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La normalità dell'autunno


di LovelyL
02.11.2015    |    13.807    |    9 9.1
"Mi sedetti sul suo grosso cazzo duro e spesso spingendolo tutto dentro fino in fondo..."
Padre scomparso, madre pluridivorziata che frequentava un uomo sulla quarantina.
Ero un ragazzo timido, pauroso e molto giovane.

Era una grigia giornata d'autunno e del sole neanche l'ombra.
Invitai il mio compagno di classe Jona in camera mia, a sdraiarsi sul mio letto, a sfilarsi le scarpe e a poggiare le sue labbra sulla mie. Mia madre entrò in camera cogliendoci sul fatto e pentita di non averlo fatto prima, dandomi un forte schiaffo, decise di portarmi da uno psicologo in città.
Le foglie cadevano a terra quasi soffrendo.
Era martedì. Entrammo in un palazzo un po' tetro e senza ascensore. Prese le scale e saliti al terzo piano bussai ad una porta di legno massiccio.
''Istituto di analisi dei codici affettivi''.
Appena entrammo un anziano signore ci raggiunse e mia mamma esordì con: ''Ho chiamato ieri, mio figlio è un pervertito''.
''Si dice gay, mamma'' replicai seccato e un po' imbarazzato, prendendomi successivamente un altro schiaffo.
''La capisco signora''.
L'anziano ci accompagnò poi in una stanza e si sedette alla scrivania.
''Fa che non sia lui lo psicologo'' pensai tra me e me.
Il vecchio alzò il telefono e parlò con qualcuno che pochi istanti dopo arrivò.
Una voce profonda alle mie spalle si annunciò: ''Sono John''.
Mi alzai di scattò e gli porsi la mano.
Era alto almeno un metro e novanta e bruno, bellissimo, in giacca e cravatta.
Il colloquio terminò in pochi istanti e John, che scoprii avere 36 anni, mi chiese di rimanere per conoscerci meglio.
''Siediti pure'' fece cenno di accomodarmi sulla poltrona di fronte a lui.
Mi fissò per qualche istante e poi prese a parlare: ''Allora come ti senti?''
''Bene, grazie''
''Tua madre mi ha spiegato al telefono cosa succede'' continuò, ma io non risposi.
''Deve essere difficile''
''Che cosa?'' domandai.
''La scomparsa di tuo padre''
Annuì abbassando poi la testa
''Ti manca?''
''Non tanto'' gli dissi
''Mia madre mi ha parlato anche di un'altra cosa''
Fuori le foglie cadevano lentamente, come normalmente ci si aspetta; il mio battito cardiaco invece aumentò in modo anomalo.
''Del fatto che hai baciato un tuo compagno di classe''
Lui accavallò le gambe e incrociò le braccia ed io rimase nuovamente ammutolito.
''Possono succedere diverse cose durante l'adolescenza. Hai mai avuto un rapporto sessuale con una persona del tuo stesso sesso?
''No'' risposi.
Sospirò e mi spiegò, guardandomi costantemente negli occhi: ''Potremmo iniziare una terapia che ci aiuterà a capire la sfera sessuale alla quale appartieni, dirigendoci poi verso quelle parti del tuo comportamento che hanno bisogno di essere cambiate''
Non potevo rifiutare, mia madre mi avrebbe probabilmente cacciato di casa se mi fossi tirato indietro.
Gli diedi il consenso firmando un modulo.
''Va bene, iniziamo allora. Stai tranquillo e respira. Poggia le mani sulle ginocchia e cerca di liberare la mente''
Il cielo si era fatto un po' grigio.
La sua mano si staccò dal bracciolo della poltrona. Mi chiese di spogliarmi.
Ero un po' confuso: ''Non voglio farlo'' dissi.
''Lo so, ma serve alla terapia e tu hai firmato un modulo.''
Senza possibilità di controbattere mi tolsi la maglietta e le scarpe.
Lui mi fissò il petto.
Slacciai i pantaloni sfilando anche i calzini.
Feci cadere i boxer sul pavimento e li spostati con un piede. Avevo freddo, un brivido mi percorse la schiena facendomi inturgidire i capezzoli.
''Bene, come ti senti?'' mi chiese.
''Mi sento in imbarazzo'' dissi con un filo di voce.
''Questo è il tuo corpo, il corpo di un ragazzo giovane. L'imbarazzo fa parte dell'essere umano''
Lo psicologo si alzò: ''Ora spogliami''.
Non replicai e incominciai sbottonandogli la giacca, togliendoli poi la camicia, le scarpe i calzini e i pantaloni.
''Non ti preoccupare'' mi rassicurò.
Ero un po' titubante. Gli sfilai i boxer, ero in ginocchio davanti a lui. Le sue palle sgusciarono fuori all'improvviso finendomi dritte in viso. Erano belle grosse e calde, gonfie.
Sentivo il suo odore di uomo, qualcosa di assuefante.
Era come una droga, di quelle pesanti.
Come un gattino con l'erba gatta, mi strofinai sul viso il suo glande che era già un po' bagnato.
''Che cosa sta succedendo?'' pensai tra me e me.
Provai ad infilarmi le palle in bocca e ci giocai facendoci scorrere intorno la lingua, succhiandole e palpandole.
Lui non disse più nulla.
Gli presi in bocca la cappella ormai completamente lucida dandole qualche poppata per poi infilarmi tutto quel bel pezzo di carne in bocca. Lo sentivo crescere sempre di più, pulsante.
Ormai duro smisi di succhiarlo e mi alzai mostrandogli la mia erezione che lui si affrettò ad assaggiare. Mi strinse il culetto succhiando sempre più forte.
''Aspetta...'' non ce la facevo più.
Si staccò e mi penetrò il buchetto con la lingua, ero completamente fradicio e sovreccitato. Mi sedetti sul suo grosso cazzo duro e spesso spingendolo tutto dentro fino in fondo.
Cominciai una lenta ma profonda cavalcata, con una mano mi strinse un capezzolo mentre con l'altra me lo scappellò velocemente.
Non avevo mai provato qualcosa di simile in tutta la mia vita. Quella bella mazza bagnata mi stava aprendo il buchetto come una vongola.
Ansimai come un cagnolino incurante di tutti quelli che ci avrebbero potuto sentire.
''Aspetta'' ero di nuovo al limite ma lui non volle fermarsi.
''Aspetta aspetta ti prego sto per venire...'' Mi bloccò le braccia. Sentivo il suo caldo fiato solleticarmi il collo che mi leccò e baciò. Sentivo quel grugnire selvatico e dominante sempre più forte. Ad un tratto me lo infilò fino alle palle riempiendomi di sborra calda e densa. Subito dopo sborrai anch'io schizzandomi sul petto. Eravamo tutti e due affaticati ed eccitati. L'iter che mi riservò quel giorno fu qualcosa di straordinario.
Quando mi alzai il suo pene sgusciò finendogli sulle cosce.
Lo osservai rivestirsi senza neanche pulirsi. Una volta in piedi il suo sperma mi colò fuori finendo tutto sul pavimento, lo calpestai per sbaglio e incurante mi rimisi comunque le calze.
Il vento faceva muovere le chiome brune degli alberi nel cortile.
Si sedette sulla poltrona, con le gambe accavallate e le braccia poggiate sui braccioli.
L'uno guardava gli occhi dell'altro, ero perso nel suo strano sguardo.
''Non c'è bisogno di nessuna terapia'' disse rompendo il silenzio.
Il vento, fuori, smise di soffiare.
''Sei già normale. Stai tranquillo''.
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