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Gay & Bisex

Il figlio del mio migliore amico - II Atto


di Roland_Ozone
31.05.2025    |    4.131    |    10 9.8
"Percorriamo la strada che serpeggia tra i boschi e i prati verdi, ora ricoperti da fiori viola, lasciandoci dietro il sole che brilla sul mio specchietto..."
Siamo ancora sdraiati nudi a letto, immersi dai nostri odori.
«Vado a fare la doccia» mi dice alzandosi sulle braccia. Nel farlo piega i suoi splendidi addominali ben definiti.
«Aspetta» gli rispondo. Lo trattengo ancora un altro po’. Accarezzo quel suo giovane corpo, annuso la sua pelle ricoperta da un leggero strato di sudore. È qualcosa di selvaggio e allo stesso tempo delicato. Esploro la sua pelle andando alla ricerca di odori più intensi, mi addentro con il naso nel cespuglio sopra il suo pisello ora a riposo, dove gocce di sperma permangono intrappolate come perle sospese tra i riccioli castani. Immergo la testa nell’inguine che mi regala all’istante profumi ancora più carichi. Percorro con la lingua quel filo che unisce l’ano fino al prepuzio. Mi soffermo a baciargli lo scroto.
«Mi fai il solletico» mi dice Elia ridendo. Chiude le cosce a forbice sul mio collo.
«Oddio, così mi strozzi! Arrr…arr…» emetto dei mugolii con la lingua, come se mi mancasse l’aria. Stiamo giocando. Non so descrivere come mi fa sentire, la forza e l’energia che ho ultimamente la devo a lui che continua a darmi costantemente piacere e mi fa ringiovanire.
«Vitto, vado a lavarmi» mi dice quasi implorandomi.
«Ti lavo io.»
Torno a baciargli il petto e lecco con avidità il suo sudore che mi riempie le papille gustative di quel sapore acidulo, che mi eccita. Insisto a succhiargli i capezzoli. Lecco anche le virgole di sperma che lievitano sul suo ventre, il frutto dei nostri orgasmi. Non so distinguere il mio dal suo. Poco importa, nella mia bocca si mescolano riproducendo un sapore salato e una consistenza viscosa.
Devo essere matto, faccio cose impensabili, finora il mio ruolo è stato circoscritto soltanto alla piena soddisfazione del mio cazzo, ora attingo piacere in ogni forma possibile.
Glielo prendo in mano e mando su e giù la pelle chiara, con le venuzze blu che si diramano lungo l’intera asta. Ho delle fantasie: lo vorrei dentro. Non glielo dico.
«Eh, dai, si sta facendo tardi. Rischio di perdere il treno.»
«Ti accompagno io, non ti preoccupare!»
«Mi accompagni tu?!» fa perplesso. «Cos’è questa novità! Non hai più paura che qualcuno ci possa vedere e intuire che tra noi c’è una relazione duratura e vada a raccontarlo a tua moglie e mio padre» esclama con una certa ironia.
«Cretino!»
Ha ragione devo riuscire a vincere le mie paure. Lui è più disinibito e libero, come tanti altri ragazzi della sua generazione. Li ammiro.
Percorriamo la strada che serpeggia tra i boschi e i prati verdi, ora ricoperti da fiori viola, lasciandoci dietro il sole che brilla sul mio specchietto retrovisore.
Attraversiamo i piccoli borghi abitati da persone con le gote arrossate e con l’espressione felice, che ci divertiamo a salutare. Loro rispondono. Salutiamo come due scemi anche le vacche che pascolano ai bordi della strada. Intanto, scendendo sempre più, la strada si allarga e si raddrizza finché in una delle ultime curve a gomito non vediamo la pianura dove è sdraiata Bologna, coperta da una coltre di fumo grigio nella sua incontestabile bellezza.
Sullo stradone il traffico ci rallenta e io gliene sono grato, una volta tanto. Ho ancora del tempo per stare con lui, di godere della sua presenza. Di sfiorare la sua coscia quando cambio marcia.
Quando Elia scende dall’auto e s’immerge dentro al portico di fronte alla stazione, sento già un vuoto. Scatta il rosso, mi fermo e lo vedo passarmi davanti assieme a miriadi di volti sconosciuti, che si scontrano con altri che provengono dalla parte opposta. Lo tengo d’occhio finché posso, prima che venga inghiottito dalla folla che si dirige verso la stazione centrale.
Percorro i trafficati viali densi di semafori, mentre mi avvio verso casa, con la radio accesa per contrastare i rumori molesti del rientro in città, Mi piace ascoltare la musica che in quel momento battezzo a colonna sonora di questa bellissima giornata che è appena trascorsa mentre mi lascio trafiggere volentieri dai miei sensi di colpa.
Ho quella sensazione lì, che mi fa tremare le gambe, di quando sei sul tetto del mondo per la felicità e la paura di cadere si palesa con una vertigine tale da non fartela godere a pieno.
Sono fitte allo stomaco e aculei sul viso che mi ricordano che sono un lurido traditore.
Non nei riguardi di mia moglie e del nostro matrimonio, un uomo deve pur assecondare le proprie inclinazioni qualsiasi direzione esse prendano. Mi sento traditore nei confronti del mio migliore amico Paolo.
Ho una relazione che va avanti da mesi con suo figlio e lui non ne sa niente. Nella vita abbiamo sempre condiviso tutto. Lui sa bene che sono alla ricerca continua di ragazzi, ci ride, ci scherza, qualche volta si fa serio e mi dice di stare attento ma è sempre ben informato, tranne questa volta.

Purtroppo, non sono solo i sensi di colpa a torturarmi, la notte ho degli incubi tremendi. Sogno che Paolo ci scopra: apre la porta del mio appartamentino e trova me mentre sto scopando il suo unico figlio. E va via inorridito. Nell’incubo lo rincorro, gli urlo, lo supplico di lasciarmi spiegare mentre lui non vuole più parlarmi.
Piangendo mi sveglio nel cuore della notte e non riesco più ad addormentarmi, tanto che poi durante il giorno a lavoro sono una larva umana. Il mio capo mi ha già chiesto se c’è qualcosa che non va.
Ho pensato anche d’interrompere la relazione con Elia e trovarmi qualche altro per far smettere questo delirio. Ma come posso rinunciare al mio angelo? Ai nostri momenti teneri, quando, dopo esserci completamente svuotati mi si distende su petto e si addormenta. Basta solo questo pensiero a farmelo tornare duro. E non è il caso, perché devo scendere dall’auto e salire su da mia moglie, che potrebbe illudersi di un ritorno di fiamma.

Devo reagire, non posso farmi dilaniare dai sensi di colpa, sono speranzoso di trovare una via d’uscita. Lo faccio per lui, per il mio angelo.
Prima di salire scrivo un messaggio a Paolo. “Ho bisogno di parlarti, prima possibile”. Glielo invio.
Squilla il telefono. È lui che prontamente mi chiama.
Non vorrei rispondere ma debbo farlo.
«Oh, Vittorio, che ti succede?»
«No, niente, tranquillo. Ho solo bisogno di parlarti, è parecchio tempo che non ci diciamo nulla te ed io. Quando siamo con le nostre famiglie non abbiamo tanto spazio per noi due, come una volta» gli dico, mitragliandolo di parole. Pronuncio quella frase con una voce artificiale che faccio fatica a riconoscere.
«Caro, quando tu hai bisogno di parlarmi c’è sempre qualcosa di grosso…» afferma e si mette a ridere. Non capisco la battuta, non chiedo spiegazioni.
«Oh, Paolo, ascolta se domenica pomeriggio non hai nulla da fare, vienimi a trovare su, nella casa di mio nonno, così ti dico tutto.»
Scrivo a Elia che la prossima domenica sono impegnato. Mi risponde subito con una faccina triste. Nient’altro.

Vedo arrivare Paolo dalla finestra, parcheggia la sua auto e scende. Noto il suo volto sereno, quasi felice. Sento una mano stritolarmi il cuore. Penso che quando risalirà su quell’auto non sarà tanto sereno. Fremo all’idea di affrontare il discorso.
«Allora, eccoci qui» mi dice Paolo fissandomi negli occhi, una volta che si è sistemato dinanzi a me. Ci sediamo sugli sgabelli del cucinotto e gli verso la birra fredda nel bicchiere inclinandolo per non fare troppa schiuma. Faccio lo stesso con il mio bicchiere. Prendo tempo.
«Eh già!» bofonchio. Sento che mi trema il labbro inferiore.
Lui aspetta che dica qualcosa e io, che è tutta una settimana che mi preparo il discorso, ora non so da dove iniziare.
Parto a random. «Niente Paolo, con Cristina ormai siamo come fratello e sorella e come sai cerco altrove i piaceri» esordisco.
«Lo so» mormora facendomi un’espressione compassionevole, abbassando le folte sopracciglia.
Sospiro. «Da quattro mesi ho una relazione con un ragazzo. Ho dei sentimenti forti per lui che non credevo…»
La sua espressione cambia all’istante. Vedo d’un tratto che s’irrigidisce la mascella. Diventa paonazzo. Poi fa un gesto che mi spiazza. Dopo avermi afferrato la mano, con forza mi tira a sé, rovescia la sua e la mia birra. Me la faccio sotto dalla paura, non so cosa pensare.
«Aspetta, aspetta, aspetta» ripete ansimando. «Prima che tu continui devo dirti io una cosa importante.»
Per un momento penso che lui già sappia.
«Paolo è meglio che mi lasci finire. Per favore.»
Lui scuote la testa. «No, no, no! Se non me lo avessi chiesto tu per primo, presto sarei stato io a chiamarti. Prima che tu possa fare qualsiasi cosa, voglio che tu sappia una cosa che è importante per me, e se ho ritardato a dirtelo è perché me ne vergogno al punto che non riesco a trovare le parole» dice stringendo il pugno e i denti.
«Paolo…»
«Cazzo, ascoltami, una volta tanto che sono io a parlare» mi urla. Rimango attonito. «Io ho sbagliato nei tuoi confronti. Lo so, ti ho rifiutato, sono stato una merda. Ancora oggi me ne pento. Ma cosa potevo fare allora? Avevo solo vent’anni. Poi hai presente mio padre? È stato lui che mi ha messo alle strette. Ho dovuto trovarmi una ragazza altrimenti avrei perso tutto, anche te. Lui ti odiava, perché diceva che mi portavi verso la perversione. E io gli ho dato ragione. Ora che lui se ne è andato, mi rendo conto di aver fatto male a tutti. A te, prima di chiunque altro. Con la Mary siamo sempre in guerra per qualsiasi cosa, non le sta bene niente, neanche come apparecchio la tavola. Mi rende la vita un inferno quotidiano. Non ne posso più. Elia è sempre dalla sua parte e mi ignora, non mi parla ormai da mesi. Vittorio mi sei rimasto solo te».
Quando finisce di parlare noto che ha gli occhi lucidi.
«Oh, dai, vieni qui». Mi alzo e vado ad abbracciarlo per consolarlo.
Anche lui mi abbraccia forte, mi stringe, stropicciandomi la camicia. Inizia un pianto incontenibile che mi spezza il cuore.
«Oh, Paolone, che cazzo ti succede adesso a te!?»
Per tutta risposta lui, mi prende la testa tra le mani e mi bacia in bocca.
Sono allibito. Le sue labbra sulle mie, è una sensazione indescrivibile. La sua lingua che s’insinua tra le mie labbra, carica di umidità, quel sapore della sua bocca che tante volte ho sognato.
Continua a piangere e a baciarmi, con passione e rabbia. Ci stringiamo come non avevamo fatto prima.
«Paolo, cazzo, è tardi» mormoro.
«Tardi? Non è mai tardi» reagisce lui. «Tutti questi anni siamo stati sempre vicini, l’uno per l’altro, non ci siamo mai allontanati, se il nostro non è…»
«Amicizia?» lo provoco.
«Non è solo amicizia, lo sappiamo entrambi. È che io sono stato più vigliacco e ho represso i miei sentimenti per te, invece te hai dato sfogo al tuo cazzo. Rimane il fatto che ti ho sempre amato.»
Sono sconvolto, mi stacco dal suo abbraccio. Ho un groppo in gola.
«Vittorio, ti ho sempre amato» ripete dopo che ritorna ad abbracciarmi. «Sono stato una merda ma ora tutto è cambiato.»
Quelle sue parole mi disorientano. Ho aspettato per anni che lo dicesse e ora che le ha pronunciate mi sento come un naufrago in una tempesta.
Paolo mi stringe a sé, e io mi aggrappo a lui. Lui torna a baciarmi e va anche oltre. Mi sbottona la camicia lasciandomi a petto nudo. Bacia il collo e scende ai pettorali, inumidisce i peli che li ricoprono. «Ti ho sempre desiderato. Tante volte ho immaginato questo momento nella mia testa.»
«Oh, Paolo, Paolo…perché…»
«Stai zitto» mi chiede mettendomi un dito sulle labbra. Succhia i miei capezzoli. Poi mi slaccia i pantaloni, con gesti sbrigativi. Libera la mia sofferta erezione e si inginocchia davanti a me.
È un déjà-vu, ci eravamo già trovati già a questo punto, poi lui si era alzato si era pulito la bocca ed era scappato via. Ci eravamo rivisti di nuovo quando mi ha presentato la sua fidanzata Mary, con la migliore amica Cristina, che è poi diventata mia moglie.
«Stavolta non mi scappi» gli intimo.
«Non ne ho la minima intenzione» mi risponde, accenna un sorriso. Riprende di nuovo a succhiarmelo con avidità, come se fosse a digiuno da anni. E per certi versi lo è.
Con la stessa foga finiamo nella camera da letto. Ormai completamente nudi esploriamo a vicenda i nostri corpi da cinquantenni. Ci masturbiamo a vicenda. Avere il suo cazzo in mano è come un trofeo, mi chino glielo bacio, lo lecco. Assaporo quel gusto pre-cum. Lo stesso ritorna a fare lui con il mio. Sembriamo due adolescenti, forse lo siamo, lo siamo rimasti.
Lui si concede a me ed io lo prendo.
«Vitto, fai piano, è la prima volta che…»
«Amore mio» mi scappa di dirgli. Lui mi fissa girandosi verso di me e mi fa un gesto di approvazione. «Farò piano, non ti preoccupare.»
Uso le stesse precauzioni che ho usato con il figlio, ma stavolta però sento il corpo che più mi assomiglia. Quando gli sono dentro devo fermarmi, lui sta sopprimendo il dolore, lo percepisco dalle vene del collo che si sono ingrossate. Poi mi muovo piano dentro di lui, fino a quando lui non mi incita a cavalcarlo sempre più forte, con impeto.
Quando veniamo entrambi, rimaniamo distesi uno accanto all’altro, come quando da ragazzi ci sballavamo e stavamo ore ed ore a guardare il soffitto e talvolta le stelle. Stavamo a parlare di cose inutili, di massimi sistemi o a farci grandi confidenze.
Rimaniamo così sul letto ad aspettare che il tramonto ci colga nudi. Lui affonda le dita nella peluria del mio petto, mentre mi fissa negli occhi.
«Vorrei rimanere a vivere per sempre qui» mi chiede. «Vittorio, non voglio più tornare a casa, che se la sbrighino loro. Ti aspetterò tutte le domeniche qui.»
«Magari, fosse così facile» rispondo.
«Perché non lo dovrebbe essere? Tutto è possibile.»
«E il lavoro?»
«Ho il portatile in borsa. Sono arrivato preparato» proferisce ridendo. «Posso fare tutto da qui. Questo posto bellissimo mi ispira. Il tuo amore ritrovato mi ispira.»
«Questa però non è una decisione da prendere su due piedi» gli dico. «Abbiamo dei doveri verso le nostre famiglie.»
«Infatti, l’ho presa quando mi hai messo a quattro zampe» ride più forte.
«Ti sei rincoglionito!» gli dico. Non lo riconosco più. «Dove è finito l’ingegnere perfettino del cazzo?»
«L’ingegnere perfettino ha capito che la vita va vissuta» afferma mentre il suo sguardo s’illumina. «Io sono disposto a mollare tutto, tanto non ho niente da perdere» riprende il tono serio. «E tu? Pensi ancora che quel ragazzo possa renderti felice più di quanto possa farlo io?»
Vorrei dirgli tante cose, invece, rimango in silenzio; come faccio a dirgli che quel ragazzo è proprio Elia, suo figlio e che domenica scorsa occupava il posto che sta occupando lui nel mio letto e nel mio cuore.
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