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Lui & Lei

NOTTE BERBERA


di cunnilinguus69
13.05.2022    |    4.151    |    2 9.6
"Il miracolo della resurrezione non si era ancora verificato ma sotto il suo tocco sentì la vita tornare anche lì, la carne prendere forma e riempirle le mani..."
La luna, soprattutto quando è piena, è cantata dai poeti quale musa di tresche amorose. Ma, tra le forme irregolari dei muri di un villaggio berbero, può anche rappresentare il mistero e l’avventura, l’agguato e il doppiogioco. E quella notte, in un villaggio in un qualsiasi punto dell’Africa nord occidentale, c’era proprio la luna piena…
L’ombra si staccò con un incertezza dal riparo precario offerto dal muro della bassa casa. Chi aveva interesse a seguire i movimenti dell’uomo non avrebbe potuto evitare di cogliere il lampo corrusco che si intravide per un attimo tra le pieghe del barracano in cui era avvolto, segno inequivocabile che un coltello, una di quelle lame lunghe e sottili tipiche della zona era lì pronta, forse, ad abbeverarsi da una fontana della vita.
L’uomo si muoveva con circospezione, guardingo si sporgeva appena oltre il limitare di un angolo prima di cambiare la sua posizione e proseguire nel misterioso viaggio che, in quella notte, proprio in quella notte di luna piena, cercava di sottrarre allo sguardo gelido dell’astro della notte.
Scivolava da un muro ad un altro, da un angolo ad un altro, da una casa ad un’altra, in realtà non dava l’impressione di prepararsi a quel fatidico appuntamento che gli uomini devono spesso affrontare in tempi difficili con la nera mietitrice, che siano ospiti o invitati. A potersi avvicinare maggiormente gli si sarebbero potuti scorgere, accesi nel suo barbuto volto arabo, due occhi luminosi e attenti.
Nel suo strano scivolare nell’ombra lo si poteva intuire ad indugiare a tutte le finestre, dalle più ampie aperture fino ai piccoli pertugi nati solo per dare aria, discretamente, ad un ambiente. Gettava uno sguardo all’interno, con attenzione, tenendosi un po’ discosto quando l’apertura rivelava il chiarore di un lume all’interno.
Un passo e due voci dal fondo del vicolo. L’uomo si ritrasse ancor più nell’ombra, ora lo si sarebbe potuto vedere stringere convulsamente l’impugnatura del suo compagno d’acciaio, tutto il corpo teso ad un possibile, ma non desiderato scatto in avanti, a colpire prima di essere colpito. Lo si sarebbe potuto vedere se l’ombra che lo nascondeva non fosse stata così fitta – sembrava quasi che l’ombra stessa gli si facesse amica stringendosi ancor più attorno a lui – ma in quel buio si potevano solo immaginare i suoi sentimenti e i suoi movimenti.
Le due voci, ed i loro traballanti proprietari, erano intanto arrivate alla sua altezza. I due compagnoni, evidentemente non stretti osservanti dei dettami di Allah, si avanzavano anche loro guardinghi ma traditi dalle loro voci alterate dall’alcol, e l’incertezza del loro passo era dovuto più ai suoi fumi e al timore di incontrare qualcuno che potesse riconoscerli in quella situazione blasfema, più che dal desiderio di attuare una missione di morte.
I passi oltrepassarono l’ombra ricca di una presenza che più che contaminarla la arricchiva. I muscoli nascosti tornarono ad uno stato di normale tensione, l’uomo aspettò ancora qualche lunghissima eternità mentre l’astro notturno aspettava, pazientemente, che i movimenti dell’uomo gliene rivelassero direzione ed intenzioni.
Ormai, con la luna quasi al suo zenit, era sempre più difficile trovare un’ombra sufficiente a nascondere un corpo robusto anche tra quegli stretti vicoli, ma l’uomo sembrava assottigliarsi per fare ombra sé stesso. Ogni passo mosso verso la sua ignota meta sembrava una figura di un complesso balletto e il ritmo era dato dalle pulsazioni del suo cuore che l’uomo pareva avvertire quali rumore tremendo che metteva a rischio la sua discrezione.
Ormai si era addentrato verso le zone più centrali del villaggio e la sua imprudenza aumentata – lo si poteva ora intuire più facilmente nei suoi movimenti che denotavano sempre di più un’impazienza malcelata – rivelavano che il suo tempo stava per scadere o che era più vicino alla meta dei suoi passi o, ancora, che iniziava a dubitare di poter mai trovare l’oggetto della sua ricerca.
Uno stretto vicolo che, buio, si apriva sulla sua destra, come una ferita quasi invisibile nel corpo di quelle basse costruzioni, attrasse la sua attenzione. Solo una lieve incertezza mostrò, prima di entrare, ma subito una sottile lama di luce che sembrava uscire dal nulla di un buio più fitto della morte attirò la sua attenzione ed i suoi passi.
La lama di luce usciva da una di quelle piccole finestrelle che non servono neppure ad affacciare un viso per scrutare l’esterno. Ma, comunque, quel vicolo non aveva nulla che avrebbe potuto interessare colui – o colei?… – che avrebbe potuto affacciarvisi. Ma, in quella notte, qualcuno si muoveva nel buio, qualcuno che avrebbe potuto interessare molto colui (o colei…) che viveva nella luce proiettata da quel minimo pertugio.
La luna, avendo visto sparire in quel vicolo imprevisto, l’oggetto del suo interesse, sembrava aver deciso di fermarsi per cercar di penetrarne lo spazio, ma quello stretto budello era impenetrabile anche per lei.
La luce calda delle lampade ad olio che ardevano all’interno della casa iniziava a rivelare i tratti del viso del misterioso esploratore notturno e il suo sguardo, che si avvicinava ora lentamente all’apertura, sembrava manifestare il desiderio di bere con pazienza e desiderio, fino all’ultima goccia, lo spettacolo che gli si sarebbe mostrato.
Gli occhi, quasi febbricitanti nel delicato tremolare delle cento fiammelle che, suggendo olio dalle lampade, diffondevano un caldo chiarore si poterono finalmente affacciare al pozzo dei suoi desideri.
La donna indossava una leggera veste di garza tanto pudica per la lunghezza – ne avvolgeva completamente il corpo – quanto impudica per la materia che, davanti al lucore delle lampade, ne lasciava trasparire le forme, perfettamente disegnate dalle calde dita dei raggi luminosi attraverso la leggera garza del tessuto.
I movimenti morbidi ed eleganti del suo corpo snello che esaltava ancor di più, nella penombra, il seno pieno, sembravano ignari di quanto il mondo offrisse all’esterno delle mura di quella sua fortezza, ma uno sguardo improvvisamente alzato, un immobilizzarsi prestando il gesto ad un’attenzione estrema rivelavano una tensione interna che solo questi rapidi gesti manifestavano.
Gli sguardi si incrociarono. Gli occhi di lui si fissarono in quelli, grandi e luminosi di lei. Tutto quello che stava attorno a quel muto contatto aveva perso importanza. La lunga eternità si sciolse: la donna si avvicinò, rapida, ad una tenda alla parete che, come molte cose da quelle parti, si rivelava essere qualcos’altro da quello che appariva. La porta celata dal drappeggio si aprì come spinta dal vento e l’uomo fu nella stanza.
Se i baci sono parole in quel momento una profonda e avvincente discussione legò l’uomo alla donna, e labbra e lingue raccontavano una storia lunga come la vita, come il mondo, ma sempre degna di essere narrata, con il maggior dettaglio possibile.
Si staccarono, alla fine, e a fatica, ma fu solo per potersi rimirare di nuovo negli occhi, perché lo sguardo di uno si perdesse nello sguardo e nelle forme dell’altro.
“Perché?!… Perché correre questo rischio?!?…”
Ma si capiva che la domanda che lei aveva formulato non chiedeva una risposta: lo sguardo dell’uomo che beveva il suo corpo attraverso gli occhi era già una risposta.
“Non… non lo sai,dunque?…”
Non gli rispose, gli si offrì, semplicemente…..
Gli si offrì lasciando cadere a terra la veste leggera, lasciando il corpo agli sguardi e al tatto dell’uomo. Quello che fino a poco prima era possibile solo intuire attraverso il malizioso gioco delle luci e delle ombre, delle trasparenze e dei riflessi ora era lì, impudico ma virginale, dal delicato ovale del viso ai piedi delicati rivelavano desiderio ed emozione.
Le mani dell’uomo scivolarono in una carezza, dal volto alle spalle, si riempirono dei seni, seguirono la curva dei fianchi ridisegnando ciò che la natura aveva già reso perfetto, saggiarono l’avvallamento e la curva che conduceva al pube, senza indugiare, e scivolarono ad afferrare le pesche su cui Allah aveva concesso di far posare quel corpo di donna quando si sedeva. La loro pelle era liscia e morbida, ma le mani dell’uomo la strinsero, tirandola verso di sé, senza trovare resistenza ma, anzi, avvertendo il bacino che si appoggiava, con desiderio, al suo.
E le bocche ripresero quel lungo chiacchiericcio interrotto poco prima. Labbra sulle labbra, lingua attorno alla lingua, le mani di lei che trattenevano il viso di lui mentre quelle di lui continuavano ad afferrare quei dolci muscoli che la natura ha voluto lì perché servissero propri a quello.
Poi anche le mani di lei rivelarono la loro curiosità: senza staccarsi iniziò a sciogliere la fusciacca che reggeva la lama, minacciosa nell’ombra ma ora totalmente inutile, poi tornò alle spalle forzando il barracano a cadere, inutile anch’esso, ai loro piedi. Senza staccare la bocca dalla sua né sottraendosi alla salda impugnature delle sue natiche da parte dell’uomo, con le mani iniziò anche lei un’esplorazione che dalle larghe spalle condusse il suo gesto a scendere lungo il petto, giù giù, fino ad impossessarsi di quei pochi centimetri di carne nei quali si concentra quasi tutto il piacere fisico dell’uomo.
Il miracolo della resurrezione non si era ancora verificato ma sotto il suo tocco sentì la vita tornare anche lì, la carne prendere forma e riempirle le mani mentre il bacio si faceva ancor più profondo.
Dopo un lungo attimo l’umo si scostò da lei, le prese la mano guardandola con uno sguardo che era, ad un tempo, tenero e lubrico, paradiso ed inferno in un solo attimo, dagli occhi di lui a quelli di lei ed ancora a quelli di lui.
La guidò verso un gruppo di cuscini e la fece adagiare. Le si sdraiò accanto, accarezzandole il viso con la mano. Ma la mano, ora, sembrava voler scivolare verso il basso, e le labbra ne seguirono la rotta tracciata dalle dita. Il tocco delicato scese dal collo, mentre le labbra lo baciavano, scivolò disegnando il profilo dei seni e il perimetro delle areole, mentre le labbra ne disegnavano la forma e contribuivano a dar loro quell’inturgidimento che fa svettare i capezzoli di una donna che desidera un uomo.
Dita e labbra disegnavano, ora, i fianchi, scivolando verso quell’ideale triangolo che, da qualunque lato, conduce verso l’origine della vita. E del piacere. I polpastrelli avvertivano ora il serico tocco della peluria che nasconde quel triangolo, quella misteriosa fessura, ferita che a volte sanguina, ma più spesso chiede di essere guarita con l’applicazione di un fiore di carne, fiore che sboccia appositamente per poter appassire in lei.
Ora le labbra si appoggiavano di nuovo alle labbra, diverse ma uguali, morbide e calde, anch’esse simulacro di un fiore che si dischiudeva al bacio ed allo sguardo stillando gocce di un umore al quale le labbra di un uomo anelano abbeverarsi.
La donna si era lasciata andare completamente sui cuscini, la testa rovesciata, la voce che raccontava in un gemito la storia del mondo, le mani che trattenevano e guidavano il volto dell’uomo, affondato tra le sue cosce, perché arrivasse proprio là dove il desiderio era stato, per un attimo, ignorato.
L’uomo sentì la stretta delle mani di lei farsi più forte, capì che la magia dell’orgasmo stava per compiersi e dedicò, con più attenzione, labbra, lingua, dita, tutto il suo essere e il suo pensiero concentrati in quel luogo al piacere della compagna che stava ora arrivando, segnalato e sottolineato dalla voce di lei.
Improvvisamente lo afferrò, quasi selvaggiamente, lo trasse a sé e lo baciò, frenetica, quasi volesse assaporare dalle labbra di lui il suo proprio sapore di cui l’uomo aveva appena goduto, facendola godere.
Il bacio si fece più tenero, si staccò da lui e lo spinse con le spalle negli stessi cuscini che avevano ascoltato, fino ad un istante prima, i suoi gemiti. Gli rivolse uno sguardo tenero e complice mentre le sue mani iniziavano a rianimare l’asta di carne. Alle prime, timide pulsazioni, sempre fissandolo con quello strano sguardo, ad un tempo pudico e lussurioso, nel quale già si intuiva il suo desiderio che si apprestava a vivere, scivolò verso il suo ventre, disegnò con la punta della lingua la forma che le sue carezze stavano evocando, poi, chiusi gli occhi, avvolse le labbra attorno a quel totem fino ad accoglierlo tutto, sensuale metafora di un prossimo amplesso.
Ora era l’uomo a godere delle attenzioni che lei gli dedicava, a godere della suzione che insisteva sulle parti più sensibili della sua carne, ad avvertire la lingua segnare e disegnare, con il suo passaggio, una forma che manifestava la sua tensione con le prime goccioline che stillavano dal suo apice.
Lei si staccò, non volevano, né lei né lui, in questo momento, che il piacere venisse solo da lì, altre volte ci sarebbero state, ma ora il desiderio di lui era di sentirsi avvolgere la carne e l’anima dalla misteriosa profondità di lei, calda, umida e pulsante, e lei voleva sentirsi riempita da quella carne, voleva sentirsi accarezzare dentro e voleva avvertirne l’uscita del succo della vita e mescolarlo con i suoi.
Tenendolo in mano, guardando il compagno negli occhi, lo guidò dentro di sé. Per un attimo il piacere di sentirsi riempire le fece chiudere gli occhi e le strappò un gemito, ma anche per lui l’attimo era stato intenso. Poi iniziò a cavalcarlo. Le mani di lui le cercarono i fianchi e la guidarono, attirandolo contro di sé mentre con le reni si inarcava per farle giungere ancor più in profondità il suo messaggio d’amore. Il movimento ritmico era un balletto sensuale, le loro voci si univano nel chiedere e suggerire all’altro il proprio piacere nel desiderio di fondere, attraverso i loro corpi, le loro anime, donandosi l’uno all’altra.
Le voci, le parole e i gesti ormai rivelavano che il momento dell’unione vera, profonda, si stava avvicinando. Lui voleva vederla, guardarla, spiarla nel momento dell’estasi, sapeva che quell’istante era il momento più ricco, più bello, più intenso che scaturiva dalla loro unione, momento della sublimazione dei sentimenti e della carne.
L’orgasmo le crebbe da dentro, dal profondo, lo sguardo sempre più attento e fisso in quello del compagno che la guardava con un sorriso, le parole che annunciavano l’evento, le mani aggrappate alle braccia di lui che la continuava a guidare contro di sé, fiché eruppe “Vengo, vengo , vengo amore mio!!!” e anche lui, a questo punto, si sciolse e sentì uscire da sé il fluido che le riempiva la cavità che lo accoglieva in una sublime danza di umori e profumi…

E la luna, che stava ormai calando e aveva trovato una finestrella dalla quale aveva osservato, compiaciuta, la scena, fece un veloce, malizioso sorriso, che soltanto agli innamorati fu dato di scorgere, e scivolò al di sotto delle dune...
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