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Lui & Lei

TARASSACO


di FREEALL
18.10.2012    |    3.835    |    11 9.7
"Mi rispose un po’ rattristata: “Non se n’è fatto niente..."
TARASSACO

Abbraccio con lo sguardo il mare e quei monti azzurri alle mie spalle, in questo mattino estivo pieno di luce. M’invade la mente il ricordo della notte appena trascorsa, un susseguirsi di emozioni e di passione che mi ha tolto il sonno. Come spesso accade, le cose inaspettate sono alle volte le più belle. Chiudo gli occhi per un momento e rivedo, come fosse il trailer di un film, le scene di questa storia dolce e appassionante.
Tutto incominciò in occasione del mio ritorno in Abruzzo. Ero stato invitato da alcuni amici conosciuti in occasione del tragico evento del terremoto, quando avevo fatto parte di una squadra di verifica degli immobili lesionati, con l’intento di rendermi utile in quella calamità. Mi avevano chiamato per avere una consulenza, perché intenzionati a eseguire alcuni lavori di ristrutturazione del loro casale, compromesso nella sua stabilità dal sisma.
Ero fermo in coda in autostrada, sotto un violento acquazzone, quando mi resi conto che avrei tardato irrimediabilmente per l’appuntamento della cena. Digitai velocemente, sul tastierino del telefono di bordo, il numero di uno di loro e mi precipitai a informarlo: “Sono in colonna a pochi chilometri dall'uscita di Pescara nord, ma qui è tutto fermo! Non so se per colpa della forte pioggia o di qualche incidente, però temo che farò molto tardi per la cena. Intanto, voi incominciate che poi, appena posso, vi raggiungo!”. Dopo un attimo di silenzio mi rispose, con mia grande sorpresa, una voce femminile: “Sono anch'io in ritardo per la cena, bloccata in mezzo al traffico che sembra impazzito a causa della pioggia. E, a questo punto, penso che non riuscirò nemmeno a raggiungere un supermercato prima della chiusura, senza contare che a casa non ho niente da mettere in tavola per l’ospite di questa sera”. E aggiunse: “Non farti troppi problemi, perché siamo in ritardo entrambi!”. Avevo composto inavvertitamente il numero di chissà chi e perciò mi affrettai a scusarmi. Lei non sembrava seccata per quella chiamata inopportuna e, vista la situazione di stallo che ci accomunava, aveva proseguito la conversazione con fare divertito. Per pura casualità avevamo scoperto di non essere lontani e di trovarci vittime dello stesso temporale estivo.
Fermi in mezzo al traffico, avevamo continuato la telefonata, scherzando sui nostri ritardi. A dire il vero, lei si era messa a raccontarmi di aver avuto una giornata tremenda, piena di contrattempi, e di essere dispiaciuta per non riuscire a fare la spesa e quindi per non poter imbastire un menù decente da offrire al collega che aveva invitato a cena. Visto il tono amichevole preso dalla conversazione, scherzosamente le avevo suggerito di servire una cena a base di Nutella, alimento che generalmente non manca nelle case degli italiani. Lei era scoppiata a ridere e aveva rilanciato: “Potrei spalmarmi tutta di Nutella e offrimi per cena come Kim Basinger in Nove settimane e mezzo!”. Avevo sorriso anch'io, pensando che forse la cosa non sarebbe stata poi tanto male. Mi soffermai per un attimo, sommerso da quel diluvio, a fantasticare la scena, cercando di immaginare il volto e i tratti di questa donna sconosciuta, dalla voce allegra e ammiccante. Poi finalmente il traffico si era rimesso in moto, ci salutammo molto cordialmente e la nostra conversazione finì lì. Dopo la cena con gli amici, passata a rievocare i ricordi e a formulare mille ipotesi per la ristrutturazione del vecchio casale di famiglia, andai a dormire, ospite nell'accogliente casa di uno del gruppo. Prima di addormentarmi, conscio di aver trascorso una serata bellissima, sia per la compagnia che per l’ottimo cibo servito, mi sentii in dovere di ringraziare il cuoco della compagnia per la squisita ospitalità. Nonostante l’ora tarda, presi il telefonino e attivai la procedura di richiamata per mettermi in contatto con lui. “Ancora tu?” mi rispose la voce femminile che ormai conoscevo. Fortemente imbarazzato per questo nuovo errore, mi prodigai in mille scuse. Lei invece, per nulla seccata, mi chiese dell’esito della cena, di cosa avevo mangiato, di come trovassi la cucina abruzzese. Avevo risposto con entusiasmo e poi, accantonando per un attimo il timore di essere invadente, le avevo chiesto di come era andato il suo Nutella party. Mi rispose un po’ rattristata: “Non se n’è fatto niente. Il mio collega, dopo aver accumulato un imperdonabile ritardo, mi ha chiamata dicendomi che non ce la faceva a venire e quindi mi ha dato buca. Ero così stanca e impreparata che in fondo non mi sono arrabbiata più di tanto.” “Che peccato!” risposi prontamente, “Avresti potuto passare una bella serata in compagnia e invece sei rimasta tutta sola!”. “La cosa non mi dispiace affatto” ribatté lei, “ho trovato un po’ di tempo per me stessa, per rilassarmi, per coccolarmi dolcemente”. Incuriosito da quella sua franchezza, avevo osato chiedere maggiori dettagli. “Semplice!” continuò, “ ho messo su la musica che amo, ho riempito la vasca aggiungendo all'acqua un sale da bagno effervescente e stimolante, ho acceso alcune candele profumate a bordo vasca e mi sono immersa, liberando la mente da tutti gli affanni di questa brutta giornata”. Poi aveva continuato, con disarmate sincerità, a raccontarmi di lei, del momento non troppo felice che stava attraversando, dei suoi sogni. Con molta naturalezza, i discorsi avevano incominciato a toccare argomenti sempre più intimi, che forse per la complicità della notte e per il fatto di essere perfettamente sconosciuti, avevano favorito un reciproco coinvolgimento. Da parte mia, ero piacevolmente sorpreso per com'ero riuscito a comunicare certe sensazioni, per quanto mi fosse sembrato facile toccare alcuni argomenti, spesso difficili da condividere con una donna, senza eccessivi ritegni ma anche senza morbosità. Ero inebriato dalle sue parole, da certe pause di silenzio, dove il suo respiro faceva supporre una partecipazione emotiva e lasciava immaginare, a tratti, forse anche un coinvolgimento della parte fisica, della quale però non avevo osato chiedere. Percependo il mio leggero imbarazzo e la mia sottile emozione, era stata ancora lei a voler intensificare l’intimità. Aveva ammesso quello che stava facendo, aveva descritto minuziosamente l’ambiente che la circondava e soprattutto il suo corpo, le sensazioni che la sua mano e il getto di acqua tiepida le stavano procurando. Un racconto in diretta che aveva finito per incendiare i miei sensi. Dopo una lunga conversazione, densa di confidenze e confessioni, decidemmo di metterci a dormire, verso le tre del mattino, consci che l’indomani ci stava spettando una giornata piena d’impegni e di incombenze.
I giorni che seguirono, ci scambiammo qualche messaggio e, quando era possibile, riallacciavamo i nostri discorsi, che vertevano sulle cose più disparate ma che, inevitabilmente, approdavano ad argomenti sempre più personali che toccavano i nostri sensi, accarezzavano i desideri più nascosti e una ricercata voglia d’intimità.
Ero sopraffatto da questo rapporto particolare, certamente limitato dal mezzo telefonico, ma ugualmente intrigante, coinvolgente per la complicità che lei era riuscita a creare, con delicatezza e con intelligenza, ma con un innegabile raffinato erotismo. Mi resi conto di attendere spesso una sua chiamata, di ricercare la sua voce calda e vellutata, di aspirare alla sua prorompente vitalità. Va riconosciuto, che ci si divertiva anche molto, perché lei suscitava allegria, sapeva mettersi in gioco con ironia, infondeva ottimismo e voglia di vivere. E ahimè, man mano che passava il tempo, anche la voglia di conoscerla, di dare un volto e un corpo a questa donna un po’ speciale, la voglia di voler scoprire l’altra parte di questa figura lunare. Di scorgerne cioè, non solo la faccia visibile e illuminata, costituita dal suo modo di essere e di pensare, che ormai avevo imparato ad apprezzare, ma di poter contemplare anche quella più nascosta e misteriosa, costituita dal suo corpo, a lungo immaginato sulla base dei suoi resoconti, arrivando a fantasticare, per un imprevedibile dono del destino, di sfiorare la sua intimità fisica. Una sera, dopo aver concordato con i miei amici la data del mio ritorno in Abruzzo per terminare la consulenza, decisi di rompere gli indugi e le proposi di trovarci a cena. Volevo provare ad abbattere quell'ultimo diaframma che separava i nostri sguardi, pur nella consapevolezza che una conoscenza diretta avrebbe potuto rovinare irrimediabilmente quel sottile incantesimo che si era venuto a creare nella nostra intesa.
Lei rimase per un attimo titubante, ma non si tirò indietro, come avevo temuto. Accettò la sfida a una condizione: che non ne avessi approfittato, consapevole, anche lei, che la magia del nostro rapporto, così profondo ma anche così impalpabile, avrebbe potuto sciogliersi come la neve al sole, rovinando quanto di bello avevamo condiviso fin a quel momento. Le promisi che qualunque cosa fosse successa avrei rispettato la sua vita, i suoi sentimenti, il suo modo di essere, senza nulla pretendere. Le dissi che ci avrei riflettuto e che le avrei fatto sapere, perché ripensandoci, mi ero reso conto dei rischi. Quante volte mi ero sbagliato immaginando donne stupende solo per aver sentito la loro voce suadente, ritrovandomi poi di fronte a delle autentiche racchie e non solo per l’aspetto fisico; e quante volte, ciò che sembrava un loro aperto invito si era rivelato in realtà un netto rifiuto, aggravato, per giunta, dall'accusa di avere deplorevolmente frainteso. Senza contare, che lei avrebbe potuto trovarmi inadeguato, distante mille miglia dall'uomo che aveva immaginato e con il quale aveva condiviso molti segreti del suo intimo. Decisi comunque di tentare, rassicurato dal fatto che la sua spiccata ironia avrebbe potuto risolvere una possibile cocente delusione con una risata comune.
Perciò, la convocai per il sabato successivo, una volta terminata la mia consulenza, chiedendole di vederla nell'ultima sera che avrei trascorso nella sua terra. Poi, su consiglio degli amici abruzzesi, le diedi appuntamento in un borgo storico, a qualche chilometro di distanza dal casello autostradale di Pescara nord, in un agritur appena fuori dall'abitato, ricavato da un vecchio cascinale di campagna sormontato da un’antica torre. Da quel luogo si poteva vedere il mare e, mi avevano assicurato, si mangiava davvero bene. Le diedi l’indirizzo del posto e concordammo di trovarci lì per le 20.
Arrivato in Abruzzo, i due soli giorni che avevo potuto dedicare ai miei amici passarono in un baleno, zeppi d’incontri e di sopralluoghi, trascorsi a fare progetti e a valutare il migliore dei modi per ristrutturare il loro edificio. Con l’avvicinarsi del sabato sera, loro avevano insistito per trattenermi ma io mi ero dimostrato risoluto, intenzionato come non mai ad alzare il velo di quel piccolo mistero e scoprire la donna che mi aveva amabilmente stregato per più di un mese. Mi raccomandarono di non fare tardi e mi diedero la chiave della mia stanza, mentre io li pregavo di lasciarmi andare perché si stava facendo tardi.
Di fatto, appena in macchina, le inviai un messaggio sul cellulare pregandola di entrare e di prendere posto nel locale, certo che avrei ritardato solo di qualche minuto. Mentre cercavo di tenere sotto controllo il satellitare e la strada che avevo davanti, mi venne in mente che, per la fretta, non avevo concordato nessun segnale di riconoscimento. Era strano: avevamo passato molto tempo a confidarci, a mettere a nudo le nostre anime e i nostri pensieri, ma senza mai scoprire i nostri lineamenti, senza completare la conoscenza delle nostre fisionomie che si nutriva solo di immaginazione, della trasposizione figurativa dei nostri discorsi. Cercai di non preoccuparmi, convinto che l’avrei riconosciuta anche in mezzo alla folla.
Una volta arrivato mi resi conto che le mie preoccupazioni erano infondate: nel cortile dell’agritur erano parcheggiate solo poche macchine. Mi affrettai a entrare, pervaso per un attimo da una certa inquietudine. Salutai il cameriere che mi aveva accolto e la cercai tra i commensali. Non c’era da sbagliarsi, visto l’esiguo numero di presenti: lei era già seduta a un tavolo per due, intenta a scrutare il menù del locale. Ebbi un tuffo al cuore. Era molto meglio di quanto mi sarei mai aspettato, davvero un gran bel pezzo di figliola, vestita in maniera provocante e raffinata, con quelle gambe lunghe e affusolate infilate in un paio di stivali alti e il suo corpo stretto in un tubino corto nero, che esaltava ancora di più la sua avvenente femminilità e valorizzava il suo fisico giovane e flessuoso. Lei alzò lo sguardo, si accorse della mia presenza e della meraviglia impressa sul mio volto, intento a cogliere la sua prima reazione. Avvertii nei suoi occhi un impercettibile momento di delusione. Avrei dovuto aspettarmelo! Lei, senza dubbio, aveva immaginato ben altro e la rilevante differenza di età, mai emersa nei nostri discorsi, si manifestava, in quel primo contatto visivo, in tutta la sua evidenza. Ciò nonostante, si alzò, mi accolse con un sorriso e mi diede il benvenuto. Si porse verso di me, mi sfiorò la guancia con un bacio, come se fossimo dei vecchi amici, e m’invitò a sedere. Rimanemmo a scrutarci in silenzio per un lungo momento, poi lei si sciolse in una risata e coinvolse anche me in un sorriso che allontanava ogni tensione. Dio come mi piaceva quel suo modo di rendere semplici le cose, quei suoi occhi profondi che adesso mi guardavano con curiosità. Istintivamente allungai una mano per toccare la sua e le chiesi: “Tutto bene?”. Mi fece cenno di sì con il capo e strinse con forza la mia mano. Una valanga di parole travolse quel primo momentaneo imbarazzo, portandoci a parlare fitto fitto delle nostre sensazioni, di quell'approccio così fortunoso e inatteso.
La nostra conversazione fu interrotta dal cameriere che esigeva di conoscere le nostre preferenze del menù. Le dissi: “Decidi tu cosa mangiare mentre io sceglierò il vino!”. “Ti va bene una cena a base di pesce?” mi propose, mentre io confermavo che avrei apprezzato proprio quella scelta per gustare i sapori di quel mare cristallino, che bagnava la costa poco distante. Intanto, scorrendo la fornitissima carta dei vini, le chiesi se avesse gradito un vino bianco, adatto ad accompagnare il pesce. “Ti va di provare un vino della mia terra?” le chiesi sperando che accettasse, “Qualcosa che ricorda le Alpi, un vitigno coltivato sui terrazzamenti che fasciano i fianchi delle montagne e che si confondono con i boschi; un vino dal profumo delicato e gradevole. Vorrei proporti un Müller-Thurgau, vinificato in una cantina proprio vicina al luogo dove abito!”. Con mia sorpresa rispose che conosceva quel vino e che lo aveva assaggiato altre volte. Di lì a poco ci fu servita una bottiglia appena stappata, dal contenuto fresco e aromatico, che lei incominciò ad assaporare con gusto. Io invece non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso e ad assaporare, con la stessa voluttà, le sue labbra, i suoi gesti gentili, quegli occhi scuri e intensi, un seno non prorompente, ma ben fatto, che spuntava dal tubino nero.
Man mano che procedeva la cena, eravamo tornati sugli argomenti preferiti delle nostre telefonate, che ora però, potendo incrociare i nostri sguardi, avevano raddoppiato il loro potenziale erotico. Mi sentivo eccitato, e un po’ imbarazzato, tanto che, per scagionarmi, attribuivo al vino la colpa di quel mio evidente stato di leggera alterazione. Lei sembrava sicura di sé, si vedeva che avvertiva questa mia condizione, ma non mollava la presa, insistendo invece con le parole e con i gesti nel determinare un progressivo coinvolgimento dei sensi. Avevo temuto che all'ultimo si fosse tirata indietro, pentendosi della sua disponibilità. Invece, continuava a sorprendermi per come si presentava: educata e gentile, ironica e intelligente, ma al tempo stesso, sensuale e seducente, provocatoriamente disinibita e terribilmente attraente. Il suo sguardo e i leggeri tocchi delle sue mani su di me, il tono gioioso della sua voce e i suoi modi mi avevano letteralmente intrigato, tanto che se n’era accorto anche il cameriere, mentre, per fortuna, la restante parte dei commensali, costituita da una chiassosa compagnia d’inglesi, sembrava del tutto indifferente, occupata a gustare fino in fondo i prodotti e i sapori di questa terra generosa, con particolare predilezione per le bevande alcoliche.
Quando, tra un boccone di pesce croccante e un sorso di vino freso, mi confidò di sentirsi eccitata anche lei, persi ogni interesse per la cena, per quelle cose squisite che stavamo assaggiando, per quell'ambiente gradevole e accogliente, per ogni cosa che non fosse lei.
Guardandola negli occhi, infilai le mani nei suoi capelli e, attirandola a me, posai un bacio leggero sulle sue labbra. Mi rendevo conto, con stupore, di un comportamento che mai avrei tenuto in altre circostanze, soprattutto in pubblico, perché in nessun caso mi sarei permesso di baciare così quella che in fondo era, e rimaneva per buona parte, una perfetta sconosciuta. Ma, diversamente dal solito, avevo perso il mio innato autocontrollo, non avevo saputo resistere a quel richiamo, convinto che anche lei aspettasse quel gesto. La conferma, l’avevo avuta un attimo dopo. Lei si era tersa la bocca con il tovagliolo e mi aveva stampato un bacio sulle labbra, offrendo la sua lingua calda e voluttuosa. Non contenta e incurante di quelli che ci circondavano, aveva preso con circospezione la mia mano, l’aveva condotta tra le sue gambe e sospinta fino a sfiorare la sua intimità, inequivocabilmente bagnata. Confesso che così non mi era mai capitato e la cosa mi provocò una tempesta ormonale da mettere in subbuglio i miei sensi. “Non hai fame?” mi apostrofò sorridendo come se niente fosse, mentre sorseggiava ancora un po’ di vino, lasciando che la bevanda inumidisse le sue labbra. Risposi: “Mi è passata la fame!”. “Anzi, no!” confessai come soggiogato, “Ho fame e sete solo di te!”. Poi, rendendomi conto di aver mancato alla promessa di non approfittare della situazione, le chiesi: “Ti prego di perdonarmi. Francamente non avrei voluto …”. Non conclusi la frase, perché mi suonava terribilmente falsa: io avrei voluto, eccome! Avrei voluto mangiarmela e gustarla fino in fondo! Il cameriere ci osserva di soppiatto, curioso di come sarebbe andata a finire, visto il clima di complicità e di crescente desiderio che si era instaurato tra di noi e che sembrava trascendere da un momento all'altro. Perciò, visto che anche lei aveva perso interesse per quanto imbandito sul tavolo, le prospettai di uscire. Mentre lei recuperava la borsetta, saldai il conto e uscimmo fuori, a respirare l’aria della notte, avvolti da quella brezza sottile e fresca che ci portava l’odore del mare.
Lei non perse un minuto prima di cingermi il collo, ed io, volli assaggiare fino in fondo il sapore delle sue labbra, mescolare il nostro respiro, accarezzare il suo corpo flessuoso. Ci appoggiammo alla mia macchina, abbandonati in un bacio intenso e appassionato. Poi, disturbato dal fatto che qualcuno potesse osservarci, o che il cameriere ci avesse seguiti con lo sguardo, le proposi di trovare un posto tranquillo, solo per noi. Purtroppo, non avrei potuto condurla nella stanza che gli amici mi avevano messo a disposizione, perché era parte del loro appartamento e mi sarebbe sembrato di abusare della loro ospitalità. Quindi, salimmo in macchina e, senza una meta precisa, incominciai a percorrere le stradine del borgo e a inoltrarmi nella vicina campagna, alla ricerca di un posticino appartato, mentre la nostra conversazione aveva allentato un po’ la tensione. Mi fermai ai margini di una piccola radura, ai bordi di un prato da dove si sentiva in lontananza il rumore del mare e si vedeva la lunga scia di luci che imperlava la costa. Dal borgo poco distante, non arrivava più nessuna voce e il silenzio era rotto, a momenti, solo dal flebile canto dei grilli. Spensi le luci e restammo al buio, rischiarato appena dalla luna, senza dire una parola, lasciando alle nostre mani il compito di rincorrere la passione, di accendere i nostri sensi. “Non così” mi disse, “in macchina non c’è magia!” e mi propose di scendere ad assaporare la notte. Ci trovammo abbracciati sotto un tetto di stelle, con l’odore di salmastro che invadeva le nostre narici e si mescolava al profumo dei nostri corpi accaldati. Cercai i suoi occhi che scintillavano alla debole luce lunare e le chiesi: “Lo vuoi anche tu?”. Perché mi pareva impossibile che questa splendida Figa volesse proprio me, che volesse concretizzare il desiderio che le nostre voci e i nostri dialoghi avevano acceso e che, con semplicità e passione, mi facesse dono della sua intimità. Non rispose, mi sorrise dolcemente mentre le sue labbra si accostavano alle mie in un bacio profondo. Poi si lasciò scivolare verso il basso mentre le sue mani cercavano la conferma della mia eccitazione. Si affretto a liberarmi il pene da ogni costrizione, ormai turgido fino quasi a farmi male, e incominciò a giocarci, a sfiorarlo con le labbra e con la lingua, a succhiarlo delicatamente. Poi accostò anche le mani, incominciò ad accarezzare le cosce, a palpare delicatamente i testicoli, a sfiorare il perineo e l’ano. In un crescendo di piacere affondai le mani tra i suoi capelli, cercando di disciplinare quel pompino fantastico per arginare un orgasmo imminente. Lei percepì la cosa, si lasciò guidare per qualche minuto per poi riprendere, con maggior vigore, quella stimolazione intensa e meravigliosa, moltiplicando quell'eccitazione cui non sapevo resistere. Certo, la ragazza ci sapeva fare, le piaceva condurre i giochi, sapeva perfettamente come portarti all'estremo, come indugiare per vincere ogni resistenza del tuo corpo, come stimolare ogni più piccolo recettore del piacere per donarti un orgasmo strepitoso. Inoltre, lei percepiva benissimo il mio respiro affannoso e le pulsazioni del mio sesso, avvertiva la congestione dei miei genitali arrivata allo stremo, ma non volle fermarsi. Anzi, continuò con maggiore foga e con un abile uso delle labbra e della lingua scatenò un orgasmo esplosivo che provocò le contrazioni di tutto il mio corpo, continuando, per un tempo che mi era sembrato interminabile, quel trattamento soave del pene, incurante del seme che le colava dalle labbra. Rimasi per un momento senza fiato, con il cervello abbagliato, accarezzando il suo viso, in segno di intimità e di gratitudine per quel regalo meraviglioso. Poi, la presi per i fianchi, la feci alzare e l’appoggiai sul cofano della macchina, perché, in quel luogo solitario, mi sembrava il posto meno scomodo. Lei sollevò sopra i fianchi il tubino nero, e la cosa la fece rabbrividire un attimo per il contatto della sua pelle calda con il metallo della carrozzeria. Le alzai leggermente le gambe, le sfilai gli slip ormai completamente inzuppati dei suoi umori. Mi fermai un attimo a rimirare questa splendida ragazza, distesa lì in attesa delle mie attenzioni, disponibile e appassionata, in quella tranquilla notte estiva, con la luna che metteva in risalto la parte del suo corpo dalla pelle più chiara, perché non abbronzata, che incorniciava una figa meravigliosa, completamente glabra, bagnata dalla rugiada della sua eccitazione. Mi chinai a sfiorarle le labbra, a baciarle il collo, a mordicchiare i capezzoli divenuti come due more acerbe tra i miei denti. La mia mano intanto frugava la sua intimità, disegnava cerchi concentrici su quel monte di Venere pronunciato e sporgente, titillava un clitoride turgido e teso, s’insinuava tra le labbra carnose e rigonfie in cerca della fonte di quel torrente di effluvi. Poi le sussurrai all'orecchio: “Non sai quante volte ho desiderato di giocare con te, di coccolarti e di massaggiarti, di vederti chiudere gli occhi lasciandoti andare e godere senza pudori. Infoiato dalla passione, ho immaginato di tuffarmi in un incontro erotico con te come quando, assetati e surriscaldati sulla spiaggia, ci s’immerge nelle acque limpide e fresche del mare!”. Lei, con un filo di voce, rispose: “Lo so!” e socchiuse gli occhi. Allargò leggermente le cosce permettendomi di penetrarla con le dita. Il suo respiro, sempre più corto, e i piccoli gemiti che sfuggivano dalla sua bocca m’incitavano a restituirle quell'intenso piacere che poco prima mi aveva donato. Coprii il suo corpo di baci per finire di tuffarmi in mezzo alle sue cosce dischiuse. Senza ritirare le dita da quella vagina fremente, presi tra le labbra il clitoride e incominciai a massaggiarlo con la lingua, mentre lei, vinta dal piacere, non riusciva a stare ferma e dimenava il suo corpo stupendo, ondeggiando leggermente. Avrei voluto prolungare quello stupendo cunnilingus fino all'aurora, ma dopo un buon quarto d’ora lei sembrava non poterne più e mi chiese di farla venire. Non ci volle molto, affondai di più le dita alla ricerca del punto che le procurava maggiore piacere, intensificai l’impegno della lingua, leccando e lappando il suo sesso congestionato fino allo spasimo. Inarcò la schiena, come per offrirsi di più alla mia stimolazione e reprimendo un urlo di piacere mi venne in bocca con ripetuti sussulti. La sua figa sembrava un lago, di effluvi dolci e aromatici, che rotti gli argini si riversava sulla mia mano, riempiva la mia bocca, bagnava il freddo metallo sotto di lei. Non tolsi la mano dai suoi genitali ma ricercai il suo viso, per guardare i suoi occhi lucidi e baciarla, per farle gustare un po’ del sapore del suo orgasmo. Lei non volle perdersi niente di quel bacio, mi strinse a sé e mordicchiando il mio orecchio mi sussurrò: “Adesso lo voglio sentire dentro di me!”. Con il cervello in fiamme replicai: “Adesso? Qui?”. Un tremendo panico incominciava a soffocare i miei pensieri: riuscirò a soddisfarla così presto, dopo quell'orgasmo favoloso provocato dalla sua bocca, perché, insomma, non ho più vent'anni! È vero che quell'incredibile rapporto erotico mi aveva provocato praticamente un’erezione continua, ma è anche vero che un minimo di ansia da prestazione frena spesso noi maschietti. Non mi diede il tempo di soppesare i miei dubbi, scivolò giù dal cofano della macchina, mi sospinse indietro di qualche passo, mi fece stendere sul prato e, alzando ancora una volta il tubino che indossava, si mise a cavalcioni. Poi afferrato il pene, che per fortuna collaborava senza défaillance, lo guidò alle porte del paradiso e, senza alcuno sforzo, si lasciò penetrare. Mise le mani sul mio petto, si chinò a baciarmi, e diede il via a un amplesso travolgente. Per un momento credetti di non resistere più di pochi minuti, ma lei sembrava avere l’abilità di un’amante di lunga data, che conosce tutte le reazioni del mio corpo, per portarmi più volte ai confini dell’eccitazione. Finì con lei sotto, distesa su quel mare di erba, punteggiato da una miriade di fiori di tarassaco, lievemente richiusi per la notte, che adesso, nel buio appena rischiarato dalla luna, sembrava il cielo di stelle sopra di noi.
Morivo dalla voglia di farla godere, di farlo insieme a lei, di abbeverarmi alla sua intimità, di vivere fino in fondo quell'istante di passione. I nostri movimenti, lenti e armoniosi, erano divenuti frenetici e convulsi. Sembrava un assalto, un’arrampicata fin sulla vetta del nostro piacere. Io ero oltre ogni limite e lei non sembrava attendere altro che un orgasmo non più procrastinabile. Il suo corpo caldo, bruciava come se fosse riarso dalla febbre, i suoi occhi scintillanti al chiarore della luna, le braccia aperte e distese nell'erba, con le mani aggrappate a quei fiori delicati, testimoniavano che anche lei non voleva altro. Un’onda di piacere ci travolse all'unisono, come i cavalloni che scuotono il mare vicino a noi nei giorni di tempesta e che ti trascinano con un turbinio sott'acqua, lasciandoti spaesato e confuso, per un istante senza fiato. Riemergemmo insieme da quell'orgasmo impetuoso, ansimanti ma felici. Mi stesi al suo fianco e rimanemmo a contemplare il cielo, a scrutare le rotte degli aerei che passavano silenziosi sopra di noi, a respirare quell'aria marina che la brezza portava dal mare, come se volesse raffreddare i nostri corpi accaldati dal sesso.
Rimanemmo lì a lungo, sdraiati e vicini, tenendoci semplicemente per mano, a rilassarci e sorridere, a parlare delle nostre vite, delle cose di tutti i giorni, in fondo di banalità. Ci sembrava una cosa strana: lontani e distanti, per telefono, ci scambiavamo sensazioni e desideri a dir poco inconfessabili; invece lì, vicini e appagati, sembravamo i passeggeri di un treno che parlano del più e del meno per ingannare l’attesa prima di arrivare alla meta. Dopo un po’ lei mi chiese: “Quando riparti?”. Risposi con rammarico: “Domani; anzi, vista l’ora, oggi, di mattina presto. Devo tornare alle solite cose, ai numerosi impegni che non posso eludere; dovrei trovarmi a casa già nel primo pomeriggio!”. Lei rimase assorta, in silenzio. Decidemmo di alzarci, di darci una sistemata, e la riaccompagnai alla macchina. A me non piacciono gli addii, perciò l’abbracciai stretta per qualche minuto, e tornai a prometterle: “Ti assicuro che non invaderò la tua intimità, che non farò nulla per condizionare la tua vita, le tue scelte, i tuoi amori. Sappi solo che non ti dimenticherò! Se vorrai metterti in contatto con me, sai come fare!”. Per rassicurarla che intendevo mantenere la promessa, a malincuore, le restituii gli slip, ancora intrisi dei suoi umori. Lei, con un nodo alla gola mi fece segno di aver capito, ci scambiammo un lunghissimo bacio e salimmo ognuno sulla propria macchina.
Rientrato come un ladro in casa dei miei ospitanti, m’infilai sotto la doccia, cercando di fare il minimo rumore possibile, e mi stesi sul letto. Non riuscivo a dormire, probabilmente per l’enorme quantità di adrenalina che ancora circolava nelle vene, e rimasi immobile a ripensare a lei, assistendo rilassato e tranquillo al risvegliarsi del giorno. Mi sarei addormentato quando una luce già piena entrava dalle finestre ed era ormai ora di alzarsi. I miei amici mi avevano svegliato come previsto, stuzzicando le narici con un buon odore di caffè. Avevo così condiviso una colazione abbondante, che loro insistevano a ritenere necessaria per affrontare il viaggio. Poi ci siamo salutati cordialmente, con la promessa che avrei spedito loro qualche schizzo, necessario per definire maggiormente l’intervento da eseguire sul loro casale.
Ed ora eccomi qui, appoggiato alla macchina, a riempirmi gli occhi di questo paesaggio, a volerlo imprimere nella mente per memorizzarlo come lo scenario di una notte d’amore. Non sono triste. All'opposto, sono grato al destino per questo dono incredibile e inaspettato. Mi dispiace solo che non mi sia rimasto qualcosa di concreto di questo incontro: solo la ricevuta dell’agritur. Ma niente di lei, qualcosa di personale che me la faccia sentire vicina. Peccato!
Mi riprendo da questo pensiero, entro in macchina per partire e scorgo, solo ora, sul sedile accanto, un fiore di tarassaco, con il suo lungo stelo e con la corolla, formata da una miriade di piccoli petali di un giallo intenso, completamente aperta ad assorbire la luce del sole. Lo prendo tra le mani e lo porto alle narici per annusare quell'odore quasi impercettibile. È così evanescente che non riesco a coglierne la fragranza: sa di prato e di erba, magari ha un profumo proprio, che però è troppo leggero, o forse sa di lei. Ripongo questo fiore delicato, prezioso, tra le pagine dei miei appunti, che lo proteggeranno come una specie botanica raccolta in un erbario, conservandolo come fosse l’unico esemplare di una specie protetta, assolutamente rara.
Come la donna che lo ha stretto tra le sue dita.


Le persone, i luoghi e le circostanze citate sono puramente di fantasia. Il racconto invece è dedicato a una donna speciale che si vela sotto lo pseudonimo di PrivatePleasure.
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