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RACCONTO LIBERO - L'OSCURO IVÁN - Parte 1 La discoteca


di Syren
07.03.2022    |    5.951    |    10 8.4
"Saluto il buttafuori con i due baci rituali sulle guance avvinghiando un braccio al suo spallone, mentre la sua mano malandrina mi afferra la vita bassa..."
Tutti i miei “Racconti Liberi” partono da una base attinente alla mia realtà, ispirandosi ad esperienze vissute in prima persona, fantasticherie di me adulto o adolescente, personaggi e luoghi che conosco o hanno colpito la mia attenzione. I dettagli vengono poi romanzati e conditi un pizzico per renderli più accattivanti ai lettori…ma nessuno capirà mai qual è il reale e quale la fantasia. Forse.

N.B. Ad un certo punto del racconto compariranno i titoli di due canzoni. Vi consiglio di ascoltarle per comprendere ed immergervi meglio nell’atmosfera del momento. ;)

Le gocce di pioggia corrono veloci sul doppio vetro, facendo a gara a chi arriva prima al bordo per poi scomparire, lanciate nel vuoto dalla forza cinetica del treno in corsa.
Un fondale color piombo, striato ogni tanto da luci fulminee gialle o rosse, rende impossibile distrarsi con un ipotetico panorama. Ma non posso certo aspettarmi chissà quale cielo terso o artistici orizzonti con questo tempaccio autunnale.
Ho dimenticato le cuffie a casa e non sono certo così cafone da mettermi ad ascoltare musica dall’altoparlante del cellulare come un bimbetto qualsiasi, quindi anche questa distrazione è fuori discussione.
Sono anche stato così sciocco da infilare nello zaino il libro appena finito e non quello da incominciare. Bravo Tommy…la solita memoria da pesce rosso.
“Splendore” della Mazzantini, che storia! Non mi commuovevo così tanto per delle parole scritte da non ricordo più quanto… Meno male che ieri sera ero solo a casa o avrei svegliato chiunque con i miei singhiozzi. Sorrido ironicamente al pensiero di quanto sia facile alle lacrime, proprio come mamma. Gira che ti gira, siamo la mela che cade vicino all’albero.
Ad ogni modo non ho altri strumenti con cui trascorrere il resto del viaggio, nemmeno qualche bel manzo da squadrare ed iniziare quel sensualissimo gioco di sguardi a cui adoro partecipare. Viaggiare in treno mi mette sempre addosso un certo appetito sessuale; sarà per quelle avventure fortuite che ho avuto ogni tanto in ambito ferroviario, ma fantastico sempre piccanti incontri che iniziano tra i sedili e terminano, di solito, nelle toilette in fondo al vagone o in quelle della stazione di arrivo.
Però non manca così tanto per raggiungere Torino, saranno un paio di fermate massimo.
Mi piace tanto quella città. Non avrà lo spettro di possibilità che c’è a Milano, ma vince in tanti altri campi: le strade porticate che raccontano storie di tante epoche diverse, l’eleganza sabauda che si accosta al fascino crudo urbano, l’abbondanza di punti verdi ed il mistero esoterico che la impregna.
Il tema “magia” è molto azzeccato per dove lavorerò stasera. La discoteca dove ballerò ha organizzato un party di Halloween in maschera che si sposa bene con l’atmosfera cittadina; ci sarà sicuramente da divertirsi.
L’impiego come cubista in quel locale me l’ha procurato Sara Banda, la drag queen che nasconde le reali fattezze del mio amico Marco. Ci eravamo conosciuti durante alcune mie serate a Milano, dove era lui ad essere in trasferta. Avevamo subito legato: io adoravo la sua estetica drag underground un po’ “kinky” e lui aveva apprezzato i miei spettacoli di pole dance, così aveva messo una buona parola con uno dei suoi organizzatori e da più di un anno avevo in agenda almeno due spettacoli mensili nella scena torinese.
Perdendomi nel viale dei ricordi mi ha distratto alla fine, il treno sta entrando nella stazione di Porta Nuova. Mi alzo dal sedile, indosso il cappotto, afferro il borsone contenente gli abiti di scena e mi avvio verso l’uscita per prepararmi alla discesa.
La città mi accoglie non nelle sue più regali vesti, ma sotto una pioggia scrosciante. Fortunatamente ho un grosso ombrello, lo apro mentre varco i grandi archi bianchi e rossicci del palazzo ferroviario, immettendomi sulla grande pensilina di fronte. Scorgo già in arrivo il tram che mi serve, ci salgo e sferragliante mi porta alla meta.

Arrivo al locale in perfetto orario, un’ora circa prima dell’apertura. L’insegna all’ingresso è ancora spenta, ma mi dirigo all’uscita degli artisti sul retro e premo il pulsane del citofono; dopo un minuto il portone si apre verso l’esterno tramite la maniglia a spinta, scuoto l’ombrello dall’acqua ed entro.

- Ciao bellezza! – esclama un vocione alla mia sinistra.
- Ehilà, Gianlu! – rispondo solare io quando riconosco l’origine del richiamo.

Saluto il buttafuori con i due baci rituali sulle guance avvinghiando un braccio al suo spallone, mentre la sua mano malandrina mi afferra la vita bassa tirandomi un po’ a sé.
Dopo qualche secondo di abbraccio, mi scosto per potergli parlare meglio.
Indossa un completo scuro, la sua corporatura si addice perfettamente alla sua professione: molto alto, largo quanto una scrivania, petto gonfio che spinge i bottoni della camicia per vedere la luce, lineamenti duri come fossero scolpiti nel legno grezzo e mai rifiniti, capelli radi e stempiatura incipiente, nasone e barba scura tenuta a media lunghezza, un brillante dozzinalmente grande luccica all’orecchio sinistro. So perfettamente che sotto quella divisa si nasconde un fisico peloso e massicico, con un tamarrissimo tatuaggio tribale che ricopre un braccio e si avvinghia ad un pettorale, ed un manganello, proporzionato al personaggio, che sa regalare bollenti soddisfazioni.
Lavora in questa discoteca da prima del mio arrivo, ha superato gli “anta”, bisessuale poco nascosto e amante focoso molto dichiarato; io e lui ci siamo già fatti qualche cavalcata post-serata insieme e, prima di quelle, qualche pompino nei corridoi più nascosti del locale.
Ci scambiamo qualche convenevole, scherzando come al nostro solito e, discutendo della festa imminente, gli domando se Marco sia già arrivato.

- Sì, sta nei camerini a prepararsi. Non vedo l’ora di assistere al tuo spettacolo da lontano. - mi risponde sornione.
- Ed io non vedo l’ora di mostrartelo…- lo stuzzico di rimando, sorridendo di sghembo, mentre mi allontano lungo il corridoio di specchi con un cenno di saluto.

Percorro il pavimento in resina che già conosco fino alla fine, arrivo nell’ampia sala dedicata alla pista da ballo con i divanetti e le postazioni per i cubisti, posti a conchiglia attorno, supero l’area della console e del palco principale, poi un bancone del bar e varco la porta con affisso il cartello “Riservato allo staff”.
Altri tre ballerini si stanno già preparando e conversando tra loro; li ho già conosciuti durante le precedenti serate a cui ho partecipato in questo stesso locale, ci salutiamo e scambiamo qualche frase di circostanza.
Al sentire la mia voce, un urlo squillante esplode nello stanzino a fianco:

- Amaaaaaaaaaa! Sei tuuu? -
- Ciao tesoro – sogghigno io mentre entro nel camerino di Marco.

Si sta truccando in piedi davanti allo specchio retroilluminato. Non indossa ancora la parrucca di scena, ma sul corpo esile spiccano già un corsetto in latex nero borchiato ed una gonna a campana dello stesso materiale, sostenuta da rigide fettucce in acciaio che lo fanno apparire come una grottesca ballerina classica.

- Fammi indovinare…una versione sado della Regina di Cuori? – gli chiedo ironico
- Qualcosa del genere…ma non mi va che indovini già i miei costumi, stronza! – mi risponde lui a tono mandandomi un bacio dallo specchio con le labbra già pittate di nero.

Chiacchieriamo qualche minuto, aggiornandoci sulle nostre ultime settimane trascorse a distanza e sui suoi soliti pettegolezzi freschi, mentre lentamente affiora la creatura femminile che vive nel suo corpo.
Marco può sembrare fastidioso e superficiale all’apparenza, ma gli sono affezionato e conoscendolo meglio ho scoperto il lato più tenero e affettuoso, quello che tiene ben nascosto in profondità lasciando emergere quello dirompente e sfacciato del personaggio di Sara Banda.
Mentre inizio a svestirmi, facciamo tutti quanti un resoconto per la serata: i ballerini saranno sul palco e sulle piattaforme laterali alla pista per tutto il tempo, Marco farà da vocalist accompagnando il dj Pippo e poi si esibirà verso la mezzanotte e mezza, seguito dalla coreografia dei tre ragazzi. Così io avrò il tempo di cambiare la divisa da gogo boy e prepararmi per il mio spettacolo di pole dance.
Ci assicuriamo che alla console ci siano tutti i pezzi musicali che ci occorrono e poi proseguiamo nella preparazione, alcuni azzannano qualche fetta di pizza che ci è stata consegnata da Lucio, l’organizzatore. Io preferisco evitare: solitamente mangio abbondante a casa prima di venire al locale, mi faccio la doccia ed i risciacqui intimi necessari, così ho il tempo di digerire ed essere pronto e pulito per il dopo serata in caso di incontri fortunati.
Con attenzione mi dipingo un trucco “smokey eye” nero e me lo faccio poi ritoccare dalle mani esperte di Marco, le unghie le ho già smaltate a casa, applico un po’ di burro cacao a lunga durata per tenere idratate le labbra, modello le mie ciocche brizzolate con della cera per darmi un look “spettinato” e poi mi spoglio completamente per indossare la divisa da cubista di questa sera.
Anfibi a mezzo polpaccio Dottor Martens, tuta di fasce elastiche nere che dividono in strisce orizzontali il fisico, polsiere in cuoio ed infine un micro slippino nero in tessuto cangiante.
Mi osservo allo specchio per studiare il risultato: le ombre sfumate attorno agli occhi rendono fatale il mio sguardo, le fasce enfatizzano i pettorali pelosi e segnano strategicamente la zona inguinale e quella delle cosce alte risaltandone la tonicità. Lo slippino mi fa un bel pacco davanti e lascia scoperti i glutei bassi dietro, avendo un chiappone di dimensioni decisamente non ridotte, la stoffa copre a stento.
Nel riflesso vedo l’occhiolino complice del mio collega Riky mentre mi sussurra:

- Sei scopabilissimo…-

Prima o poi dovrò farci un pensierino: ha tre anni meno di me (io 28 e lui 25), ma è un bel ragazzetto, alto e prestante e, al contrario di molti nostri colleghi nel campo, si muove in modo naturalmente sexy sul palco…magari anche tra le lenzuola conoscerà delle buone mosse.

Tutto è pronto. Le bottiglie degli alcolici sono piene, le ragnatele finte pendono dal soffitto, le ragazze con le corna da diavolesse sono pronte a raccogliere i giubbotti al guardaroba, il dj ha già fatto partire qualche pezzo leggero e, allo scoccare delle undici, Gianlu e l’altro buttafuori aprono le porte alla fiumana di gente che stava già in coda da un po’.
In pochi minuti il locale si riempie di ragazzi e ragazze in costume: gattine provocanti, orecchie di coniglio accompagnate da cinghie bondage, qualche zombie sanguinolento, canini finti, varie maschere mostruose o femme fatale dark e rari personaggi studiati e curati nel dettaglio. Tutti insieme, tutti adrenalinici e desiderosi di dare sfogo alla propria trasgressione, nascosti da una notte speciale e luci laser danzanti.
Quando la pista è bella gremita, Sara Banda fa il suo spettacolare ingresso: ora, con in testa una vaporosa parrucca “Versailles” grigio cenere, accompagnata in contrasto da una mini coroncina in velluto, il suo personaggio è regalmente completo e viene accolta da uno scrosciare di applausi. Dà il benvenuto, inaugura la scoppiettante festa di Halloween e presenta noi cubisti al pubblico, incitandolo a dare inizio alle danze.
Io mi trovo sul piano laterale, rialzato rispetto alla pista, ed ho una buona visione della massa brulicante. All’altezza dell’ombelico sento la familiare sensazione di euforia che si accende ogni volta che salgo su un cubo per esibirmi.
Mi piace ballare, dare sfogo ai movimenti trattenuti durante la settimana, lasciare libero il gatto dentro di me, bisognoso di attenzioni ed incurante del giudizio altrui; provo piacere psico-fisico a mettermi in mostra davanti a tante persone, provocarle con i movimenti sensuali dal mio bacino, offrire la visione del mio corpo sudato che abbandona la tensione e si contorce a suon di musica.
Tento di non bruciare tutte le energie con le prime canzoni, senza complicare i miei movimenti con coreografie troppo ricercate, nonostante la playlist del dj sia molto tentatrice, e cerco di conservarmi per il mio assolo più tardi.
Insieme al calore e all’odore di tanta umanità in uno spazio ristretto, all’altezza di dove mi trovo, sta salendo anche l’incredibile energia del pubblico. Si percepisce che è una serata speciale all’insegna del divertimento e della trasgressione: noto tra la folla i primi vortici di lingue affamate, le mani che si avvinghiano ai corpi in movimento, palpebre socchiuse che si perdono nel frastuono della musica (o in preda a qualche sostanza), salti atletici e denti bianchi che ridono.
Riesco a catturare molte occhiate rivolte a me e ai miei colleghi, chi mi indica addirittura, sogghignando con il vicino e chi, speranzoso, si apposta proprio sotto al cubo, in attesa di essere notato e attaccare bottone. Ma qualcos’altro distrae i miei sensi.
Una sensazione che preme contro la mia nuca, come se una persona in particolare mi stesse osservando. Ogni volta che giro la testa nella direzione della mia impressione, rimango deluso dal non riuscire ad identificarne la sorgente. Sembra quasi che chiunque mi stia studiando si stia muovendo intorno a tutta la sala, per guardarmi da diverse prospettive e avere un quadro completo di tutto il mio corpo.
Di solito riesco facilmente ad individuare chi è interessato a me e mi occhieggia con insistenza, ma questa volta sembra proprio che la confusione generale me lo impedisca. Mi stizzisce, ma tento di non farmi distrarre troppo.
Mi abbandono allo scorrere del tempo ed al ritmo incessante delle casse che pompano ad alto volume, ho la fronte umida e leggere perle di sudore scivolano lungo i miei fianchi e sulla mia schiena, intrappolandosi nel tessuto delle fasce elastiche. Salto, ondeggio, incito il pubblico, inarco la schiena e poi dò un lento colpo di bacino per serpeggiare sinuosamente alzando le braccia sopra la mia testa, mi appoggio alla parete di specchi dietro di me e alzo il posteriore per mettere in mostra le mie curve.
Chiunque tu sia, goditi lo spettacolo.

Dopo più di un’ora il cubista più vicino mi fa un cenno e vedo il palco animarsi: lo spettacolo drag sta per cominciare, quindi posso abbandonare la sala e raggiungere i camerini.
Mentre scendo dalla mia postazione e cerco di farmi spazio fra il pubblico, sento improvvisamente la sensazione alla nuca. Mi giro di scatto e questa volta lo incastro.
Non troppo distante da me, dietro file di teste e braccia alzate, scopro finalmente il “guardone”.
Ha una folta chioma nera con qualche ciocca lucida, come se l’avesse sporcata di brillantina, che gli ricade sulle spalle ampie, indossa un giubbotto di pelle e sotto una maglietta scura molto scollata. Il viso squadrato dalle mascelle spigolose ha un incarnato pallido, il mento è enfatizzato da un anacronistico pizzetto a mosca verticale, il naso è importante, ma non sembra stonare, bocca sottile ma larga, sopracciglia spesse e scure; però sono gli occhi a colpirmi maggiormente.
Porta di sicuro delle lenti a contatto perché sono chiarissimi, quasi bianchi, e la pupilla appare persa in tutto quel candore.
Con una tattica mossa della mano, si scosta una ciocca di capelli, alza leggermente un lato della bocca e mi sorride a labbra chiuse. Un battito di ciglia e lo perdo nello tsunami di persone.
Mi sorprende quella visione e i miei occhi guizzano alla sua cerca, ma inutilmente, perché anche girando attorno, non riesco a ritrovare il mio misterioso osservatore. Deluso, mi avvicino all’area per lo staff mentre le urla di Sara Banda dannò inizio allo spettacolo.

Sono da solo nel camerino, due porte chiuse mi separano dalla baraonda. Il frastuono della musica ed il vociare di tante persone mi raggiunge ovattato, i timpani fischiano fastidiosi dopo essere stati messi a dura prova per quasi due ore; ci sono abituato e li lascio crepitare occupandomi di altro.
Inizio a spogliarmi e, rimanendo completamente nudo, vado a rinfrescarmi nel piccolo bagno a disposizione degli artisti. Sopra il minuscolo lavandino mi sciacquo la fronte ed il collo sudati, mi lavo le ascelle e, in mancanza di un bidè, anche in mezzo alle cosce e fra i glutei.
Passando le dita umide in mezzo al solco e vicino all’ano provo un brivido di vanesio e privato piacere e mi auguro che la mia mano non sarà l’unica a sfiorare la mia carne questa notte.
Drizzo immediatamente le orecchie quando penso di aver sentito un rumore vicino, mi asciugo alla buona e mi sporgo oltre il camerino.
Nessuno. Probabilmente me lo sono immaginato, anche se la strana sensazione di essere osservato non mi abbandona del tutto.
Gli occhi bianchi di quel ragazzo (o quell’uomo, non riesco ad affibbiargli un’età precisa) continuano a ripresentarsi nella mia mente. Le lenti a contatto donavano loro un’atmosfera vagamente inquietante, ma la potenza dello sguardo era incredibile e continua ad avvamparmi dentro solamente con il suo eco.
Chissà se è già andato via…
Mi distraggo svuotando il borsone ed inizio la vestizione per il mio spettacolo.
Passando una gamba alla volta mi infilo un perizoma in pizzo nero, con gli indici sistemo gli elastici alti segnandomi i fianchi e, scivolando dietro, lascio libero il tessuto che si chiude a cuore nel solco fra i miei glutei lisci, decorandoli con fini ricami floreali. Avvinghio il busto con un corsetto in pelle e tessuto elasticizzato, il bordo alto segue la linea dei miei pettorali pelosi e quello basso posteriore enfatizza la curva della mia bassa schiena; stringo i laccetti in raso e chiudo con un nodo a fiocco.
Appoggiandomi ad una sedia inforco uno alla volta gli stivali in latex, li tiro su fino a mezza coscia, la luce al neon crea degli intriganti riflessi sul materiale che crocca sensuale al tatto. I talloni poggiano su vertiginosi ed eleganti tacchi a spillo da 15 cm e la pianta del piede su un più stabile plateau.
Chiudo un collare in cuoio e lo regolo per non strozzarmi, da un anello centrale in acciaio pende una catenella dello stesso materiale che scende fino alla fine dello sterno e poi si divide in due rami opposti che fisso ai bordi inferiori del corsetto.
Sfilo uno dei cerchi all’orecchio destro ed inserisco un pendente in stagno battuto e collego, con una catenina sottilissima e lasca, l’orecchio sinistro con il piercing laterale al naso.
Controllo e correggo leggermente il trucco e poi vaporizzo un po’ di profumo (“Alien” – donna - di Mugler) sotto le orecchie sui lati del collo, fra i peli del petto alto, dietro la nuca, nell’incavo fra le braccia e sul pube, fra il pelo raso che fa capolino dal pizzo.
Mi rilasso sulla sedia ed attendo sorseggiando un cocktail che qualche buon samaritano aveva lasciato lì.

Dopo una mezz’oretta trascorsa a scrollare profili di maschietti su Grindr, arriva un PR che mi avverte dell’imminente fine dello spettacolo di Marco e l’inizio del mio turno.
Indosso la mascherina ricamata in pizzo e strass neri, infilo e sistemo la mantella in tessuto damascato scuro che mi copre le spalle e scende fino a terra dietro e si divide in due larghe fasce davanti, attraverso le quali posso far passare le braccia.
Esco dal camerino e i rumori assordanti mi colpiscono nuovamente come una massa fisica.
Mi avvio verso la console senza incrociare lo sguardo di nessuno, nell’inutile tentativo che qualcuno mi noti e possa guastarsi l’entrata a sorpresa; ma, come facilmente prevedibile, alcuni ragazzi mi scoprono e commentano incuriositi.
Salgo le scalette laterali al palco e riesco a nascondermi dietro uno dei tendoni, spiando leggermente la scena: i ballerini sono i più vicini, hanno le braccia incrociate dietro la schiena, sorridenti e affannati dall’animata coreografia che avranno sicuramene eseguito egregiamente perché il pubblico ancora applaude entusiasta. Non riesco a scorgere Sara Banda, ma le sue parole riecheggiano dal microfono alle casse.
Anche la sua voce sembra spezzata da respiri lunghi, si sarà scatenata nel suo perfetto lip-sync ed ora sta tentando di ringraziare il corpo di ballo e gli spettatori esultanti.
Sbircio leggermente tra le pieghe di stoffa: il palco illuminato a giorno dai fari a luce calda, nella penombra più scura della pista visi sorridenti tutti ghermiti, sullo sfondo della sala la folla si dirada tra persone che vanno alle toilette o chiacchierano con i bicchieri in mano…e poi eccolo.
Il “dark misterioso” si sta muovendo lento in solitaria, dirigendosi verso un divanetto vuoto, dove si siede comodo appoggiando le braccia aperte sullo schienale e le gambe divaricate, padrone di sé. Qualcuno lo osserva incuriosito, ma, forse per la posizione troppo imperiosa, non osa disturbarlo.
Da quella distanza non riesco a scorgere bene il suo viso, ma sembra proprio che sia in attesa…forse ha assunto quella posizione confortevole per godersi il mio spettacolo. Un’onda di pizzicante orgoglio mi sale dalla pancia e mi sprona a mettermi subito in azione.
Come in risposta al mio desiderio, vedo i ballerini abbandonare il palco e fare segni di incitamento nella mia direzione, le luci si abbassano fino a raggiungere una tonalità blu, mi posiziono al centro tra i due tendoni in posizione autoritaria, poi la voce squillante di Marco:

- Direttamente dalla grande mela lombarda, la creatura notturna che ammalierà i vostri sensi volando attorno ad un palo…ecco a voi: Syren! –

Faretti dalle tonalità più chiare sfumano la luce bianca davanti a me, dj Pippo fa partire dalla sua console il pezzo che gli avevo consegnato, “Angels” dei Within Temptation.
I violini introducono le parole cristalline di Sharon de Adel ed io esco dall’ombra con passo lento e cadente. I primi applausi di benvenuto mi accompagnano fino al centro del palco, dove faccio scivolare la mantella ai miei piedi fingendo pudicizia e reclinando il volto di lato. Inizio a muovere anche le braccia al ritmo crescente della musica, come rami sinuosi che si staccano dal tronco centrale, mentre un bastone scenico ad uncino fa sparire la mantella nel buio.
Come a rallentatore, costruisco lentissime piroette su tutto il palco, mentre un palo d’acciaio scende dall’alto con lo stesso incedere; quando completo il cerchio e torno al punto di partenza, afferro la sbarra che ormai si è fermata e rimane sospesa a pochi centimetri da terra. Con presa salda mi abbandono su un fianco, mi do una spinta con il busto ed inizio a volteggiare per inerzia; essendo il mio sostegno agganciato solo in alto, la gravità mi porta molto vicino al pavimento e, con l’altra mano libera, lo sfioro come fosse un liquido scuro, in ampli cerchi.
L’illusione delle luci fredde, supportata da un video sullo schermo dietro di me che riproduce foglie volteggianti su uno specchio d’acqua, scatena fra il pubblico una serie di sospiri meravigliati. I primi cellulari si alzano per riprendere la magia che sto creando e mi delizio mentalmente del risultato in cui speravo.
I colpi di batteria infiammano il ritmo della canzone e sveltiscono i miei movimenti, mi stacco dal palo e, piegando le gambe feline, mi sposto lungo il palco e ruoto le mani con fare stregonesco, distendendo e piegando le dita come fossero artigli. Continuo in alternanza tra la sbarra e lo spazio circostante, mentre gli acuti della cantante si alzano in armonia.
Grida di un cuore spezzato ed una promessa infranta; ispirandomi al testo mi colpisco il petto con un pugno per poi levarlo verso l’altro con il braccio disteso e la mano aperta, come l’angelo vendicatore della canzone.
Mi libro in aria nonostante il peso degli stivali, mi chiudo a guscio di scatto e poi mi elevo di nuovo, la musica raggiunge il suo apice insieme e poi cala lentamente, mentre io striscio dietro il palo, mi inginocchio e lo afferro fra le mani a mo’ di preghiera.
Ora è il dj a compiere una delle sue magie, con il mixer mescola il brano precedente con quello successivo, di tutt’altro timbro: “Tained Love” nella versione di Marilyn Manson.
Gli spettatori urlano eccitati al cambio di registro, sogghigno compiaciuto, mi do una spinta verso l’alto ed inizio a sfilare per il palco, ancheggiando e puntando la gamba a ritmo serrato come il passo spagnolo dei cavalli. Fino a raggiungere il bordo del palco.
Agito sinuosamente le braccia sopra la testa, vorticando i polsi e le dita come fossero serpenti, faccio scivolare sensualmente le mani verso il basso lungo il busto centrale mentre fletto le ginocchia ad angolo retto avvicinandomi al pavimento; mi afferro il pacco con una mano, mentre con l’altra ripercorro a ritroso l’asse simmetrica del mio corpo. Struscio provocante le dita lungo il mio collo e le lecco al loro passaggio vicino alle labbra.
Molti maschi fischiano ed urlano, stuzzicati dai miei movimenti così sfacciati.
Bene, vi si deve rizzare il cazzo a guardarmi! Voglio farvi bagnare nelle mutande come foste dei ragazzini imberbi, succubi del vostro desiderio per il mio corpo.
Mi giro verso la sbarra e mi lancio contro, afferrandola con una “presa alla baseball” ed inizio a volteggiare, mentre le gambe passeggiano sospese sull’aria, rifornendo di energia cinetica la spinta che impedisce di fermarmi.
Con un colpo di reni mi elevo in altezza, distendo le gambe in spaccata e poi le uso per aggrapparmi e lanciare così l’intero busto all’indietro. Scivolo con una capriola in piedi a terra, con un mano chiusa sul palo sopra la testa, creo un arco con la schiena ed inizio ad ondeggiare come una gatta, muovendo i fianchi e mettendo in mostra le linee più interne dei glutei, dove solo un filo di stoffa nasconde il punto di convergenza, segreto ed invitante.
Gli incitamenti esaltati della folla si mescolano alle urla ruggite di Manson, in un misto di sensazioni di paura e lussuria. Sono in balia della danza, perso nel vortice erotico dei miei movimenti circolari e pregno del desiderio altrui che mi colpisce ad ondate.
Sperando che mi raggiunga, fra tutti quanti, quello della misteriosa figura in fondo alla sala sul divanetto. In qualche modo, percepisco che si sta godendo perfettamente lo show.
Mi puntello con le mani ed i gomiti all’acciaio, spingo il busto e le gambe aperte verso l’esterno e, abbandonandomi alla gravità, inizio a girare veloce. Richiudo gli arti inferiori attorno al palo, mi appendo con una sola mano e mi estendo in larghezza con l’altra distesa, come volessi battere il cinque a tutti i palmi alzati in aria che vedo.
Grazie alla forza centrifuga mi spingo verso l’esterno, lasciando la presa e toccando terra. Mentre la canzone volge al termine, muovo ancora qualche passo sensuale sul palco per poi dare le spalle al pubblico, tuffarmi improvvisamente all’indietro verso il pavimento e bloccarmi ad arco con le mani ed il volto rivoltato nell’esatto momento in cui il cantante pronuncia con voce affettata “amore contaminato” per l’ultima volta. E la musica sfuma rapida in chiusura.

Rimango in quella posizione scomoda ancora per qualche secondo, marcio di sudore ed ansante, mentre mi godo segretamente il ruggito di applausi e di urla eccitate, quasi tattili.
All’accendersi di tutti i fari e al ritorno di Sara Banda sul palco, mi rialzo con un colpo di reni e mi rimetto in piedi al suo fianco. Mi sfilo la mascherina quando mi presenta.
La folla è in delirio ed io sono al settimo cielo. Quando un proprio lavoro creativo viene così ben accolto ed il risultato va oltre ogni previsione sperata, l’emozione è incredibile. Mi colpisce al petto come un abbraccio impetuoso e risale fino alla gola come un singulto commosso.
Ringrazio inchinandomi profondamente in gesti plateali e poi cingendo le mani come un saluto orientale, sorrido a denti scoperti. In fondo alla sala scorgo una folta chioma scura che si alza e questa volta riesco a scorgere distintamente un sorriso come il mio.
Mi fiondo verso il camerino, interrotto solo dai dovuti ringraziamenti ai complimenti gentili che mi vengono elargiti , e mi chiudo dentro sapendo perfettamente cosa fare.
Mi rinfresco velocemente una seconda volta, pulisco il trucco che si era sbavato dal sudore, rimpolpo solo con una riga di matita nera nei bordi inferiori oculari, mi do una risistemata generale togliendo i gioielli più vistosi, indosso un cardigan nero trasparente che mi arriva a stento ai glutei ed esco a caccia.
Mi prendo tutto il tempo che mi serve e percorro i corridoi e la sala centrale, ancheggiando con un incedere felino, nel mio naturale modo di sculettare che non ho mai costruito.
Se per magia si potessero vedere ad occhio nudo gli ormoni ed i feromoni, si noterebbero le vampate che il mio corpo sta emanando in questo momento. Come le ondate scure di stormi migratori che ballano nel cielo terso, come il vaporoso polline di un fiore che si stacca dal bocciolo quando un’ape vola via dai suoi petali, come un fungo al microscopio che spruzza le sue spore per riprodursi.
La danza mi ha caricato di adrenalina ed energia sessuale a livelli non misurabili, mi sento sicuro e potente, mi immagino come una creatura sovrannaturale che attraversa il mondo umano, incantandolo.
Al mio passare noto moltissime espressioni interessate e, alcune, decisamente arrapate. Qualche commento sussurrato o sfacciatamente enunciato a voce alta arriva alle mie orecchie:

- No…vabbè, ragazzi! Non ce la posso fare! Trattenetemi o gli salto addosso! –
- Questo è da mettere a 90 e scoparselo duro contro il muro… -
- Quei tacchi…quelle gambe…aiuto! –

In altre circostanze mi sarei probabilmente fermato a rispondere a tono, magari mettendo in imbarazzo la vittima, o avrei continuato il gioco provocando. Ma ho una meta precisa, fingo di non averli sentiti e proseguo la mia sfilata.
Sarà per il mio outifit che lascia poco spazio alla fantasia o sarà il mio ruolo di ballerino erroneamente considerato “fuori portata”, ma non devo spintonare nessuno per farmi largo fra la folla e raggiungere così il fondo della sala, nell’area divanetti.
Lui mi sta aspettando in piedi, appoggiato alla struttura, perfettamente consapevole che lo avrei cercato. Sorride leggermente da un lato a bocca chiusa.
Man mano che mi avvicino alla sua figura, riesco a percepire tutti i dettagli che, nella prima fugace occhiata, non ero riuscito a registrare.
Continuo a non riuscire a datarlo, è il classico uomo senza età che potrebbe avere trenta come quarant’anni, intrappolato in una bolla senza tempo.
Il giubbotto di pelle è lungo fino alle caviglie, molto più iconico di quello che mi aspettassi, sembra liso in alcuni punti, potrebbe essere un pezzo vintage. Indossa dei pantaloni aderenti dello stesso materiale che mettono in risalto le sue gambe lunghe e palesemente allenate.
Nel complesso potrebbe sembrare una curiosa unione fra il protagonista della famosa pellicola “Il Corvo” ed il personaggio di Lestat nel film “La Regina dei Dannati”. Creature d’indubbio fascino e lui ne incarna alla perfezione lo spirito.
Mi fermo a due passi da lui e posso osservarlo da vicino. Diversi cerchietti dorati gli pendono dall’orecchio destro, un dilatatore medio in quello sinistro, un piercing “septum” di forma triangolare al naso (mio grandissimo feticcio) decorano il suo viso già intrigante.
Scopro che gli occhi non sono coperti da lenti a contatto e non sono bianchi ma azzurri; un azzurro chiarissimo, glaciale ed incredibilmente magnetico.
Mi rendo subito conto che non ero io a caccia, ma lui, ed io sono la sua preda.
Accettare questa considerazione mi provoca un brivido di piacere lungo la schiena quando mi saluta con un sensualissimo e baritono “salve”.

- Buonasera, piaciuto lo spettacolo? – gli domando diretto.
- Estremamente – risponde con voce calda e sensuale come vin brûlé versato nelle orecchie – Muoversi come fai tu è un dono… penso tu abbia reso grati di assistere alla tua danza molti uomini in questa sala. –
- L’importante che sia piaciuto ad un uomo in particolare… - gli rispondo tentatore io, con estrema fatica, perché il suo parlare sicuro e soave mette a dura prova le mie capacità di flirtare.
- Mi chiamo Iván, è un onore per me conoscerti. –
- Sono Tommaso, piacere. –

Mi accorgo solo ora, dalla cadenza del nome, che ha un accento dell’est, forse slavo. Mi spiega subito che è nato in Bulgaria, fra i Monti Balcani, ma vive nell’occulta Torino da diversi anni ormai.
Il suo fascino sembra non avere fine.
Continuiamo questo scambio di parole studiate per diversi minuti incalcolabili, parlando con la voce e gli occhi. Momenti di completo silenzio sono riempiti da intere conversazioni inudibili, ma comprensibili attraverso i nostri sguardi.
Il ghiaccio nelle sue iridi mi avvolge, ma senza raffreddarmi minimamente, anzi, tutto l’opposto; la sua bocca socchiusa mi sta già divorando a distanza e le sue mani accennano a sfiorarmi i fianchi nudi.
Cedo al suo incantesimo di magnetismo e lo bacio.
Inizialmente fievoli, le sue labbra sono stranamente fresche, come se si fosse appena dissetato con una bevanda ghiacciata, sfiorano le mie come a darmi un educato benvenuto.
Poi, rigido come una colonna di granito, mi afferra sicuro i fianchi e mi trae a sé con decisione, baciandomi appassionatamente, mentre io avvinghio entrambe le braccia al suo collo ed una sua mano si stringe salda dietro al mio.
Rispondo infilando la lingua nella sua bocca, assaggiandolo: è come assaporare liquore, dolce e dai toni resinosi, come fosse fatto fermentare in botti di legno di pino affumicato. Roteo il mio muscolo per non perdermi nessuna sfumatura gustativa, vengo punto dai suoi denti che si ritraggono per ammorbidirmi con la lingua abile e rasposa. Le sue mani sono forti come morse di ferro, ma non mi fanno male, percepisco solo la loro potenza mentre mi palpano ovunque. Il costato, la schiena sotto il cardigan, tirano gli elastici del mio perizoma, seguono i bordi fino al gluteo che viene strizzato caparbiamente, la coscia libera dal latex viene agguantata e mi abbandono alla sua passione.
Con una premessa del genere mi chiedo di cosa sia capace quest’uomo in un ambiente più intimo e tranquillo. Come se mi avesse letto nel pensiero, mi sussurra all’orecchio in tono risoluto ma voluttuoso:

- Ti andrebbe di abbandonare questo luogo affollato, bella creatura? Casa mia è vicina, possiamo trasferirci lì… –

La voce rassicurante, la terminologia non casuale, le mani che non lasciano il mio fianco ed il mio collo, come se la sua domanda potesse ottenere una ed una sola risposta:

- Dammi dieci minuti… - lo bacio ancora una volta e mi allontano.

Questa volta non permetto a nessuno di interrompere il mio cammino spedito, rientro nuovamente in camerino, mi cambio tralasciando l’intimo e lancio tutto il resto nel borsone, esco di nuova in sala e vado a cercare Lucio per avvertirlo che me ne vado.
Lo trovo vicino al bar mentre parlotta con Sara Banda ed altri ragazzi; ottimo, farò più in fretta. Gli spiego che anticiperei di un’oretta la mia uscita per “irrimandabili impegni notturni” e lo ringrazio per avermi permesso di esibirmi. Saluto con un bacio sulla guancia Marco che mi sussurra un ironico “troia” nell’orecchio. Mi allontano sogghignando con un cenno divertito della mano.
Indosso veloce il cappotto e nel tempo concordato raggiungo il mio esotico nuovo amico che, nel frattempo, non si è spostato di un millimetro. Mi afferra una mano e m’invita verso l’uscita.
Percorriamo il corridoio di specchi, qualcosa di strano attira il mio sguardo nel riflesso, ma poi mi accorgo che mi sono scordato di sfilare il collare e l’arrivo all’uscita mi distrae.
Saluto un arcigno Gianlu che osserva Iván come fosse pericoloso, forse da “maschio rivale” sperava in uno dei nostri post-serata, ci apre il portone e di corsa ci fiondiamo nella notte, scura ed umida, ma senza pioggia.

(Continua)
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