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Lui & Lei

Dipendenze


di Membro VIP di Annunci69.it Paolo_1971
06.02.2024    |    1.198    |    2 8.8
"Così fumai i miei ultimi 4 pacchetti della stecca di Lucky Strike accendendo una sigaretta dietro l’altra..."
Dipendenze

Ho smesso di fumare alle ore 23.59 del 24 marzo del 1996. L’avevo deciso da tempo. Salute, qualità della vita e tutte le stronzate del genere mi avevano convinto che fosse la cosa giusta da fare. “Smetterò di fumare, vivrò una settimana in più e in quella settimana pioverà a dirotto” diceva del resto Woody Allen. Programmai per tempo la decisione. Comprai due stecche di sigarette e fissai una data nella quale avrei smesso per sempre.
Feci un po’ male i miei calcoli però. Il 23 marzo mi resi conto che avevo ancora quattro pacchetti di sigarette. Mi scocciava l’idea di non fumarle. Ancor di più solo pensare di spostare la data prescelta. La decisione era stata presa. Così fumai i miei ultimi 4 pacchetti della stecca di Lucky Strike accendendo una sigaretta dietro l’altra. Ero nauseato, probabilmente vicino all’intossicazione da nicotina. La notte del 24 marzo fui assalito nel sonno da conati di vomito. Feci una doccia gelata, dopo osservandomi allo specchio ebbi la sgradevole sensazione di avere assunto un lieve colorito giallastro. Con questi presupposti, smettere di fumare i primi giorni fu quasi un sollievo.
Poi però iniziai a sentire l’astinenza, soffrii fisicamente per poco più di una settimana. Il rito della cicca tra le dita mi mancava immensamente. Dopo il caffè, dopo mangiato, in bagno, la prima sigaretta al risveglio, mentre leggevo il giornale, ma più di tutte mi mancò quella dopo aver scopato. Al tempo stavo con Tatiana, occhi verdi, capelli biondo cenere, minuta, proporzionata, un culo rotondo e accogliente, tette piccole ma perfette, una fica stretta che contraeva magicamente quando ero dentro di lei, cioè quasi sempre. Mi faceva impazzire come faceva l’amore. Ho imparato nel tempo che ogni donna ha la sua posizione prediletta per raggiungere l’orgasmo. Tatiana amava stare sopra di me, strusciandosi la fica con il mio cazzo dentro e nel mentre mi chiedeva di baciarle i capezzoli. Come iniziavo a leccarli, succhiarli, mordicchiarli con la mia bocca lei si bagnava e mugugnava, poi iniziava a muoversi più veloce, quindi continuava a scatenarsi in una cavalcata di piacere. Immancabilmente veniva e io dopo di lei. Quella posizione era il nostro rito conclusivo della scopata. Il successivo era la sigaretta, dopo, infatti, fumavamo sempre e sempre le sue Marlboro Lights. “Ma come fai a fumare quelle schifose Lucky Strike? Sono troppo forti.” E io “Amore mio, prima di conoscerti fumavo quelle senza filtro”. “Sei assurdo, la sigaretta è un momento elegante, le tue sono da portuali ubriachi”
Tutto sommato aveva ragione, ma al tempo pensavo che se proprio devi causarti il cancro ai polmoni almeno devi farlo per bene. Tutte le sigarette Lights erano delle forme di ipocrisia, credi facciano meno male ma è una menzogna comoda da credere.

Alla fine le sigarette sparirono dalla mia vita e dopo un po’ anche Tatiana, ma questa è un’altra storia.

Fino al 2002. Lavoravo per una importante società e spesso andavo nella sede di Roma. Molti fumavano, tra cui uno dei partner. Le riunioni erano interminabili e i presenti accendevano una sigaretta dietro l'altra senza porsi minimamente il problema dei non fumatori presenti. La legge Sirchia non era ancora all'orizzonte, erano altri tempi. Sempre di merda come questi comunque.
I colleghi erano quasi tutti degli stronzi presuntuosi che si riempivano la bocca di parole inutili: meeting, briefing, plus (pronunciato plas). Gente con cui avevo poco o niente da condividere, gente che leggeva solo Philip Kotler.
Una sera, dopo dieci ore di riunioni - meeting pardon - spesso inutili con gruppi di lavoro e sottogruppi, ero nervoso, stanco, affamato così all’ennesima sigaretta accesa sbroccai dicendo “Bene a questo punto datemene una, tanto sto fumando lo stesso” ciò detto mi alzai esclamando un sonoro e plateale “E che cazzo!”, quindi lasciai la riunione per entrare nel bagno. Feci il corridoio smadonnando e sbattei la porta una volta entrato. Aprii il rubinetto dell’acqua fredda e con i palmi delle mani raccolsi un po’ d’acqua per lavarmi il viso.
Mi guardai nello specchio con la faccia bagnata “Sei il solito stronzo!” mi dissi. L’avevo fatta grossa. Per quanto avessi ragione, avevo sostanzialmente rimproverato il partner e l’avevo fatto pubblicamente. Era uno vendicativo e mi avrebbe fatto fuori dal progetto. Potevo dire addio al contratto.
Mentre pensavo a come avrei dovuto ricostruire la mia vita di lì a breve, d’un tratto si aprì la porta del bagno e varcò la soglia Teresa, manager romana affermata dell’azienda. Per me era una donna bellissima. Aveva una quarantina d’anni, ma un corpo da ventenne, capelli neri corti, un po’ spettinati, occhi castani, zigomi alti e una bocca ancora carnosa.
La sua terza di seno era compressa da un tailleur Blue scuro, un modello sagomato che evidenziava le sue forme. Sotto la giacca una classica camicetta bianca di seta sbottonata il tanto da lasciar intravedere una dolcissima scollatura.
Era più grande di me di almeno sette, forse otto anni. Fu lei a gestire il colloquio per il mio ingresso nel progetto. Mi dissero che era stata l’amante del partner per anni. Lo odiai da quel momento.
“Dovresti morderti la lingua, lo sai?” Ci davamo del tu dal giorno del colloquio. “Hai ragione Teresa” risposi “ma non riuscivo più a respirare; in riunione da stamattina, non ne potevo più, anzi non ne posso più. Domani lascio il progetto e me ne torno a casa.”
“Ho un’idea migliore” rispose. Dalla tasca interna della giacca prese un pacchetto di Marlboro rosse, ne scelse con cura una, la accese e me la porse. Inizialmente esitai poi senza dire una parola la presi e feci un tiro. Non fumavo da anni e la prima sensazione fu di soffocamento. Però sentii subito sul filtro il sapore della sua bocca.
“Ora vai a casa, mangi, ti fai una doccia, ti riposi, dormi, domani prendi una stecca di Marlboro, la porti al meeting delle 9, ti scusi con lui e continuiamo a lavorare. Tu ci servi. Scrivi bene.”
Esitai nel risponderle. L’idea di chiedere scusa al gruppo di lavoro non era un problema, ma a lui direttamente mi faceva venire un travaso di bile.
“Ragiona” aggiunse vedendomi incerto sul da farsi.
“Farò così, hai ragione Teresa, come sempre del resto”
"Bravo" disse, poi si avvicinò e mi diede un piccolo dolce bacio sulla guancia. Allontanandosi indugiò un secondo sorridendomi e guardandomi negli occhi. Conoscevo quello sguardo. Era identico a quello che mi regalò un’estate ormai lontana la sedicenne Alessandra una notte iniziata sui bastioni di Alghero e conclusa in spiaggia fino all’alba. Era come quello della ventenne Rebecca durante l’occupazione dell’Università. Era come quello di Tatiana, prima della fine di tutto. Era uno sguardo che traboccava di desiderio, che indicava la strada. Bisognava solo avere il coraggio di imboccarla. Così feci perché la baciai. All’improvviso la mia bocca era sulla sua e le nostre lingue unite in un bacio lungo, lento, dolce, passionale, atteso. Nel mentre le mie mani frugavano dappertutto e allo stesso tempo sentivo le sue su di me, sull’apice della mia eccitazione.
Quel che accadde dopo non so quanto durò, ma fu una specie di follia. Chiusi a chiave la porta e iniziai a spogliarla freneticamente, mentre continuavo a baciarla prima la bocca, poi i capezzoli, infine la sua fica. Non dissi una parola, non disse una parola. Parlavamo con gli sguardi con il corpi intrecciati e le mani che reciprocamente cercavano ogni centimetro della nostra pelle. Parlavamo con gli odori dei nostri corpi divenuti uno solo. Mi chiesi quale potesse essere la sua posizione, fu lei a farmelo capire: era la stessa di Tatiana. Le piaceva dominare, stare sopra di me. Aveva delle gambe non solo bellissime ma fortissime. Nel cavalcarmi si strinse a me con le cosce con una forza inaspettata. Sentivo il freddo delle mattonelle sulla schiena che contrastava con il calore del suo corpo che continuava ad agitarsi sul mio. Voleva urlare, fece una sorta di mugugno, alzó gli occhi al cielo e poi iniziò a contrarre le pareti della fica. Una, due, tre volte finché non ebbi anche io il mio orgasmo.
Si accasciò su di me ansimante, gli occhi chiusi e un sorriso di estasi. Aprì gli occhi: “La prossima volta cerchiamoci un posto migliore”
“Tutto quello che vuoi tu, ora però dammi una sigaretta”.
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