Prime Esperienze

Hotel match


di Sarah9801
22.01.2022    |    10.578    |    55 9.7
"Le si avvicina, con passo per niente deciso..."
Lei è in camera, appena rientrata dalla sala colazioni, pronta per la giornata. Questa vacanza l’ha attesa per tutto l’anno, anzi, per quasi due; si è rimessa fisicamente, dopo anni di lassismo, snacks ipercalorici e cortisolo, un po’ per salute un po’ per accettarsi maggiormente si è messa a dieta, assunto un personal trainer e ha pure continuato col corso in piscina iniziato quest’estate, due volte a settimana. Si piace, allo specchio, è tanto che non succedeva. Non è più una ragazzina e lo sa. Ma adesso che ha perso tanti chili, è sempre florida ma tonica, e sente di potersi permettere un po’ di civetteria, abiti più stretti, succinti, le gambe finalmente libere, qualche cm di tacco. Piace, e sa di piacere. Con quel carré scuro alle spalle, la pelle bianca e gli occhi nocciola che si stagliano benissimo sull’autunno e che sovente scherma dietro un paio di occhiali fotocromatici.
Lui arriva ora a fare colazione, dopo due ore di camminata in città. Trova irresistibili le metropoli alle prime luci del giorno, soprattutto d’inverno. Sembra possano dare un colpo di spugna a tutto, e la brina sciogliere a freddo tutti i peccati del giorno prima, o di quelli prima ancora. Così pure le passeggiate, così lunghe, così rigeneranti per lui, un passato turbolento, un carattere temprato dalle esperienze e dalle privazioni. Proprio per abitudine, a colazione solo un tozzo di pane secco e un bicchiere di latte, bianco e freddo: non c’è spazio per altro, raramente ce n’è mai stato.
Al porto industriale è il primo pomeriggio di una giornata tardo autunnale, c'è una leggera brezza anche se il clima non è caldo, si prende volentieri il sole sul viso. Il porto e le navi hanno colori rossi dominanti, da Deserto Rosso di Antonioni; lui scorge lei seduta su una panchina a guardare le merci scaricate, e le si avvicina.
Le si siede a fianco, anche se la panchina è lunga e sono distanziati. Dapprima lei non lo riconosce, poi se ne accorge e tiene inforcati gli occhiali, anche se fa fatica a trattenere la sorpresa.
Restano in silenzio per almeno 20 minuti.
Nessuno dei due fuma. Lei odia il fumo e detesta chi fuma. Indossa un cappotto di lana elegante e nero, col collo rigido alto e una cintura sotto la vita, stivali alti sopra il polpaccio e vestito in tartan che lascia appena scoprire le ginocchia, velate dai collant scuri.
Lui casual, pantaloni scuri, scarpe sportive scure, giubbino antivento anch'esso blu scuro, uno sciarpino corto e un berretto quasi basco, scuro, in testa. Lui è alto, grosso, fisico da atleta pesante, barba curata e occhi chiari. Le mani sono avvolte in guanti in pelle scamosciata, di un grigio antracite.
Per circa 20 minuti stanno in silenzio, specie lei che è rimasta sorpresa dal suo arrivo. Lui, sempre in silenzio la calma con dei piccoli cenni sorridenti
Lei continua a stare seduta in silenzio, come Lui, che però ha una sorta di "supremazia", dettata dal fatto di averla trovata, forse seguita. Questo imbarazza Lei, che si sente quasi in trappola, e che non capisce come mai stiano ancora in silenzio
Da lui vorrebbe un gesto smorzante, ma non arriva. Lui continua in silenzio a osservare il mare e a sentire il profumo di lei e della sua pelle, e a volgersi a guardarla.
Gli occhiali schermano lei dal sole e da quell’ atmosfera. Li toglie per un minuto, quasi aspettando una reazione di lui. Ma lui continua a volgersi in maniera alternata al porto e a lei, sorridendole quando incontra il suo sguardo.
Lei si rimette gli occhiali, si alza e se ne va. Tra il delusa, l'accorata e l'adirata.
Accorata perché si domanda anche se lui non sia uno psicopatico.
Un misto di sensazioni
Lui la insegue, a distanza.
Lei non lo sa e si dirige verso un caffè elegante, dove prendere un tè al tavolino. Un bistrot alla francese, coi vetri opachi e colorati, il mobilio scuro anni 20 e i camerieri con la camicia bianca, il papillon e il grembiule ai piedi.
È più rilassata, man mano che ci si dirige, pensa simultaneamente all'occasione persa (da lui) e al fatto che lei, dato che lui non ha rotto il ghiaccio, non abbia perso nulla, in fondo.
Seduta al tavolino ordina un tè aromatico che le viene portato bollente. La sua testa è ancora appesa un poco all'idea dello sconosciuto, alla possibilità che ha visto svanire poco prima.
Quando dall'ingresso del locale ecco spuntare la mole imponente dell'uomo. La cerca con lo sguardo, lei non riesce a evitarlo per impedire lui di trovarla. La corda tra loro è ancora tesa e solida. Senza dire nulla, lui si siede al tavolo, questa volta di fronte a lei. Al cameriere ordina soltanto della vodka liscia. Lei ascolta quella richiesta con curiosità, forse timore. La voce di lui per la prima volta è uscita dalle sue labbra. Vodka. Che sia un uomo del profondo est?
Gli occhi e l'incidenza delle parole potrebbero confermarlo.
Ha modi però suadenti e decisi da imperatore del passato, non da barbaro conquistatore.
Si guardano, questa volta nessun occhiale e nessuna prossimità laterale a fare da ostacolo.
I loro occhi si compenetrano. Non ridono. Non abbassano lo sguardo, sono uno dentro l'altra.
Lei scorge una leggera smorfia quando lui ingurgita il bicchierino di vodka tutto insieme, come una droga o una pozione magica. I suoi occhi si inumidiscono per pochi attimi poi tornano fermi e fissi su di lei.
Lei che si spoglia un poco per il calore del locale e per distrarsi da quella danza vigorosa. Lui ora le guarda il corpo sfacciatamente. Si accorge di desiderarne il possesso, come un tesoro sepolto.
Lei torna a sedersi consapevole che non si alzerà da quel tavolo senza di lui. Ha voglia di sentire l'odore del suo corpo in un punto preciso tra il collo e la nuca, un punto che si perde dentro la camicia e verso la schiena. Sotto l'orecchio, immerso dalla sua barba virile. Lì vorrebbe appoggiare il naso e la bocca. Forse baciarlo. Sentire le mani di lui, il suo respiro. Fermati. Ancora un po', fermati.
Continuano a guardarsi negli occhi. Il mondo intorno è già scomparso.
Scompare il mondo, il cameriere raccoglie i soldi che lui lascia sul tavolo.
Senza dirsi ancora niente i due si alzano ed escono dal locale. Fuori inizia a diventare buio, e ambedue ricevono l'aria sul viso. Sembrerebbe svegliarli da quel sogno, o incantesimo, o febbre che stanno vivendo.
Si avvicinano e adesso i due corpi si toccano ai fianchi. Non allungano le braccia, la scarica è già abbastanza forte. Camminano ipnotizzati verso l'albergo, ancora senza dirsi nulla.
Il porto ha un canale che si stringe prima di riportare i passanti dentro la città. In questo corridoio stretto ci sono ormeggiate delle barche di pescatori, alcune malridotte e apparentemente abbandonate.
Soltanto loro due camminano e hanno scelto di camminare per quel percorso, abbandonando la via principale. Sarebbe una scorciatoia, ma lui decide invece di cambiare ancora gioco.
Le tocca una mano e spinge la donna con delicatezza ma anche con risolutezza proprio verso le barche. Lei sussulta, per un secondo teme che quell'uomo possa tramutarsi da amante a omicida. Non sono le intenzioni di lui.
La spinge verso una barca blu, grande e buia. La tiene per le braccia e la fa salire, lei si lascia guidare ora meno spaventata ma comunque sorpresa.
Non chiede, ormai si è abbandonata a questa storia, a questa avventura.
La cabina di pilotaggio è un recinto di legno largo due metri per due. Lui deve abbassarsi per entrarci e così adesso sono ambedue nel buio, attaccati l'uno all'altra. Ogni tanto le luci di una barca vicino o della città proiettano sui loro occhi un lampo che l'altro afferra subito per nutrirsi di voglia, mistero, ricerca di un'anima.
Ora si baciano.
Lei per un attimo pensa di avere un mancamento, troppe sono le sensazioni sublimate in quell’istante. Le gote, suo tratto caratteristico, già rosse, diventano fiammeggianti: Il tè, sorseggiato forse troppo avidamente poco prima al bistrot, le palpitazioni nel scorgere lui entrarvi, quel periziarla attentamente sotto al capospalla, le sue braccia prima e le sue labbra poi cingerla in un abbraccio quasi unico. Troppo. In più, quel lieve sentore adrenalinico di pericolo: le sinapsi si susseguono in rassegna velocissima e seppur per pochi secondi, sviene. L’afflato vitale torna immediatamente a lambirle labbra e viso, le uniche parti sulle quali sente ancora sensibilità: tutto il resto del corpo è come sacrificato, donato a lui, che si rende conto di tutto e tanto lentamente quanto dolcemente inizia a risvegliarlo, con piccoli e attentissimi gesti. Come in una Pietà michelangiolesca la tiene saldamente tra le braccia, avendo cura di non essere brusco; il sinistro a farle da sostegno per il suo bianchissimo collo e la nuca, il destro scorre sui fianchi e sul cappotto, prima col dorso della mano, delicato, poi di colpo col palmo, deciso, forte, avvolgente. Gli occhi seguono la mano destra, che scende sino all’incavo del ginocchio, lo accarezza, e risale su, in un ritmo cadenzato, su una superficie coperta ogni volta più ampia, dorso giù, leggero, palmo su, deciso. Sino a che si sofferma, in alto, sul collo, e poi sulle gote, quelle gote. Quasi trasecola a sentirle così calde. D’istinto le sposta i capelli, vorrebbe sentire quel calore col palmo, e magari stemperarlo, ma lei lo anticipa.
Il bacio è caldo, desiderato e scioglie le loro tensioni e le loro attese. Come ritrovare un pezzo del proprio corpo. I due si compenetrano attraverso la bocca, i loro fiati sono adesso uno dentro l'altro. Le mani si cercano e si trovano. I vestiti iniziano a bruciare sulla loro pelle, si dimostrano adesso inutili e di troppo. Di troppo è il mondo e lo spazio intorno. Avrebbero voglia di un metro quadro di esclusività che quel momento non può concedere.
Così in silenzio, ancora in silenzio, si avviano verso l'albergo, che è a duecento metri, pochi minuti, che sembrano secoli. Ci arrivano tenendosi per mano, e guardandosi negli occhi. Hanno la febbre, hanno voglia, hanno vinto l'altro e perso loro stessi. Così è l'amore, l'abbandono, la disperazione.
Il portiere li osserva incuriosito, ha visto molte cose e molte ne vedrà, non è abituato a scomporsi. Quei due, però, chi l'avrebbe detto?
Li segue infilarsi dentro l'ascensore e avvinghiati sparire verso l'alto.
Torna a leggere il libro che ha sotto il desk, con meno intensità e con qualche pensiero che ancora vorrebbe seguire quei due di sopra.
Ora il corridoio dell'albergo li mette davanti a una scelta banale e poco forse importante: quale camera scegliere?
In automatico premono entrambi lo stesso tasto, il terzo. Terzo Piano. Erano vicini di stanza senza nemmeno saperlo. I loro respiri, le aspettative per la giornata che iniziava e le soddisfazioni per quella che terminava le vivevano a pochi metri l'una dall'altro, inconsapevoli. Fanno appena in tempo a guardarsi intensamente negli occhi, a perdersi, lui in lei, lei in lui, che l'ascensore si ferma. Terzo Piano. Lei, come rigenerata dal mancamento di poco precedente, esce per prima, lo cerca, sempre con lo sguardo. Lo tiene sotto scacco, con lo sguardo e le sue gote, ancora ardenti, e in un attimo sono dentro la sua stanza. Dove aleggia il suo profumo, i suoi sentori, lei.
Lei fa qualche passo per precederlo, si ritrova a fissare il letto dandogli le spalle, quasi persa. Per un secondo si chiede se non sia stata scellerata, se non sia pazza ad essere là, così, con lui, insieme. Di colpo si volta, e lui è davanti a lei, a fissarla, ancora una volta, ancora più intensamente di tutte le altre volte, ma con un’altra luce negli occhi turchesi, meno goliardica di quella della panchina e certamente più intima di quella sfacciata del bistrot. Le si avvicina, con passo per niente deciso. L’attimo a malapena gli consente di sollevare le braccia ed accarezzare il volto di lei, che per le emozioni quasi piange ma continua a sostenerne lo sguardo, fiera. Lui continua a sfiorarne il viso, scendendo giù, lentamente sul collo, spalle e fianchi, con lo stesso fare di uno scultore alle prese col suo capolavoro, poi la cinge con decisione, sul busto. Le si accascia dinanzi come in adorazione, e lei, sorpresa, si siede ai piedi del letto, senza forze. In ginocchio, lui riprende a salirle dalle gambe, dagli stivali sino al lembo del suo vestito: ci passa sopra, e sopra al cappotto nero di panno, e con un movimento lento ma netto scioglie la cintura ed apre alla visione dell’abito e della perfezione delle forme che lo respirano. Si nutre del suo sentore, che non è più solamente il suo profumo, è lei. La sente davvero. Inebriato, famelico, sbottona con impazienza maldestramente celata anche il tartan. Ed è lì, lei, bianca forse più del collo sinuoso e delle mani delicate, respira affannosamente, ed è calda. Attorno all’ombelico è un latte vanigliato, golosissimo, in cui lui si butta a capofitto, deciso a non sprecarne nemmeno una goccia.
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