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Il Bagno di tutti (La fame continua) pt. I


21.06.2025 |
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"Uno con una tuta da lavoro, l’altro in ciabatte..."
L’ho scelto apposta quel cesso.Abbandonato, in una stazione di benzina dismessa, nascosto tra i campi e la strada statale. Tre cabine, una delle quali senza porta. L’odore all’ingresso era già un avvertimento: piscio stantio, cloro, merda, muffa.
Perfetto.
Ero entrata all’alba, con il cuore che rimbombava nei tacchi.
Il trench lungo si apriva a ogni passo, mostrando quel che serviva:
– seno finto che puntava in avanti, gonfio e lucido di olio;
– perizoma nero sottilissimo, il mio cazzo duro già in tiro sotto il tessuto;
– calze autoreggenti a rete, strappate sul retro;
– e i tacchi a spillo neri da 15 cm, graffiati e sporchi come me.
Mi sono inginocchiata nella cabina senza porta. Ho aperto il trench, l’ho lasciato cadere a terra. E sono rimasta lì. Bocca pronta. Gola rilassata. Culo alzato. Cazzo duro e colante.
Aspettavo.
Il primo a entrare è stato un barbone. Sporco. Pantaloni aperti, puzza di vino e piedi.
Mi ha guardata e ha detto solo:
«Che razza di troia sei tu?»
Gli ho fatto un cenno. Vieni. Usami.
L’ha tirato fuori. Grosso, annerito dallo sporco. Me l’ha sbattuto in faccia.
«Senza mani, cagna.»
L’ho preso in bocca. Tutto. Senza fiatare. L’ho sentito crescere, duro e salato. Mi pisciava in gola a intermittenza mentre si scopava la mia bocca. Le sue dita stringevano i miei seni finti. Mi tirava le calze come se fossero guinzagli.
Se ne è venuto così. In faccia. In gola. Un grugnito e uno schizzo bollente negli occhi.
«Ne arrivano altri. Tu resta così.»
E io sono rimasta. Così.
Poi sono entrati due uomini insieme. Uno con una tuta da lavoro, l’altro in ciabatte.
«È questa la bocca che succhia senza chiedere?»
«Guarda che bel cazzo ha… duro, bagnato… eppure è la troia.»
Mi hanno preso come fossi loro da sempre.
Uno dietro, senza nemmeno sputare. Mi ha spaccato il buco. Le mie autoreggenti si sono strappate sulla coscia. Il suo cazzo entrava e usciva con violenza, mentre l’altro mi pisciava addosso. Sulla testa. Sulle tette. Sulle ginocchia.
«Se la lecca la pisciona, guarda! La troia beve.»
Bevevo, sì. Piscia e sborra mischiati. Godevo. Il mio cazzo veniva da solo, schizzando sul pavimento lurido. E loro ridevano.
Uno mi ha detto:
«Ci dormi qui, vero? Ti piace l’odore di piscio.»
Ho annuito, con la bocca ancora aperta.
Poi è iniziato il vero massacro.
Entravano uno dopo l’altro. Camionisti, studenti, vecchi.
Tutti mi usavano. Nessuno chiedeva nulla. Il mio cazzo restava duro, preso in mano da qualcuno o sbattuto contro il muro mentre venivo riempita dietro. Mi scopavano sulla tazza. Mi pisciavano sul seno. Mi facevano leccare le piastrelle, il pavimento.
Uno mi ha fatto ingoiare la sua scoreggia mentre mi schiaffeggiava con le mutande usate.
«Una bocca così non merita l’aria pulita», diceva.
Verso sera ero coperta. Sborra secca sul viso, piscia nei capelli, calze sfatte, tacchi rotti. Ma sorridevo.
Con la bocca aperta.
In ginocchio.
Ancora.
E qualcuno stava già entrando di nuovo.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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