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Il corriere è il vestitino a fiori

03.06.2025 |
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"Io sistemai il vestitino, cercando invano di rimettere in ordine l’aspetto, anche se dentro ero ancora tutta scombussolata — in quel modo bello, pieno..."
É una di quelle giornate di giugno in cui l’aria sembra ferma, e il sole ti accarezza come una mano insistente. Camminavo lungo il marciapiede, lenta, con addosso solo un vestitino leggero a fiori che si muoveva appena con ogni passo. Non indossavo il reggiseno troppo caldo per costringere il corpo e la stoffa umida del vestito si appoggiava al petto, rivelando più di quanto volessi, o forse di quanto sperassi.Lo vidi da lontano: il ragazzo del corriere Amazon.. Lo stesso che qualche settimana prima mi aveva consegnato un pacco e alla fine ero diventata sua preda …
Questa volta non aveva pacchi, ma sembrava aspettarmi. Si fermò con il camion accanto al marciapiede, scese con passo sicuro. Canottiera nera, aderente, e pantaloncini che lasciavano poco all’immaginazione. Il gilet giallo fluo metteva ancora più in risalto la sua pelle abbronzata. Aveva lo stesso sorriso di allora, sfrontato e diretto.
«Ehi,» disse, «non pensavo di rivederti oggi… così» . «hai voglia di cazzo?? »
Abbassai lo sguardo per un attimo. Sentivo il sudore che scivolava tra i seni e lui se ne era accorto. «Fa caldo,» risposi, giocando con l’orlo del vestito. «Molto caldo.» «Ma un bel cazzo come il tuo non si può rifiutare »
Il motore del furgone ronzava piano mentre ci allontanavamo dal centro. Nessuno parlava, ma l’aria era tesa come una corda pronta a vibrare. Le sue mani si muovevano sicure sul volante, ma ogni tanto lanciava uno sguardo verso le mie gambe accavallate, scoperte fino a metà coscia, il vestitino tirato su un po’ più del dovuto.
Dopo una decina di minuti, si infilò in una stradina sterrata, isolata e immersa nel verde. Spense il motore e mi guardò con uno sguardo che non lasciava spazio a fraintendimenti.
«Vieni dietro con me,» disse piano.
Aprì il retro e salimmo. C’erano ancora pacchi Amazon non consegnati , un profumo leggero di cartone e di estate, e un’ombra densa che rendeva tutto più intimo. Spostò i pacchi come se non vedesse l’ora di liberare lo spazio. Poi si voltò verso di me, i suoi occhi fissi nei miei. «Inginòchiati, e prendi il mio cazzo in gola» disse con un tono che era comando e desiderio insieme.
Obbedii, sentendo il cuore martellare nel petto. Le sue mani si posarono leggere sulla mia nuca, guidando i miei movimenti con dolcezza ma anche con una tensione crescente. C’era qualcosa di ipnotico nel modo in cui si muoveva, nel respiro che accelerava, nel modo in cui mi sfiorava i capelli. Ero rimasta senza respiro mentre il suo cazzo enorme entrava nella mia gola sempre di più…
Il tempo sembrava essersi fermato. Tutto diventava ritmo, respiro, pelle.
Le sue mani stringevano piano, poi più forte, mentre il mio corpo seguiva il suo. Le sensazioni diventavano più intense, e io sentivo solo calore, desiderio e un’incontenibile voglia di lasciarmi andare a ciò che stava accadendo.
E quando sollevò il mio viso per guardarmi, vidi nei suoi occhi che quel momento non sarebbe finito lì. La tensione tra noi era diventata quasi palpabile, come l’aria carica prima di un temporale. I movimenti erano diventati più audaci, più intimi. Ogni sguardo, ogni gesto sembrava spingere oltre il confine del pudore.
Lui si lasciò andare contro una parete del furgone, respirando piano ma con un’intensità trattenuta. Mi fissava, con quel misto di desiderio e controllo che mi aveva attirata sin dal primo incontro. Poi, con voce roca, mi sussurrò qualcosa all’orecchio. « Leccami il culo… » disse …Non era una richiesta. Era una sfida.
E io, spinta da una strana, dolce sfrontatezza, accettai. Mentre gli lo segavo…. Leccavo il suo culo…
Lo toccavo con calma, con lentezza quasi provocatoria. Ogni mio gesto era preciso, pensato per farlo impazzire. Le sue mani tremavano leggermente, anche se cercava di nasconderlo. Ogni mio respiro, ogni mio sguardo diceva senza parole che sapevo esattamente dove e come portarlo. Lui gemeva piano, ma ogni suono sembrava amplificato nell’intimità del furgone. Io continuavo, guidata dal suo respiro e dai piccoli movimenti che tradivano il suo piacere crescente. Lui si voltò lentamente, con un movimento sicuro, quasi teatrale. Lo guardai e il suo corpo, teso, dorato dalla luce fioca che filtrava dalle fessure del furgone, sembrava scolpito nel desiderio. E poi lo vidi, completamente il cazzo enorme più grosso , più duro, più imponente. C’era qualcosa di ipnotico nel modo in cui si offriva alla vista, come una statua viva, imperfetta e bellissima. Il respiro mi si fermò per un istante. Sembrava un’opera d’arte in piena trasformazione, nata dal nostro gioco, dalla nostra chimica, dalla tensione che avevamo costruito secondo dopo secondo. Lo desideravo. Di nuovo. Forse più di prima.
Mi avvicinai piano, senza dire una parola. Le mie mani si posarono su di esso, Il mio sguardo era fisso sul cazzo, ma poi scese lentamente, mentre lo accoglievo di nuovo tra le labbra, con più intenzione, più desiderio. Con fame di cazzo…. Lui sussultò leggermente, le dita serrate sul bordo metallico del furgone. Io mi muovevo lentamente, profondamente, lasciando che ogni gesto fosse una risposta al suo corpo. Ogni respiro, ogni tratto della mia lingua era un invito a perdersi ancora, e ancora.
La mia bocca seguiva il ritmo della sua tensione crescente, mentre i suoi gemiti diventavano sempre più bassi, più carichi, più veri. E io ci mettevo tutta me stessa, senza riserve.
Lì, nel retro di quel furgone scaldato dal sole e dai nostri corpi, stavamo vivendo un momento fuori dal tempo, fatto di desiderio puro e di una connessione che andava ben oltre la pelle. Il ritmo aumentava. Il respiro di lui era diventato più irregolare, le mani tremavano appena, posate contro la parete del furgone. Sentivo ogni piccolo cambiamento, ogni segnale del suo piacere che cresceva, come un’onda che non poteva più essere trattenuta.
Continuai con attenzione, con desiderio, senza distogliere mai lo sguardo dal suo volto. C’era una tensione perfetta nei suoi muscoli, un’energia trattenuta che stava per esplodere. E quando accadde, fu come un sussulto improvviso che lo attraversò da capo a piedi.
Lui lasciò andare un suono profondo, quasi un gemito soffocato, avevo la mia bocca piena di di sborra e io la accolsi tutta, sentendo il calore del suo piacere esplodere contro di me. Era intenso, travolgente, e io non mi tirai indietro. Anzi, lo invitai, con la dolcezza e la fame di chi sa che il momento è speciale, unico.
Il suo respiro, ora pesante, si mescolava al mio, e per un istante restammo fermi, sospesi in un silenzio denso e intimo, come se tutto fuori da quel furgone non esistesse più.
Mi sollevai piano, ancora con il sapore addosso, ancora con gli occhi negli occhi, e lui sorrise un sorriso stanco, soddisfatto, quasi incredulo. L’atmosfera nel retro del furgone era ancora densa, impregnata del calore dei nostri corpi e del silenzio che segue i momenti più intensi. Lui mi guardava con un misto di stupore e complicità, come se anche per lui quello che era appena successo non fosse stato solo un capriccio del momento, ma qualcosa di più carico, più elettrico.
Si rivestì in silenzio, lanciandomi ogni tanto uno sguardo che sapeva di gioco e di desiderio ancora vivo. Io sistemai il vestitino, cercando invano di rimettere in ordine l’aspetto, anche se dentro ero ancora tutta scombussolata — in quel modo bello, pieno.
Salimmo entrambi davanti. Lui accese il motore, ma non mise subito la marcia. Si girò verso di me con un mezzo sorriso, quello che avevo imparato a leggere: sfacciato, ma sincero.
«Ci rivediamo?» chiese, con un tono che era più una certezza che una domanda.
«Quando vuoi tu,» risposi, senza esitare.
Mi diede un’occhiata lunga, carica di intenzione, poi inserì la prima e partì. Le ruote del furgone si rimisero in moto sull’asfalto caldo. Io guardavo fuori dal finestrino, con il cuore che batteva ancora troppo forte, già pregustando la prossima volta.
Prima di lasciarmi al mio angolo di strada, si fermò un momento e si voltò di nuovo.
«Stesso giorno, stessa ora? Ma magari… questa volta porto io il pacco, e tu mi fai trovare… pronta.»
Sorrisi. «Lo sarò.»
Poi richiuse lo sportello, il furgone ripartì, e io rimasi lì, col vestitino leggero che si muoveva appena nella brezza del pomeriggio, e un pensiero fisso nella testa:
la prossima volta sarebbe stata ancora meglio.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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