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La mia prima volta in Sicilia


di orchidea_nera
24.08.2016    |    2.540    |    7 9.8
"La mia timidezza sparì assieme alla mia verginità a 18 anni..."
Avevo trascorso i mesi di luglio e agosto a Roma, con la scusa che dovevo studiare.
“Pure ad agosto?”- Mi aveva chiesto nonna.
“Sai, nonnina, devo consultare dei libri che trovo solo in biblioteca e non me li fanno portare via.”
In realtà ero diventata l’amante del mio padrone di casa, il mio primo uomo, e, tra luglio ed agosto, sua moglie avrebbe fatto un mese di mare.
Non stavo nella pelle! Un mese intero senza la moglie fra le scatole!
Lo facemmo ovunque: sotto la doccia, nel lettone, sul divano, sul tavolo di cucina…
Oh…! Avevo appena 19 anni e la voglia era a mille! Lo stavo distruggendo. Io ero una gatta in calore e lui cercava di assecondarmi come poteva.
Ero innamorata persa di lui. Così, sentendomi forte, credendo che lui non potesse fare a meno di me, avevo finito per dargli l’aut aut: “O me o tua moglie!”.
Si, ero gelosa di lei! Quando, dalla mia camera, sentivo che facevano l’amore io piangevo. Lo avrei voluto tutto per me.
Bene, indovinate chi scelse… ?
Si, avete indovinato…! Sua moglie!
Così, amareggiata e delusa, dopo un bel po’ di pianti, lasciai la pensione e tornai in Sicilia. Avrei trascorso il mese di settembre con nonna, avrei rivisto mio fratello, mia cognata, i miei nipotini, gli zii di Catania. A ottobre sarei andata in un altro posto a cercarmi ventura.
Sfoggiai l’abbigliamento che mi faceva sembrare più maschietto, i capelli raccolti dietro con un codino che lasciavo fuoriuscire da un cappellino con la visiera rigida molto lunga. Abiti larghi che non mi facevano le forme. Un ragazzino di 13 anni preciso, visto che non avevo barba! D’altro canto era il modo con cui uscivo in giro per Roma. Al tempo, non facevo la transgender.
Nonna, quando mi vide, abbracciandomi mi disse: “Come sei magro! Quattro ossa! Non mangi a Roma? Non ti danno nulla da mangiare?”
“Muletti!” – Avrei voluto dire ma non dissi nulla. [In Sicilia il pesce muletto è anche sinonimo di minchia per la sua forma allungata e corposa.]
“Si, si… certo che mangio!”
Erano le pene d’amore che mi avevano fatto ulteriormente dimagrire!
Così nonna decise di mettermi all’ingrasso: caponata di melanzane, parmigiana, sarde a beccafico, patate al forno, orate all’acqua pazza, salsiccia arrostita col carbone…
Le nonne siciliane sono fatte così! Anche se il nipotino è alto un metro e cinquanta e pesa 200 chili, lo trovano sciupatello e lo mettono all’ingrasso. Figuratevi io, che ero un’acciughina veramente! Poi, a dirla tutta, ero magra ma non ossuta. Ero dalle forme morbide come una ragazzina.
Dopo una settimana di ingrasso, decisi che dovevo correre per smaltire le calorie in eccesso e mantenermi un po’ più tonica nel corpo.
I pomeriggi li passavo a casa di mio fratello. Badavo alla mia prima nipotina femmina. La mettevo a dormire, le cambiavo il pannolino, la facevo giocare, le raccontavo le favolette.
All’imbrunire, quando tornava mia cognata dal lavoro, mi facevo prestare la macchina e andavo sulla spiaggia di “Fondaco Nuovo”, poco distante da Siracusa.
Al tempo, la spiaggia si estendeva da una stazione balneare, che a settembre era chiusa, ubicata vicino un villaggio che non esiste più. Il villaggio veniva demolito in quegli anni perché troppo vicino alle industrie del siracusano. La demolizione si concluse anche con un delitto di stampo mafioso che, di recente, è stato oggetto di un libro, di cui non ricordo il titolo e l’autrice, e di una canzone scritta da Carlo Muratori. Uno strafigo che ha una voce che mi fa impazzire!
Carletto, lo so che tua moglie è gelosissima, ma, con questa scusa, ti ho fatto sapere che mi piaci da morire. Con te farei cose turche! ;)
Scusate la divagazione ma, se si vuole pescare, qualche amo bisogna pur lanciarlo.
Dicevo, la spiaggia era ed è molto lunga e si estendeva dal lido alla penisola dove sorgeva l’antica Thapsos. Oggi sono rimasti i resti archeologici.
Una bella corsa. Correvo sul bagnasciuga perché avevo letto da qualche parte che fa più bene. Poi mi riposavo un po’ e tornavo a casa che era completamente buio.
Avevo scelto quella spiaggia perché a settembre era completamente deserta. Non mi piaceva dare nell’occhio. Quello strano ragazzetto con un po’ di tettine come una tredicenne, non era assolutamente il caso di farlo vedere in giro!
Una sera, dopo la corsa, mi ero sdraiata sulla spiaggia per riposare un po’. Ero proprio sfiancata. Avevo sciolto i capelli e mi ero adagiata su una stuoia e stavo a occhi chiusi. Pensavo ai tempi quando quel lido vicino era gestito da due fratelli strafighi. Uno era biondo e col viso d’angelo, l’altro più asciutto nel fisico, aveva proprio la faccia del maschiaccio impenitente. Quanto mi piacevano!
Tutte le strafighe che frequentavano il lido ronzavano attorno a quei due. Io ero un bambino ma ricordo che mi emozionavo nel vederli. Se dovevo chiedere qualcosa mi impappinavo e cominciavo a balbettare. Ricordo che una volta mia mamma mi aveva mandato a consegnare la chiave della cabina. Ero emozionatissimo(a), balbettavo e quello con la faccia d’angelo mi fece una carezza. Che gioia! A casa non mi volevo più lavare la faccia per non cancellare il gusto di quella sua carezza.
Mentre ero assorta in questi ricordi udii una macchina che si fermava lì vicino. La strada costeggiava tutta la spiaggia. Di sottecchi vidi che scendeva un ragazzo che, lasciati i vestiti vicino dov’ero sdraiata io, entrò in acqua e si mise ad armeggiare con delle reti da pesca che si trovavano già lì. Finito di sistemare le reti, usci dall’acqua e venne vicino a me.
“Che fai? Prendi la tintarella?” – Mi disse – “Ma stasera c’è solo mezza luna ti abbronzerai a metà.”
Sorrise e si mise in ginocchio vicino a me. Cominciò a scrutarmi dalla testa ai piedi. Poi disse: “Ma sei maschietto o femminuccia…? Ah…! Puppiteddu…” – Mi sorrise.
I puppi, in siciliano, sono i polpi ma è anche sinonimo di frocio, di checca.
“No, sono siccia (seppia)!”- Risposi io.
“Spiritoso…eh! E che fai qua?”
“Pesco minchie di mare.” – Gli risposi.
Le “minchie di mare” sono dei pesci che hanno la forma dell’attributo maschile ma, se riferito a persona, come epiteto, diventa sinonimo di stupido, di deficiente.
“E minchie di terra ne peschi?”
Quei discorsi mi fecero intuire che era sua intenzione farmi assaggiare il contenuto del bel pacco che nascondeva sotto il costume. Pacco che avevo notato sin da subito. Poi lui era un bel ragazzo, tipico bello siracusano. La cosa mi fece un certo effetto e il mio cazzettino si drizzo.
Certo non c’era granché ma l’erezione, visto che indossavo solo il costume, si notava e lui: “Minchia sei eccitato…! O devo dire eccitata, visto che sei seppia?”
Dopo aver lanciato una rapida occhiata in giro, per sincerarsi che eravamo soli, abbassò il costume è tirò fuori il suo bel cazzone che, nel frattempo, si era drizzato.
“Ti piace questa gran minchia di terra?”- Disse, facendola roteare attorno alla mia bocca.
Io, senza proferir parola, mi infilai il suo cazzo in bocca mentre con una mano gli reggevo le palle.
Cominciai a spompinarlo, a leccare tutta la verga, giù fino alle palle. Poi risalii fino alla cappella e, dopo avergli fatto sentire la mia lingua roteare sul prepuzio, lo ingoiai tutto fino a strozzarmi.
“Miiiiiiiiiiiii… la mia ragazza non è capace di farmi dei pompini così…!”
Non finì di dire quelle parole che mi inondò la bocca col suo piacere.
“Caspita!” – Pensai – “Abbiamo finito prima di cominciare!”
Invece, con mia sorpresa, lui mi spinse a terra e cominciò a baciarmi. Mi sfilò il costume, e cominciò a carezzarmi le natiche e le cosce. Poi si mise sopra di me e strofinando il suo bel cazzone, ancora eretto, contro il mio cazzettino mi baciò con più foga.
“Minchia! Sei più bona della mia ragazza…! Lo pigli nel culo?”
Più bona della sua ragazza? C’erano certe strafighe a Siracusa, con seni da capogiro. Mi veniva un’invidia quando le vedevo. Ma, ovviamente, non dissi nulla.
“Certo!” – Gli risposi – “Lo prendo nel culo.”
Lui mi girò e si mise sopra di me, prima facendolo aderire bene allo spacco fra le mie natiche, poi, cercando con la sua cappella il mio buchino. Io con le mani mi allargai bene le natiche e lasciai che mi penetrasse.
“Miiiiiiiiii… Ti allarghi le natiche? Ma se sei completamente sfondata, ci entra un treno merci!”
Avevo avuto, fino ad allora, un solo uomo nella mia vita. Ma, specialmente dopo quell’estate, il mio buchino era diventato veramente una fichetta.
Mi chiavò con un certo impeto procurandomi un forte orgasmo anale che mi fece bagnare la stuoia col mio liquido seminale. Lui, con grugniti degni di un maiale infoiato, concluse inondandomi le budella.
Nei giorni a seguire non lo rividi. Lui tornò in spiaggia tre giorni dopo quella prima volta.
Si avvicinò a me e, senza tanti preamboli, mi disse: “Ciao, bella. Che dici, scopiamo?”
Gli risposi di si ma che volevo condurre io, un po’, la cosa. Lui acconsentì e gli insegnai a leccarmi bene il buchino, a fare il 69. Gli dissi che mi doveva stimolare con il pollice, perché più grosso delle altre dita e più corto. In questo modo gli sarebbe venuto più facile farsi strada con la lingua e superare la tensione dello sfintere. Gli spiegai le posizioni che più mi facevano gustare il cazzo in culo e mille altre cose. Gli insegnai a baciare. Lui era focoso ma non del tutto coinvolgente.
Lo feci venire tre volte e, anch’io, ebbi qualche soddisfacente orgasmo anale e uno veramente potente, da mille e una notte.
Mi aveva messa in ginocchio davanti a lui, a pecora, e lui me lo spingeva dentro con forza. Mi aveva afferrato i capelli e mi aveva pompato con delle botte tremende tanto che il rumore rimbombava fra le varie costruzioni delle industrie vicine creando un eco metallico. Devo dire che fino ad allora nessuno mi aveva sfondato il culo con tanta potenza. Vi lascio immaginare che goduria, zampillavo come una fontana mentre il mio culo si bagnava naturalmente. Anche lui ebbe un orgasmo potente ma si ritrasse e mi spruzzò, con getti potentissimi, il suo piacere sul mio buco aperto all’inverosimile. Mentre sborrava mi gridava: ”Minchia che culo favoloso! Non avevo mai visto un gran culo come il tuo!”
Mentre ci rivestivamo per andare via lui mi disse: “Se vuoi vengo qui a infilartelo tutte le sere.”
Io gli risposi: “Si, ci facciamo fidanzati!”
Ovviamente il mio tono era scherzoso.
Andammo via e non lo rividi più fino alla fine della vacanza.
Chi lo sa…?! Forse si era visto il quadretto di noi che andavamo in giro per Ortigia o a piazza Adda, mano nella mano, con la banda dietro che intonava l’inno dei froci e il coro dei ragazzi: “Uh… Uh… Fuffi, moordilooooooo.”
Quella mia battuta deve averlo sconvolto!
Una precisazione.
Da ragazzino sono andato una sola volta al cinema con i miei compagni di scuola. Nel film c’era una checca che aveva un cagnolino di nome Fuffi. Quando qualcuno lo faceva incazzare gli aizzava contro quel cagnolino dicendo: “Fuffi, mordilo!”- Poi, qualche mio compagno, a seguito di qualche mia arrabbiatura, aveva cominciato a sbeffeggiarmi motteggiando: “Fuffi, mooooooooooordiloooooooooooo”, per poi ridere a squarciagola. Questo mi aveva fatto capire che era meglio assumere atteggiamenti più da maschio. Comunque le cose si erano calmate presto perché io li aiutavo durante i compiti in classe facendoli copiare. Così, avevano capito che era meglio tenermi buono. Ad ogni modo, non andai più al cinema con loro.
Si, a scuola, ero un secchione perché non frequentavo nessuno ma riuscivo più negli scritti che nelle materie orali. Mi vergognavo da morire, ero timidissimo. La mia timidezza sparì assieme alla mia verginità a 18 anni.
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