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Lui & Lei

Soggiogato – Niente ripensamenti


di amante_deipiedi
21.09.2017    |    4.465    |    3 6.6
"“ti sto osservando da prima nell’aula..."
- “sig. L…”
- “…...”
- “SIGNOR L.??? NON C’E?? Bene, il prossimo candidato..”
Era arrivato il giorno del fatidico esame, quello per cui hai studiato tanto, troppo. Quello per cui avevo chiesto a Samantha di ripetere insieme. Quello li.
Avevo già deciso da qualche giorno di non andarci, troppo impegnato a riflettere su me stesso e su quello che mi era capitato. Per lo meno di Samantha non c’era traccia, segno che nemmeno lei si era presentata. Bella stronza, ben le sta; da quella sera non ho avuto il coraggio di contattarla. Dio, ma che mi era preso.
“Ciao caro…” fece una voce morbida, suadente ma al tempo stesso decisa e dura. Era lei, dietro di me, tra i banchi dell’aula, venuta come me per sentire l’esame in corso.
“oh ciao samà.. non ti avevo vista…” – “tranquillo, sono arrivata ora. Vedo che anche tu hai deciso di non andarci eh ahahaha… di questo passo non usciremo mai da questa università”. Era calma, spensierata e sorridente. Possibile che avesse dimenticato, o che per lei fosse tutto normale cazzo?!
“Eh già..” risposi io, accennando un mezzo sorriso. Perché cazzo mi stavo cagando sotto di quella situazione?? Fai l’uomo! – mi dissi – e non avere paura, non hai fatto niente di sbagliato tu. Perché continui ad avere così paura?!? – mi accorsi, effettivamente, di star tremando. “Ho capito và” – fece lei – “andiamoci a prendere un caffè al bar che tanto stare qui è inutile”, e così facendo si alzò e mi tirò il braccio.
Fui praticamente costretto ad alzarmi (che figura di merda ci facevo!?) per seguirla. Notai che quel giorno indossava un paio di leggins blu scuro che le mettevano in mostra il suo culetto da sogno, le sue gambe sinuose e i polpacci pronunciati di chi, per tenersi in forma, non rinuncia a quella mezz’ora di corsetta pomeridiana. Con mio rammarico notai che portava un anonimo paio di Converse color panna; anche se, ripensandoci, i suoi piedini erano stupendi anche così, immaginandoseli da dentro le scarpe.
“bè?? Come va?? Nervoso??” disse. “eh..? in che senso??” – non dovevo guardarla così cazzo, non posso permettermi sgarri del genere!. “voglio dire, nervoso per l’esame? Mena che si recupera non essere pesante!” – “eh già..” – che culo, scamapta per stavolta!
Nella mezz’ora successiva chiacchierammo (io poco, lei molto) del più e del meno, dell’esame, di quel prof e di quel suo nuovo assistente stronzo come non si sa chi; curioso come proprio lei parlasse di stronzaggine. Nel frattempo avevamo preso un caffè e ci eravamo seduti a un tavolo in disparte, al bar della facoltà; lei non berlo aveva smesso di parlare, portato il piede destro sul ginocchio sinistro accavallando le gambe e aveva iniziato a bere. Ogni tanto muoveva il piedino, lo faceva oscillare, lo muoveva in su e in giù in un moto rotatorio perfetto. E con il suo piede, mi accorsi che anche io facevo oscillare la mia testa all’unisono; probabilmente avevo ripreso a sbavare, ma li per li non me ne accorsi.
“senti” disse, scrutandomi d’un tratto con degli occhi gelidi, penetranti, come se mi stesse scrutando dentro “non hai capito cosa sta succedendo? Sei più stupido di quanto sembri..”
“che…che cosa c’è?”
“ti sto dando la possibilità di chiuderla qui. E tu che fai?? Ci ritorni come un coglione, sapendo di uscirne assolutamente sconfitto?! Devi essere proprio stupido”
“scusami, perché sarei quello stupido??” provai a dire, con un moto di virilità estremo (che sicuramente non mi si addiceva e che era tradito dalla mia postura e dai miei atteggiamenti da timorato di dio).
“ti sto osservando da prima nell’aula. Sei sbiancato quando mi hai vista, sei diventato un’altra persona, mi hai seguita al bar senza distogliere un attimo lo sguardo dalle mie gambe e per giunta”, concluse, “anche se non devi essere molto dotato, hai un’erezione mostruosa. E stai letteralmente sbavando, ipnotizzato dal movimento dei miei piedi”.
SBAM. Frecciata in pieno petto, colpito e affondato. Non sapevo bene cosa rispondere, anche se mi aveva colpito in pieno.
“bè, non neghiamolo, l’altra sera è successa una cosa che ha dell’inverosimile” dissi, cercando di intavolare una conversazione che fu però stroncata sul nascere.
“NON TI STO DICENDO COSA E’ GIA’ SUCCESSO, TI VOGLIO DIRE CHE HAI LA POSSIBILITA’ DI USCIRNE, PRENDERE LA PRIMA USCITA E NON FAR PARTE DI QUESTO MONDO. Non devi farne parte, non è giusto, dico davvero, non farlo o ti ritroverai dentro senza possibilità di uscita, in un gioco meraviglioso e perverso, soggiogato dai tuoi stessi istinti. Te lo dico ora, prima che sia troppo tardi” disse alzando la voce.
Esitai, ancora una volta, senza sapere che rispondere, con molti interrogativi e dubbi su ciò che aveva detto. Qual’era questo mondo?? Ma di cosa stava parlando?? Mille domande a cui avrei voluto dare una risposta. Eppure ero come bloccato, attanagliato li senza riuscire a proferir parola. Il senso di paura e di insicurezza cresceva, ed iniziavo a capire il perché: mi sentivo fragile, insicuro, debole davanti a lei; mi ci aveva sempre fatto sentire così in realtà, ma adesso ne avevo maturato la consapevolezza. La consapevolezza della mia inferiorità, senza mezzi termini.
“ok, sei il coglione che speravo di non dover vedere mai. Vieni forza” e mi tirò di nuovo per il braccio.
“dov’è che mi porti oh?...” , non feci in tempo a finire la frase che subito mi artigliò il braccio con le unghie e mi trascinò verso il corridoio del bar. Dopo pochi passi svoltammo l’angolo e ci ritrovammo di fronte ai bagni.
“entra forza”
“ma..io…che cos…”SBAAM. Ceffone in piena faccia, dato col dorso della mano tanto da farmi sentire le sue nocche sui denti. Mi intimò di entrare nel bagno degli handicappati, e così feci. Stava succedendo tutto troppo velocemente, di nuovo, e come se non bastasse sentivo di non poter reagire. Era piccolina, più piccola di statura rispetto a me….ma era più forte.
Mi fece entrare cosi nel bagno. Era uno di quei bagni particolari per disabili: appena entrati nella porta principale aveva un piccolo corridoio che dava su 2piccoli bagnetti. Samantha chiuse la porta alle sue spalle e diede una mandata con la chiave che normalmente era nella serratura.
“qui possiamo parlare. Ci son venuta a scopare un paio di volte, non ti sente nessuno. Almeno spero” disse lei, con un sorrisetto sarcastico “allora?? Cos’hai in quella testa di merda?? L’altra sera ti ho umiliato, ti ho insultato, ti ho portato al limite delle tue energie – tanto che mi sei svenuto sul letto come una pera cotta – e tu invece di essere incazzato… mi desideri ancora??”
“….” Rimasi zitto. Cosa potevo dire?? Cosa?? Provai ad accennare ad un “io non..”, ma ciò che rimediai fu soltanto un’altra sonora sberla in piena faccia, seguita da quella sensazione di metallico in bocca che qualche sera prima mi aveva accompagnato per gran parte della serata. Fu allora che abbassai la testa, sconfitto, non riuscendo più a reggere il suo sguardo.
“ok. Hai avuto fin troppe possibilità. Non te ne verranno più concesse, se è questo che vuoi..” mi disse, avvicinandosi gradualmente e prendendomi in maniera pacata ma decisa il capo fra le mani. “tu non sai. Tu non sai proprio un bel niente. Guardati: ti ho appena preso a schiaffi, hai il segno del mio anello sul labbro e continui ad essere in erezione. Ti ho insultato, ti ho usato, e tu osi ancora startene qui a sbavare sui miei piedi”. Mentre parlava, aveva iniziato a scandire le parole in maniera lenta, sensuale (quasi come se la persona che le pronunciasse fosse un docile angioletto), mentre altrettanto lentamente si stava avvicinando; e mentre lo faceva non potevo non pensare a quanto fosse bella, e a quanto desiderassi baciare le sue labbra. Non mi importava di ciò che mi stava facendo, iniziavo a pensare di meritarlo; mi importava soltanto essere li, in quel momento, con lei.
Era questo il significato della parola “Padrona”? Ancora non lo so. Quello che so è che più passavo de tempo con lei, più ero consapevole di esser diventato una sua proprietà, un suo possedimento; ruolo che, vi dirò, mi stava anche iniziando a piacere.
“tu non capisci” – continuò – “ti ho dato un piccolo assaggio di quello che posso fare di te. Mi sei svenuto tra le mani, anzi, tra i piedi, incapace di reggere una simile situazione. Continuando così ti porterò all’autodistruzione, T I S C O P E R O’ I L C E R V E L L O (scandì, avvicinandosi ormai al limite, arrivando a sfiorare la mia guancia con le sue dolci, sottili e perfette labbra) finchè di te non ci sarà rimasto niente!”
Non resistetti più: mentre si avvicinava a me aveva iniziato a sfiorarmi le guance, arrivando a giochicchiare con i lobi delle mie orecchie, sussurandomi ciò che avete appena letto. Il suo corpo perfetto, i suoi fianchi stretti e sinuosi mi erano a un passo; il mio capo era tra le sue mani, le sue gambe quasi a volersi intrecciare con le mie. Fu lì che non resistetti più, e mi avvicinai alle sue labbra nel disperato tentativo di strapparle un bacio.
Si ritrasse subito, alzandomi il capo e costringendomi a guardarla negli occhi. Sublimi, meravigliosi occhi verdi, attraverso i quali potei scorgere un bagliore fulmineo.
“immaginavo accadesse tutto ciò: avevo previsto che non potevi reggere, sei un verme, cosa ci si può aspettare dai vermi come te??” disse, e mentre lo diceva il movimento della sua gamba si era fatto più deciso e muoveva verso di me “E’ Q U E S T O C H E V U O I ???” – scandì lentamente, mentre ormai il suo ginocchio stava salendo e scendendo sul mio interno coscia – “rispondi quando ti chiedo qualcosa, sii educata……..Carolina……”
“uhmpf Iiio ssi nno” cercai di piagnucolare qualcosa, ma la verità era le gambe stavano per cedere, sentivo il mio cazzo pulsare ad ogni movimento del suo ginocchio e non potevo muovermi, soprattutto la testa (che seguiva ancora i movimenti imposti dalle sue mani).
TUNF - sentii un rumore sordo e cupo, seguito da una strana (ma ahimè conosciuta) sensazione di dolore/piacere che proveniva dal mio basso ventre. “non rispondere o rispondere in maniera poco chiara NON E’ UNA RISPOSTA. E per di più adesso lo so, e lo stai capendo anche tu: tu lo vuoi, tu vuoi tutto questo” fece lei, mentre mi teneva inchiodato al muro con il ginocchio che premeva in maniera mostruosamente energica contro il mio cazzetto in erezione “tu vuoi e ti meriti tutto ciò che ti sto facendo, mia cara Carolina. E’ finito il tempo dei ripensamenti: oramai sei e sarai sempre un verme che necessita di un padrone per il suo sostentamento; non provare più NE’ a balbettare NE’ a non rispondere quando vieni interpellato. C H I A R O ??”. La cosa che mi stava facendo impazzire più di tutte non era tanto la situazione (diciamocelo, perché tentare di opporsi quando non si hanno le forze per farlo?), o la paura (avevo capito che i miei timori erano dovuti alla sua assenza: con lei al mio fianco non avevo più un briciolo di paura), quanto il fatto che con quel suo meraviglioso e maledetto ginocchio mi stava continuamente torturando: era capace di muoverlo in un modo e provocarmi una scossa di dolore immane, e di muoverlo in un altro facendomi arrivare a provare addirittura piacere. “C H I A R O P U T T A N E L L A??”.
“Uhmpff Si.” Dissi, tanto ormai mi era chiaro che era inutile contrastarla (e contrastare anche me stesso!); mi aveva anche fatto capire che ogni mia risposta positiva sarebbe stata seguita da un “premietto”, o un’alleviazione delle sofferenze, mentre guai a provare di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.
“SI COSA CARO??” mi disse, fermando il movimento di torsione che mi stava uccidendo ma non mollando del tutto la presa.
“uuhm Ssi mia Signora.”. Ecco, era la parolina magica che serviva: quanto cavolo ero stato stupido ad oppormi, quanto ero stato idiota stamattina a non salutarla in quel modo. Lentamente Lei cambiò posizione tenendomi sempre ancorato col ginocchio, si portò lateralmente a me, ponendosi alla mia destra e con le lebbra che sfioravano le mie guance. Iniziò un a far vibrare un pochino il ginocchio, provocandomi ogni volta scosse di piacere immenso che risalivano da giù e mi si conficcavano nel cervello. Iniziai addirittura ad ansimare, rendendomi conto di stare con la bocca aperta e sbavante, mentre cercavo disperatamente di muovere il bacino per assecondare i movimenti del ginocchio. Lei non mi fermò, anche se ne avevo il timore, e così continuai in quella meravigliosa danza perversa; il ritmo si faceva sempre più elevato, il suo ginocchio sempre più deciso, speravo che quel momento non finisse mai per non doverlo interrompere e ritornare alla realtà.
“visto cosa succede se fai il bravo?” - disse, dandomi un bacetto sulla guancia – “posso essere la tua più bella fonte di piacere, o posso torturarti finchè non ti piegherai a me. Dipende tutto soltanto da te. Ora da bravo, finiscila di fare questi versi pietosi, smettila di sbavare che mi fai schifo e …vieni. Hai il permesso per oggi”.
E cosi fu. Non so se avevo retto fino ad allora per aspettare il suo permesso o fu un caso, fattostà che venni copiosamente, inondandomi (di nuovo!!) il jeans e la biancheria con fiotti di caldo liquido biancastro.
Di colpo sentii tutta la stanchezza e il peso del mio corpo sulle gambe, che cedettero in un batter d’occhio facendomi ritrovare a terra, in un quel bagno della facoltà, distrutto e con una chiazza che si distingueva nettamente da sopra ai pantaloni. Rimasi appoggiato al muro senza la capacità di dire nulla, quando il silenzio venne interrotto dopo pochi secondi da Lei, la mia Dea, che mi porse la punta delle scarpe dicendomi di doverle baciare in segno di ringraziamento.
E lo feci: con le poche energie che mi eran rimaste, mi piegai verso terra, cinsi la sua caviglia come se stessi cingendo il viso di una persona cara e mi dedicai a un lungo e profondo bacio alla punta delle sue scarpe. Sentivo il suo respiro, avvertivo i suoi occhi che mi scrutavano l’animo, avrei voluto vedere la scena dall’alto per poter capire a cosa mi ero ridotto.
Ma sentivo di essere felice; per una delle poche volte nella mia vita potevo dirlo: ero felice! Talmente felice da farmi uscire dalla bocca una delle poche frasi che, se possibile, mi fecero cadere ancor più nel ridicolo: “grazie. Grazie Padrona…”, e mi rimasi a baciare.
“non devi ringraziare me. Accetta definitivamente tutto questo. Ormai ci siamo dentro, fa parte di noi. Te l’ho detto l’altra sera: niente sarà più come prima.” E così facendo, tolse il piede da sotto al mio corpo e fece per andarsene.
“Mia signora un attimo… voglio dire un ultima cosa” dissi. “… se posso …“, aggiunsi un secondo dopo.
“dimmi” fece lei in tono pacato.
“…..io la amo, mia Signora.” E nel dirlo, mi accorsi che una lacrima stava rigando il mio viso.
“lo so” fu quello che disse Dea Samantha, prima di riaprire la porta del bagno e andarsene, lasciandomi li solo, sporco ma …..felice.
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