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Prime Esperienze

Martina la puttanella


di Membro VIP di Annunci69.it Angel1965
22.04.2025    |    4.378    |    1 9.5
"Lei spalancò la bocca, ma non per urlare — per godere..."
Era notte fonda, e il silenzio del residence collinare sul lago era rotto solo dal fruscio del vento tra i cipressi e dal lieve sussurro dell’acqua, lontano. Avevo lasciato la finestra aperta apposta. Mi piaceva il contrasto: la calma fuori, il fuoco dentro.

Martina – Kanty, come l’avevo ribattezzata la prima sera in quel locale di Piacenza – era lì, in piedi al centro della stanza, con addosso solo una maglietta mia, troppo lunga per essere un top, troppo corta per essere decente. E senza nulla sotto. Nulla.

Mi guardava con quel suo sorrisetto da dannata, quella fame negli occhi che conoscevo bene.

«Hai voglia, puttanella?» le dissi piano, senza muovermi. Lei annuì, lenta, le labbra leggermente socchiuse, le cosce strette, quasi a trattenere tutto il desiderio che le stava scoppiando dentro.

«Sempre, Angelo. Fammi male.»

Non servivano altre parole.

In un istante le fui addosso. La maglietta le volò via come uno strappo nel buio, e le sue mani cercarono il mio corpo come se lo avessero aspettato per giorni. Le afferrai i polsi e la spinsi contro la parete fredda, la pelle sua bollente a contrasto con la pietra viva del muro. Lei gemette, e non smise più.

Le aprii le gambe con un gesto deciso, mentre la mia voce, roca, le ordinava: «Tienile così. Non chiuderle. Se lo fai, ti punisco.»
«Puniscimi comunque…» sussurrò lei, sfacciata, bagnata, già completamente persa.

E io la presi lì. In piedi. Senza grazia. Senza lentezza. Con tutta la forza e il bisogno che avevo accumulato da quando era entrata in quella casa. Le presi il collo con una mano, la tirai indietro mentre la scopavo con una foga primitiva, animalesca. Lei gemeva il mio nome, alternandolo a insulti dolci e sporchi, mentre le sue unghie cercavano pelle da incidere.

«Sporcami tutta, Angelo… scopami come non ci fosse un domani… come se fossi solo tua.»

E quella notte, lo era.
Le sue parole mi rimbombavano ancora nelle orecchie: “Sporcami tutta, scopami come se fossi solo tua”. E io glielo stavo dando. Tutto. Senza limiti. Senza freni.

Martina – Kanty – aveva le gambe tremanti, ancora aperte contro quel muro, il fiato spezzato, le mani che cercavano qualcosa a cui aggrapparsi, ma non c’era nulla tranne me. Solo me. La sua dannazione e la sua salvezza.

Ogni colpo che affondavo in lei era una scossa. Il suo corpo sussultava, la pelle madida, i capezzoli tesi. Le presi il viso tra le mani, la guardai dritta negli occhi mentre le davo l’ultima spinta, quella che la fece urlare.

«Vieni, puttanella. Fammi sentire come godi.»

E lei venne.

Urlando.

Inarcando la schiena come posseduta, stringendomi con le gambe, bagnando tutto. Un’ondata, una tempesta, un’esplosione. Il suo corpo tremava sotto il mio, il respiro spezzato da singhiozzi di piacere, le unghie affondate nella mia schiena. Era devastata, disfatta, bellissima nella rovina.

«Così, sì… scopami ancora… fammi venire come se non ci fosse un domani…»

Io non mi fermai.

Volevo sentirla gocciolare di piacere, volevo scavarla dentro finché non mi supplicava. Ma lei non supplicava: incassava tutto, rideva, si contorceva, e veniva ancora.

Più tardi, a terra, sul tappeto, con le gambe ancora aperte e il corpo tremante, mi guardò con un sorriso stanco e sporco.

«Mi hai svuotata, Angelo. Sei un fottuto dio.»

Era lì, a quattro zampe sul tappeto, il culo alzato e l’anima già pronta a essere profanata. Kanty, la mia puttanella. Aveva appena finito di venire, il corpo ancora tremante, ma me lo offriva lo stesso, quel culo perfetto, lucido, provocante, sporco nel modo più sacro.

«Adesso mi scopi dove voglio io, Angelo. E sai benissimo dove.»

Non servivano parole. Solo saliva, dita, e il mio cazzo già duro che pulsava per entrare dove sapeva di poterle strappare un altro urlo.

La presi con forza, affondai lentamente, facendole sentire ogni millimetro. Lei spalancò la bocca, ma non per urlare — per godere. E mentre mi facevo spazio dentro di lei, sentivo il suo corpo arrendersi, aprirsi, accogliermi. Era stretta, calda, viva.

«Senti come ti prendo, puttanella… questo è tutto tuo.»

«Sì… scopa il mio culo, Angelo… fammelo esplodere… voglio venire di nuovo, voglio venire solo così!»

E lo feci.

Le presi i capelli, la schiena, i fianchi. Le spinte diventavano più forti, più veloci, mentre il suo respiro si faceva affannoso e il suo culo mi stringeva con una fame disperata. Lei veniva, io venivo. Un piacere che ci travolse insieme, animalesco, totale, distruttivo.

Urlai il suo nome mentre mi svuotavo dentro di lei, mentre lei gemeva come una posseduta, come una schiava felice, come una dannata che trovava il paradiso solo così.

Restammo fermi, uniti, ancora ansimanti. Lei si voltò, con quel sorrisetto maledetto:
«Il mio culo è tuo, Angelo. Sempre.»

Le accesi una sigaretta. Non dissi niente. L’avrei presa ancora, prima dell’alba.

Martina era ancora piegata sul tappeto, il mio seme che colava lentamente da quel culo devastato. Ma non era finita. Non con lei. Non con la mia Kanty.

Si voltò lentamente, il viso sudato, i capelli incollati alle guance, lo sguardo sporco, eccitato. Si leccò le labbra. Poi, senza che dicessi nulla, si mise in ginocchio davanti a me.
Mi guardò dal basso, con quella faccia da troia innata.

«Lo voglio tutto in bocca, Angelo… fammi sentire ancora il sapore del mio culo. Fammi tua puttana fino in fondo.»

Aprì la bocca. Lunga, lenta, profonda. Mi prese tutto, senza esitazioni, senza grazia, con una fame sporca che mi fece ringhiare. La sua lingua giocava con le gocce che ancora colavano, mentre il suo sguardo non si staccava mai dal mio.

La usai come volevo. Come una vera troia.

Le presi la testa e glielo infilai in gola, fino a sentirla tossire e poi gemere di piacere. Non si tirava indietro, anzi: spingeva lei. Si faceva sottomettere. Godendo di esserlo. Sbavava, gocciolava, si faceva scopare la bocca come se fosse un altro buco da riempire.

«Brava, succhiamelo tutto… ripuliscilo col tuo gusto…»

Lei gemette con il cazzo in bocca. Le mani tra le cosce. Stava venendo di nuovo. Solo facendomi godere.

Quando venni, lo feci in gola a lei. Lei non si mosse. Mandò giù tutto. Ogni goccia. Mi guardò, si pulì le labbra con un dito, e se lo leccò.

«Così si fa, padrone. Sono solo la tua puttanella.»
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