioni sgradevoli, che ho coltivato come un tempio.
Le mie labbra prima e la mia lingua poi lo assaggiano, aspirando tutta l’aria che glielo contende. Quando la cappella è completamente avvolta e la punta della lingua inizia a girarci attorno la sua testa si abbandona indietro. Poi lo lascio scivolare interamente nella caverna della mia bocca. Faccio fatica, ma lo lascio arrivare fin dove riesco.
E’ a quel punto che il suo bacino inizia a muoversi. I ruoli si sono invertiti, non sono più io che gli succhio il cazzo, è lui che mi scopa la bocca. Quasi soffoco, ma non posso sottrarmi, non voglio. Vorrei solo potermi toccare la fica che ormai sta impazzendo.
I suoi movimenti si fanno spasmodici, vedo il suo addome ed i suoi pettorali contrarsi, la sua bocca spalancarsi. È il tripudio del fiotto caldo che mi esplode in bocca. Seguito da un altro e poi un altro.
Quella bocca educata al contegno è ora piena della sborra calda di uno sconosciuto. E quell’idea, che solo mezz’ora fa mi avrebbe fatta inorridire, mi eccita da morire. Non ne lascio uscire una goccia ed anzi continuo a succhiare quel cazzo come se fossi un’assetata nel deserto e quella fosse l’unica fonte di sostentamento.
Il suo corpo è percorso da spasmi. Lo spingo a fondo e con esso tutta la sborra che ne è uscita. Ingoio tutto. Sono una troia. La sua troia in questo momento. E l’ultima goccia che riesco a spremere sancisce questa verità definitiva.

Lo guardo, per la prima volta. Lui mi guarda. È davvero soltanto un ragazzino. Eppure, è il primo uomo che sia riuscito a spogliarmi così.
Credo di avere ancora un po’ della sua sborra attorno alla bocca. Lui la sta guardando.
Scorro lungo il suo corpo col mio, mi appoggio al suo petto. Sono esausta.
Rimaniamo così per qualche minuto, senza parlare.

Poi mi torna in mente che quell’enorme proboscide è stesa proprio in mezzo alle mie gambe. L’idea mi cavalca la testa come una mandria di purosangue. Il mio bacino si muove impercettibilmente per prendere consapevolezza di quel contatto. È proprio lì, tra le mie cosce, proprio sotto la mia vagina. Basta quel movimento per ridestarlo, lo sento svegliarsi dal suo brevissimo torpore. Si muove lungo la coscia sinistra. Il movimento del mio fianco ora cerca un contatto qualunque con il mio clitoride. Lo strofino contro il suo addome, mentre quella cosa in mezzo alle mie gambe si fa cazzo di nuovo. Mi stringo per avvolgerlo con le cosce, lui lo muove in alto, poi in basso, avvolto dalla mia carne da un lato e dalla mia fica dall’altro. È sinuoso mentre mi scopa senza penetrarmi, lo sento scivolare sempre più facilmente. Devo averlo bagnato.
Mi dice “ricordi cosa ti avevo detto che volevo?”. Lo guardo senza rispondere. Sono vergine lì, avevo fatto un piano ben circostanziato per restarlo, fatto di retaggi cattolici, stima di se’ e teorie sull’emancipazione femminile. Ma lui non ha bisogno di una risposta. Mi fa scivolare sotto di lui ed in un attimo mi ritrovo faccia contro gli scogli, avvinghiata alla roccia con lui dietro di me. Cerco un appiglio per i piedi. Le sue mani si appoggiano a fianco alle mie, sono nella sua morsa ora. Per un attimo penso di ribellarmi, non ho mai dato il mio consenso dopo tutto, ma la mia voce evapora quando quel cazzo possente colpisce la mia fica bagnata. Ho bisogno di essere scopata più di qualunque altra cosa. Muovo il mio culo per cercarlo. Le sue braccia scivolano sotto di me, permettendomi di liberare una mano ed andare a cercarlo, per ficcarmelo dentro. Dopo l’iniziale resistenza dovuta al salmastro dell’acqua, entra subito nella mia fica, anche lui sembra avere ancora più voglia di prima. La sua asta sfila in me come una parata che non finisce più. Mi riempie come non aveva potuto fare con la mia bocca.
“Gesù santo” mi esce dalla bocca.
In un attimo mi ritrovo ad essere montata come una vacca.
“Scopami… riempimi… più forte… ti prego scopami”… non sembra nemmeno la mia voce quella che sento.
Poi lui “Ammettilo che sei una troia”.
Le sue parole infilzano la mia sensibilità, ma la voluttà sovrasta tutto.
“Si’, scopami come una troia. Scopami”.
Ancora lui “La MIA troia… dillo”.
“Sono la tua troia, cavalcami come una troia, ti prego, voglio venire di nuovo”. In quel momento un pensiero attraversa la mia testa: il cazzo del padre che mi ammutolisce entrando di forza nella mia bocca.
E vengo. Di nuovo, contraendo la mia schiena e spalancando la bocca, come ad accogliere quel cazzo che non c’è.
Lui continua a montarmi e proprio mentre mi rilasso tira fuori il cazzo dalla mia fica ed inizia a spingermelo nel culo. È così carico dei miei fluidi e così perfetto il tempismo che la cappella entra subito.
Urlo, più per la sorpresa forse.
“No fermo, lì no, non puoi”. Ora sono agitata, sento che la situazione sta sfuggendo di mano. Lui si ferma, ma non sfila la cappella dal mio culo.
“Ora sei la mia troia, non dimenticarlo”. Mi quieto anche io, sento quell’enorme cappella stirarmi l’ano. Una sua mano raggiunge il mio seno, lo avvolge, lasciando il capezzolo spuntare tra due falangi. Lo strizza.
“È così che io scopo la mia troia”. Lo sento scivolare piano dentro il mio culo. Non voglio, ma mi piace. Mi rilasso, lo faccio entrare.
“Ora sì che saprai cosa vuol dire essere scopata”.

Mi sto facendo scopare il culo. E non l’ho neanche chiesto.
Ma sento l’estasi che arriva e parte proprio dalla fica. Mi muovo anche io, ne voglio ancora. È proprio vero, che troia che sono. Non so come mi sentirò domani, ma ora ho solo bisogno di essere sfondata.
Quel cazzo mi allarga e quando affonda colpisce anche le pareti interne della fica. Spingo il culo indietro per favorire quel contatto, sono completamente aperta, mi sta montando come un dio.
“Cosa sei?”, mi chiede.
“Una… t…ro…iuaaaa”.
“Di chi?”
“Tu…uaaa… TUA! Scopami, sfondami… sfondami il culo ti prego non resisto piu’ scopamicomeunatroia…fammisentiretroia…nonresistovengovengovengooooooo”.

Ed è stato così che ho scoperto cosa sia davvero il sesso ed a cosa serva: a riconnetterci con la parte primitiva di noi stessi, a ricordarci cosa siamo al netto della civiltà che ci siamo incollati addosso.
Mentre vengo sento il mio culo riempirsi di sborra. Non voglio più rinunciare a quella sensazione calda, densa, avvolgente, piena. Mentre viene lui molla gli scogli e mi stringe a sé, strizzandomi le tette. Ci rotoliamo nell’acqua, annaspando, trattenendo il respiro. Gli ultimi colpi nel mio culo me li da’ mentre siamo in balìa della corrente, ma non ci interessa. Esplodiamo entrambi completamente avvolti dall’acqua e continuiamo a rotolare per un po’. Poi sento il suo cazzo abbandonare il mio culo.

Non ci sono troppe parole dopo, lui mi dice solamente “Brava”.
Poi io torno a riva, lui rimane lì.
Quando attraverso il pezzo di spiaggia che mi separa dalle mie cose passo affianco al padre. I suoi occhi mi seguono come un faro. Arrivo al mio telo, mi siedo, senza preoccuparmi troppo dei movimenti, metto il cappello, raccolgo il libro, lo apro, alzo lo sguardo.
Il padre mi sta scrutando con fare indagatore. L’occhiata che gli rivolgo parte dal basso e non è diretta, sento il rossore diramarsi attraverso i capillari delle mie guance, i capezzoli sono ancora duri e sensibili, le mie labbra si chiudono colpevoli.
I suoi occhi mi dicono che hanno capito.
Questa volta sono io che sposto lo sguardo in basso. Il suo boxer rivela un gonfiore interno che mi fa ripensare al figlio. I miei capezzoli sono scossi da un brivido.
L’uomo si alza. Mi guarda ancora, poi comincia a camminare allontanandosi dal mare. Oltre le dune c’è una pineta.
È vero, sono proprio una troia.
Ma ora so che non posso essere la troia di un ragazzo di venti anni.

[Continua… forse].
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