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Il nero vince in due mosse (cap. 2)


di eborgo
07.06.2023    |    734    |    0 9.6
"Finiscono di parlare e lui si sfila da dietro le mie spalle..."
Capitolo secondo. Romilda

L’ora di pranzo è passata. La luce calda del pomeriggio attraversa le tende inondando la stanza. Ogni tanto cambio posizione per permettere al sangue di circolare attraverso i miei polsi legati. Farò domanda alla direzione per un televisore, almeno il tempo passerà più in fretta.
Nives Anyanwu, dopo la frenetica scopata di questa mattina non mi ha più rivolto la parola. A pranzo mi ha dato un bicchiere di latte e dei biscotti. Mi ha fatto andare in bagno, poi si è messa a lavorare al computer cosa che ancora sta facendo. Intravedo la sua spalla nuda dietro allo schermo e sento le sue dita battere a tratti sulla tastiera.
Mi sto quasi appisolando quando il campanello d’ingresso squilla due volte.
Mi ritorna l’agitazione mentre Nives si alza per andare al citofono. Un rapido scambio di parole nella sua lingua e sento scattare l’apripòrta.
Un paio di minuti scorrono in silenzio poi sento il battente di casa che si richiude. Rumore di baci, brusio sommesso nella lingua sconosciuta, poi passi ciabattanti vengono nella mia direzione.
É un uomo di colore quello che entra nella stanza o, almeno, a occhio e croce dovrebbe esserlo. É alto almeno un metro e novanta, magro ma robusto, sui 35 anni. A un primo esame direi che è della stessa etnia della sua amica. Porta una di quelle tute “da ginnastica” di lurex lucido che le persone veramente eleganti indossano per andare in vacanza. La sua è su toni neri e grigi, ampia e comoda. I piedi nudi, dalle dita lunghe e sottili, sono infilati in un paio di infradito con le fascette di gomma nera trasparente.
Archivio il suo abbigliamento con un neutro “unisex”
Si ferma di fianco al letto e mi guarda senza espressione. É di una bellezza non comune. L’ovale del viso è reso speciale dal mento volitivo e dagli zigomi alti, gli occhi sono grandi, vagamente a mandorla e di un colore ambra scuro con le ciglia lunghe e folte. Il naso è liscio e appena schiacciato e le sopracciglia nere e ben curate. Ma la cosa più sorprendente è la sua bocca: una bocca che tutte le femmine che conosco farebbero a botte per avere. É grande, carnosa, leggermente sporgente e di un colore appena più scuro della pelle. I capelli, tirati sulla testa al punto da sembrare dipinti, sono pettinati in una disordinata coda di cavallo che gli da un aspetto vagamente selvaggio.
Sono talmente intento a guardarlo che la sua voce mi fa sussultare.
«E così è a te che ho rubato telecamera di valore....»
Ha un tono morbido, un po stascicato, appena, appena nasale. Si siede sulla sponda del letto. Deglutisco ma non riesco a staccare lo sguardo dalla sua bocca. Ho il netto presentimento che sia un po’ finocchio, ma in questo preciso momento tutto è una minaccia, per me.
«Mio nome è Fa’idah» mi dice posando una mano dalle unghie lunghe e ben curate sulla mia coscia «ma gli amici mi chiamano Romilda.»
Ecco, detto fatto. Scosto la gamba quel tanto che le corde me lo consentono e lui ritira la sua mano con un mezzo sorriso. Il cuore riprende ad agitarsi nel mio povero petto. Romilda... Santa merda, marca male, ragazzi. Va bene farsi scopare da Nives, ma adesso mi sembra che stiamo esagerando. Purtroppo non sono nemmeno da buttare via, con la ginnastica, il canottaggio e i miei venticinque anni.
Magari Romilda, qui, mi ha già messo gli occhi addosso.
«Come ti ha detto mia amica Nives» continua, senza più toccarmi «non possiamo lasciarti uscire libero di questa casa per qualche giorno.»
Sono teso e, viste le nuove prospettive, anche un po incazzato.
«Mi... mi cercheranno» ribatto, ma senza troppa convinzione. «Sia a casa che al lavoro... Non potete far sparire così una persona.»
Romilda mi guarda ma non sorride. «Nives ha lasciato un tuo biglietto a vostra portinaia» mi risponde, «dove dici che parti per breve vacanza. Qualche giorno solamente.» Posa di nuovo una mano sulla mia coscia ma sembra più interessato al raso del pigiama che a quello che ci sta sotto. «Questo ci darà qualche giorno di tempo» continua. «Vostra portinaia è una donna ignorante, non si accorgerà di errori di italiano.» Sorride di nuovo. La sua voce è avvolgente. «Ci sono in ballo molti soldi, per me e Nives. Quello che abbiamo rubato in vostre case ci serve per fare questo lavoro. Poi spariremo.»
Leva la mano dalla mia gamba e si rimette in piedi. «Noi aspettiamo questa occasione da molto tempo» mi dice, le mani sui fianchi e lo sguardo duro «non ci fermiamo davanti a nulla. Purtroppo è andata così per te. Non creare problemi a noi e tutto va a finire bene.»
A questo punto il mio cuore gioca ai tamburi della giungla misteriosa. Lui mi strizza l’occhio e torna in salotto. Chiudo gli occhi e cerco di calmarmi con grandi respiri. Li sento parlare nel loro dialetto senza vocali. Non hanno l’aria di essere troppo preoccupati. Romilda – mi fa specie chiamarlo così – lui ha parlato di molti soldi. Evidentemente hanno in ballo una truffa o un ricatto o qualcosa di simile. Forse c’entra il computer. In effetti, parlottando, i miei due rapitori si siedono davanti al terminale. Prima di mettersi al lavoro Romilda mi lancia una lunga occhiata inespressiva.
Distolgo lo sguardo e mi immergo nei miei pensieri.
Dal colore della luce che filtra attraverso le tende dovremmo essere a metà pomeriggio. Il rumore ovattato del traffico è in aumento, segno che la gente sta già lasciando gli uffici. Cerco di pensare a qualcuno che potrebbe allarmarsi per la mia assenza prolungata ma non mi viene in mente nessuno. Valentina e io ci siamo lasciati ormai da un mese e mezzo, l’amministratore se ne sbatte del condominio e il mio assistente non si fa vedere se non quando lo chiamo io. Per quattro o cinque giorni nessuno noterà la mia mancanza, questo è poco ma sicuro.
Mi sistemo meglio sui cuscini e piego le gambe cercando una posizione comoda. Vedere le corde bianche attorno alle mie caviglie ha un che di surreale, come cercare di muovere le mani e non poterlo fare. Appoggio la testa ai cuscini e tento inutilmente di rilassarmi.
In quella il telefono si mette a squillare. Nives si alza dal computer e, indicandomi, dice qualcosa a Romilda. Sembrano agitati. Lui si alza a sua volta e viene rapidamente verso di me. Solleva la mia schiena dai cuscini e si siede dietro le mie spalle. Con una mano sul mio stomaco mi stringe contro di se, l’altra me la preme sulla bocca costringendomi ad appoggiare la nuca alla sua spalla. Ha una presa dannatamente robusta. Quando vede che io sono forzatamente muto, Nives si avvia verso il telefono.
La sento rispondere, poi con voce allegra saluta il suo interlocutore. Sento vari “come va?”, “ma certo”, “ma si, tutto pronto come io e te abbiamo stabilito”, due o tre “non si deve preoccupare”. Cerco di ascoltare la conversazione per vedere di capire cosa c’è sotto ma improvvisamente mi rendo conto che Romilda, sempre tenendomi la mano premuta sulla bocca ha scostato leggermente la mia testa e adesso sta lentamente scorrendo il mio collo con le labbra.
Mi irrigidisco e mugolo un paio di proteste cercando di divincolarmi. Lui aumenta la stretta. «Sccchhh...» mi fa in un orecchio «Stai fermo, non è niente.»
Con la coda dell’occhio lo vedo sorridere. Attraverso le labbra dischiuse fa capolino una chiostra di denti bianchi e regolari, roba che per averla anch’io, al dentista dovrei dare anche la camicia.
Siccome smette di farmi le sue avances, con un sospiro rassegnato mi abbandono alla sua stretta. Intanto Nives continua a parlare in tono cordiale.
La sento confermare un appuntamento per dopodomani.
«Certo» dice al suo interlocutore «sarà tutto organizzato perfetto» pausa, «si, certo, ci sarà anche Romilda» altra pausa più lunga. Nives scoppia in una risata «Stia bravo, se fa così la faccio frustare da lei.»
Con la coda dell’occhio incrocio lo sguardo di Romilda che ammicca compiaciuto.
Ultimi brevi scambi di convenevoli, poi Nives riaggancia il telefono. Lui mi leva la mano dalla bocca e io scuoto la testa con disappunto inumidendomi le labbra.
«Sei mio primo vero prigioniero» mi sussurra nell’orecchio «Fino ad ora mi hanno sempre pagato per farsi legare.» Altro intenso batticuore mentre la sua mano scende lungo il mio addome e si avvicina pericolosamente alla zona X.
«Mi lasci stare, per favore» ansimo «Non mi piace.»
Nives entra in camera da letto e si ferma a guardarci appoggiata allo stipite della porta. Ha l’aria soddisfatta. Si rivolge a Romilda nella loro lingua e suppongo lo metta al corrente della telefonata. Siccome ultimamente il mio yoruba non ha subito alcun miglioramento non so proprio di che cazzo stiano parlando. Ma una cosa l’ho capita, sia Nives che Romilda praticano prostituzione d’alto bordo. Finiscono di parlare e lui si sfila da dietro le mie spalle. Si alza e mi aiuta a rimettermi appoggiato ai cuscini. Nives si avvicina. Mi guarda negli occhi con un sorriso. «Mi inviti ancora a cena in tua casa?» mi domanda sedendosi sulla sponda del letto. Evidentemente immagina che dalla telefonata io abbia capito il succo della faccenda.
«Non sono un bacchettone» le rispondo con un sospiro. «Le mie frequentazioni sono piuttosto variegate.»
Sorride divertita poi si alza ed esce dalla stanza seguita da Romilda.
Li sento parlare per qualche minuto, poi Nives rientra in camera da letto, prende un vestito nell’armadio a muro e si chiude in bagno.
Attraverso la porta vedo che Romilda sta lavorando al computer. Mi chiedo cosa diavolo stiano progettando. Prostituzione e computer nel terzo millennio.
Nives esce dal bagno. Indossa una gonna di cotone leggero color zafferano e una camicetta di seta bianca con le maniche arrotolate. Ai piedi un paio di sandali a fascetta marroni con il tacco alto. Si ferma un momento davanti al letto.
«Ci vediamo più tardi» mi informa, «cerca di stare tranquillo.»
La seguo con lo sguardo mentre si allontana. Altro scambio in dialetto yoruba, poi la porta di casa si chiude alle sue spalle.
Silenzio.
Romilda torna da me. Eccolo... Cristo santo e adesso che faccio? Sono terrorizzato; mi prende il batticuore, la febbre, l’asma, spasmi, extrasistole, palpitazioni, svenimenti e tutto il repertorio. Viene a sedermisi accanto sul letto.
«Ti voglio» mi dice fissandomi dritto negli occhi, «e quello che voglio me lo prendo.»
Ecco uno che sa essere romantico.
«Meglio se ti fai una ragione di questo.» Sorride e mi infila una mano fra le gambe facendomi fare un salto. «Calmati» continua carezzandomi lentamente tra le cosce. «È solo sesso. Cerca di vedere cose in questa maniera, solo sesso.»
«Non voglio» balbetto. Pollicino avrebbe una voce più stentorea della mia. «Non lo voglio fare, per favore.»
Avvicina il viso al mio «Vediamo se è vero» mi dice.
Non riesco a togliere lo sguardo dalla sua bocca socchiusa e intanto la sua mano mi accarezza sempre più a fondo. Si avvicina ancora e mi bacia sulle labbra. Non posso tirarmi indietro e mi scosto di lato, nemmeno troppo convinto. Credo che il mio cuore non abbia mai battuto così all’impazzata. Riesco a malapena a respirare. Intanto, la sotto, il traditore bastardo comincia a indurirsi tra le sue dita.
«Ecco, bravo... così» mormora, la bocca praticamente a contatto con la mia. «Vedi che hai voglia di farlo?» Mi bacia ancora, leggermente. «É carino questo tuo pigiama, tesoro» mi sussurra ancora. «Adesso anche io metto qualcosa di comodo, vuoi?» Questa volta il suo bacio è più insistente, più pieno. Prende tra le sue labbra il mio labbro inferiore e lo sfiora con la lingua.
Si stacca da me e si alza dal letto lasciandomi preoccupato, ansante e, mio malgrado, in completa erezione.
Entra in bagno sfilando il sopra della tuta e si chiude dentro. Fruscii di vestiti messi e tolti giungono alle mie orecchie preoccupate. Ne esce in una decina di minuti. Ora indossa il vestito di Nives, nero, lungo e lucido. Gli è ovviamente più stretto e lo fascia rivelando con pieghe e riflessi brillanti la sua muscolatura, il petto prominente, quasi un piccolo seno e il suo uccello semi eretto che provoca un rilievo setoso tra le sue gambe. Cammina lentamente verso di me accarezzandosi i fianchi, gli occhi fissi nei miei. Si è leggermente truccato e la sua bocca brilla di lucidalabbra.
Sono senza fiato.
Viene a sedersi accanto a me e prima che io possa riprendermi dallo stupore la sua lingua è già nella mia bocca. Mi riprendo e tento debolmente di sfuggirgli, ma la sua bocca è incollata alla mia e le sue mani si muovono su di me come serpenti. Con leggerezza, senza smettere, sfila le infradito, sale sul letto e si inginocchia sulle mie cosce. La sua bocca succhia la mia, la bruca, la mangia, l’avvolge. Io cerco di stringere le labbra ma in una maniera o nell’altra la sua lingua è sempre dentro la mia bocca, ne esplora i denti, il palato, le guance. Il suo sesso è teso e duro contro di me, con mosse lente e ritmate lo struscia sul mio addome piatto. Tra il suo coso e me c’è solo il lucido tessuto del vestito che ne facilita lo scorrimento.
Smette di baciarmi sulla bocca e affonda il viso sopra la mia spalla. Mi bacia il collo passandomi la lingua dall’attaccatura fin su all’orecchio e indietro, strusciandosi ancora contro di me. Ansimo e gemo, non tento nemmeno più di sfuggirgli. La sua mano torna a carezzare il mio sesso ormai duro e teso allo spasimo. Mi da ancora qualche bacio sulla bocca poi si allontana da me. Mi guarda negli occhi con un sorriso soddisfatto prima di chinarsi sul mio uccello per prenderlo in bocca. Lo fa scorrere diverse volte tra le labbra, succhiandolo lentamente e carezzandolo con la lingua. Tutti i miei muscoli son tesi come corde di violino, non riesco a togliere gli occhi dalla sua bocca nella quale appare e scompare il mio sesso. Guardo quelle labbra carnose che succhiano il mio glande, lo baciano, lo stuzzicano, mentre lingua lo carezza piano strappandomi vampe di calore che percorrono il mio basso ventre e mi strappano gemiti di piacere mio malgrado. Le sue labbra corrono lungo l’asta e le sue mani giocano con i miei testicoli, i suoi denti mordicchiano piano la pelle attorno al glande. Lo fa scorrere ancora un paio di volte tra le labbra poi mi si preme di nuovo contro e la sua lingua torna prepotentemente nella mia bocca. La succhio per diversi secondi, poi lascio che mi baci a lungo, voracemente, brucandomi e leccandomi le labbra. Sento il vestito scorrere verso l’alto finchè il lucido tessuto che l’avvolgeva non lascia libero il suo uccello che si appoggia duro e caldo contro il mio ventre. Abbandona la mia bocca e si solleva portando il suo pube all’altezza della mia faccia. Una mano gigantesca mi strizza lo stomaco e il fiato mi si mozza. É lungo, grosso e curvo come un gancio, con l’asta marrone scuro che sfuma in un colore più chiaro verso la punta per finire con un glande gonfio e rosa pallido. Vedendo la mia indecisione, chiamiamola così, Romilda comincia a passarlo lentamente sulla mia faccia, mi ci accarezza le guance, ne fa scorrere il glande sulle mie labbra.
Ho un bel ritrarmi ma non faccio che eccitarlo ancora di più. Lui mi accarezza i capelli e passa delicatamente la punta del suo uccello sulle mie palpebre abbassate. Occhio non vede cuore non duole... Schiudo le labbra e lentamente ma inesorabilmente mi ritrovo il suo affare in bocca. Con molta calma prende a muovere il bacino avanti e indietro, di conseguenza anche il suo sesso comincia a scorrere dentro e fuori le mie labbra. Non posso negare che la giovane marmotta che è in me sia tentata di esplorare queste sensazioni sconosciute, profumi che mi sono estranei. Insomma, sapori nuovi dal mondo.
Timidamente ne accarezzo la punta con la lingua. É il primo segno di una mia qualche collaborazione e questo mi vale un gorgoglio di approvazione da parte di Romilda che subito lo tira parzialmente fuori dalla mia bocca e mi offre il glande da succhiare e stuzzicare. Apro gli occhi e incrocio il suo sguardo eccitato, le labbra dischiuse, la punta della lingua fra i denti. Sempre muovendo il bacino mi porge per lunghi minuti il suo uccello da baciare e succhiare dove più gli dà piacere. A volte me lo ritrovo in bocca fin quasi alla radice e subito dopo lo sto tenendo di traverso tra le labbra, solleticandolo con la lingua e con i denti. Il suo ansimare diventa sempre più rapido e profondo. Il retaggio della magna Grecia, dove principi e opliti si scopavano tra una battaglia con i persiani e l’altra, salta fuori in mio aiuto.
Con una mano Romilda si tiene ora alla mia spalla mentre l’altra corre a stringere il mio sesso dietro la sua schiena. Io succhio e lui carezza, io succhio e lui carezza... Il mio uccello scorre fra le sue dita, ora lentamente ora più velocemente. Nemmeno io riesco a masturbarmi così bene.
Infine sfila il suo grosso sesso scuro dalla mia bocca e con cinque o sei forti spasmi mi copre il petto di seme caldo e vischioso. Pochi secondi dopo anche io gli vengo fra le dita.
Si lascia cadere sulle mie cosce e aspettiamo che i nostri respiri tornino normali fissandoci negli occhi. Prende dei Kleenex dalla solita scatola e mi pulisce il petto, magari indugiando un pelo di troppo.
Si solleva appena e pulisce anche il mio seme.
Ha uno sguardo soddisfatto, un gatto che si è pappato il topo.
In quella Nives fa il suo ingresso nella stanza. Non l’abbiamo nemmeno sentita entrare in casa.
Rimane un attimo sulla porta poi si accomoda sulla sponda del letto. Le mie braghe di raso giallo formano un mucchietto lucido attorno alle caviglie impastoiate.
«Vedo che voi fatto conoscenza» dice guardandomi con un pelo di curiosità.
«Molto sexy il nostro prigioniero» le risponde Romilda, «ma poco servizievole....»
Si china per baciarmi sulla bocca ma le porgo svogliatamente la guancia.
Nives ride e si alza dal letto. Qualche battuta nel loro dialetto, un paio di occhiate nella mia direzione e anche Romilda mi lascia al mio destino. Si infila le sue infradito e va a chiudersi in bagno.
La nera mi guarda con un sorriso leggero. «C’e gente che paga molti soldi per avere quello che tu ha avuto gratis» mi informa. «Vado a preparare una tazza di tè alla menta, vuoi?»
Adesso dovrei pure sentirmi un privilegiato… Annuisco con un sospiro. Una tazza di te non può farmi che bene. Lei si allontana, ma prima di uscire dalla stanza mi lancia un’occhiata divertita da sopra la spalla.
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