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LE PRIME VOLTE


di La_Lilla
24.11.2022    |    7.785    |    9 8.4
"In pieno giorno si aggiravano nel boschetto in cerca di una troia da fottere, e a me eccitava pensare di essere la loro preda..."
Alle mie prime esperienze trav, uscivo di casa in macchina e mi dirigevo in zone dove c’erano dei boschetti. Mi portavo dietro uno zaino con il cambio e avanzavo dentro il bosco cercando un posto dove distendere la coperta e travestirmi. C’erano zone, conosciute, spesso frequentate da porci, in cerca di rapporti fugaci, senza troppe paturnie. In pieno giorno si aggiravano nel boschetto in cerca di una troia da fottere, e a me eccitava pensare di essere la loro preda. I primi tempi, però, non trovavo proprio nessuno, forse perché sbagliavo orari o zona, e anche perché mi piaceva stare distesa, vestita con abiti succinti, su piccole aree verdi, che forse davano un po’ troppo sull’occhio e quindi disincentivavano gli approcci. Anche se alcune volte, i più coraggiosi, se ne fregavano dello spazio aperto, e venivano verso di me. Ricordo una volta che mi sono assopita dopo avere atteso per un’ora l’arrivo di qualcuno. Mi sono svegliata sentendo qualcuno che sollevava il vestito e infilava la mano sotto. L’ho lasciato fare, ricordo, fingendo di dormire. Lui ha continuato palpandomi tutto il culo. A un certo punto mi sono voltata (mi ero assopita su di un fianco) e l’ho guardato.
“Ti piace?”, gli ho chiesto.
Lui, un signorotto sui sessant’anni, era eccitatissimo e aveva già tirato fuori il cazzo dai pantaloni.
“Fammi vedere quanto sei troia”, mi ha detto, ricordo, mettendosi in ginocchio e avvicinando il suo cazzo alla mia faccia. “O vuoi che ti pisci?”.
Nel mentre lo diceva, aveva già cominciato a urinare; un getto di piscia calda, ad arco, mi aveva centrata in faccia. Nel giro di un minuto la mia copertina rosa era completamente intonsa di piscio – e anche io – così mi sono spogliata: ho tolto il vestito e l’ho gettato lontano sul prato, insieme alla copertina.
Il cazzo gli si era leggermente ammosciato, nel frattempo, ma lui non ha perso tempo a ficcarmelo in bocca, dopo avermi ordinato di mettermi in ginocchio. Ricordo ancora il sapore di quel cazzo; il piscio lo aveva reso acido e in bocca sentivo un sapore come di ammoniaca. Mentre il cazzo cresceva nella mia bocca, lui mi dava dei leggeri schiaffi in faccia, come per darmi il ritmo della succhiata.
Dopo un po’ il cazzo gli era diventato duro e curvo e lui me lo spingeva dentro tenendomi la testa dietro; era così curvo che lo sentivo battere in gola e nella guancia; lo faceva scivolare dentro lentamente, e poi dava un colpo secco, spingendolo fino in fondo.
Ricordo l’eccitazione di quei momenti: lì, in mezzo a un prato, dove forse qualcuno poteva vederci, con quel porco che mi usava. Ero stata fortunata.
Quando si è gommato per sfondarmi, io ero tutta un fremito, sentivo le gambe vibrare; ero a quattro zampe, ma le braccia mi tremavo. Era un sensazione stranissima: l’eccitazione era alle stelle e il sistema nervoso era scombussolato. Poi l’ho sentito entrare, quel cazzone curvo, senza pietà, dopo aver preparato il buchetto con le dita. Da lì in poi mi ha usata per mezz’ora, girandomi, voltandomi su un fianco, e sbattendomelo dentro con forza chiamandomi “troia, vacca, puttana”.
Per finire mi ha voltata, ha abbassato il perizoma e mi ha sborrato sulla pisella. Una sborrata che ricordo ancora: calda e densissima. Poi mi ha tirato su di nuovo il perizoma e mi ha detto, lo ricordo ancora: “Tienitela là la mia sborra, puttana”.
Poi se ne è andato, senza salutarmi. Io mi sono guardata le mutandine: la sua sborra mi colava lungo l’inguine. Ero proprio una puttana. Sono andata a riprendermi le mie cose intonse di piscia e le ho messe in un sacchetto di plastica. Subito dopo mi sono data una pulita veloce. Uscendo dal boschetto, ho gettato il sacchetto in un cestino e sono salita in macchina.
Mentre scendo in macchina, lungo la strada, lo incontro: è a piedi, sul ciglio della strada. Mi affianco e gli chiedo se vuole un passaggio.
“Che vuoi”, mi rispose, fu una risposta secca, forse dolorosa, che mi lasciò incredula, “chi ti conosce, frocia”. Alzai il finestrino e cercai di non pensarci. Anche se non fu facile. Ma che altro potevo aspettarmi se non quello? Un centinaio di metri più avanti scorgo una casa, sulla destra. Magari quell’uomo abitava proprio lì e sapendo che in quel bosco poteva dare sfogo alle proprie pulsioni, si incamminava in quella zona per cercare una come me. Ma non erano affari miei. Lì per lì non sapevo se sarei più ritornata in quel bosco, non tanto perché non volevo incontrarlo di nuovo, quanto perché avevo il timore che fossero tutti come lui. Ovviamente mi sbagliavo, perché in seguito incontrai altri maschi, certo porci, che però seppero dimostrarsi più rispettosi verso di me. Dico questo perché per me il rispetto viene prima di tutto. Io posso anche essere la più grande troia del pianeta, farmi usare a piacimento dello sconosciuto di turno, però entrambi dobbiamo essere consapevoli dei ruoli, che terminano una volta che siamo stato sessualmente appagati.
In ogni modo le prime uscite servono a fare delle esperienze: belle o brutte che siano. Quel signore non lo rividi mai più in quei boschi; forse lui mi vedeva ma mi evitava, chissà. Meglio così: certo non mi sono fatta mancare il divertimento.


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