tradimenti
Ombre al tramonto


29.04.2025 |
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"Le onde lambivano la riva con quel ritmo ipnotico, complice di segreti e sussurri..."
Nel silenzio del crepuscolo, il mare vicino a Ostia sussurrava parole antiche sulla spiaggia. I parcheggi lungo la costa si popolavano lentamente di luci discrete, di motori spenti e desideri accesi.Lei era conosciuta solo come La Piccolina: minuta, ma con curve che sembravano disegnate per accendere fantasie. Il suo sguardo era tagliente, furbo, malizioso. Era un’onda d’energia sensuale che lasciava una scia in chiunque incrociasse quegli occhi.
Lui, suo marito, era lì con lei ogni volta, presente o in certe occasioni altrove ma “in ascolto”. Complice silenzioso, osservatore nascosto, amante devoto. Le sue mani tremavano ogni volta che lei apriva lentamente lo sportello dell’auto, con la gonna appena sollevata e lo sguardo che gli diceva: “Guarda pure, amore… ma solo da lì.”
Quella sera, la Piccolina aveva un appuntamento con il suo amanti fisso: un uomo imponente dallo sguardo dominante. Era il suo amico, come amava chiamarlo. Quando lui la prendeva, lei si lasciava andare completamente. Le piaceva mostrarsi. Le piaceva che il marito guardasse, nascosto a pochi metri, nel buio o semplicemente restando a casa, a conoscenza delle intenzioni passionali di lei.
Il finestrino si appannava. Le luci della città si riflettevano sull’acqua. Il corpo della Piccolina si muoveva a ritmo lento ma deciso, piegata in avanti sul sedile, le mani che stringevano la pelle calda dell’auto. Sapeva che il marito stava guardando. Sapeva che anche uno sconosciuto in una macchina distante la stava spiando. E questo la eccitava ancora di più.
Solo il suo amico, però, aveva il permesso di arrivare fino in fondo con lei. Solo con lui si lasciava andare del tutto, mentre con il marito manteneva quel sottile confine tra possesso e voyeurismo. Un gioco pericoloso, ma voluto. Amato.
Il rumore sottile di una portiera che si apre in lontananza la fece sorridere. Non voltò lo sguardo, ma sapeva: un’altra presenza. Qualcuno stava spiando, attratto dai movimenti, dai sospiri soffocati, dalla silhouette della Piccolina piegata sull’auto, in pieno abbandono.
Il marito lo aveva notato per primo. Un uomo sulla quarantina, con lo sguardo famelico e il passo incerto di chi si muove al limite tra il desiderio e la paura. Ma la Piccolina non aveva paura. Le piacevano gli occhi su di lei. Le piaceva sentirsi scelta. Preda consenziente.
Fece un cenno impercettibile. Il bull capì subito. Le tirò indietro i capelli, dominandola con quella forza rozza che la faceva impazzire. E quando il guardone si avvicinò abbastanza da vederle il volto arrossato e gli occhi lucidi di piacere, lei lo guardò. Fissò quel nuovo sconosciuto e sussurrò, con voce roca: “Guardami… o vieni anche tu”.
Non servì altro. In pochi secondi, il nuovo venuto era su di lei, mentre il marito, nel buio, stringeva i pugni per il desiderio. Era parte di quel gioco, ma mai veramente protagonista.
Dopo, ancora con il fiato spezzato, lei si voltò verso il marito. Lo guardò con un sorriso sfrontato, gli occhi ancora accesi.
“Tu sei ben dotato, amore mio… ma vedi? Non è solo questione di misure… è come si usano”.
Lo disse con un tono lieve, ma affilato. Come una lama bagnata di miele.
Lui abbassò lo sguardo. Non c’era gelosia, solo quella dolce sofferenza da cui traevano entrambi piacere. Lei si sentiva viva, potente, desiderata. Lui, spettatore silenzioso, era parte di ogni istante, anche senza toccare.
Qualche giorno a seguire la sera era calata da poco sulla spiaggia deserta poco fuori Ostia. Le onde lambivano la riva con quel ritmo ipnotico, complice di segreti e sussurri. Il cielo era limpido, trapunto di stelle, e il vento portava il profumo salmastro del mare e qualcosa di più elettrico.
Lei camminava a piedi nudi sulla sabbia fresca, la gonna leggera che si alzava a ogni passo, lasciando intravedere la pelle nuda, eccitata dall’aria notturna. Il suo amico la seguiva da vicino con due Tennent’s in mano appena stappate, lo sguardo fisso su di lei come un predatore paziente. Non c’era fretta. C’era il desiderio che cresceva, lento, come la marea.
Il marito era a casa quella sera. Lo aveva voluto lei.
“Guarda, anzi immagina ma da lontano… Voglio che ti consumi nel pensiero”.
Aveva lasciato il telefono acceso, la fotocamera puntata in basso, in modo che potesse ascoltare tutto, senza vedere. Una tortura voluta, dolce e crudele.
Sulla spiaggia c’era poca gente, qualche coppia distante, qualche passante ignaro. Ma non abbastanza lontani da non sentire… da non vedere. A lei piaceva così.
Quando lui la prese, lo fece come sempre: con forza, sicurezza, senza chiederle niente. E lei si arrese, piegandosi tra le dune, la sabbia fredda sotto le ginocchia, le mani affondate nel terreno umido mentre il vento le portava il suono del mare… e il brivido di essere guardata.
Forse qualcuno li aveva notati. Una figura era passata vicino, rallentando. Nessuna parola. Solo occhi. E lei, conscia di tutto, si lasciava andare ancora di più.
Con il fiato spezzato, la pelle sporca di sabbia e il cuore in corsa, si voltò verso il cellulare appoggiato sul telo.
“Sei ancora lì, amore?”
Silenzio. Poi un piccolo rumore, forse un respiro trattenuto.
Lei sorrise.
“È questo che vuoi davvero? Sentirmi così, mentre un altro mi prende… e tu, impotente?”
Poi si voltò verso il suo amico , ancora ansante, e lo baciò con ferocia.
“Solo tu sai farmelo così…”
Mentre lei fa per ricomporsi lui le sussurra all’orecchio: “Adesso ti riporto a casa e gli farai sentire il sapore del tuo perizoma intriso del mio caldo nettare”
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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