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Prime Esperienze

La solita puttana russa


di amorepassailguanto
02.10.2024    |    45    |    0 6.0
"101 era il numero dell'autobus che doveva prendere..."
Il suono dei messaggi avvertì Dorotea che ne era arrivato uno. Lei posò la tazza con il cappuccino, prese il telefono e lesse: 101, 7, 14, 18:56. Senti che la fica stava reagendo come al solito senza chiedere permesso e decise di sedersi nel bar per conoscere la nuova situazione creata da quei numeri.

Si fece dare una cassatina di un bel colore verde e andò a sedersi su un tavolo appartato, da dove poteva vedere la gente andare e venire sul marciapiede senza che nessuno facesse caso a lei. Sedendosi, senti l'umore caldo che aveva iniziato a raccogliersi nell'assorbente. Mise in bocca un cucchiaino di quella meravigliosa ricotta dolce e tornò a leggere il messaggio.

101 era il numero dell'autobus che doveva prendere. 7 il numero della fermata alla quale lui sarebbe salito. 14 il giorno e 18:56 l'ora. Lei era libera di salire a una fermata precedente. Tutto il resto era già deciso. I vestiti che avrebbe indossato li aveva scelti Gilberto, il suo lenone sessantenne, nel suo armadio qualche giorno prima: una tunica di lino bianco, una specie di camicia da notte aperta davanti. Sopra, un cardigan di lana a maglia, lungo quasi quanto la tunica. Sopra, un trench militare. Occhiali scuri e un fazzoletto da testa. Scarpe con tacco da 4 centimetri, calze, reggicalze e niente altro. Soprattutto niente mutande.

Dorotea non è una donna qualsiasi. È nata a Tver, sulla strada che da Mosca porta a Sanpietroburgo. Ha frequentato le scuole sovietiche e ha un'ottima cultura. Ha studiato danza classica, pianoforte e, all'università, medicina. Ha un fratello sotto le armi, genitori ormai anziani e, a Mosca, un ragazzo con una barba nera da Rasputin e un gruppo di amici del tempo dell'università. Quando una amica le ha detto che in Italia c'era modo di fare parecchi soldi vendendo la sua bellezza e che, se interessata, sapeva a chi rivolgersi, non ci ha pensato per più di una settimana. Così ha fatto una borsa delle sue cose, riservato un bed and breakfast e telefonato a Gilberto, un architetto di una certa età, ben introdotto a Bologna. Nel primo week-end aveva messo insieme circa seimila euro facendo l'amore sette volte con sette persone diverse, tutte di alto livello sociale.

I genitori avevano capito presto la piega presa dalla sua vita. Non le rimproveravano nulla, ma qualche volta rimanevano silenziosi, fra le foto dei loro genitori, i nonni di Dorotea, e dei parenti vivi e scomparsi. Quando tornava a casa la accoglievano con affetto immutato anzi con una premura seria e un po' triste. I soldi che ogni volta Dorotea lasciava nel cassetto della cucina servivano alla famiglia. Solo una volta che lei era presente con il fratello più piccolo, in un giorno di parata, il padre uscì di casa bruscamente, senza salutare nessuno, quadrato, insaccato nell'uniforme coperta di medaglie, duro come il manico di una scure.

Avrebbe ricevuto per la sua prestazione la somma di ottocento euro in una busta chiusa da un certo venditore di vino al minuto, e quello sarebbe stato il segno di accettazione. Perplessa si avviò a piedi verso il vinaio. Non sapeva chi sarebbe salito sull'autobus. Sapeva solo che doveva restare ferma e lasciarsi toccare, come se l'incontro fosse casuale. La cosa sarebbe finita quando il cliente si fosse allontanato o, al massimo, al capolinea del bus. Avrebbe deciso il cliente come continuare la cosa. Lei aveva ricevuto un paio di indirizzi di alberghi dove poteva portarlo. Gilberto pensava a tutto. Si fermava a guardare le vetrine e a pensare cosa avrebbe potuto comprare con gli ottocento euro, che poteva avere tutti gli uomini che voleva e che quella proposta era forse un po' strana. Ma nemmeno tanto, la cifra era buona e la pena poca. Così da un negozio all'altro arrivò dove c'era la busta magnetica. Il vinaio sapeva ormai qualcosa di lei e della sua storia, la riceveva con premura e rifiutava ogni volta qualsiasi pagamento delle sue consumazioni. Sorridendo Dorotea prese la busta e se la mise in borsa. Poi bevve la sua aranciata, sorrise e uscì.

Verso le 18:30, dopo una doccia lunga e calda come una sauna e la cura del corpo che le permette di decidere della sua vita, andò al capolinea del 101 nell' autostazione, fredda come una trota nella giornata piovosa. Aveva avuto il suo compenso in anticipo e si sentiva impegnata, ma non trovava la cosa in sé attraente e sperava che si risolvesse presto. Una fermata prima di quella indicata andò nello spazio dei passeggeri in piedi e si attaccò al mancorrente in alto, sollevando il seno e appoggiando la testa al braccio sinistro. Fuori era buio e freddo e c'erano parecchi passeggeri in piedi. Alla fermata concordata cercò di vedere chi saliva. Una coppia di filippini sui quarant'anni non lontana si mise a baciarsi un modo spudorato. Lei aveva l'aria di una domestica grassoccia. I suoi denti d'oro luccicavano quando infilava con visibile eccitazione la lingua in bocca al suo amico.

Dorotea non sapeva niente del "cliente" e provava una sensazione di schifo per tutti gli uomini presenti, sperando vivamente che quello che aspettava almeno si lavasse e non avesse il fiato troppo pesante. Rimase in piedi un po' inquieta fino alla fermata successiva, dove una nuova umanità salì e scese dalle porte automatiche. Qualche minuto dopo si accorse che qualcuno la stava osservando. L'uomo era a un paio di metri di distanza, con i capelli e una corta barba brizzolata, alto, largo, vestito in modo impeccabile. La mano sinistra era guantata di cinghiale e si teneva anche lui al mancorrente. Il suo sguardo era inequivocabile, era lui. Ma si era tenuto lontano. Lei lo guardò fissò e lui ricambiò lo sguardo, in un modo tale che Lei di sentì rassicurata. Ora cominciava il lavoro.

Restarono a guardarsi fino alla fermata successiva. Di nuovo salite e discese. Dorotea non sapeva che fare, mentre l'autobus rotolava nella notte. Si mosse lei, un po' per schermare l'insicurezza è un po' per curiosità. Anche lui aveva guardato la coppia dei filippini e subito era tornato a guardare Dorotea con una espressione enigmatica. Ormai erano vicini, ma l'avvicinamento era stato insensibile, come spinto dalla folla e non voluto dai due. Le porte si riaprirono e il flusso dei viaggiatori li avvicinò ancora di qualche centimetro. Dorotea sentì il profumo dello sconosciuto e il calore del suo respiro. Le sembrò che anche lui, più alto, stesse respirando la sua aura. Ormai si guardavano fissi. I loro corpi e le braccia attaccate al mancorrente si toccarono. Lei decise di lasciarsi andare, e senti la mano di lui che aveva iniziato a percorrere il suo corpo lentamente, come una lunga, non sgradevole carezza. Era moderatamente eccitata. Si sorprese a desiderare che l'uomo fosse più audace. Cercò di trasmettere questo desiderio alle dita che in quel momento esploravano il cavo della sua ascella sinistra, il seno e il suo capezzolo indurito e sensibile. Riaprì gli occhi e vide lui guardarla con uno sguardo dolce e sempre enigmatico. Quel gioco le stava piacendo e decise di incoraggiarlo, allontanandosi un poco prese la mano di lui e senza sapere bene come la indirizzò un po' più in basso, guardandolo fisso. Molto lentamente, indugiando sulle sue curve disponibili sotto la morbida tunica di lino, eccitandola sempre di più, la mano dell'uomo arrivò finalmente alla vulva e la prese tutta, come la femmina di un animale prende il suo cucciolo. Dorotea ebbe un sussulto. Era eccitatissima e non se ne era accorta. La situazione strana, la gente intorno, la filippina che si faceva succhiare la lingua a un metro da lei, quel bizzarro signore delicato e gentile l'avevano distratta da sé stessa, lei sempre così vigile. Il clitoride era gonfio come una ciliegia. Spremuto dalla mano dell'uomo il suo umore le scolava copioso giù per le gambe. Ebbe una, due contrazioni e le salì dal ventre una specie di urlo rauco che cerco di soffocare nella sciarpa di cashmere di lui mentre squirtava tremando tutta e lasciando cadere la sua pozzanghera sul pavimento bagnato.

Nessuno fa caso a loro avvinghiati appesi al mancorrente del bus, che ora rulla tranquillo sulla via Emilia in direzione di Imola. Sono scesi quasi tutti. Solo la filippina si è accorta dei loro maneggi e ora le lancia uno sguardo complice, facendole vedere come infila la lingua nella bocca del suo amico, dall'aspetto un muratore, al quale da un po' sta accarezzando con forte sensualità il cazzo da sopra ai jeans sdrusciti e sporchi. Vedendola, e sentendosi molto più in pace con se stessa di quando era salita, anche Dorotea, passato qualche momento per riprendersi dall'ultimo orgasmo cerca il cazzo del suo compagno di viaggio. Se chiede se anche lui è venuto. Mentre lei squirtava lui ha fatto una specie di singhiozzo. Ora i loro due corpi aderiscono l'un l'altro. Lei ha lasciato il mancorrente dell'autobus e si è come nascosta sul grande corpo del suo cliente, in modo da permettergli di toccarla come voleva. L'uomo è pulito, i vestiti, tutti di qualità, hanno un'ombra di acqua di colonia. Il fiato è gradevole, maschio. Lei comincia ad accarezzarlo come aveva fatto lui con lei e sente la sua mano risalire lungo la sua schiena fino a prenderle la testa come le aveva preso la fica venti minuti prima. Le dita che si allargano sui suoi capelli ricci hanno qualcosa di protettivo. Lei si sente bene. Allunga la mano in basso. Sente qualcosa di duro e di morbido. Alza il mento piegando il collo per guardare la sua faccia, ora vicinissima, e lui mormora sillabe dolci, familiari.
-Di dove sei?
Lui sorride e, con la sua grande mano, la allontana un poco per vederla meglio. Lei è bellissima in quel momento, che vive in pieno.
-Where are you from?", ripete in inglese.
-Sanpietroburgo, dice lui nella loro lingua materna.
Questa scoperta non cambia il suo cuore. Pensa che le è capitato un oligarca e non sa se è meglio o peggio di uno dei soliti ricchi. Trova lo zip della patta lo fa scorrere verso il basso. Spinge le dita sotto l'intimo e non trova quello che pensava. Ci sono i testicoli, c' è la solita peluria, ma in mezzo una specie di cosa corta, tozza e dura, che non sembra un cazzo. Dorotea guarda l'uomo in modo interrogativo.
-Voina, dice lui.
Lei scoppia in lacrime.

(NDA: “voina” in russo vuol dire “guerra”)
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