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Gay & Bisex

Quando non andai a scuola e sedussi un nero


di yamada
08.04.2013    |    43.186    |    3 8.8
"Io continuai a penetrarmi e lo guardai con desiderio..."
La scuola riprese inesorabile, ma il ritorno in città portò tante nuove.

L’infinita ristrutturazione della nuova casa di Via Notarbartolo era stata conclusa e finalmente, intorno ai primi di ottobre, traslocammo.

Mia madre era davvero felice. Le mille scarabattole che negli anni aveva acquistato tra mercatini e antiquari scomparivano, a suo dire, in quel grande attico: aveva trovato una scusa apparentemente ragionevole per comprarne di nuove.

Mio padre decise che io dovessi studiare altrove, in un istituto più vicino casa, e la scelta ricadde in quello dei Gesuiti che era a due passi da noi: figuratevi la mia felicità!

Un giorno verso fine novembre inventai un malessere per non andare a scuola. Non è che ci fosse un motivo particolare. Non mi andava, tutto qui!

Quella mattina mi alzai con comodo. Scesi giù le scale con passo sonnacchioso per fare colazione in cucina, quando mi parve di vedere qualcosa che ridiede luce ai miei occhi ancora appannati dal lungo dormire.

Un ragazzo… un ragazzo nero passava l’aspirapolvere in salone!

“Chi è?!?” disse squillante una voce nella mia testa.

Incuriosito e incerto mi diressi in cucina per chiedere spiegazioni a Carmela, la nostra governante, ma di lei nessuna traccia.

In compenso la colazione era apparecchiata in tavola.

Mi sedetti e qualche istante dopo la visione di quel nero si materializzò sulla porta.

Disse: “Faccio caffè?”

“Chi sei?” risposi.

“Amir…”

“Ciao Amir, dov’è Carmela?”

Capii dall’espressione del viso che non lo sapeva. Disse soltanto che sarebbe tornata l’indomani e che lui la sostituiva.

Rifiutai il caffè (in quel periodo mi sembrava qualcosa di assolutamente detestabile) e lui ritornò agli interrotti lavori domestici.

Solo e con una fetta di crostata tra mani e bocca fui investito da un turbine di pensieri che di certo non potrei definire casti.

Quel ragazzo mi attraeva molto e avrei voluto sedurlo.

Risalii pensieroso le scale, m’infilai nella mia camera e dunque in bagno.

Una lunga doccia accompagnò le mie fantasie e le carezze delle mie mani sotto l’acqua le resero più reali.

Mi misi soltanto un paio di mutandine le più aderenti e una magliettina sagomata.

Nonostante avessi la tv in camera, decisi di andare a guardarla in salone.

Lo trovai lì che spolverava i ninnoli della mamma e, considerato il numero ragguardevole, ne avrebbe avuto almeno per un paio d’ore.

Accesi la tv.

Mi sintonizzai su un canale dove trasmettevano un vecchio telefilm, credo si chiamasse Flipper, e mi gettai scomposto su uno dei divani.

Inizia a scrutare attentamente Amir mentre era al lavoro.

Aveva gli occhi un po’ a mandorla, scuri e profondi come un lago di pece. Capelli neri, neri e corti. Labbra carnose come succose marasche da addentare.

Era di media statura e fasciato da una morbida muscolatura color cioccolato, di quello al latte…

Credo che dopo pochi minuti avesse intuito il mio interesse, ma per tutta la mattina evitò il mio sguardo insistente e screanzato.

Non sapevo cosa fare ed ero anche un po’ stizzito dal fatto che cercasse di sfuggirmi.

Ritornai in camera e mi misi a giocare con il Super Nintendo.

Ero distratto e quel giorno Mario Bros fu totalmente succube dei suoi nemici.

Cercavo nella mia mente di trovare il modo di provocare il bell’africano.

Pensa che ripensa finalmente mi venne un’idea.

Presi il dildo che tenevo nascosto sopra l’armadio, mi spogliai e mi posi sul letto a gambe aperte.

Bagnai il mio buco con abbondante lubrificante e mi penetrai con quell’arnese di plastica.

Sapevo che a breve Amir sarebbe salito per mettere ordine nelle camere e sapevo anche che avrebbe iniziato con la mia, la prima del corridoio.

Nell’attesa continuai a penetrarmi con voluttuoso piacere dilatando sempre più il mio buco.

Sentii finalmente i suoi passi sulle scale e dopo un po’ la porta si aprì.

Io continuai a penetrarmi e lo guardai con desiderio.

Mi ricambiò con sguardo disgustato.

Si avvicinò visibilmente infuriato e mi schiaffeggiò: mi diede due ceffoni ben assestati, uno dritto e l’altro rovescio.

Mi bruciava ancora il viso che mi prese con forza, si sedette sul letto e mi gettò a pancia in giù sulle sue ginocchia.

Trasse il dildo fuori dal mio buco e lo lanciò in un angolo. Dopodiché iniziò a sculacciarmi con colpi ben assestati e decisi.

Sentivo il mio piccolo culetto bianco e liscio in fiamme.

Urlavo e cercavo di divincolarmi, ma non riuscivo a sfuggire dalla sua forte presa.

Non so quante sculacciate mi avesse dato, ma ad un certo punto il loro ritmo iniziò a rallentare.

Pensai che si stesse stancando. Constai però subito dopo che non si trattava di stanchezza.

D’improvviso smise di sculacciarmi.

Sentii le sue dita infilarsi fra i miei glutei doloranti ed entrare dentro il mio buco, dove iniziarono a frugare con screanzato e carnale interesse.

Mentre le sue lunghe dita si facevano sempre più largo dentro di me, tra le sue gambe iniziò a crescere qualcosa di prepotentemente grosso che finì per premere sul mio addome.

Si alzò di scatto, tanto che caddi per terra, e si aprì il pantalone.

Trasse fuori il più grosso cazzo che io abbia mai visto: lungo e nodoso come un ramo di quercia aveva una cappella spropositata, scura e con una lieve sfumatura più chiara in punta.

Mi prese per i capelli e con forza me la mise in bocca.

Fece fatica ad entrare e quasi mi slogò una mascella, ma alla fine almeno la cappella entrò dentro.

Io non riuscivo a fare molto sia per la foga violenta con cui fotteva la mia bocca, sia per le dimensioni del suo pene davvero impressionanti.

Stanco di farselo succhiare mi mise a terra supino. Si pose sopra di me, mentre con la mano teneva il mio viso a pavimento.

Sentii la pressione di quella grossa cappella sul mio piccolo buco. Sentii l’attrito nel penetrare. E infine un dolore atroce.

Emisi un urlo: quell’enorme bastone nero era entrato tutto dentro di me e il mio buco bruciava da impazzire.

Lui non se ne curò, anzi iniziò a sbattermi senza sosta: più che un uomo sembrava una macchina che non conosceva fatica.

Io continuai a gridare per il dolore, finché d’un tratto si fermò.

Con uno scatto si mise in piedi, mi prese e nel darmi altri due ceffoni disse: “Zitto!!!”

Mi rigettò nuovamente a terra e infilò un’altra volta il suo cazzo dentro di me.

Riprese con maggiore forza. Ora però non sentivo più dolore, ma un piacere diffuso.

Il suo peso mi costringeva a terra e il mio buco si allargava e stringeva seguendo le tortuose forme del suo pene.

Continuò a lungo, ma a un tratto si fermò e si mise in piedi.

Mi afferrò per un braccio, prese il mio viso e si masturbò per qualche secondo, finché grondò dalla sua cappella un mare di sperma che si riversò nella mia bocca aperta.

Quasi mi affogai, ma bevvi tutto.

Quando ebbe finito si rivestì e tornò ai lavori domestici.

Io stanco e stordito mi misi a letto: dovevo riprendermi da una scopata da paura….
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