Lui & Lei

Abrazo


di HarrymetSally
03.12.2017    |    7.068    |    29 9.7
"Ci ballerà tutta la sera e poi chissà che cosa d’altro ci farà”..."
Ballare tango a Milano, per una donna, significa infilare l’autostima nell’affettatrice.
In primo luogo, non importa quanto giovane, bella e dotata tu sia, finirai sempre per trascorrere la notte appiccicata ad un vecchio i cui problemi di peso sono superati soltanto dai suoi problemi di traspirazione.
In secondo luogo, questa storia del “solo noi facciamo il vero tango” è talmente diffusa tra i maestri che delle due l’una: o qualcuno racconta palle, oppure il vero tango non esiste per definizione.
Infine, le rare volte in cui non ti imbatti in qualche disperato mezzo affogato nel proprio sudore, ti tocca subire una vera e propria lezione privata a cura di qualche altezzoso veterano della Milonga, barattando una tanda decente con una umiliazione pubblica che nemmeno la più perfida insegnante di educazione tecnica delle medie si sognerebbe di impartire.
Avevo deciso di non mettere mai più piede in una Milonga milanese due anni addietro, durante una notte buia e tutto sommato tempestosa, nella quale in quindici minuti avevo potuto apprezzare la summa delle catastrofiche eventualità sopra elencate.
Neanche il tempo di mettermi le scarpe, e mi ero ritrovata avvinghiata a un anziano signore sudaticcio, che ballava una versione del Milonguero a metà strada tra un incontro di wrestling e la replicazione cromosomica.
La seconda tanda fu con un ragazzo napoletano che fabbricava saponi in Brianza, parlava con un artefatto accento argentino e sosteneva che il suo maestro era stato nelle milonghe più dure e pure delle ramblas e ovviamente lui, e lui soltanto, insegnava il vero tango.
Per chiudere, ero stata verbalmente brutalizzata da un ventenne allampanato con dei boccoli da cherubino, che per tutta la durata della tanda mi aveva istruito su come controllare il mio baricentro.
Fuori tuonava, ma al finire della terza sequenza avevo preferito sfidare gli elementi, piuttosto che la sorte. Mi ero dileguata giurando a me stessa “mai più”.
Ebbene, l’unica cosa che in vita mia ho infranto più dei patti di monogamia e fedeltà coniugale sono i giuramenti con me stessa. Due anni dopo, rieccomi sulla pista da ballo, convinta chissà come da Anna, la mia amica del cuore, o forse semplicemente l’unica che non mi aveva ancora bloccata su Whatsapp.
“Ridimmi cosa ci facciamo qui” le sussurrai a mezza bocca, mentre schivavo le improbabili miradas degli ottuagenari presenti, come fossero proiettili all’uranio.
“Ci divertiamo, balliamo e rinsaldiamo la nostra amicizia” rispose Anna con un sorriso strafottente.
“L’unica cosa da rinsaldare saranno i miei piedi, se quel rinoceronte ci monta sopra” dissi, indicando con un cenno del capo un uomo sui quaranta, dalla mole inimmaginabile, che tuttavia volteggiava sulla pista con cocciuta convinzione. Si trascinava appresso una ragazza di circa quaranta chili, dalle lunghe trecce rosse, che indossava una minigonna inguinale e calze di Gallo fino al ginocchio. Una specie di Pippi Calzelunghe porno.
Ci sedemmo a un microscopico tavolino da due che dava sulla pista da ballo. La superficie nera laccata appariva sporca e logora, e ci volle quasi mezz’ora prima che qualcuno si degnasse di passarvi una spugna. Benchè nella Milonga fosse vietato fumare, quasi tutti si facevano una sigaretta nel piccolo cortile antistante, tra una tanda e l’altra, diffondendo nell’aria un odore di nicotina di seconda mano che si appiccicava alle pareti e ai vestiti.
La musica, per lo meno, era bella e varia. Brani di Di Sarli e Pugliese si alternavano con le divagazioni di Piazzolla e gli esperimenti dei Gotan Project. Rimasi ad ascoltare quella musica che tanto amavo, a dispetto di tutte le delusioni che di volta in volta mi riservava. Anna percepì la mia aria assorta, quasi incantata, e rimase in silenzio per diversi minuti, lasciandomi assaporare le note.
Ordinammo due Mojito e cominciammo a chiaccherare. Gli argomenti non mancavano, soprattutto perché Anna era reduce da una delle sue periodiche delusioni sentimentali, stavolta con un collega del suo studio legale.
Se mai era esistito un talento per le relazioni insoddisfacenti, Anna ne era il nume tutelare. Nulla di umiliante o violento, intendiamoci. Non era mai finita all’ospedale, né aveva mai dovuto negoziare il rilascio del proprio fidanzato con uno spacciatore di crack in un angolo della Stazione.
Semplicemente, trovava sempre il modo di annoiarsi, di quel genere di noia che pian piano si divora tutto, passione, amore, rispetto.
La ascoltai pazientemente, ma senza guardarla.
I miei occhi erano stati rapiti da una visione di estatica bellezza. In un angolo della pista, lontano dal centro animato ove goffi esibizionisti provavano improbabili figure, una coppia metteva in scena una poesia.
Fui colpita dall’armonia del loro movimento. L’uomo seguiva i dolenti, trascinati movimenti dei violini, mentre la donna volteggiava su se stessa al ritmo del bandoneon, mordendo con i tacchi il logoro pavimento di quercia.
Il maschio mi colpì in particolar modo. Era di statura appena media, un fisico asciutto inguainato in un paio di pantaloni neri e una camicia con collo alla coreana, anch’essa nera. A differenza di altri ballerini, non annaspava in cerca di spazio, non traeva gratificazione dall’elaborare figure appariscenti. Al contrario, sembrava totalmente concentrato sulla conservazione del proprio asse. Era un centro di gravità, attorno al quale la donna ruotava come un satellite impazzito. L’unione di quella figura maschile poderosa e inamovibile con quella donna dinamica e leggiadra mi investì con vibrazioni erotiche. La mia pelle si sollevò e i capezzoli si irrigidirono come sferzati da una brezza oceanica.
Indicai ad Anna la coppia, ma non ne fu impressionata.
“Lui è troppo statico” commentò.
“È stupendo” dissi più a me stessa che a lei.
Era difficile coglierne i lineamenti nella penombra della sala, ma sembrava avere un viso virile e al tempo stesso altero. Una barba scura gli incorniciava il viso, contribuendo a quella immagine di antica forza. Danzava come Leonida alle Termopili, occupando uno spazio che nessun altro avrebbe mai potuto violare.
Mi sorpresi a domandarmi come dovesse sentirsi la ragazza, sostenuta e protetta nelle sue figure da tutta quella forza.
“Devo ballare con lui” dissi.
“Scordatelo – fece Anna con una scrollata di spalle – conosci il tipo. Sarà un istruttore di qualche scuola che si è portato l’allieva prediletta in Milonga. Ci ballerà tutta la sera e poi chissà che cosa d’altro ci farà”.
Non potevo darle torto. Così andava il mondo, e così andava il tango. Però ci volevo provare lo stesso.
Attesi paziente, una tanda dopo l’altra.
Anna aveva ragione, pensai. Non la mollava un secondo, neppure quando, approfittando di una pausa e violando le leggi non scritte della Milonga, una bellissima ragazza sui trent’anni con un portamento da modella gli si offrì quasi in sacrificio. Aveva la sua ballerina.
Rifiutai ogni altro invito, e restai lì seduta, contemplando quello spettacolo per l’intera notte con un misto di invidia e rapita ammirazione. Anna mi prendeva apertamente in giro, con una punta di cattiveria perché si sentiva trascurata, ma non mi importava.
Aspettai e aspettai ancora.
Poi, mentre il personale di sala aveva già cominciato ad issare le prime sedie sui tavolini, ebbi la mia occasione. La ragazza che ballava con lui mormorò qualcosa al suo orecchio, e piombò a sedere in modo sgraziato, cominciando a massaggiarsi un piede.
Mi avvicinai a lui senza dire nulla. Esibii le mie forme aggraziate racchiuse in un corto abito verde persiano, e feci ondeggiare per lui i miei capelli rossi.
Attesi la sua mirada, che puntualmente arrivò. Mi condusse sulla pista ormai semi-vuota e mi strinse in un Milonguero possente. Potevo sentire il suo afrore e il profumo vagamente selvatico della sua colonia. Era un odore gradevole fin quasi ad essere stordente, così fresco, diverso dall’olezzo stantio cui ero fin troppo abituata.
Fin dal primo movimento in levare, mi sentii soggiogata.
Volevo muovermi, e creare assieme a lui, ma era come se quel centro di gravità mi traesse a sé fino a soffocare la mia libertà di azione e di pensiero.
Fu esaltante e frustrante al tempo stesso, come se la prossimità di quel Sole mi facesse sentire al tempo stesso totalmente irradiata e intimamente opaca.
Gli istanti trascorsero, un brano dopo l’altro. Galliano successe a Troilo, che successe a Pugliese.
Quando la musica scemò, alzai lo sguardo per cercare il suo, quasi elemosinandone l’approvazione.
“No” disse, allontanandosi.
Rimasi lì, inebetita e umiliata, al centro della pista vuota, mentre le luci si spegnevano.
Con la coda dell’occhio scorsi Anna che mi rivolgeva la sua occhiata da “te l’avevo detto”, ma vi badai appena. Quella singola sillaba bruciava come uno schiaffo.
Trascorsi la settimana seguente in uno stato semi-ipnotico, ripassando con la mente i movimenti, le pause, i suoi comandi perentori e le mie balbettanti esecuzioni.
Non riuscivo a pensare ad altro. Per strada, camminavo mettendo un piede davanti all’altro nel tentativo di simulare i passi giusti, quelli che si sarebbe aspettato da me.
Il sabato seguente, tornai da sola alla Milonga, cercandolo con uno sguardo che sapeva di disperazione.
Rifiutai ogni invito, che fosse per una tanda o, come spesso accadeva, per una conversazione con vista sul sesso. Per quanto molti avventori neghino questa realtà, la Milonga è un luogo di seduzione, o almeno dovrebbe esserlo.
Mi mordevo il labbro furiosamente, sorseggiando il Mojito con aria nervosa, fin quando lo vidi. Era accompagnato da una ballerina diversa, una dea bionda dal portamento perfetto, un mento alto e sottile incorniciato da riccioli dorati.
Aggredì la pista con il suo statico furore, impossessandosi del proprio angolo e facendo brillare la sua dama ad ogni movimento.
Continuarono a danzare avvinghiati, una tanda dopo l’altra, finchè anche questa giovane divinità fu svuotata di ogni energia. Quell’uomo consumava le sue ballerine come se le possedesse per ore. Quando si congedavano da lui avevano l’aria esausta e felice di chi aveva avuto il più prodigioso orgasmo multiplo della propria esistenza.
Quanto avrei voluto essere lei!
L’uomo cominciò a muoversi a bordo della pista, girando tra i tavoli. Le donne che si esponevano per lui come capi di abbigliamento in una vetrina. Il ballerino passò con incedere lento e arrogante, scrutando e soppesando, ma non concesse la propria mirada a nessuna.
Si fermò di fronte al mio tavolo, scrutandomi in silenzio per qualche istante. Mi sorpresi ad abbassare il mio sguardo, come una scolaretta di fronte ad un professore affascinante e severo.
Mi tese la mano.
Come preda di un incantesimo, la afferrai e mi lasciai condurre al centro della pista.
Il quadrilatero illuminato dalle luci non era deserto come la volta precedente, ma era comunque in fase declinante.
Adoravo quel momento della serata, quando gli avventori della prima ora erano già in viaggio verso casa e il disc-jokey si concedeva di sperimentare, bisbigliando nuove e sofisticate melodie all’orecchio dei ballerini.
Cominciò una tanda lenta e struggente.
Stretta nel suo abrazo , cominciai a fluttuare disegnando passi sempre più sicuri. I miei piedi ticchettavano come i martelletti di un pianoforte, mentre lui si muoveva nello spazio come l’arco su un violoncello.
Lo vidi chiudere gli occhi un paio di volte, durante le figure più complesse, come se volesse assaporare gli arabeschi che il mio corpo disegnava attorno al suo.
La musica finì con un sussulto improvviso, lasciandoci avvinghiati in una figura conclusiva che si reggeva quasi unicamente sulla forza del suo asse. Avvertivo il suo respiro regolare e sicuro mentre mi sosteneva. Restammo così fino a quando l’eco dell’ultima nota si fu spenta.
Lo guardai negli occhi, accennando un sorriso.
Il ballerino esitò un istante.
“No”, disse poi, e mi lasciò nuovamente sola.
La sala era ancora animata, e vidi un paio di sguardi posarsi su di me. Ero uno spettacolo patetico, abbandonata in mezzo alla pista dal mio cavaliere senza una parola.
Per puro spirito di sopravvivenza, accettai al volo un invito e ballai una tanda con uno sconosciuto di cui non mi interessava affatto memorizzare i lineamenti.
Mi feci trascinare e ballai ancora e ancora, passando da un invito a un altro senza fare alcuna selezione.
Poche altre volte mi sentii puttana come in quel momento, concedendomi a chiunque, permettendo a quei maschi insignificanti di portarsi a casa un pezzo di me. Mi sentivo svuotata della mia dignità e pronta a concedermi per la piccola ricompensa di non essere lo zimbello della sala.
La notte, ebbi incubi costellati di “no” profferiti nel buio.
Il sabato seguente mi sedetti allo stesso tavolo. I capelli freschi di piega scintillavano nella semi-oscurità e le mie gambe affusolate erano armi di seduzione di massa, offerte alla vista da un cortissimo vestito rosso. Avevo il mio fedele rouge chanel incollato alle labbra e un sorriso battagliero.
Avrei atteso il ballerino, avrei aspettato che consumasse l’ennesima ninfa con cui era arrivato, e mi sarei fatta invitare. Lo avrei lasciato lì, con la sua mano tesa e le sue certezze. Mi sarei alzata e sarei andata via.
“No”, avrei bisbigliato al suo orecchio nell’oltrepassarlo.
Nulla di tutto questo accadde. Quella sera, il ballerino non si presentò.
Nemmeno il sabato seguente, né quello dopo ancora.
Seduta allo stesso tavolo, lo attesi per settimane.
Lo rividi quasi due mesi dopo, accompagnato dalla ballerina con cui lo avevo visto la prima volta. Sorrideva e la cingeva per la vita. Si fermò a scambiare due parole con alcuni veterani della Milonga seduti ad un tavolo vicino al bar, poi mi vide e mi rivolse un cenno di saluto.
Ricambiai con un sorriso che mi sorprese. I miei propositi di vendetta parvero liquefarsi, mentre i battiti del mio cuore sembravano impazziti.
Mormorò qualcosa all’orecchio della sua accompagnatrice, che gli sorrise, carezzandogli i capelli, e andò a sedersi poco distante per cambiarsi le scarpe.
Lui si diresse verso di me. Mi tese la mano, aiutandomi ad alzarmi, e la baciò.
Ero ancora sorpresa e confusa da quel gesto inaspettato, quando mi ritrovai a danzare con lui. Una tanda, poi un’altra, ancora e ancora. Danzammo per quasi venti minuti, saldati assieme come se qualche divinità ci avesse creati così. Fu bellissimo, in quei minuti mi fece scoprire ed assaporare angoli di me stessa che non conoscevo. Ogni suo gesto creava in me una nuova armonia, come se mi stesse scolpendo sulla pista.
La musica decrebbe dolcemente di intensità. Io attendevo il suo verdetto con un misto di aspettativa e terrore.
“Posso riaccompagnarti al tavolo?” mi chiese.
“Ti ringrazio” dissi, gratificandolo del mio sorriso più seducente.
“Tu sei una donna straordinariamente bella” disse quando ci fummo seduti, guardandomi negli occhi.
Arrossii, e la cosa mi stupì. Ricevevo costantemente complimenti per il mio aspetto fisico, ma il modo aperto e sicuro con cui aveva riconosciuto la mia bellezza mi fece sentire tremendamente vulnerabile.
“Grazie” dissi.
“Il tango è bellezza, ma non necessariamente la bellezza è tango” aggiunse, senza smettere di fissarmi. Per la prima volta, potei notare la barba curata in modo maniacale. Lo immaginai trascorrere ore di fronte allo specchio, fino alla completa soddisfazione. Compresi che per quell’uomo ogni cosa aveva a che fare con l’ostinata, quasi pedante ricerca di perfezione. I suoi modi, la sua gestualità, persino la sua voce potevano sembrare effeminati ad un osservatore più superficiale, ma non era così. Si trattava del risultato di una spietata ricerca di equilibrio ed armonia. Non era il genere d’uomo che normalmente mi risultava attraente o anche solo simpatico. Ritenevo che tutto quel perfezionismo scivolasse facilmente in una sterile pedanteria, e che l’arroganza fosse un effetto collaterale quasi inevitabile. In quell’uomo, tuttavia, risplendeva una singolare passionalità che era quasi sempre assente in soggetti simili. Traeva piacere dal bello, ed il suo non era un semplice esercizio di stile, quanto piuttosto ricerca della felicità. C’era qualcosa di infantile, nel modo in cui si entusiasmava quando raggiungeva la vetta che si era prefissato.
Era bello, di una bellezza sobria e composta che sembrava un diretto riflesso della sua anima. Sarei rimasta a guardarlo per ore, ma ciò non significava che sarei rimasta inerme a farmi insultare per tutta la sera.
“Una donna meno tollerante di me si sentirebbe offesa da un commento del genere” dissi.
“Sarebbe un peccato, perché non desidero in alcun modo offenderti. Al contrario, penso che tu abbia un dono naturale che in pochi possiedono”.
“Cioè?”.
“Tu sei aggraziata anche quando sbagli – disse, sfiorandomi i capelli – hai l’eleganza nel sangue, è scritta dentro di te”.
Non sapevo cosa dire, perciò non dissi nulla.
“È anche la tua maledizione – proseguì, sfiorando la mia guancia e il profilo delle labbra – perché ti fa sentire brava anche quando non lo sei. E io trovo che sia un peccato, per una creatura come te, accontentarsi di così poco”.
Ero estasiata ed offesa al tempo stesso. La carezza della sua mano ammantava le sue parole di uno strato di seta, e il suo sguardo di pura ammirazione mi fece sentire qualcosa di tormentato e languido nel basso ventre.
“Ora devo andare” disse, chinandosi a baciarmi su una guancia.
Quell’incontro mi lasciò con un groviglio nello stomaco. Provavo una strana soggezione nei confronti di quell’uomo pignolo ed arrogante. Solitamente ne faccio una questione di principio, sgonfiare l’ego di personaggi simili, ma nel suo caso vi era una singolare congruenza di atteggiamento e qualità personali. Quell’uomo non faceva il superiore, lo era.
Per questo motivo, ero tortuosamente lusingata dalle attenzioni che mi dedicava, sebbene fosse spietato ed ogni suo giudizio lasciasse lo stesso segno di una frustata.
Desideravo compiacerlo, e desideravo che mi guardasse con gratitudine e ammirazione.
Il sesso non si era insinuato nei miei pensieri, nonostante considerassi quell’uomo terribilmente attraente. Troppa era la tensione della sfida, troppo forte il desiderio di riconoscimento.
Nelle settimane successive, non mi feci trovare al solito tavolo.
Girai di Milonga in Milonga, ogni notte, aspettando l’alba avvinghiata a chiunque fosse disposto a farmi ballare.
Accettai tutti, giovani o anziani, alternativi fuoriusciti dai centri sociali o malinconici cuori solitari in cerca di consolazione, per me non faceva differenza. I piedi martoriati urlavano la loro protesta, ma io li ignoravo, rispondendo con entusiasmo ad ogni mirada, accettando ogni mano tesa.
Notte dopo notte, sacrificai la mia naturale alterigia sull’altare di un uomo del quale non conoscevo neppure il nome, e nel farlo riscoprii il piacere di donarmi, di danzare senza giudizio.
Lo rividi circa un mese e mezzo dopo il nostro ultimo incontro.
Quando entrai in Milonga era già lì, seduto con l’aria annoiata al tavolo che aveva ospitato la nostra ultima conversazione. Avevo volutamente atteso l’ultima porzione della notte, quella in cui la pista si svuota e la musica diventa più contorta e viscerale.
Con andatura misurata, mi diressi verso di lui, ondeggiando sui tacchi. La mia figura esile era inguainata in un corto abito di velluto blu elettrico, che lasciava la schiena completamente scoperta. Le mie gambe affusolate, inguainate nelle autoreggenti, calamitavano gli sguardi dei presenti, ma io ero interessata solo al suo.
“Ti ho cercata” mi disse mentre mi invitava a sedere.
“Sono qui” dissi, baciandolo sulla guancia, appena sopra la perfetta linea della barba.
“Vuoi ballare”. Lo disse senza che sembrasse una domanda, alzandosi e porgendomi la mano.
Lo seguii sulla pista, e mi avvinghiai a lui.
Il disc-jockey attaccò una tanda che era una densa colata di note, calda e rossa come lava nell’oscurità. Non si mosse subito. Attese, ondeggiando dolcemente, come un surfista alla ricerca dell’onda perfetta. La trovò, e cominciò ad impartirmi i suoi comandi silenziosi muovendo il proprio asse, intrappolandomi con le gambe per poi liberarmi improvvisamente, facendomi spiccare il volo. Il suo equilibrio pefetto mi faceva sentire audace e sicura nello sperimentare, togliendomi del tutto quella paura di sbagliare che rende il tango meccanico e senza vita. Quella notte mi sentivo infallibile e bellissima e, al tempo stesso, provavo nei confronti di quell’uomo il senso di assoluta, volontaria sottomissione che si prova di fronte alle divinità.
Avvertivo il calore della sua mano sulla mia schiena, sensuale senza mai essere allusiva. La mia pelle rispondeva al suo tocco increspandosi e tendendosi, creando una figura nella figura.
Le mie gambe lo accoglievano sinuose per poi respingerlo in un rituale che era l’essenza stessa di quella danza. Dimenticai Milano e il suo snobismo, e mi sentii trascinare per i sobborghi di una Buenos Aires dimenticata, dove una mirada poteva risvegliare i coltelli addormentati nelle fodere, e un gancio era un ineluttabile preludio sessuale.
Sentivo effluvi scorrere tra le mie gambe, e i miei capezzoli turgidi puntavano contro di lui in modo quasi doloroso.
Per la prima volta, avvertii la sua erezione premere contro il mio ventre. La sua eccitazione era una lusinga inattesa, e mi spinse ad essere ancora più audace, morbida, sensuale. Mi sciolsi tra le sue mani, lasciando che mi trasformasse in qualunque cosa volesse.
Portò il petto in avanti, sorreggendomi con un braccio e lasciando che il proprio perfetto asse di equilibrio mi permettesse di abbandonarmi, reclinando la schiena all’indietro fino a che i miei capelli quasi sfiorarono il suolo. Afferrò la mia gamba mentre mi trascinava per la pista, lento come il lamento di un violino. Sentivo la sua mano risalire lungo la coscia nel compiersi della figura, e il desiderio sessuale mi sconvolse fin quasi a farmi gemere.
Mi risollevò, schiacciandomi contro il suo petto e continuando a muoversi, roteando attorno al centro di equilibrio. La pressione sulla mia schiena si fece più potente, impartendomi ordini silenziosi che morivo dalla voglia di eseguire per lui.
Mi fece schiava, e nel farlo mi esaltò come non mi era mai accaduto. Strisciai per lui, volai per lui e planai sulle sue braccia, lasciandomi imprigionare.
Poi la musica cessò.
Vi fu un piccolo brano di boogie per autorizzare il ricambio sulla pista.
Lo guardai. Sorrideva. Mi accarezzò il viso.
“Sei stata stupenda” disse.
“Vado a rinfrescarmi un secondo” gli mormorai all’orecchio, e mi diressi al bagno delle signore.
Mi contemplai allo specchio. Riconobbi nel mio viso stanco ed estasiato le stigmate di quell’incantesimo orgasmico con cui quell’uomo marchiava le sue ballerine.
Siamo le sue concubine, pensai, belle, spossate e in estasi. Dal momento in cui ci conduce sulla pista, gli apparteniamo tutte. Compresi di essere divenuta parte del suo Harem, e la cosa non mi disturbava. Umiliarmi per lui, sottomettermi al suo potere, mi sembrava del tutto naturale.
Estrassi il rossetto dalla borsetta e cominciai a ravvivare il colore con estrema cura. Volevo labbra perfette. Le volevo per lui.
Fu in quel momento che lo vidi dallo specchio, appoggiato alla porta, silenzioso.
“Non ti ho sentito entrare”.
“Ti stavo ammirando” disse.
“Ti piace quello che vedi?”.
“Vieni qui” disse, e contemporaneamente mosse un passo verso di me. La sua camminata possedeva la medesima, poderosa lentezza dei suoi passi sulla pista. Lo raggiunsi. Le sue braccia mi strinsero in una morsa, la mano si insinuò tra i miei capelli, afferrandoli con forza. Mi baciò con una foga inaspettata, divorando le mie labbra, baciando e mordendo. Sentii la sua lingua in bocca e la catturai con la mia. Mi afferrò un seno, lo fece suo con forza, passando il pollice sul capezzolo per assaporarne il turgore. Stretta nel suo abbraccio, cominciai ad accarezzargli le cosce e i glutei, poi afferrai la sua asta attraverso la morbida stoffa dei pantaloni. Era già piena e dura, come avevo avvertito sulla pista.
Ci misi alcuni interminabili istanti a spogliarlo, maledicendo la sua cintura ed ogni bottone che incontravo. Finalmente ebbi la sua erezione perfetta tra le mani. Aveva un cazzo bellissimo, meravigliosamente liscio e proporzionato.
Avvertii la sua pressione sulla nuca e, come in risposta ai suoi perentori comandi durante la danza, piombai sulle mie ginocchia e lo ingoiai. Lo inondai della mia saliva e gli feci sentire tutto il desiderio delle mie labbra e della lingua. Lui mi spinse forte verso il basso, verso la radice irrorata di sangue, verso quelle vene gonfie e pulsanti. Me lo sentii scivolare in gola, e avvertii il riflesso che mi induceva a respingerlo, ma resistetti. Volevo essere la sua schiava, donargli la mia incondizionata obbedienza. Rilassai la mente e i muscoli e lo lasciai scivolare dentro di me quasi fino in fondo. Come soddisfatto di quell’atto di sottomissione, mi aiutò a rialzarmi e mi spinse all’indietro, verso il lavandino.
La porta del bagno non aveva chiavistello, e una parte di me, per un solo istante, fu consapevole che chiunque avrebbe potuto entrare e sorprenderci, ma immediatamente decisi che non mi importava. Ero la sua serva. Che lo sapessero tutti mi stava bene.
Si slacciò i polsini della camicia, poi i bottoni sul davanti, liberando un corpo compatto, atletico senza ostentazione. Feci correre le dita sui pettorali duri e sull’addome piatto, ricoperto di una soffice peluria.
Mi fece piegare all’indietro, in equilibrio precario sui gomiti, e mi sollevò il vestito. Si inginocchiò di fronte a me, come avevo fatto per lui, ed affondò la testa tra le mie cosce. Mi leccò a lungo, dapprima attraverso il perizoma, poi scostandolo da un lato, penetrando la mia carne cosparsa di umori. Si alzò in piedi, e afferrò con forza la mia coscia destra, allargandola. Sentii la punta del suo glande premere deliziosamente all’ingresso della mia vagina. Mi mossi leggermente e fu dentro di me, appena un poco. Mi guardò negli occhi, e sorrise. Lo baciai con furia.
Lui entrò ancora un po’, lasciandomi assaporare la pienezza di quel contatto, ma non cominciò subito a spingere. Come sulla pista da ballo, qualche minuto prima, sembrava aspettare l’onda perfetta. Le pareti attorno a noi vibravano al ritmo di un brano dei Gotan Project, e udivo in distanza le voci dei bambini che costituivano il coro. Fu uno strano cortocircuito. Essere aperta ed inerme di fronte a lui, mentre mi prendeva con quella struggente parsimonia, risvegliò qualcosa di profondamente infantile in me, forse quella parte di noi che ha bisogno di sentirsi protetta quando arriva la notte. Il coro dei bambini mi penetrò in profondità, divenendo parte di ciò che ero in quel momento.
“Ooooh, ti prego” sussurrai.
Come se fosse quella l’onda che aspettava, spinse, e lo fece con una tale, definitiva potenza che mi tolse completamente il fiato. Mi afferrò la testa e premette la fronte contro la mia, mentre le sue spinte si intensificavano. Ebbi un primo orgasmo che quasi mi fece crollare sulle gambe, ma quello stesso, perfetto asse di equilibrio che mi aveva sorretta in precedenza mi impedì di cadere. Mi strinsi a lui ancora più forte.
“Oh…oh sì!”.
Entrambe le sue mani scivolarono sotto il vestito, afferrandomi per le natiche e posizionandomi sulla sua asta eretta. Mi fece scivolare fino a impalarmi completamente, e cominciò a scoparmi in quel modo. Arretrò, trascinandomi con sé, e mi sbattè contro la porta.
Io strinsi il gancio alle mie spalle, pensato per appendere le giacche, fino a farmi sbiancare le nocche. Lui continuava ad affondare dentro di me.
Sentii il suo indice introdursi con delicatezza nel mio ano e mi abbandonai a quella doppia penetrazione. Ebbi un secondo orgasmo, più forte del precedente, e gli morsi la spalla fin quasi a farlo sanguinare.
Lui grugnì, più di eccitazione che di dolore, e prese a pompare con maggior forza. L’armatura della sua arroganza si era incrinata fino a spaccarsi, lasciando scaturire una carnalità sofisticata eppure primordiale.
La mia schiena sbatteva contro la porta e le gambe, attorcigliate attorno alla sua vita, mi dolevano per lo sforzo. Continuò a scoparmi in quel modo, ed io continuai a venire, per un tempo incalcolabile. Come nel tango, non ricercava mille posizioni per esibire la sua potenza. Al contrario, non mi fece nemmeno mai voltare. Tutti gli uomini che mi scopavano, prima o poi, mi facevano voltare, irresistibilmente attratti dal mio culo perfetto. Non lui. Lui continuò a fissarmi negli occhi fino a che l’ultima stilla di piacere sgorgò dal mio corpo. Completamente svuotata, mi afflosciai contro di lui. Con una delicatezza che quasi mi commosse, mi aiutò ad appoggiarmi nuovamente al lavandino, senza mai smettere di pomparmi.
Mi carezzò il viso, infilando un pollice nella mia bocca. Leccai avidamente, come avrei leccato qualunque cosa mi avesse infilato tra le labbra.
Si concesse ancora qualche spinta, lenta e dolce, poi uscì da me. Mi allargò le cosce per avere la mia fica aperta e arrossata davanti a sé, poi cominciò a masturbarsi, senza mai staccare gli occhi da me.
Sentii il suo seme bollente investirmi, e quasi ebbi un altro orgasmo per il puro piacere di vederlo finalmente arrendersi.
Mi accarezzò a lungo, baciandomi dolcemente. In quel tempo, la porta si aprì e si richiuse un paio di volte, come se chiunque fosse entrato avesse scelto di arretrare di fronte alla poesia di quel momento.
Ci salutammo con promesse di ballare ancora assieme, che nessuno di noi due aveva intenzione di rispettare. Lo osservai mentre si rivestiva e usciva di soppiatto, finalmente umano nella sua goffaggine.
Mi aveva umiliata, mi aveva educata e mi aveva posseduta.
E ora, in quel singolo istante di debolezza, era mio.
Guardai in basso, tra le mie gambe spalancate. Il candore del suo seme, deposto sul mio giaciglio di peli scuri, mi parve una delle cose più belle che avessi mai visto.
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.7
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per Abrazo:

Altri Racconti Erotici in Lui & Lei:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni