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Lui & Lei

A metà del viaggio - racconto primo


di life2hot
27.12.2018    |    2.348    |    1 6.3
"Il sedere che si muove mentre prova a rimettere un po' tutto a posto..."
6.58. La sveglia. Al solito. Primo squillo, secondo squillo, la sento, la spengo. Scendo dal letto senza fare rumore. Non voglio svegliarla visto che può dormire ancora mezz'ora. Lei non si muove. Dorme o finge di farlo, per non dovermi salutare per non sprecare fiato a dirmi cose di pura logistica famigliare che possono essere scritte in un messaggio dopo il caffè. Va bene così. No, in realtà no, ma è tutto troppo complicato.
Cammino scalzo lungo il corridoio ed entro nell'altra stanza. Apro la porta chiusa, tiro su la tapparella. - E' ora! -. La risposta è un borbottio disordinato che forse copre qualche parolaccia che non è ancora in grado di articolare.
Vado in bagno. Mi siedo sulla tazza: i gomiti appoggiati alle ginocchia, la mia testa tra le mani mentre la vescica si svuota nel silenzio. Rimango così un paio di minuti alla ricerca di un faticoso risveglio, con lo sguardo che cade su alcune macchie bianche sui boxer neri a ricordo dell'eccitazione della sera e della sega che ne seguirà non appena possibile. C'è ancora un po' di quell'odore, nella mia mano. Sulla punta della dita, invece, l'odore di lei. Lo cerco meglio, lo trovo, lo respiro. Mi aveva scritto un whatsapp alle cinque e mezza del pomeriggio. - La francy non c'è devo essere a casa presto passa a allenamento 18 15 -.
Le dita ancora sotto al mio naso... incomincio ad eccitarmi. Ma è tardi. Bidet. La doccia no, l'ho fatta ieri in palestra. Mi tolgo la maglia per lavarmi anche sopra. Ho perso il senso del tempo. Apro l'acqua, aspetto che venga calda, mentre guardo il mio corpo che con la fievole luce che proviene lateralmente dalla finestra sembra abbia più muscoli. Penso che i miei 45 non li porto male, penso a un amico un po' sovrappeso che mi dice che ho "un gran telaio". Sorrido. Penso che ci devo lavorare ancora un bel po'.
Sento mio figlio che trascina i suoi passi in cucina. Lo raggiungo sentendomi in colpa perchè oggi è arrivato prima di me. Latte e biscotti per entrambi. Non dico nulla. Non dice nulla. Non so a cosa stia pensando: io all'odore di lei che sparirà sotto il profumo inutile di un paio di Gocciole.
Ci laviamo i denti e siamo fuori di casa: lui con il suo zaino e i suoi i libri, io con il mio e la mia macchina fotografica.
Garage... entriamo in auto. Si siede dove poche ore prima c'era un altro sedere, qualche anno più grande di lui.
Lo guardo, con già le sue cuffie e la sua musica che riempiono i suoi silenzi. Penso a quante seghe si farebbe se sapesse di avere il culo dove probabilmente c'è ancora traccia di qualche goccia di lei e che la sera prima non avevo avuto tempo di pulire per bene.
- Latino? - gli chiedo... - è l'ultimo compito prima dell'esame, vero? -
- Si -
- Hai studiato? -
- Si -
- Speriamo... - penso.
Arriva la scuola e uno sportello che si apre e si chiude subito dopo un "ciao".
Arriva l'ufficio, il primo caffè, la scrivania.

Il giorno prima, alle 18.00, ero uscito da quello stesso ufficio quasi di corsa.
Era la sera sbagliata cazzo. Troppi casini, troppe cose da fare. Davvero non avevo un'ora per andarla a prendere e portarla a casa.
Ma ero già per strada. Le mani leggere sul volante. Il piede pesante in una sera fortunatamente senza troppo traffico. In fondo mi è sempre piaciuto avere una scusa per andare veloce in macchina. Sono i 100, i 120, un po' di più... sto arrivando. Non ho tempo di pensare: non era proprio la sera giusta (cazzo).
Ma non vedo l'ora di arrivare.
Una settimana che non si fa sentire eh... che incazzo... Poi chissà perchè ha così fretta. Che cazzo deve fare, chi cazzo dovrà vedere. Alle 18.21 sono di fronte alla palestra. Lei non c'è ancora...Due, tre infiniti minuti a fissare il vuoto.
Stai calmo.
Esce, di corsa. La borsa da palestra aperta, i capelli bagnati e spettinati, una felpa infilata al volo lasciata un po' troppo aperta, i leggins neri che mi fanno impazzire le scarpe slacciate.
Apre lo sportello dietro, butta la borsa... chiude. Apre davanti e si siede. - Ciao papi... grazie mille - Si gira a sistemare un po' delle le sue cose sudate che si sono ribaltate sul sedile. Parto. E' chinata... il sedere che si muove mentre prova a rimettere un po' tutto a posto. La mia fantasia scatta come un flash sugli slip che indossava durante l'allenamento. Sbircio tra la zip della sua felpa. Intravedo il capezzolo del piccolo seno sinistro. Curvo un po' in fretta, mi viene addosso. Si mette a ridere con un sorriso disarmante. Anch'io. - Tutto ok - . Già che è li mi bacia regalando un po' della sua saliva alle mie labbra: si è lavata al volo. Mi lascia anche un po' di profumo di doccia schiuma risciacquato male e una sfumatura del suo sudore. Mi fa impazzire. Non gliel'ho mai detto.
Si siede meglio. Cintura. Adesso posso andare più forte. Si sistema i capelli. Mi guarda sorridendo. Pensavo di essere arrabbiato. Non ricordo neanche più il perchè.
La sfioro, è umida. - Ma non ti sei asciugata? - le chiedo... - ah, ah, ah... praticamente no... ho fatto in frettissima! - Le accendo il riscaldamento del sedile. Non fa freddo, ma so che le piace. So che ama queste piccole attenzioni. Le accarezzo il ginocchio. Sorride. - Mi sono anche scordata a casa le mutande, cazzo - ride. Abbassa un secondo i leggins per sedare ogni mio dubbio, se ma ne avessi avuti. - Altrimenti non ti fidavi - aggiunge, e aggiunge un altro sorriso. Si gira un attimo a guardare fuori dal finestrino, poi cerca lo specchio. Si è vista bella, nessun dubbio. E ancora verso di me, mi accarezza il viso incominciando a raccontarmi piano della sua giornata, come se ci fossimo visti due ore prima. Si avvicina... e la mia mano si appoggia sulla sua gamba scendendo sempre un po' di più verso di lei. Il mio mignolo sfiora la sua fica. Il suo si avvicina alle mie labbra. Lo prendo, lo mordo, lo succhio. Non ho intenzione di lasciarlo. Mi fa capire che sarà mio, almeno per un po'. La sua guancia schiacciate sul poggiatesta.
Mi guarda.
La sua mano si infila nel leggins. La sento muovere, non sposto la mia, non sposto il mio mignolo che ascolta ogni piccolo movimento delle sue dita. Mi giro e la vedo mentre si morde il labbro illuminata dalla fredda luce della sera.
Il coglione che ho davanti frena sempre alla cazzo, mi dà fastidio. Scalo. La terza spinge le nostre schiene sul sedile e la mia mano torna per spingere le sue dita dentro di lei. Supero il coglione. Quarta, quinta e sesta. Ora posso ascoltare le sue dita muoversi al ritmo dei suoi respiri mentre le prime luci ai bordi della strada si accendono senza illuminare il nostro mondo segreto. Sei bellissima cazzo - penso -. Non gliel'ho mai detto. La mia mano si appoggia sulla sua pancia umida, forse ancora per la doccia forse per un po' di sudore, forse per entrambi.

Suona il telefono, penso che sono uno scemo... rispondo senza capire cosa dice cosa dico. Ma oggi in un ufficio sono da solo. Scarico la posta. Faccio finta che ci voglia tempo.

Chiudo gli occhi e sono ancora con lei. Il mio gomito che sfiora il suo seno, la mia mano che scende li.... C'è ancora la sua ma mi fa passare in "prima fila". I leggins che premono sulla sua mano, la sua mano che preme sulla mia. Le mie dita che non possono fare altro che entrarle dentro.
Allontana il suo mignolo dalla mia bocca. Con il mio sguardo le faccio capire che non doveva assolutamente andarsene senza chiedermi il permesso. Ma come capita in quei momenti i miei pensieri sono come ordini da seguire alla lettera: altre dita ubbidienti arrivano tra le mie labbra, quelle colpevoli, quelle che sanno di lei . Peccato che un po' del suo denso piacere è rimasto sui suoi leggins e sul dorso della mia mano, quella mano che leccherò mentre percorrerò un'altra strada.
Ma ora è qui e il suo respiro è solo per me, come il suo piacere come il suo sapore. Torna a guidare le mie dita. Percepisco il battito del suo cuore e il calore della sua pelle. Un gemito, leggero ed intenso. Freme, vibra trema.
Mi guarda.
Un ultimo spasmo... e ancora uno.
Ancora pochi secondi e siamo arrivati.
Per la seconda volta in poco tempo sussurra - Grazie papi -.
Sento il mio cuore battere forte, la mia mente ringraziare il destino che mi ha regalato questa meraviglia.
Percorro piano le ultime centinaia di metri. La mia mano è ferma, dentro di lei.
Accosto, ma non davanti a casa.
Mi sfilo dai suoi leggins.
Si toglie la cintura... viene verso di me sfiorandomi con le sue labbra e i suoi profumi.
La sua mano appoggiata in mezzo alle mie gambe, il suo polso che preme contro il mio uccello che sta scoppiando dentro un jeans troppo stretto.
Si sporge ancora ad afferrare la sua borsa, ancora aperta, sul sedile dietro finendo di sistemarsi i vestiti.
Qualcosa la aspetta: forse solo una cena di amici di università... o di famiglia. Non lo saprò mai.
Esce di fretta. Un ultimo complice sguardo. Cammina veloce con la borsa che le dondola sfiorando il suo sedere, li dove vorrei fosse la mano che adesso è appoggiata alle mie labbra.
Mi incomincio a chiedere per quanto tempo ci sarà una strada da percorrere insieme... ma faccio retro e riparto verso la mia vita. E' tardi. A casa ci sarà una cena da preparare, un lavoro importante da finire assolutamente per il giorno dopo, le voci della tv che penetreranno dalla porta socchiusa dello studio, le luci che ad una ad una si spegneranno, il silenzio della notte. Ci sarà la mia mano che sbottonerà i pantaloni, stringendo forte il mio piacere che finalmente potrà scoppiare mentre avrò ancora l'odore più complice di lei intriso nelle mie dita e nella mia mente; ci sarà uno scottex ruvido, una notte forse senza sogni, una sveglia alle 6.58.

Suona il telefono dell'ufficio, ancora. Oggi lei non c'è e probabilmente non ci sarà.
Non rispondo. Voci lontane di colleghi mi dicono che è il momento di un secondo caffè e di tornare alla vita dalla quale, ogni tanto, vengo rapito.

Domani sarà un altro viaggio, un'altra strada.
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