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Un caldo pomeriggio


di sloppy62
05.04.2024    |    1.854    |    2 9.6
"Non ricordo come iniziò, ma, come fanno i cani, evidentemente ci siamo “annusati” e piaciuti..."
La porta è socchiusa la spingo ed entro. Erano le 15.00 di un assolato giorno d'estate di dieci anni fa.
Piera era lì davanti a me, mezzo nuda, seduta sul divano, con le gambe aperte, che si accarezzava lascivamente un grosso strap-on allacciato in vita. Una camicetta sbottonata fino all’altezza dello sterno che conteneva, a mala pena, le sue meravigliose e burrose tette.
Chi era Piera? Fu una mia conoscente con la quale non avrei mai pensato, di arrivare al punto di fare quello che racconterò.
Età indefinita, ma non penso oltre i 50 anni.
Non tanto alta, non bella di viso, ma con naso importante, occhi castano scuri, capelli pure scuri con qualche ricrescita bianca, raccolti in uno chignon, carnagione olivastra. Il corpo, tipo "curvy" e, come ho già accennato, procace di seno, con chiappe generose, gentile nei modi e con un vizio in comune: il BDSM.
Non ricordo come iniziò, ma, come fanno i cani, evidentemente ci siamo “annusati” e piaciuti.
“Conto fino a trenta e ti voglio nudo come un verme, in ginocchio ai miei piedi. Se non sei nudo entro trenta secondi, povero te!”.
La conoscevo bene e sapevo che non scherzava, quindi mi precipitai a spogliarmi. Mentre Piera contava, io cercavo di accelerare lo “strip-tease” forzato, più in fretta che potevo.
Lanciai i vestiti a terra, lontano da me.
La conta si stava avvicinando al “trenta”, ma riuscii a finire in tempo.
Mi inginocchiai, completamente nudo, ai suoi bei piedi smaltati rosso sangue, così come lo erano anche le unghie delle dita delle mani, per leccarglieli.
Sapevo che adorava farseli leccare, perché se c’era una cosa che Piera apprezzava molto di me, era la mia lingua. Succhiai i suoi alluci, leccai tra le dita e presi in bocca golosamente ogni suo dito. Le leccai entrambi i piedi sino alle caviglie ed osai anche salire sino ai polpacci ed all’interno delle cosce. Ma quando cercai di raggiungere lo scrigno della sua femminilità, mi arrivò sulla schiena un colpo di flogger, che voleva essere solo una semplice “carezza”, ma tale da riportarmi alla realtà.
“Puoi prenderti certe libertà, solo quando te lo ordino, sia ben chiaro! Dammi i polsi!”.
Mi girai di schiena e le offrii i polsi per essere legati, come piaceva a lei, quando mi voleva punire. Non dovevo potermi ribellare in nessun modo. Solo i piedi non mi legava.
Sentii afferrarmi i polsi che venivano stretti dentro un paio di manette di acciaio, il cui metallo freddo, mi diede un brivido.
“Inginocchiati e conta!”
Il nostro non era un classico gioco “padrona – schiavo”, troppo banale…
Era qualcosa di più profondo: la sua supremazia su di me e sapere di potermi usare come voleva, perché io lo pretendevo.
Si alzò.
Io, già inginocchiato, con le mani bloccate dietro la schiena, mi prostrai di nuovo ai suoi piedi con l’intento di leccarglieli, per placarla, ma fu inutile. Piera cominciò a colpirmi ed io a contare.
Ad ogni colpo di flogger che si abbatteva sulle mie chiappe ed, alcuni colpi erano più forti di altri, seguiva la conta da parte mia. Continuai a baciarle e succhiarle i piedi, con maggior passione di prima. Ma i colpi piovevano incessanti e ritmicamente sulle mie spalle e sulla mia schiena, sempre più forti e sempre più ravvicinati.
L’ultimo trentesimo colpo di flogger calò con forza sulla mia chiappa destra, che sentii “bruciare”.
Non emisi un suono, perché premevo la mia bocca sulla pianta del suo piede destro e non volevo comunque darle la soddisfazione di pensare, che mi stavo lamentando fisicamente.
I colpi avevano arrossato la mia schiena, disegnando righe disordinate, parallele, incrociate, oblique, alcune più in rilievo di altre, sopra le mie spalle, le mie braccia e i glutei.
Avevo osato troppo e, giustamente, mi aveva “messo in riga”.
Adoravo trasgredire con lei e cercavo, apposta, la punizione corporale.
Speravo di averla calmata, anche perché lei, frustando, si eccitava realmente e tangibilmente, bagnandosi: a questo volevo arrivare!
Avevo la lingua secca a furia di leccare, ma non smisi, fino a quando non mi fermò.
“Basta leccare i piedi!” disse lievemente ansimante, perché la forza impiegata a colpirmi, l’aveva un po’ stancata.
Piera gettò via lontano da sé il flogger.
“Guarda che fatica che mi fai fare con questo caldo… Ti sembra il caso? Oggi però ho voglia di usarti come dico io….! Ma prima asciugami…!”
Piera si allentò la cintura dello strap-on e tolse momentaneamente il grosso dildo che vi troneggiava sopra, si sedette sul divano, allargando le gambe, mostrandomi la sua bernarda pelosa. Non me lo feci ripetere due volte ed in ginocchio, la raggiunsi tuffando la faccia tra le sue cosce sudate.
Piera era una donna old style. La parte superiore della sua vulva era adornata da un pelo folto, ma non disordinato, comunque contenuto e non strabordante sull’interno cosce e tra le chiappe; le grandi labbra ambrate, generose ed invitanti, il clitoride non grosso, ma sensibile ed infine il suo odore di femmina, intenso, ma, gradevole, era un cocktail esplosivo che, sin dall’inizio ( quando per la prima volta mi permise di leccarla), mi inebriò.
Avvertii il sapore tipico della sua eccitazione sulle mie papille gustative; la sua linfa era fuoriuscita dalla vagina ed era colata fino al perineo.
Leccai rimuovendo ogni traccia della sua deliziosa sbroda, che era colata anche tra le chiappe ed iniziai a leccarle il clitoride. Ma uno schiaffetto sulla testa mi fermò: “Ho detto: asciugami. Non, leccami…, cane!!”
Smisi subito e, una volta alzatasi, si riallacciò in vita lo strap-on, dopo aver inserito il dildo troppo cresciuto.
Quindi mi fece sollevare il viso e mi trovai il naso all’altezza del suo strap on.
Un grosso dildo ma, non uno dei più grossi di Piera, si stagliava davanti ai miei occhi.
“Ti consiglio di darti da fare bene con la lingua, la bocca e la saliva. Oggi ho deciso di incularti duro e a lungo con questo cazzone e bagnalo bene, perché non userò altro lubrificante per il tuo buco…!”
Mi spinse la testa sulla cappella del dildo e la leccai e succhiai, per riempirla il più possibile di saliva; feci la stessa cosa lungo il fusto del dildo per tutta la sua lunghezza. Alla fine non avevo più saliva e mi fece mettere con il culo sollevato.
Posizione molto scomoda con la faccia sul pavimento, ma non osai aprire bocca e protestare minimamente. Piera era eccitata e scatenata nello stesso tempo, aveva gli occhi che fiammeggiavano.
"Non stai aspettando altro, vero cagna...? Una volta devo farti conoscere un mio amico...! Tu gli succhierai il cazzo e glielo farai diventare duro. Poi mi leccherai la figa, mentre lui ti inculerà... Quando mi sarò eccitata a guardarvi, mi farò scopare da lui e tu, vedrai come un vero uomo scopa una donna, capito cagna? Tu sai usare solo la lingua e basta! Il cazzo ti serve solo per pisciare ! Quando lui avrà sborrato ripulirai con la bocca e la lingua, prima me e poi lui...!"
Il suo desiderio di umiliarmi era il "cacio sui maccheroni" nel mix dei nostri giochi perversi, mentre l'argomento "fare sesso tra di noi", sarebbe stato noioso e riduttivo, visto che oltretutto lei non mi concesse mai le sue grazie, né io gliele chiesi.
La nostra intimità andava ben oltre un rapporto sessuale...
Riuscii a sollevarmi e ad appoggiare la testa sulla seduta del divano, migliorando la mia condizione.
Mi allargò le chiappe con le mani e dopo aver sputato sul buco, si sedette quasi sulle mie chiappe, puntando la grossa cappella contro lo sfintere che, sotto la spinta delle sue reni, cedette lentamente.
Sentii che mi apriva piano piano, millimetro dopo millimetro, poi centimetro dopo centimetro e, più il mio sfintere si allargava, più sentivo crescere quel piacere perverso che, solo gli amanti della penetrazione anale estrema, conoscono e possono apprezzare.
Bruciore misto a dolore e, finalmente, il piacere, dato dal fatto di essere consapevole di aver preso nel culo, tutto il diametro dello strap-on di Piera: quasi 9 cm.
Così sfondato, la mia dolce aguzzina, mi scaldò anche le chiappe, già segnate dalle “carezze” del flogger, con qualche manata, affondando poi, una volta vinta la debolissima resistenza del mio aduso ano, senza pietà, nel mio retto, fino a dove il dildo poteva arrivare.
Poi lo tolse ed il mio buco fece un rumore osceno: “plap”! Era talmente slabbrato e aperto che non si richiuse e Piera ne approfittò per rimetterlo dentro. Segui un "dentro e fuori" che durò qualche minuto. La cappellona usciva e di nuovo spariva dentro il mio ano, provocandomi sensazioni violente, tipo vacca montata da un toro.
“Così troia ti piace?”
Sapeva quello che mi piaceva ed ero in estasi.
Ad un tratto mi prese per le chiappe, tirandomi a sé e questa volta mi ficcò dentro interamente il dildone per lasciarcelo.
Iniziò a montarmi e capii da come lo faceva, che si stava anche strusciando il clitoride contro il tessuto duro dello strap-on, perchè iniziò, dopo poco, ad ansimare ed emettere sospiri di piacere, che aumentavano man mano che si dimenava, spingendo e roteando il bacino, contro le mie chiappe, frizionando conseguentemente il dildo dentro di me.
In quella posizione, Piera, ormai in fase pre – orgasmica, mi artigliò i capezzoli, strizzandoli con i polpastrelli e le unghie. Al piacere anale si unì anche quello provocato dalla dolce tortura ai capezzoli, contrastato solo dal dolore alle ginocchia ed ai polsi.
Anche Piera stava godendo, ma d’un tratto si fermò. Tirò fuori il dildo, per poi ficcarlo dentro di nuovo.
Ogni volta che faceva quel "giochetto", sentivo che la mia caverna (ormai si poteva definire così) restava spalancata.
“Ora posso divertirmi meglio…!” disse Piera, togliendosi lo strap-on e liberandomi così il retto. Poi si alzò prese lo strap on e si allontanò per un breve tempo.
Rimasi lì alla pecorina, con le mani sempre costrette nelle manette, sentivo l’aria uscire dal mio sfintere spanato.
Tornata Piera, vidi comparire tra le sue mani un plug anale, molto grosso, a forma di pera.
Questa volta mi usò la cortesia di ungerlo, prima di ficcarmelo nel culo.
“Ora ti apro ben bene…!”
Unto l’enorme plug anale, Piera ne appoggiò la larga punta sul buco e spingendolo, lentamente, ma inesorabilmente, lo fece entrare tutto, tappandomi il buco.
“Ora troia, stai lì, fermo!”
Piera si alzò e si allontanò, lasciandomi appoggiato contro il divano, con l’enorme plug anale nel culo, il cui collo, sarà stato almeno di 8 cm. di diametro.
Queste lunghe pause facevano parte della sua abitudine di dimostrami, ogni volta che ci vedevamo, che ero un semplice oggetto nelle sue mani, con l’unico scopo di farla divertire.
Sempre in quella posizione, aspettavo che Piera tornasse. Non lo speravo solo io, ma anche il mio buco, oltre che le ginocchia ed i polsi.
Il mio sfintere rimase pieno e spalancato, così, per oltre 20 minuti, ovvero il tempo che ci mise Piera per tornare da me.
“Scusa ma ne ho approfittato per farmi uno spuntino… Tutto bene?”
Risposi che pensavo che mi avrebbe lasciato così un’ora. Lei rise divertita e mi sussurrò. “Ti sarebbe piaciuto eh, porcellina?...”
Con calma decise di togliermi la grossa pera e per aiutarla spinsi, fini a che usciì interamente dal mio ano urlante.
“Uh che galleria!... Ora vediamo come entra la mia mano!".
Così dicendo Piera si spalmò con una crema grassa, la mano ed il polso destro, fino al gomito. .
Senza il minimo sforzo, il mio buco violentato accolse la sua mano, che affondò sino a metà avambraccio. Dentro il retto sentivo la mano di Piera che si muoveva, roteando e aprendosi con le dita.
Mi gustai quel momento di goduria infernale!
Piera tolse la mano a mò di becco d’oca e la infilò di nuovo. Poi fu il pugno ad uscire e lo stesso, a rientrare e questo “metti e togli”, continuò per una ventina di volte, strappandomi ogni volta mugolii di piacere, dandomi la sensazione di avere la fica di una vacca.
Poi Piera si unse anche l’altro braccio ed io sentii penetrare, in modo alternato, dritte, prima la mano destra, poi la sinistra, sfregando i palmi, lasciando che entrasse una e subito dopo entrasse l’altra, dopo aver sfilato la prima.
Quando il buco diventò ancora più accogliente, Piera accostò alla mano destra, già dentro, infilata, anche la sinistra. Erano entrate otto dita, eccetto i pollici! Allargò le mani così, come un cuneo, muovendole "a soffietto", dentro il mio culo.
“Bene …. Ottimo… adesso ci divertiamo, troia…!”
Infilare le mani così preludeva solo ad una cosa: la penetrazione di ambedue le mani intere, contemporaneamente!
E così mentre le endorfine mi avevano invaso il corpo ed il cervello, sentii un acuto dolore allo sfintere, che però si risolse, rapidamente in uno stato di nirvana perverso. Piera dopo aver inserito nella mia spelonca tutta la mano destra, fece altrettanto con la sinistra. Una volta dentro tutte e due le mani, le sentii rigirarsi dentro, insieme ai polsi. Ero quasi distrutto dal piacere. Piera restò così qualche secondo. Poi le tolse, una per una. Mi diede solo una manciata di secondi di riposo e poi di nuovo dentro.
“Com’è caldo qui dentro… Sei uno scaldino per le mani…!”
Piera sfilò, di nuovo, lentamente le due mani.
“Ancora una volta…!” cinguettò.
Questa volta sentii maggiormente l’attrito delle sue mani, perché il lubrificante che aveva spalmato si era seccato in parte. Un urlo soffocato mi sfuggì, ma non era di dolore, bensì solo la testimonianza di un piacere così "malato" e perverso, che non è facile descriverlo.
Quando mi liberò dalle sue manine, ripresi fiato. Ero spossato, come se avessi corso per qualche chilometro senza mai fermarmi.
Il cuore batteva a mille.
Piera si era alzata ed era andata a lavarsi le braccia e le mani.
Quando tornò mi guardò languidamente e disse: “Te la sei meritata…!”
Mi tolse le manette.
Mi guardai i polsi: avevo due “ braccialetti” rossi, tali erano i segni profondi lasciati dal metallo.
Mi fece mettere supino, sempre sul pavimento.
Piera si abbassò, a cosce larghe, sulla mia faccia.
La sua fica era bagnata. Mi trovai le sue grandi labbra attaccate alla mia bocca. Avvertii un delizioso sapore salato. Si strusciò contro il mio naso ed io allungai la lingua, infilandola dentro di lei; cercai di spingerla dentro, fin dove mi fosse stato possibile, muovendola avanti e indietro, come se fosse un cazzo e le titillai il meato urinario, facendola morire di piacere.
Poi si sollevò di poco.
Sapevo cosa voleva: la mia lingua demoniaca sul suo clitoride.
Cominciai a leccarle il clitoride, che prima era poco pronunciato, ma lentamente sbocciò. Prima leccai come se avessi avuto la lingua di un gatto che beve il latte: piano, lentamente e di punta. Poi leccai come se avessi avuto quella di un cane assetato che beve l’acqua dalla ciotola: più velocemente e avidamente, con forza e larga. Ed infine la leccai, come solo io sapevo fare per lei: roteandola, premendola e saettandola velocemente, muovendo nel contempo anche la faccia, contro il suo grilletto gonfio, fino a che non l’avessi sentita urlare dal piacere, senza limite di tempo.
Una volta venuta, la leccai ripulendola dei suoi umori, spingendo la lingua dentro la sua fica ed il suo delizioso buco del culo.
Solo dopo aver goduto, lasciando che la mia lingua continuasse ad esplorare, come impazzita, l'interno della sua vulva, mi permise di masturbarmi e mi aiutò a raggiungere l'orgasmo, ghermendo i miei capezzoli, con le sue unghie spietate. Me li strapazzò e me li torse, in senso orario e antiorario, tirandoli e pizzicandoli, fino a quando, come un fiume in piena che rompe gli argini, eiaculai a fiotti, liberando il mio essere animale, trovando finalmente pace e soddisfazione assoluta, non senza aver regalato a lei, ancora una volta, la dimostrazione che non avrei mai più potuto fare a meno, della sua dolce-salata perversione, per il futuro.
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