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Un vicino morbido come la seta (terza parte)


di eborgo
03.05.2023    |    2.688    |    4 8.5
"Ho sentito il seme caldo sulla pancia nuda..."
Lunedì 3 ottobre 2022, Ore 11:25
Trascrizione da Nastro. Deposizione raccolta in Questura. Dossier IC-05

Ho guardato in basso, verso il fiume, dove razzolano quei pachistani o quel che diavolo sono, quelli con il turbante, quelli lì, che aspettano il pollo per vendergli la roba e intanto fanno passare la giornata ciondolando avanti e indietro. Me la sarei fatta io una bella canna, me la sarei fatta eccome. Bella grande, profumata, rilassante. Solo che uno di voi avrebbe dovuto venire qui e reggermela tra una boccata e l’altra, perché con quelle cazzo di mani impastoiate dietro la schiena non potevo fare un accidente di niente, manco grattarmi quando mi prudeva.
C’era il sole e una lama calda, quasi bollente, mi traversava una spalla nuda filtrando attraverso la tenda. Avevo dormito male. Due notti di fila a dormire legato come uno schiavo non aiutano a essere di buon umore. E poi c’era tutto il resto.
Moira, chiamatelo come volete, che si era fatto succhiare per bene l’uccello dal sottoscritto. La cosa che mi preoccupava di più era che, con tutta quella seta e quel raso, me l’ero goduta un mondo anch’io. Mi aveva eccitato. Si, mi aveva eccitato il suo profumo, il fondotinta, il rossetto, la parrucca le unghie laccate, mi avevano eccitato quei cazzo di sandali e le calze con il reggicalze. E tutto il resto. Mi aveva eccitato il suo uccello duro e lucido sotto al tessuto. Mi aveva eccitato eccome.
Mi era piaciuto sentirmi inerme davanti a lui, costretto a fare quel che mi diceva, sentire tutta quella fottuta seta sulla pelle, sentirmi posseduto e usato.
Nella notte, a letto, mentre guardavo il soffitto senza la minima speranza di riuscire a chiudere occhio, sentivo il suo corpo fasciato dal raso della camicia da notte contro la mia pelle. Ho desiderato che si svegliasse e che ricominciasse a baciarmi e a toccarmi. Ho anche provato a svegliarlo fingendo che fosse un movimento casuale.
Adesso cercavo di ricordare il corpo di una donna, di una vera, morbida, tettuta e profumata. Ma continuava a tornarmi in mente il suo uccello duro che sporgeva tra le calze di seta davanti alla mia faccia.
Giù di sotto il lunedì si srotolava pigro e caldo, al rallentatore. Ero pulito, sbarbato e profumato, nutrito e con l’alito alla menta. Mi teneva come il suo barboncino. Biscottini e guinzaglio corto.
« A cosa stai pensando? » mi ha detto. « Cos’è che ti preoccupa tanto? Non c’è nulla di terribile o definitivo» ha aggiunto.
Mi sono voltato lentamente, togliendomi da quella lama di sole che mi stava tagliando in due come il raggio laser di Goldfinger.
Mi stava guardando, mollemente adagiato in una costosa poltrona in mezzo al suo elegantissimo, fottutissimo salotto. Indossava un paio di larghi e morbidi calzoni di raso bianco, un po orientali, stretti sopra la caviglia da due coulisse dello stesso tessuto e allacciati in vita da un foulard di seta nera infilato tra i passanti e annodato sul fianco. Aveva i piedi nudi, calzati in un paio di sandali di pelle nera con tacco alto e cinghietto alla caviglia.
Mi ha sorriso e ha detto. « Se ti piace fare sesso con me non ti devi vergognare » ha detto. « Adesso sai che ci sono tanti tipi di donne diverse, non un tipo solo.»
Ha accavallato le gambe e si è lisciato lentamente i pantaloni sulla coscia. Ho fissato la blusa di raso color champagne che aveva indosso. Era una blusa a maniche lunghe, morbida e liscia, con una scollatura a larghi revers, formati da lucide pieghe del tessuto, che si apriva sui suoi seni appena accennati. Sotto s’intravvedeva un reggiseno leggermente più scuro. L’ho immaginato a torso nudo, con i capelli sciolti e le mutandine di raso gonfie del suo uccello duro. Ho immaginato quel petto maschile, ho immaginato quei piccoli capezzoli, ho immaginato il tutto fasciato di seta lucida e morbida. Me lo sono immaginato per bene.
« Vieni qui » ha detto.
Avevo voglia di passare le labbra sulle sue gambe, di sentire tutto quel raso scorrere sulla mia faccia, sulla mia pelle. Avevo una porca voglia di farmi ancora scopare da lui ma non mi sono mosso.
« Le altre donne ti piaceranno ancora, » mi ha rassicurato con un sorriso. « È di questo che hai paura? É questo che ti fa paura? Io sono un’altra cosa, quelli come me sono differenti. »
Ha teso una mano per invitarmi. « Avrai voglia di entrambe le cose, vedrai amore, e potrai averle entrambe. Potrai decidere quale e quando.» Ha separato le gambe e le ha aperte. « Adesso vieni qui, vicino a me. » Si è passato lentamente le dita sul pube, evidenziando la forma del suo uccello attraverso il raso. Non portava mutandine di sorta e l’ho visto ingrandirsi con un guizzo sotto ai riflessi del tessuto.
E allora mi sono avvicinato, sissignori, mi sono avvicinato un passo alla volta, lentamente, mentre lui mi guardava il petto e il pube alternativamente, le labbra schiuse e una voglia fottuta di scoparmi nello sguardo.
Ha sollevato il busto e mi ha carezzato i fianchi e il sedere. Ha sollevato una gamba e l’ha sfregata piano contro la mia, raso contro pelle, l’ha sfregata su e giù, su e giù, lentamente. Ho chiuso gli occhi e ho sentito il mio uccello che diventava duro, levava il capino e si metteva a volare. Lui lo ha baciato. Mi ha attratto verso di se e lo ha baciato. Le sue dita hanno carezzato i miei polsi e le corde che li legavano dietro alla schiena.
« Sei bellissimo » ha ansimato, « sei mio e mi fai impazzire » ha detto.
Ho sentito la sua lingua che mi carezzava il glande e la sua gamba di raso che continuava a scorrere lentamente contro la mia. Ho aperto gli occhi e mi sono inginocchiato tra le sue cosce.
Lui si stava carezzando attraverso i pantaloni. Si teneva in mano quel lungo siluro di raso bianco e lo faceva scorrere tra le dita. L’ho baciato sulla bocca e la sua lingua è guizzata tra le mie labbra. Ha risposto violentemente al mio bacio succhiandomi a fondo le labbra e spingendo la sua lingua contro la mia. Infine me l’ha data da succhiare, cosa che ho fatto piano lasciandola scorrere dentro e fuori la mia bocca. Con la mano libera ha spinto sulla mia schiena e mi ha ancora avvicinato a se. Sentivo il fruscio della sua mano che andava su è giù lungo il suo uccello. Il raso dei pantaloni venendo a contatto con i miei fianchi mi provocava veri e propri spasmi di eccitazione. Avevo le narici piene del suo profumo, la bocca piena della sua lingua e il cervello pieno di confusione.
Mi ha abbracciato stringendomi contro il suo petto fasciato di seta e mi ha coperto il collo di baci frenetici. Tenevo la testa all’indietro, gli occhi chiusi e tutto il mio essere teso a raccogliere ognuna di quelle mille sensazioni che mi arrivavano al cervello.
Mi ha leccato e succhiato ogni centimetro di pelle, sul collo, sul mento, sulle guance.
Ho intercettato la sua bocca e ho ricominciato a baciarlo mordendogli le labbra e la lingua. I mostri fiati frenetici si mescolavano e gemiti e mugolii di piacere andavano sprecati. Ho preso a strusciarmi contro di lui, il mio pube contro il suo. I nostri uccelli duri si scontravano e si agganciavano mentre le nostre lingue si incrociavano nelle nostre bocche.
Mi sono chinato e ho cominciato a scorrere le labbra schiuse sulle sue cosce coperte di raso lucido e bianco. Ho strusciato la mia faccia, le mie guance, mi sono spinto fino all’attaccatura del pube baciandogli l’interno delle cosce. Lo sentivo gemere, sentivo le sue mani sul mio corpo. Il suo uccello duro e lungo spingeva contro la mia faccia, ancora coperto dal serico tessuto, mentre con la lingua gli solleticavo i testicoli. Mi ha afferrato per i capelli e mi ha costretto a sollevare la testa. Con un rantolo di piacere ha ricominciato a baciarmi sulla bocca, succhiandomi le labbra e spingendomi la lingua fino in gola.
Io ero teso e duro come un palo del telegrafo, il sesso mi tirava tra le gambe come mai mi aveva tirato prima. Era come se il diavolo mi avesse afferrato l’uccello per trascinarmi tra le vampe infernali del piacere. Succhiavo la sua lingua ansimando e godevo del sentire le sue labbra sopra le mie Mi ha lasciato andare, sono caduto a sedere sui talloni e mi sono trovato il suo glande gonfio e eccitato davanti alla faccia. Era fuori dal suo scrigno di raso e mi guardava. Prendimi in bocca mi diceva, prendimi fra le tue labbra e fammi impazzire, diceva. E io l’ho fatto.
Prima piano, ne ho presa la punta tra le labbra e l’ho solleticata con la lingua. Moira è andato in visibilio, gli occhi piantati nei miei e un’espressione di piacere assoluto sulla faccia truccata. I capelli della sua costosa parrucca, raccolti sulla nuca, pendevano in ciocche disordinate sul viso accentuando l’aria eccitata. Ho continuato a solleticargli l’uccello con la lingua e con le labbra, sostenendo il suo sguardo. Avevo le mani legate dietro alla schiena, ma adesso era lui in mio potere. Più andavo avanti più lui impazziva di desiderio. Ho continuato a succhiare quel centimetro di glande per un pezzo, finché lui con un movimento del bacino e tenendomi per i capelli con una mano non ha cominciato a spingere il suo lungo uccello pulsante nella mia bocca. L’ho lasciato entrare fino a metà, di più non ce ne sarebbe stato e ho cominciato ad andare avanti e indietro lungo l’asta, accarezzandola con la lingua e solleticandola con i denti. Era eccitato come il diavolo e la cosa non è durata molto.
Afferrandomi per i capelli mi ha impedito di tirarmi indietro e in pochi secondi mi è venuto in bocca. Mugolando, incapace di sottrarmi, ho sentito il liquido vischioso che mi riempiva la bocca e scendeva lungo la gola. Lui lo ha aiutato pompando con il suo uccello che pareva esplodermi tra le labbra.
Mi ha costretto a berlo tutto, poi mi ha spinto all’indietro e io sono caduto di schiena sul morbido tappeto. Si è seduto sulla mie cosce e mi ha baciato leccandosi le piccole gocce di sperma che mi colavano sul mento e sulle guance. Infine si è riempito le mani di saliva e l’ha spalmata sul mio uccello. L’ha spalmata per bene, sul glande e lungo l’asta, poi ci si è seduto sopra. Piano, con aria ispirata lo ha fatto scomparire tra le sue chiappe. Lubrificato dalla saliva, il mio coso non ha incontrato molta resistenza ed è penetrato dentro di lui fino alla radice. Sentivo le sue gambe velate dal raso dei pantaloni abbassati frusciare contro i miei fianchi mentre lui si muoveva su e giù. Un uragano di sensazioni si è scatenato nella mia pancia. Guardandomi negli occhi, sempre muovendo il bacino lungo il mio affare, e carezzandosi il proprio con una mano, si è piegato su di me e la sua lingua è di nuovo entrata nella mia bocca. Mi ha baciato a lungo, lentamente, con gusto, succhiandomi le labbra e la lingua, gemendo di piacere nella mia bocca. É venuto di nuovo e ho sentito il suo seme caldo spruzzarmi l’addome. Pochi altri movimenti del suo baccino e anche io ho avuto il mio orgasmo, lungo, atteso, quasi doloroso. Me lo ha strappato dal profondo del mio essere stringendolo tra le sue chiappe. Si è sfilato da me con il rumore di un tappo di champagne e si è accasciato sulla sua poltrona lasciandomi a terra senza fiato, povera zattera alla deriva con il suo alberello che si piegava poco a poco nel vento.
« Mi fai impazzire» mi ha detto in un soffio. « Mi piace come baci e come ti strusci contro di me » ha detto. « Non farei altro tutto il giorno » ha aggiunto socchiudendo gli occhi e passandosi la punta della lingua sulle labbra.
Mi sono faticosamente tirato su a sedere sul tappeto. Le mani legate dietro alla schiena non aiutano mai, in nessuna occasione.
« Adesso vorrei che lei mi slegasse e mi lasciasse tornare a casa » ho detto io. « Ha avuto molto di più di quello che si aspettava da me. »
« Lo farò » ha risposto allungando un piede calzato dal sandalo e insinuandolo tra le mie gambe. « Ma ho bisogno di pensare. Devo essere sicura che tu non possa più fare a meno di me ».
Una tenaglia mi ha stretto lo stomaco. Ho fatto finta di niente ma ho avuto paura. Mi sono chiesto fin dove volesse arrivare.
Deve avermi visto preoccupato perché si è alzato dalla poltrona e mi si è accosciato accanto. Mi ha posato una mano sulla nuca e ha attratto il mio viso verso il suo. L’ho baciato piano. Mi ha dato la lingua da succhiare e io l’ho fatto per bene, con coscienza e con gusto. Bastava mi toccasse per eccitarmi terribilmente.
Ha sondato per un paio di minuti la mia cavità orale con la punta della sua lingua poi si è staccato da me.
« Adesso preparo qualcosa per pranzo » ha sussurrato. « Sono affamata e tu non mi basti più » ha detto.
Ha ancora sfiorato le mie labbra con la punta della lingua poi si è alzato ed è uscito dalla stanza. Mi sono sentito perduto, legato mani e piedi in quell’immenso salotto.
Dalla strada, lontano e ovattato, si sentiva il vociare dei pachistani.
Ho chiuso gli occhi e ho sospirato.


Lunedì 3 ottobre 2022, Ore 16:12
Trascrizione da Nastro. Deposizione raccolta in Questura. Dossier IC-06

Guardavo il vassoio posato sul tavolino basso, la bottiglia di vino francese costosissimo, ancora mezza piena, le coppette nelle quali avevamo mangiato il gelato, e la scatola di raffinati cioccolatini dalla quale ne mancavano tre o quattro.
Devo dire che si trattava bene, Moira, e di conseguenza trattava bene anche me. Sesso e leccornie.
Stavo seduto sul divano, rigido come un marito lasciato fuori dalla porta di casa tutta la notte in Groenlandia. Ero solo, vagamente angosciato e con una voglia terribile di avere le mani libere e di essere a casa mia, tra le mie cose.
La luce del pomeriggio inondava la stanza con colori caldi e morbidi.
Ho chiuso gli occhi e ho lasciato che il sole mi scaldasse. Tra una cosa e l’altra erano tre giorni che me ne stavo nudo come un verme con mani e piedi strettamente legati. Se questa situazione andava avanti ancora un poco, avrei dimostrato che in compagnia di un travestito fasciato di raso le mani non servivano a niente. Tanto faceva tutto lui. Bastava portarsi dietro la bocca.
Il ticchettio dei suoi passi mi ha distolto dai miei ridicoli pensieri. Moira è entrato nella stanza, docciato, leggermente truccato e, siccome non perdeva occasione di mostrarmi il suo lucido guardaroba, fasciato da una combinaison camicia da notte e vestaglia di seta color granatina. Pareva l’immagine stessa della salute. Ancheggiando su un paio di alti sandaletti a fascetta di pelle nera senza talloniera, impersonava a meraviglia un’elegante signora cinquantenne affezionata al propri charme. Sprizzava erotismo da tutti i pori.
Mi sono reso conto che come uomo non era un granchè, un tipo che tutto sommato non si nota. La sua vera natura e il suo fascino saltavano fuori con prepotenza dalla sua preponderante componente femminile. Le rughe del viso, certe imperfezioni che da uomo lo facevano sembrare mediocre, come la pelle del collo un poco cadente, en travesti gli davano invece l’aria fascinosa di una donna navigata.
Ha girato attorno al divano e si è fermato proprio dietro di me. Le sue mani si sono posate sulle mie spalle. Ho inclinato la testa all’indietro e lui si è chinato lentamente su di me. Aveva i capelli sciolti, un fondotinta leggero e appena un velo di ombretto azzurro sopra gli occhi. Una coppia di lunghi orecchini d’oro gli pendevano dai lobi conferendo un nonsochè di volgare al suo volto truccato.
Non aveva rossetto sulle sue labbra tumide e femminili. Mi ha baciato sulla punta del naso poi si è seduto sullo schienale del divano accanto alla mia testa. Ad ogni suo movimento, su camicia da notte e vestaglia si formava un drappeggio di morbide e lucide pieghe. Sembrava che il raso gli colasse addosso. Nessuna delle donne con le quali ero stato fino a quel momento aveva nel suo guardaroba tutto quel ben di dio.
« Ti piace questo colore? » ha chiesto. « L’ho comperata ieri quando sono uscita » mi ha confidato. « Ho pensato che ti sarebbe piaciuto strusciarti contro di me mentre la indossavo. » Mi ha carezzato il petto, il collo e le guance. Ho di nuovo avuto voglia di baciarlo, una porca, incontrollabile voglia di sentire la sua lingua fra i denti.
« É un bel colore » ho detto. « Hai un guardaroba solamente di seta e raso, come mai? »
Si è alzato ed è venuto a sedersi sul bracciolo del divano accanto a me. Altri movimenti, altre pieghe altri riflessi. I miei polsi erano tesi sotto le corde che li legavano.
Ha accavallato le gambe e ha preso a dondolare lentamente un sandalo sulla punta del piede nudo. Lo smalto sulle unghie era della stessa tinta della vestaglia.
Avrei tuffato il viso tra le sue gambe.
« Adoro la seta » ha mormorato fissandomi negli occhi. « Adoro i suoi riflessi, la sua morbidezza e mi eccita da morire sentirmela addosso così lucida e sottile. » Mi ha passato la punta di un dito sulle labbra. « Piace anche a te, vero, amore mio? » ha detto chinandosi su di me. « L’ho notato, sai? Ho visto che ti piace sentirmi contro di te, sentire questa lucida pellicola tra la tua pelle e la mia ».
La sua bocca si è trovata a pochi centimetri dalla mia. Le ho premuto contro le labbra e ho spinto la lingua tra le sue. Ci siamo baciati piano, a fondo, succhiandoci reciprocamente le bocche e incrociando le lingue. Sempre rimanendo incollato alle mie labbra si è seduto a cavallo delle mie gambe. Il contatto con la seta mi ha dato un lungo brivido e mi ha strappato un sospiro di piacere. Lui mi si è strusciato contro, sulle cosce e sul petto, mi ha abbracciato e avvolto nel suo stesso raso. Ho sentito il suo sesso indurirsi sotto al tessuto e il suo petto piatto aderire al mio.
Ho succhiato la sua lingua, le sue labbra, le ho prese nella mia bocca, le ho bevute eccitato.
Si è staccato da me e si è sollevato dal divano ansimando. Il suo sesso duro spingeva in fuori la seta della vestaglia.
« Vieni con me, amore » ha gorgogliato aiutandomi ad alzarmi dal divano. « Voglio che tu mi faccia impazzire » ha detto in un soffio.
Mi ha spinto di faccia contro il muro e si è appiccicato alla mia schiena, premendomisi contro e strusciando il suo uccello fasciato di raso contro le mie mani legate.
« Fammi una sega, tesoro » mi ha ansimato in un orecchio. « Prendilo tra le mani e fammi godere » ha detto.
Ho chiuso le dita e l’ho sentito duro conto i miei palmi. Così coperto di raso scorreva meravigliosamente tra le mie mani, duro e lucido. L’ho masturbato piano, lentamente, stringendo la sua asta lunga e gonfia di desiderio. Ho sentito i suoi baci sul collo e sulla schiena, i suoi capelli sul viso. Sentivo il mio uccello scoppiarmi tra le gambe, tanto duro da farmi male. Lui muoveva piano il bacino per accentuare il movimento delle mie mani. Infine ha sfilato il suo sesso dalle mie dita e mi ha fatto voltare.
La sua bocca si è impadronita della mia, l’ha coperta mentre la lingua si infilava di prepotenza tra le mie labbra. Ha sollevato la camicia da notte e si è preso l’uccello fra le mani. Con pochi scrolloni, senza staccare la bocca dalla mia, ha avuto il suo orgasmo, ansimando di piacere fra le mie labbra. Ho sentito il seme caldo sulla pancia nuda. Mentre il suo missile ancora dava gli ultimi sussulti si è accosciato davanti a me e ha preso il mio coso tra le labbra. Lo ha succhiato piano, sulla punta, solleticandolo con la lingua, poi, stuzzicandomi i testicoli con le dita lo ha spinto a fondo dentro la sua bocca. Mi ha succhiato a lungo, con una dolcezza meravigliosa, bloccando il mio orgasmo diverse volte prima di lasciarmi venire. Sono stati lunghi sussulti liberatori all’interno della sua bocca. Non ne ho vista uscire una sola goccia e, per gradire, ha continuato a leccarmi e succhiarmi per bene fino all’ultimo, finché i sussulti di piacere non sono finiti.
Mi sono lasciato scivolare esausto e mi sono trovato seduto davanti a lui. Negli occhi aveva ancora una luce eccitata. Teneva un ginocchio appoggiato a terra e l’altra gamba piegata ad angolo retto. Posandomi una mano sulla nuca ha avvicinato la sua bocca alla mia. Ha schiuso le labbra offrendomi la lingua che ho succhiato piano, aspirandola nella mia bocca, Poi l’ho baciato. Le sue labbra erano umide e il sapore era strano.
« Mi sleghi, per favore » ho sospirato. « Non ne posso più di non poterla toccare. »
Guardandomi negli occhi, lui si è carezzato l’uccello ormai molle, piano, come a ritardare la fine del nostro ultimo amplesso.
« Non so » ha mormorato « non so che fare. Non avevo previsto tutto questo. » ha detto.
Non lo aveva previsto, porca puttana. Stizzito, con uno sforzo mica da ridere senza poter usare le mani, mi sono tirato in piedi. L’ho scavalcato e mi sono avvicinato al divano.
« Adesso mi sleghi » ho sbottato. « Non può tenermi legato per il resto della mia vita ».
« Non alzare la voce » ha detto guardandomi dal basso, « altrimenti ti devo imbavagliare. »
Ero furibondo. Ho visto la bottiglia di vino mezza piena. Mi sono avvicinato, l’ho presa per il collo con le mani legate dietro la schiena e prima che lui avesse il tempo di dire bah, con una piroetta l’ho lanciata contro una finestra.
Dagadang! Ha fatto un rumore dell’accidente. La pesante bottiglia è passata come un missile attraverso il vetro mandandolo in mille pezzi. Lui mi ha guardato sbalordito, alzandosi in piedi come al rallentatore, gli occhi sgranati e la bocca aperta. Qualche secondo di silenzio poi il sibilo acuto di una frenata è arrivato dalla strada, seguito dal fracasso inequivocabile di un tamponamento tra due o tre macchine. Vociare di gente, portiere che sbattevano, grida. Mi sono seduto lentamente sul divano.
Lui è andato alla finestra e ha guardato di sotto. Sono passati lunghi secondi. Dalla strada continuava a giungere alle nostre orecchie un vociare eccitato.
Non so quanto tempo sia passato prima della sirena di un’auto della madama, ma a me è sembrato un secolo.
Mi sono alzato e mi sono avvicinato a Moira. « Adesso mi sleghi » ho detto, « per favore. »
Si è voltato verso di me come un’automa. Ho pensato che mi avrebbe fatto la pelle o che avrebbe spinto anche me giù dalla maledetta finestra, invece mi ha fatto girare e mi ha slegato le mani.
Mi sono voltato di nuovo verso di lui massaggiandomi i polsi. Ci siamo guardati negli occhi. Stava immobile, davanti a me, poco più alto sui suoi sandali senza talloniera. La vestaglia e la camicia da notte gli colavano addosso come metallo liquido, lucide e piene di riflessi setosi. Attraverso l’apertura davanti ho visto il suo corpo magro, ho allungato una mano e, scostando il tessuto, ho poggiato il palmo sul suo ventre appena prominente.
« Adesso sei libero » ha detto. « Sei libero di toccarmi come vuoi. »
Mi si è avvicinato di un passo. Ci siamo abbracciati e l’ho baciato sulla bocca. La sua lingua si è infilata tra le mie labbra. L’ho succhiata e ho lasciato che si intrecciasse con la mia, ho lasciato che le nostre bocche scivolassero lentamente l’una sull’altra. Il suo corpo maturo era eccitante sotto la seta lucida che lo ricopriva. Le mie mani hanno afferrato i suoi glutei morbidi e sono poi risalite lungo la sua schiena scorrendo sul serico indumento e godendo dell’eccitante sensazione.
Il campanello si è messo a suonare freneticamente e qualcuno ha anche bussato alla porta.
Si è staccato da me e mi ha strizzato l’occhio, poi si è levato la parrucca è ha camminato come la Lollo fino alla porta d’ingresso, lentamente e sculettando.
Carabineri che intimavano, condomini che s’indignavano, signore per bene che svenivano, bambini che ridevano, veri signori che inorridivano, bigotte che si segnavano, pervertiti che m’invidiavano. C’è stato un via vai che non vi dico. Ma questo già lo sapete. É stato un miracolo se non siamo finiti sui giornali.
Un paio d’ore più tardi ero in casa mia. Nel silenzio di fine pomeriggio mi son messo a pensare a Moira, alla seta, al suo uccello lungo e sottile, alla sua lingua insinuante e alle sue labbra tumide e sporgenti.
Ho passato la notte in bianco, guardando il soffitto e ripensando ai tre giorni passati.
É per questo che stamattina sono tornato qui in commissariato, perché voglio ritirare la mia denuncia. Nessuno mi ha rapito e nessuno mi ha legato e tenuto sequestrato in casa sua. E non mi hanno violentato.
Diciamo che una donna un po’ particolare mi ha fatto una corte molto serrata e che alla fine le ho ceduto. Ho smesso di resistere e sono caduto nella sua trappola di seta. È stato davvero molto eccitante, anche essere costretto a soddisfare le sue voglie.
Non capita tutti i giorni di scoprirsi un pervertito feticista. Quindi, per favore, adesso lo lasciate andare e ci diamo un bel colpo di spugna.
E ditegli che questa sera la passo a trovare.
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