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Michela una vita da sottomessa Atto 2


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
08.06.2025    |    562    |    3 9.4
"Gemo, ansimo, il plug che vibra, la mano del commesso che mi riempie..."
Il ronzio del plug anale mi accompagna mentre cammino verso la sala mensa, un sottofondo intimo che vibra dentro di me, mescolando dolore e piacere. Ogni passo è un’agonia che mi fa tremare le gambe, l’essenza peccaminosa del mio desiderio che mi avvolge come una scia traditrice. La mensa aziendale è un vasto open space, con tavoli di acciaio e sedie di plastica allineati in file precise. Il clangore delle stoviglie, il tintinnio di posate e bicchieri, riempie l’aria, coprendo a malapena il ronzio del plug. La luce fredda dei neon illumina i volti dei miei dipendenti, che si voltano a guardarmi mentre passo, i loro occhi un peso che mi trafigge. L’orlo della mia giacca danza sulle cosce, lasciando intravedere il reggicalze e le calze a rete. La mia intimità esposta e pulsante è a un soffio dall’essere scoperta, e il piacere umido segna la mia pelle, un segno visibile della mia vergogna.
Mi dirigo verso un tavolino d’angolo, il cuore che batte forte, ogni suono amplificato: il fruscio della mia giacca, il ticchettio dei tacchi sul pavimento, le voci sommesse dei dipendenti che confabulano. “Guarda la capa…” “Ma come si è conciata?” Ogni sussurro è una pugnalata, ma il mio corpo reagisce in modo opposto: i capezzoli si induriscono, il plug vibra piano, e il desiderio mi brucia dentro. Mi siedo al centro, tra Daniela e Sabrina, le due donne che dominano la mia vita. Come Daniela mi ha sempre ordinato, alzo leggermente la giacca, lasciando che la mia pelle nuda tocchi la sedia fredda. Il contatto gelido mi fa rabbrividire, un brivido che si mescola al calore pulsante del plug. Daniela mi fissa, il suo sguardo penetrante che mi spoglia di ogni difesa. “Oggi andiamo a fare compere,” dice, la voce bassa e autoritaria. “Porta la carta di credito. Patrizia e Luciana verranno con noi per portare i pacchi.” Annuisco, incapace di ribattere, la mente annebbiata dal desiderio e dall’umiliazione. Sabrina sorride, un ghigno che promette nuove vergogne. Mi alzo, il plug che preme dentro di me, il rumore della sala che mi stordisce, e seguo Daniela fuori, con Patrizia e Luciana alle mie spalle come ombre fedeli.
Le strade del centro di Milano sono un mosaico vibrante di vita, un vortice di clacson, passi frettolosi e voci che si mescolano nell’aria frizzante del mattino. Le vetrine dei negozi di lusso scintillano sotto il sole, riflettendo i passanti: uomini in giacca e cravatta, donne con borse firmate, turisti con smartphone in mano. Cammino accanto a Daniela, i tacchi che risuonano sull’asfalto, il tessuto della giacca che scivola, rivelando la pelle, mostrando il reggicalze e le calze a rete. Il profumo intimo e traditore del mio desiderio mi segue, una traccia umida che segna le cosce. Un uomo mi fissa con occhi famelici, una donna scuote la testa con disprezzo, un gruppo di ragazzi mi fischia dietro. Io cammino a testa alta, il cuore che batte forte, eccitata dall’essere così sfacciata, un oggetto di desiderio e scherno. Patrizia e Luciana ci seguono, i loro sguardi che catturano ogni dettaglio della mia vergogna, come cagnolini fedeli al guinzaglio di Daniela.
Entriamo in un negozio di scarpe, un’oasi di eleganza con pavimenti di marmo nero lucido, scaffali di cuoio illuminati da faretti e specchi a figura intera che amplificano ogni movimento. L’aria profuma di pelle nuova, un contrasto con l’odore muschiato della mia eccitazione che mi avvolge. Le vetrine, alte e trasparenti, offrono una vista diretta sulla strada, dove i passanti si fermano a curiosare, attratti dal lusso esposto. Daniela mi ordina di sedermi su una poltroncina di velluto rosso, “Tieni le gambe leggermente aperte,” dice, la voce un comando che non ammette repliche. Obbedisco, la giacca corta che si solleva, esponendo il mio sesso rasato e bagnato. Il plug anale vibra, un ronzio basso che mi fa gemere piano, il mio corpo che trema di desiderio e umiliazione. Daniela osserva le scarpe esposte, indicando sandali e stivali a mezza coscia con tacchi a spillo di almeno 12 cm. “Portaci diverse paia, numero 37,” ordina al commesso, un ragazzo sulla ventina con occhi affamati e un sorriso ambiguo.
Il commesso si inginocchia davanti a me, il suo viso a pochi centimetri dalla mia intimità. Mi guarda, poi si volta verso Daniela, come per chiedere il permesso. “Fai pure,” dice lei, un sorriso malizioso che mi fa rabbrividire. Le sue dita si avvicinano, prima una, poi due, poi tre, scivolando dentro di me con facilità. “A-ahhh…” gemo, il piacere che mi travolge, la mia carne che pulsa attorno alle sue dita. “È molto aperta e bagnatissima,” commenta, la voce carica di eccitazione. Con un cenno di Daniela, infila l’intera mano, spingendo con forza, quasi a cercare il limite della mia penetrazione. “Ohhh… cazzo…” urlo, il dolore che si mescola al piacere, un’invasione brutale che mi fa inarcare la schiena. La sua mano si muove dentro di me, esplorando, premendo, ogni spinta un’esplosione di sensazioni. Sento il mio corpo cedere, il desiderio che mi soffoca, l’umiliazione di essere usata così, in pubblico, che mi fa bruciare di vergogna.
Gli altri commessi, attirati dal mio gemito, si avvicinano, i loro occhi pieni di lussuria. Uno mi stringe il seno, le sue dita che pizzicano i capezzoli turgidi attraverso la giacca. “A-ah… no…” balbetto, ma il mio corpo si inarca verso di lui. Un altro scopre il plug anale, la base che sporge dal mio culo, e lo spinge più in fondo con un gesto deciso. “Ohhh!” urlo, il dolore che mi trafigge, il plug che preme contro le pareti interne, amplificando il piacere. Il primo commesso, ancora inginocchiato, si tocca il cazzo nei pantaloni, il rigonfiamento evidente, il suo respiro affannoso. Fuori dalla vetrina, i passanti si fermano, alcuni fingono di guardare le scarpe, altri fissano senza pudore, i loro sguardi che mi trapassano. Sono un’attrazione, una puttana in mostra, e questo mi eccita da morire. Gemo, ansimo, il plug che vibra, la mano del commesso che mi riempie. “Cazzo… sto…” Non finisco la frase, il piacere mi fa tremare, ma Daniela interviene, la sua voce che taglia l’aria: “Basta così.” Il commesso ritrae la mano con un suono umido, lasciandomi ansimante, il corpo che trema.
Daniela sceglie due paia di stivali a mezza coscia, uno rosso e uno verde, e sandali con allacciature a schiava che arrivano alle ginocchia. Poi, per sé, prende un paio di stivali neri, provandoli con la minigonna alzata, mostrando la sua intimità pulsante, il plug anale piantato dietro, la base che scintilla sotto la luce. Il commesso prova ad avvicinarsi, ma lei lo gela con uno sguardo: “Con me puoi solo guardare.” Mi alzo, barcollando, e mi giro davanti allo specchio, la giacca corta che si solleva, esponendomi. I passanti fuori dalla vetrina mi fissano, alcuni ridono, altri scattano foto. L’umiliazione mi fa pulsare, il desiderio mi soffoca. Usciamo, Patrizia e Luciana cariche di scatole, e il mio corpo è un incendio che non si spegne.
L’odore muschiato della mia eccitazione mi avvolge mentre usciamo dal negozio di scarpe, una scia che marchia ogni mio passo, il piacere umido che segna la pelle. Patrizia e Luciana ci seguono, cariche di scatole, i loro occhi che non perdono un dettaglio della mia umiliazione. Entriamo in una boutique di intimo, un angolo di sensualità con luci soffuse che accendono riflessi sui pizzi esposti. Gli scaffali di legno scuro sono carichi di guepière, bustini e calze, ogni capo un invito al peccato. Specchi ovali riflettono la mia figura, l’orlo della giacca che danza sulle cosce, esponendo il reggicalze e la mia pelle nuda e fremente. L’aria profuma di lavanda e tessuto nuovo, ma la mia essenza peccaminosa sovrasta tutto, un marchio della mia condizione di schiava.
Daniela chiede alla commessa, una giovane con capelli corti tinti di platino e un piercing al labbro, se abbiano stringivita e calze da reggicalze non autoreggenti. La ragazza annuisce, i suoi occhi che mi squadrano con curiosità, e ci guida verso un camerino nascosto da tende di velluto nero. “Togliti la giacca,” ordina Daniela, la voce un comando che mi fa rabbrividire. Obbedisco, restando con la guepière, le calze di seta e i tacchi, il plug che vibra dentro di me. La commessa torna con uno stringivita nero, misura 2, progettato per comprimere la vita e spingere il mio seno abbondante, una quarta misura che sembra pronta a esplodere. Mi guarda, affascinata, e Daniela le chiede di provarmelo. Le sue mani mi sfiorano, accarezzando il mio seno sensibile, i capezzoli che si induriscono al suo tocco. “A-ah…” gemo, arrossendo, il piacere che mi fa tremare le gambe. La commessa, forse bisessuale, si sofferma più del necessario, le sue dita che scivolano sulla mia pelle, esplorando con una delicatezza che contrasta con la mia umiliazione.
Mentre il piacere mi travolge, Daniela si posiziona dietro di me, il suo profumo speziato che mi avvolge. Sento il suo ginocchio premere contro il plug, spingendolo più in fondo nel mio culo dolorante. “Ohhh!” urlo, il dolore che si mescola al piacere, un’esplosione che mi fa inarcare la schiena. La commessa assiste, i suoi occhi sgranati, il respiro accelerato che tradisce la sua eccitazione. Senza distogliere lo sguardo, sfiora la mia fioritura umida, ancora aperta e pulsante per il fisting nel negozio di scarpe. “A-ah… no…” balbetto, ma il mio corpo si arrende, il clitoride ipersensibile che risponde al suo tocco. La sua mano è delicata, quasi reverente, ma ogni carezza è un fuoco che mi consuma. L’umiliazione di essere toccata così, sotto gli occhi di Daniela, mi fa bruciare di vergogna, ma il desiderio mi soffoca, i gemiti che sfuggono senza controllo.
Daniela sorride, compiaciuta. “Ti piace quello che vedi?” chiede alla commessa, la voce bassa e seducente. La ragazza annuisce, imbarazzata, e riprende ad accarezzare il mio clitoride, le sue dita che scivolano dentro di me. “Ohhh… cazzo…” gemo, il piacere che mi fa tremare, il plug che vibra, il ginocchio di Daniela che preme ancora. Ma un richiamo interrompe la scena: “Elena, vieni qui!” La responsabile, una donna severa dalla voce tagliente, la chiama dall’altro lato del negozio. La commessa, Elena, si ritrae, il viso rosso, balbettando: “Abbiamo quasi terminato, signora.” Si allontana, lasciandomi ansimante, il corpo che pulsa di desiderio insoddisfatto. Daniela ride piano, un suono che mi fa rabbrividire. “Peccato,” mormora, accarezzandomi i capelli. “Ma tu, schiava, sei perfetta così.”
Lo stringivita è stretto, quasi doloroso, le stecche che mi comprimono la vita, spingendo il mio seno verso l’alto, un’offerta oscena che Daniela approva. La commessa propone un bustino ottocentesco, con stecche di balena e lacci dietro, senza coppe per il seno, un capo che lascia i capezzoli esposti. Daniela lo ordina, con modifiche da consegnare in pochi giorni. Acquistiamo dieci paia di calze da reggicalze nere, alcune con la riga dietro e il rinforzo sul tallone, altre alte fino a metà coscia, e un paio bianche con la riga nera, eleganti ma provocanti. Mentre pago, l’odore muschiato della mia eccitazione riempie il camerino, un muschio caldo che fa voltare la commessa, i suoi occhi che brillano di desiderio represso. Daniela parla con la padrona del negozio, una donna sulla cinquantina con un’aria regale, promettendo di tornare se ci tratteranno bene. “Cerchiamo solo biancheria sexy e provocante,” dice, e la padrona assicura che provvederà. Usciamo, Patrizia e Luciana cariche di borse, il plug che vibra ancora, il mio corpo un incendio di umiliazione e piacere.
Il plug anale vibra ancora, ma il ronzio è più debole, forse la batteria si sta scaricando, offrendomi una tregua che però non placa il fuoco che mi consuma. Il profumo intimo e traditore mi segue, il liquido caldo che cola lungo le cosce, un segno visibile della mia sottomissione. Patrizia e Luciana, cariche di borse, camminano dietro di noi, ombre silenziose al servizio di Daniela. Entriamo in un negozio di abbigliamento con servizi di sartoria, un locale ampio e lussuoso con manichini drappeggiati in seta e specchi dorati che riflettono ogni angolo. L’aria è densa di profumo di tessuti pregiati, un mix di raso e pizzo che si mescola al mio odore, creando un contrasto osceno. Le vetrine, alte e trasparenti, espongono abiti che gridano provocazione, attirando gli sguardi dei passanti che si fermano a curiosare. Io sono un oggetto, la bambola di Daniela, e ogni suo comando mi spinge più in fondo in questo abisso di umiliazione e desiderio.
Daniela chiede al commesso, un uomo sulla quarantina con un’aria professionale ma occhi penetranti, se abbiano gonne o vestiti cortissimi, trasparenti o semitrasparenti, che arrivino a filo delle mie natiche. Lui scuote la testa, ma propone di chiamare il proprietario, che accetta di modificare alcuni capi per un supplemento. Daniela indica me come la destinataria, e io mi sento un trofeo, un giocattolo da esibire. Nel laboratorio, un angolo del negozio separato da tende di velluto, il proprietario mi osserva, notando il nuovo stringivita di pelle nera che mi comprime la vita, esaltando il mio seno abbondante. Mi ordina di provare tre capi, ognuno più osceno dell’altro, e io obbedisco, il plug che vibra debolmente, il mio corpo che trema di vergogna e desiderio.
Il primo vestito è un abito di pizzo nero trasparente, ispirato alle creazioni di lingerie provocante. Il tessuto, leggero e intricato, è composto da motivi floreali che si intrecciano, lasciando poco all’immaginazione. È corto, a malapena copre le natiche, e la mia pelle nuda e fremente è completamente esposta attraverso la trama aperta. Lo indosso, la giacca tolta, e mi posiziono davanti al commesso, che mi fissa con decisione, il volto impassibile ma gli occhi che non si staccano dalla mia intimità. Il pizzo mi sfiora la pelle, un tocco delicato che contrasta con la brutalità della mia esposizione. Ogni movimento fa frusciare il tessuto, amplificando la mia umiliazione. Sono un oggetto, una puttana in mostra, e il suo sguardo mi fa pulsare.
Il secondo è un miniabito di raso rosso, lucido e scivoloso, che ricorda le descrizioni di satin sensuale. Il raso, morbido come seta, aderisce alle mie curve, ma è così corto che si solleva a ogni passo, lasciando la mia fioritura umida visibile. La scollatura è profonda, i miei capezzoli turgidi spingono contro il tessuto, e il plug, anche se vibra meno, mi ricorda la mia condizione. Mi giro davanti allo specchio, il commesso che mi fissa, il suo sguardo che mi trapassa senza un cenno di emozione. Il raso scricchiola leggermente, un suono che sembra urlare la mia vergogna. Fuori dalla vetrina, i passanti si fermano, alcuni ridono, altri scattano foto. Sono la proprietà di Daniela, e questo mi eccita, anche se mi distrugge.
Il terzo è un vestito di seta trasparente, un bianco latte che sembra dissolversi sulla mia pelle, ispirato alle descrizioni di silk satin. La seta, leggera e fluida, drappeggia il mio corpo, ma è così sottile che ogni linea della mia intimità è visibile. Il vestito accarezza appena le natiche, esponendo la mia carne pulsante al commesso, che continua a fissarmi, il suo sguardo freddo ma deciso. Il tessuto mi accarezza, un lusso che amplifica la mia umiliazione, come se fossi una regina decaduta ridotta a schiava. Il plug vibra debolmente, un tormento costante, e il desiderio mi soffoca, i gemiti che trattengo a fatica.
Il proprietario misura i capi, le sue mani che mi sfiorano, e io mi sento un manichino, un oggetto da modellare per il piacere di Daniela. Lei osserva, soddisfatta, ordinando modifiche per rendere i vestiti ancora più osceni. “Voglio che tutti vedano cosa sei,” dice, e il suo tono mi fa tremare. Il commesso, impassibile, continua a fissarmi, mi sento una puttana, il suo sguardo che mi spoglia di ogni dignità. L’odore muschiato della mia eccitazione riempie il laboratorio, un muschio caldo che tradisce il mio stato. Ogni passo è una lotta, il plug che mi riempie, i tessuti osceni che mi espongono. Sono umiliata, distrutta, ma il desiderio di compiacere Daniela mi brucia dentro, un fuoco che non si spegne. Usciamo, Patrizia e Luciana con nuove borse, e io so che sono solo un oggetto, la schiava di Daniela, pronta per essere esibita ancora.
Il cielo di Milano si tinge di arancione mentre usciamo dal negozio di abbigliamento, il plug anale che vibra debolmente, un ronzio che mi ricorda la mia condizione di schiava anche se la batteria sembra cedere. Il profumo intimo e traditore mi avvolge, una traccia umida del desiderio che segna le mie cosce. Patrizia e Luciana, cariche di borse, ci seguono come ombre fedeli, i loro occhi che catturano ogni dettaglio della mia umiliazione. Daniela propone un aperitivo in un locale intimo che conosce bene, un angolo nascosto tra le vie del centro, con facciate di mattoni rossi e luci al neon che promettono segreti. Entriamo, il cameriere, un uomo con un sorriso complice, ci guida al primo piano, verso stanzette private. La scala di vetro riflette ogni nostro movimento, e a metà strada Daniela saluta un’amica, una donna elegante con un barboncino in braccio, il pelo candido e un collare di strass. Ci fermiamo, e gli sguardi dei clienti al piano terra si alzano, trafiggendomi. Sento i loro occhi su la mia intimità esposta e pulsante, sul plug che sporge dal mio ano, la giacca corta che si solleva, rivelando il reggicalze e le calze a rete. L’umiliazione mi fa arrossire, ma il desiderio mi fa gemere piano, il mio corpo un traditore che si nutre della mia vergogna.
Nella stanza privata, ci sediamo su divanetti di velluto bordeaux, l’aria densa di profumo di vaniglia e alcol. Le pareti, rivestite di carta da parati damascata, isolano i suoni, creando un’intimità che amplifica ogni mio battito. Daniela mi ordina di sedermi accanto a lei, e obbedisco, il tessuto che scivola, rivelando la pelle. L’amica di Daniela, una lesbica snob con capelli biondi raccolti in uno chignon e un vestito di seta nera, mi osserva con un sorriso altezzoso, il barboncino, Max, che si agita tra le sue braccia. “Chi è questa?” chiede, la voce carica di curiosità. “La mia nuova schiava,” risponde Daniela, indicando Patrizia e Luciana come serve. “Michela è la mia preferita, però.” Il suo tono mi fa rabbrividire, un misto di orgoglio e umiliazione che mi fa pulsare. L’amica si complimenta, invitandoci a una festa fetish nella sua villa, e il mio stomaco si contorce al pensiero di nuove degradazioni.
Max si avvicina a me, abbaiando, il muso che fiuta l’aria. “Ha sentito l’odore della tua fica,” ride l’amica, e il suo commento mi colpisce come uno schiaffo. Daniela mi fissa, i suoi occhi scuri che mi spogliano di ogni difesa. “Siediti sul pavimento, schiava,” ordina, “e lasciati leccare.” Il mio cuore salta un battito, la paura che si mescola al desiderio. “P-padrona…” balbetto, ma il suo sguardo non ammette repliche. Obbedisco, scivolando sul pavimento di legno lucidato, la giacca corta che si solleva, esponendo il mio sesso rasato e bagnato. Sdraiata, spalanco le gambe, il plug che vibra debolmente, il mio corpo che trema di vergogna. Max mi raggiunge, il suo muso freddo che sfiora le mie cosce, la lingua piccola e veloce che scivola sul mio clitoride. “Ohhh… no…” gemo, il contatto che mi fa sobbalzare, un misto di disgusto e piacere che mi travolge. La sua lingua è insistente, entra in profondità, esplorando ogni piega, un ritmo frenetico che mi fa perdere il controllo. “A-ahhh… cazzo…” urlo, il piacere che mi consuma, l’umiliazione che mi fa bruciare.
Sono una cagna, una puttana, ridotta a essere leccata da un cane sotto gli occhi di Daniela e della sua amica. Ogni leccata è un’onda che mi travolge, la mia carne che pulsa, i capezzoli turgidi che spingono contro la giacca. Guardo Daniela e l’amica, sedute sui divanetti, le loro gambe spalancate. Daniela ordina a Patrizia e Luciana di inginocchiarsi davanti a loro, e le due obbediscono, le loro lingue che scivolano sui sessi rasati delle due donne. Daniela geme piano, la testa reclinata all’indietro, il suo profumo speziato che riempie l’aria. L’amica, con un sorriso compiaciuto, accarezza la testa di Luciana, il suo sesso che brilla di umori sotto la luce soffusa. La scena mi eccita ancora di più, un fuoco che mi divora. Voglio essere come loro, usata, posseduta, ma sono solo una cagna, leccata da un animale mentre le mie serve soddisfano le mie padrone. “Ohhh… sììì…” gemo, la lingua di Max che non si ferma, il mio clitoride ipersensibile che esplode di piacere. Il mio corpo si inarca, i gemiti che si trasformano in urli, l’umiliazione che mi spinge al confine dell’orgasmo.
“Guardatela, che troia,” dice l’amica, ridendo, e le sue parole mi trafiggono, amplificando la mia vergogna. Daniela mi fissa, soddisfatta, mentre Patrizia le lecca il clitoride con devozione. “Brava, cagna,” mormora, e il suo tono mi fa tremare. Max continua, la sua lingua che scava dentro di me, un ritmo selvaggio che mi porta al limite. “A-ahhh… sto… sto venendo!” urlo, l’orgasmo che mi colpisce come un’onda, un’esplosione che mi fa tremare, la mia fioritura umida della carne che pulsa, gocciolando sul pavimento. Sono una cagna in calore, una puttana che gode sotto le leccate di un cane, e questo mi distrugge, ma mi rende viva. Crollo, ansimando, il corpo esausto, l’essenza peccaminosa che riempie la stanza, un muschio caldo che si mescola ai gemiti di Daniela e dell’amica, che raggiungono il loro piacere sotto le lingue di Patrizia e Luciana.
Daniela si alza, accarezzandomi i capelli. “Brava, schiava,” dice, la voce carica di approvazione. L’amica ride, Max che si allontana soddisfatto, il muso bagnato dei miei umori. Patrizia e Luciana, ancora inginocchiate, mi fissano con un misto di invidia e desiderio, i loro volti lucidi. Mi rialzo, barcollando, il plug che vibra debolmente, la giacca ormai bagnata sul davanti che si apre, esponendomi. Sono umiliata, distrutta, ma felice. Appartengo a Daniela, e ogni degradazione mi avvicina a lei. L’amica ci invita di nuovo alla sua festa fetish, e Daniela accetta, promettendo di portarmi come attrazione principale. Il pensiero mi terrorizza, ma il desiderio mi fa pulsare. La giornata è finita, ma so che domani mi aspettano nuove umiliazioni, nuovi piaceri, e io, cagna e puttana, non vedo l’ora di affrontarli.

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