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STORIA DI UNA SIRENA 1 - Le fondamenta ed i primi impulsi


di Syren
21.02.2022    |    7.043    |    31 9.4
"Mia nonna Rosa (forse un po’ strega) diceva sempre che il mare scorreva nelle mie vene, che parte della mia anima era legata a quelle profondità scure..."
Una breve premessa prima di iniziare.
A seguire non vi sarà un racconto inventato, un “racconto libero”, ma la mia realtà. Ciò che è stata la prima parte della mia vita finora.
Sono tanti anni che rifletto su questo progetto e ho sempre percepito una spinta a scrivere, in particolar modo del mio vissuto. Una sorta di diario non più segreto e reso pubblico… O forse, è meglio definirlo uno scritto autobiografico.
Sono cresciuto in una famiglia in cui gli armadi contenevano più libri che vestiti; un nido di carta e parole in cui si potevano vivere storie altrui. Il mondo proseguiva con i suoi problemi, ma fra quelle pagine ci si poteva perdere.
Le epopee familiari nei romanzi di Isabel Allende mi hanno fatto innamorare in età adolescenziale di certi concetti, dettagli e sfumature dell’animo umano che tutt’ora ritrovo nei miei ragionamenti da adulto.
Allo stesso modo i miei genitori ed i miei nonni mi hanno educato al concetto di “memoria”: essa può diventare un contraccettivo agli errori futuri, uno strumento di conoscenza e salvezza per l’avvenire.
L’anzianità è lo scrigno di innumerevoli memorie e per questo va rispettata.
I ricordi sono anche ciò che ci definisce e ci aiuta ad accedere maggiormente al nostro Io interiore, se siamo in grado di scavare a fondo.

Per tanto quello che seguirà d’ora in poi saranno le mie memorie.
Qualcuno potrebbe accusarmi di autocelebrazione ed egocentrismo... e molto probabilmente avrebbe ragione; ma ho sempre ritenuto che l’egoismo fosse il peggior difetto.
Non dovete comunque angustiarvi oltre, so perfettamente dove sto scrivendo e cosa cerca un lettore qui, sicché lasciatemi rassicurarvi sulla tematica principale di questa biografia: il sesso.
La sessualità è sempre stata cardinale nella mia vita, ha plasmato il mio essere e mi ha condotto ad approcciarmi alla fisicità, individuale e sociale, già in tenera età. Penso al sesso sette giorni su sette, quasi tutto il giorno…tenendo conto che spesso, dormendo, faccio sogni di carattere erotico.
Non essendo mai stato un individuo riservato, timido o trattenuto, ho sempre parlato apertamente della mia vita privata e dei miei incontri di “ginnastica alternativa”. Questo ha causato spesso scandalo, critica, ma anche moltissima curiosità. I miei interlocutori, dopo innumerevoli domande (a cui ho sempre risposto sinceramente) mi hanno consigliato in diverse occasioni di raccontare delle mie esperienze. Magari scrivendo un libro… da veder poi messo in bella mostra nel settore “Letteratura erotica” di qualche libreria.
Quindi, cari lettori, ecco ciò che vi è di più simile a quel libro.
Scriverò a puntate, alternando un altro genere di racconti, di cui avete già avuto un assaggio.
Potrete digitare commenti di fuoco, giudicarmi, insultarmi, credermi o darmi del bugiardo, idolatrarmi o invidiarmi, sparlare di me… ma proseguirò ugualmente con il mio scrivere. Fino a quando ne sentirò il bisogno.
Benvenuti e buona lettura!

P.S. Questa prima parte non presenterà scene di sesso esplicite per una pura questione cronologica, in quanto descrive i primi anni della mia vita fino all’adolescenza ed è introduttiva a quello che verrà in seguito. Spero possiate comunque trovarne un qualche tipo di diletto.

STORIA DI UNA SIRENA
- Le fondamenta ed i primi impulsi -

Mi chiamo Tommaso, Tommy per la maggior parte dei miei conoscenti, e sono nato 32 anni fa nella Sardegna campidanese durante un caldo pomeriggio di primavera.
La stagione delle impollinazioni, del risveglio della natura e degli ormoni. Il periodo in cui abbandoniamo i pesanti vestiti invernali per giocare a mostrare qualche striscia di pelle in più: il collo nudo libero dalla sciarpa, una maglietta scollata sotto il cappotto leggero, le caviglie scoperte…
Il periodo in cui animali ed umani entrano in calore e cercano l’accoppiamento non più per riscaldarsi solamente, ma perché i loro istinti lo bramano.
Forse questi impulsi stagionali hanno diretto il mio destino in fatto di attrazione ed esaltazione di unione fra corpi.
Sono sempre stato un bimbetto affettuoso, fisico e in perenne ricerca del contatto con altri. Ovviamente non c’era nulla di sessualmente macabro in quei comportamenti, ma ritengo che iniziarono a posare le fondamenta di ciò in cui mi sarei trasformato.
Dopo i primi 5 anni protetto dal nucleo familiare, mi fu subito chiaro che non rientravo nella conformazione sociale dell’epoca per il sesso biologico assegnatomi da Madre Natura.
I canoni in cui la società voleva relegarmi non mi appartenevano: se i miei coetanei maschi giocavano con le macchine elettriche o i soldatini in plastica, io preferivo dedicarmi alle Barbie di mia sorella ed ai loro sgargianti vestitini. Se si riunivano fra loro per giocare a pallone, io raggiungevo il gruppo delle femmine; non perché provassi un qualche senso sopito di attrazione nei loro confronti, ma piuttosto un’affinità. Avevamo interessi simili.
Con le bambine potevo giocare al personaggio che più mi rappresentasse: un eccentrico mago (prima di Harry Potter), una potente Regina o una sinuosa sirena.
Vivevo in un limbo in cui non possedevo ancora un’identità precisa e tutto poteva piacermi ed attrarmi. Dal rotolarmi impudicamente a terra senza preoccupazioni di polvere e fango al fingere di indossare una principesca gonna di seta da sorreggere con i ditini per non inciampare lungo le scale; dall’arrampicarmi su un albero con una spada finta colorata in mano, urlando come un ossesso, all’imitare le pose plastiche di Sailor Moon solamente perché indossavo una casacca alla marinara.
Nella maggior parte dei casi, la mia innocenza mi permetteva di evitare ancora le frecciatine ed i commenti sul mio comportamento o sul mio aspetto. All’epoca la mia voce era molto acuta, non trattenevo le mie urla o le mie risate, perché fino allora nessuno mi aveva mai fatto sentire sbagliato.

Mi reputo veramente fortunato per essere il figlio dei miei genitori poiché non hanno mai cercato di reprimere la mia esuberanza e sono sempre stato incalzato ad esprimere le mie emozioni appieno, a non trattenere le lacrime per esempio, a manifestare i miei affetti e le mie vulnerabilità.
Sono l’ultimo di tre figli. Alessandro, mio fratello maggiore, l’emblema “perfetto” del primo erede: etero, affascinante, virile, cazzuto. Fin da bimbo, portatore di ossa grandi (non solo quelle in futuro…), capello sbarazzino, faccia da furbetto, scalmanato (fin troppo), leader trascinante già nella prima cerchia di amichetti e, a seguire, fin dopo la carriera scolastica. Darà qualche problema ai miei genitori quando, anche lui, svilupperà gli ormoni e avrà capito cosa farsene. Perché sarà un innato infrangi-cuori (non solo quelli), ma essendo le donne le sue vittime, avrà comunque trovato la sua collocazione accettabile in questo mondo.
Patrizia, la mia bellissima e amatissima sorella, la femminilità sarda incarnata: pelle olivastra, capelli spessi e scuri, ciglia lunghe capaci di fulminare sul posto qualsiasi uomo, seno proporzionalmente adatto a distrarre dai suoi occhi e l’abbondanza carnale tipica delle donne isolane che non ha nulla da invidiare alle silhouette secche da rivista di moda. Gli anziani della famiglia avranno paura per lei per tutta la sua adolescenza, paventando orde di maschi allupati sotto la finestra di camera sua, imbambolati sotto l’incantesimo delle sue ciglia e delle sue tette. Ma si dimostrerà la migliore di noi, sempre con la testa sulle spalle, diligente, senza “grilli per la testa” e con un quadretto familiare da manuale nel futuro.
E poi sono nato io: capitato un po’ per caso (si vocifera concepito dopo una notte di bagordi danzerecci e particolarmente alcolici…) e, forse proprio per questo, amatissimo e coccolatissimo. Come anticipavo prima, non fui mai obbligato a nascondere alcun lato della mia personalità, ma non riuscivo a trovare la mia collocazione, al contrario dei miei predecessori. Bloccato nel mezzo tra i due estremi sessuali dei miei fratelli, non riuscivo a scegliere a quale ambire: la virilità di Ale o la femminilità di Pat?
Per quanto il sesso fosse un argomento tabù quando eravamo piccoli, mi furono insegnate le differenze biologiche fra noi tre e, ovviamente, a quale gruppo io appartenessi.
In contrasto, la nudità tra noi familiari era considerata naturale e, a parte i segreti del ciclo delle donne di casa, non era un motivo d’imbarazzo o un momento di vita quotidiana da nascondere. Cosicché ero abituato a vedere la crescita di un corpo maschile avanti di 12 anni, come quello di mio fratello e, di riflesso, quello maturo di mio padre Costantinu (chiamato fortunatamente Costa). Mi chiedevo di continuo se anche a me sarebbe cresciuto così tanto il pisello, se sarebbero spuntati anche a me quei peli scuri sotto le ascelle, se i piedi mi avrebbero puzzato così tanto dopo una partita di calcio (a cui comunque non avrei mai giocato nemmeno sotto tortura…) e se anche la mia voce sarebbe diventata profonda e gutturale una volta che il mio pomo d’Adamo si fosse sviluppato.
Loro due erano il mio esempio fisico a cui anelare e questo non mi creava disordine mentale: ero un maschietto, avevo quel cosino fra le gambe come loro, condividevamo il medesimo DNA, sarei diventato come loro. Ma era tutto il contorno a spaventarmi: io non mi ci vedevo a comportarmi allo stesso modo, ad avere gli stessi interessi e non mi reputavo all’altezza delle aspettative che avevano posto prima di me.
Quando guardavano la partita di calcio in TV mi chiedevo sempre perché esultassero così forte per una palla in rete; perché dovessero sempre darsi forti pacche sulla schiena e fare a gara a chi stringeva più forte la mano quando incontravano amici e conoscenti, perché si voltassero con smorfie ridanciane quando una donna dalle gambe lunghe attraversava la strada (senza soffermarsi sulle quelle magnifiche scarpe con il tacco a spillo, ma su altro a me sconosciuto)…
Mi sentivo simile a loro, ma estraneo ai loro atteggiamenti, ai loro desideri, alle loro battute in compagnia.
Mia madre Maura, invece, assecondava il mio status di ambiguità facendomi indossare per esempio (non ne ho mai compreso il motivo) quei calzini inamidati traforati che parevano centrini e le scarpine Polacchine con i due buchi sulla punta, molto in voga nella moda infantile dei fulgidi anni ’90 e dalla dubbia attribuzione d’identità di genere. So che mio fratello si era sempre profondamente rifiutato di usare tali accessori e, forse, lei tentava di riprovarci con me per non farli andare sprecati. Non la delusi.
Era una donna dal carattere predominante e coinvolgente, insegnante, accanita lettrice dalla lingua lunga, iper affettuosa e una femminista convinta in gioventù. Crebbi con l’ideale della donna indipendente, libera dalle castrazioni misogine della società patriarcale (quando ancora non si usava questo termine) e dalla potente voce.
Potente come quelle che mi faceva ascoltare in ripetizione dal mangianastri Fisherprice: Whitney Houston, Tina Turner, Mariah Carey ed i nostrani Matia Bazar. Diciamo future icone poco “etero”… difatti, tutt’ora, la prendo in giro canzonandola che è colpa sua se sono così.
Mio padre, dal canto suo, uomo vero fatto di terra e sassi (aveva ed ha un’azienda agricola partita da un campo), ha tentato, finché le sue conoscenze della vita glielo hanno permesso, di sostenere quest’ultimo figlio fuori dall’ordinario che gli era uscito dai lombi. Molto orso, fisico negli affetti fino a quando mi è cresciuto il primo pelo, ma estremamente premuroso, capace di piccoli gesti tangibili e significativi per dimostrare il suo amore. Faticherà per diversi anni a comprendermi appieno, ma senza mai remarmi palesemente contro. Un compromesso con mia madre.

Imparai l’anatomia umana praticando nuoto in piscina. Rispetto all’ambiente della spiaggia, dove entrambi i sessi si mescolavano in un tripudio di lycra colorata e mi facevo distrarre dai giochi, negli spogliatoi potevo approfondire i miei studi e specializzarmi nella fisicità maschile.
Rimasi subito affascinato dall’infinita possibilità di forme che il corpo di un uomo potesse avere: tondo e gonfio, atletico e squadrato, sottile e allungato, burroso e pieno di pieghe, liscio come la seta o peloso come un tappeto. E allo stesso modo mi era facile comprendere i vari aspetti che un pene potesse assumere.
Inizialmente, basandomi sulle appendici maschili che gironzolavano a casa, credevo che tutti fossimo uguali. Anche lì mi si aprì un mondo: ero affascinato da questa proboscide carnosa fra le gambe; credo fossi stupito di quanta materia fosse necessaria solo per poter fare pipì. Dovetti aspettare la spiegazione di mia madre, la famosa storiella delle api e dei fiori, per comprendere che il pene, oltre a far uscire l’acqua gialla, poteva impiantare dei semini nella fessura delle femmine e aiutare a creare un bambino dopo un certo tempo di cottura. Quindi da grande, anch’io avrei dovuto infilare il mio pisellino nella farfallina di una femmina?...Devo proprio?...
Sempre lei mi diede una molto sbrigativa spiegazione del corpo cavernoso in questione quando tutto il sangue confluiva in esso: l’erezione.
Durante una vacanza in Croazia con la famiglia intera, vicino ad una spaggia nudista, tra le frasche di un canneto in lontananza, notai un uomo in palese stato di eccitazione. Il pene era completamente eretto all’insù, tosto e ricoperto da una fitta ragnatela di vene; rimasi imbambolato e colpito da quel nuovo status che non avevo mai visto prima in un’appendice maschile.
Chiesi spiegazioni in merito a cosa potesse mai avere quell’uomo e Maura, rossa in viso, rispose frettolosamente:

- È felice…-

Ringrazio quindi la mia mamma per la più importante lezione di vita appresa: la felicità di un uomo passa dal suo membro.

Amavo nuotare: al mare potevo rimanere a mollo per ore, fino a colorarmi di viola le labbra e trasformare i miei polpastrelli come quelli di un anziano. Con maschera e boccaglio rimanevo incantato ad osservare quel mondo alternativo al mio, popolato da creature così differenti, piante così diverse da quelle sulla terra e colori ed ombre così misteriosi che potevano scatenare la paura da un momento all’altro. Usando invece solo la maschera, trattenendo il fiato finchè potevo, giocavo ad essere una di quelle creature marine e piroettavo nell’acqua più alta come se stessi volando. Senza alcuna preoccupazione.
Mia nonna Rosa (forse un po’ strega) diceva sempre che il mare scorreva nelle mie vene, che parte della mia anima era legata a quelle profondità scure. Ero il nipotino più amorevole secondo lei, anche se estremamente ciarliero; dove mi metteva, io rimanevo, ma se volevo raggiungere un luogo e mi veniva impedito, io trovavo comunque la mia strada; se mi lasciava solo a giocare, sapevo sempre come arrangiarmi.

- Tu sei come l’acqua, cucciolo mio. Ti sai adattare e ti scaverai sempre una via. – mi spiegava con voce profetica, senza che in realtà comprendessi appieno le sue parole.

I miei genitori, grandi lavoratori, avevano sempre obbligato tutti e tre i figli a trovarsi delle attività extra scolastiche; un po’ per essere sicuri che, nonostante i loro impegni, noi avessimo qualche distrazione, un po’ perché volevano indirizzarci verso una passione personale. Grande motore nella vita di tutti i membri della nostra famiglia.
Con me e mio fratello fu facile: a me la piscina e a lui gli allenamenti di calcio. Mia sorella Pat, invece, meno avvezza all’attività sportiva, faticava a trovare uno sfogo adatto alla sua personalità. Ne provò tanti, ma tutti la annoiavano dopo un po’: nuoto, pallavolo, judo, danza…
Quest’ultima, in particolar modo, le procurò diversi fastidi e tutta la famiglia dovette insistere parecchio perché lei durasse più di un mese; me compreso, infatti la accompagnai per sostenerla in qualche modo. Non l’avessi mai fatto…
Alla vista di tutte quelle bimbette in tutine celesti che sgambettavano con grazia, rimasi folgorato. Quasi innamorato. Non certo per le ballerine, ma per il ballo in sé.
Volevo assolutamente imparare anch’io a tentare di librarmi in aria senza avere le ali, muovere le mani come fossero tutte delle fate intente a compiere magie, incrociare i piedini in modo coordinato per creare disegni sul pavimento.
Iniziai così una delle mie prime famose campagne rivoluzionare di convinzione verso i miei genitori: volevo ballare! Per quanto fossero una coppia “moderna” e, per l’epoca, avversa all’omologazione, avevano comunque dei pregiudizi atavici impiantati dalla generazione precedente: la danza è per le femminucce.
Urlai per settimane, feci il broncio per interi pasti a tavola, mi rifiutai di indossare ancora una volta soltanto una cuffia ed un costume; avevo 9 anni e avevo capito (inconsciamente) che ballare avrebbe contribuito a completare il mio essere diviso a metà.
Come mia nonna aveva predetto, trovai la mia via alla fine e, sicuramente per sfinimento, i miei genitori accettarono di iscrivermi.
Ero in estasi e mi feci in quattro per poter collimare tutti i miei impegni, tra la scuola, il nuoto ed ora, finalmente, un’attività che mi avrebbe permesso di esprimere appieno certe sfumature di me. Ero l’unico maschietto della sezione. A quei tempi, un bambino o un ragazzo rischiavano veramente grosso a voler intraprendere l’arte del ballerino. Le masse li avrebbero subito bollati come “effeminati”, in quanto incapaci di scegliere uno sport più fisico e brutale. Senza sapere che fare stretching per elasticizzare le giunture ed i fasci muscolari può essere estremamente faticoso e che, alla lunga, il ballo può far sviluppare una virilissima muscolatura.
Potevo ancora permettermi di fingere di non sentire i risolini dei genitori e delle bambine più perfide quando arrivavo zompettando nella mia tutina celeste e nera, ma gli applausi e le urla d’incoraggiamento della mia famiglia al mio primo saggio, ripagarono tutte le negatività incontrate.
La danza mi permise di lasciar libere quelle movenze finora ad allora trattenute perché troppo aggraziate per il mio genere biologico. Per quanto fossi stato un bambino sempre in movimento, ero sempre rimasto fermo, pietrificato, incastrato da qualcosa che mi veniva imposto. Ballare mi fece scattare come un elastico: divenni più agile, più slanciato, ampliai l’apertura dei miei gesti e dei miei passi. La muscolatura che stava lentamente sviluppandosi parlava di mascolinità, la grazia che stavo acquisendo, di femminilità.

Crebbi in questo ambiente protetto per diversi anni, sereno e spensierato, ignorante ancora del meschino e crudele mondo al di fuori della mia bolla.
L’incubo iniziò dopo l’innocenza delle scuole elementari e l’arrivo della brutalità delle medie: lì mi etichettarono come “diverso” da subito. Non potevo più far passare inosservate le mie non- conformità, i coetanei maschi erano già avviati sulla retta via che era stata loro assegnata e la percorrevano con sicurezza e maestria (fingendo sicuramente, perché nessun adolescente è sicuro di sé). Mentre io arrancavo per scoprirmi e darmi una definizione, dopo che la realtà mi aveva sbattuto in faccia che non avrei mai avuto quello che avevano gli altri. E forse non lo avrei nemmeno mai voluto.
I complimenti più gentili erano “frocetto”, “ricchione di merda”, “succhiacazzi”, “femminella”, “caghinu”… diventarono presto il nuovo chiacchiericcio quotidiano che accompagnava le mie spalle.
In cuor mio sapevo che c’era un fondo di verità in questi termini, ma rifiutavo ancora di accettarlo. Per di più non avevo mai succhiato un cazzo…ancora…
Ironicamente l’onda ormonale si abbatté su di me proprio in quel periodo: il primo pelo sul pube, un vago abbassamento del tono di voce (ma non comunque conforme a quello che ci si aspettava da un portatore di cromosomi XY), i primi odori pungenti della nuova pelle che avvolgeva il mio corpo, l’allungamento predetto dell’appendice tra le gambe che ora potevo chiamare “cazzo”, una crescita esponenziale mensile in altezza (che non aiutava comunque ad impormi sugli altri) ed, ovviamente, i primi impulsi.
La voglia sessuale mi colpì violenta come una mazzata sulla nuca. Passai dall’emozionarmi se la strega Amelia riusciva a rubare la N°1 a Zio Paperone al cercare spasmodicamente, come un piccolo maniaco, le pubblicità d’intimo per uomo.
L’immagine di un uomo in boxer (per altro bruttissimi e antiestetici) era capace di farmi venire un’erezione da 0 a 100 in pochissimi millesimi di secondo. Fantasticavo cosa mai potessero nascondere quei gonfiori appena accennati e, all’epoca, quegli sguardi vacui e spaesati erano il massimo dell’occhiata sexy che un maschio potesse mai rivolgermi.
In quel periodo ammetto che l’estetica non m’importava minimamente e non intaccava ancora il mio giudizio. Sostanzialmente: “bastava che respirasse”.
L’importante che il soggetto del mio osservare e, quindi, del mio desiderio, avesse connotati palesemente maschili… non guardavo né forma, né colore, né tantomeno età. Riuscivo a trovare un dettaglio stimolante in ognuno e la vergogna mi colpiva raramente, anche se pensavo a qualcuno di poco appropriato (come mio cugino Giuseppe per esempio).
Persino gli stessi bulli che martoriavano le mie giornate d’insulti e sbeffeggi pubblici scatenavano fantasie variopinte nella mia testa. Durante le lezioni più noiose mi distraevo facilmente e passavo in rassegna tutti gli esponenti non-femminili della classe dando voti in base alla “prestazione sessuale” immaginifica che mi offrivano. A Fabiano 8 perché ha dei begli occhi azzurri quando mi bacia nell’aula d’arte, a Simone 7 perché si è abbassato i pantaloni apposta in bagno per farmi vedere il cazzo, a Riccardo 8 e mezzo perché mi ha invitato a casa sua a spararci un segone sul divano…
Non vi specifico quale votazione regalai ad Alberto quando, nella realtà, negli spogliatoi della palestra, pensando di deridermi, mi fece annusare la mano con cui si era appena ravanato le palle sudate dopo ginnastica e virilmente affermò:

– Senti che odore di uccello!-

La figura femminile non era stata nemmeno presa in considerazione come oggetto sessuale o anche solo per stimolare la mia fantasia. Al massimo, vedendo gli esempi in famiglia, potevo ambire ad avere un trasporto pseudo-romantico per le mie coetanee …ma era l’uomo, il Maschio, che mi faceva ribollire il sangue e, confluendo nelle mie parti basse, provocarmi incontrollabili e potenti erezioni.
Mi masturbavo in continuazione, 3 o 4 volte al giorno, quando ero annoiato potevo raggiungere anche la sesta…quando iniziava ad essere quasi dolorosa e piuttosto asciutta.
Non ricordo una sega senza eiaculazione in tutta la mia infanzia e da subito rimasi estremamente compiaciuto di questo umido fenomeno: lo schizzo improvviso e l’odore intenso (pieno ed avvolgente, come nient’altro annusato fin’ora) mi regalavano una grande soddisfazione. Dopo qualche esperimento, anche un altro senso fu messo alla prova in merito; assaggiai il mio stesso sperma e scoprii che ne traevo un qualche tipo di diletto, e da lì, il passo fu breve ad immaginare come potesse essere quello degli altri maschi.
Anche il più piccolo dettaglio poteva scatenare l’impulso sfrenato a stringermi il cazzo nella mano e segarmi compulsivamente fino a infradicarmi.
Un braccio maschile alzato che mostrava un’ascella pelosa, un uomo che si asciugava il sudore dalla fronte con il dorso della mano, un pacco che sballonzolava allegro nella tuta durante l’ora di ginnastica, l’odore di urina nei bagni pubblici, gli amici di mio fratello che rientravano adrenalici dopo un allenamento di calcio, una pacca sul culo da parte di mio cugino accompagnato dal suo consueto saluto “ciao frocetto”, la scarpe da ginnastica e le calze di spugna abbandonate sugli scogli da qualcuno che si era tuffato in mare, la lingua di un ragazzo che scattava dalle labbra per asciugarsi una goccia sfuggita dal gelato che stava leccando…le possibilità erano infinite ed ugualmente potenti.

Questa mia ossessione per la masturbazione ed il sesso divenne cosa nota ai miei coetanei quando, un giorno, scoprirono un mio disegno erotico malnascosto tra le pagine del mio quaderno di scuola.
Ero sempre stato bravo a disegnare e, in assenza di altro, avevo tentato di procurarmi da solo la materia prima per le mie fantasie erotiche. Mi cimentavo in grossolane rappresentazioni di figure maschili e femminili che si esibivano in complicate posizioni sensuali. Copiavo l’anatomia dell’uomo dai fisici ipertrofici che comparivano nei fumetti di Dragon Ball di mio fratello (quante seghe sui pettorali sudati di Goku e Vegeta) e quella della donna dalle riviste di moda che recuperavo in giro.
Non so bene perché disegnassi corpi nudi femminili e scene di amplessi etero, ma, all’epoca, era l’unica forma di sesso che conoscevo e trovavo le curve abbondanti e sensuali di una donna estremamente piacevoli da mettere su carta.
I miei compagni non tardarono a ridicolizzarmi definendomi un pervertito segaiolo, ma, in qualche modo distorto, accettarono questo mio nuovo lato, forse perché confermava il mio essere “sensibile agli ormoni” proprio come loro. Continuavano a bullizzarmi per le mie movenze ed atteggiamenti, ma vi erano delle brevi pause in cui si creava uno strano rapporto di collaborazione: io ero lasciato in pace dalle angherie e loro potevano avanzare richieste per ottenere materiale artistico erotico per le proprie seghe.
“Fammela rossa con le lentiggini…disegna Carlotta nuda…fammi mentre mi succhia il cazzo…disegna Homer che si scopa Marge…falle le poppe più grosse…falla con la figa aperta mentre si tocca”.
Mi resi conto che era veramente facile placare un bullo delle medie in preda agli ormoni, bastava distrarlo con l’unica cosa che non potesse avere: la donna perfetta ai suoi ordini.
Iniziai ad avere così una strana compagnia di amicizie maschili formata da qualche compagno di scuola, ragazzini del quartiere e conoscenti di amici. Quartu Sant’Elena ed i paesi attorno non erano molto grandi e, in qualche modo, ci si conosceva tutti in qualche maniera.
Erano rapporti assolutamente non basati su emotività, affetti e reciproco rispetto, ma erano una curiosa alternativa alle mie solite amiche e, in un certo senso, mi sentivo accettato. Con loro potevo lasciar libero il mio lato più perverso e scurrile, potevo allentare il guinzaglio del “piccolo maniaco” in me e potermi confrontare sui cambiamenti fisici che il mio corpo stava intraprendendo.
Scoprii così che ognuno di noi aveva una tecnica prediletta per la masturbazione, ogni cazzo aveva la sua sensibilità, ogni coppia di testicoli aveva la sua quantità di sperma da immagazzinare e, naturalmente, ognuno di noi aveva le sue fantasie. Le mie continuavano a rimanere segrete e, con capacità attoriali degne di un Oscar, mi esibivo in racconti farlocchi sulle donne inventate che avrebbero popolato i miei sogni…se solo mi fossero piaciute.
Si apprese insieme anche la grande invenzione dell’umanità: la pornografia. Foto, giornaletti, videocassette e l’allettante mondo del Web, colmo delle sue infinite possibilità, pronto a soddisfare ogni fantasia di noi piccoli depravati.
Con l’unico computer disponibile in casa all’epoca mi si aprì un universo intero. Agli orari notturni più improbabili, quando tutta la mia famiglia dormiva, scendevo le scale, silenzioso come un gatto, chiudevo tutte le porte disponibili per nascondere le luci ed i suoni del primo modem degli anni 2000 e davo sfogo alla mia adolescenza. Se ero fortunato, quando rimanevo solo in casa durante le ore diurne, mi sentivo ancora più autorizzato ad usufruire di questo servizio non pagato da me.

Scoprii così il sesso fra uomini, la penetrazione e la stimolazione anale, le orge, le posizioni del Kamasutra, mi furono più chiari termini come “frenulo”, “pompino” e “gay”.
Quest’ultima parola capii indicasse l’orientamento sessuale di una persona maschile che era attratta, fisicamente ed emotivamente, dalle persone del suo stesso genere biologico.
Fu un fulmine a ciel sereno, per la prima volta in 12 anni potevo dare nome ad una pulsione che provavo da sempre, potevo finalmente definire un concetto che rimbombava nel mio animo, ma a cui non avevo mai saputo affibbiare un’etichetta chiara e precisa.
Cercai e trovai anche altre parole: omosessualità, attivo e passivo, sodomia e peccato, persecuzione, marcia del Pride, assenza di diritti, luoghi di battuage, coming out…
Mi sentivo placato in una piccola percentuale, ma allo stesso tempo terrorizzato, perché mi fu ancora più chiaro che, agli occhi del resto del mondo, dei miei amici maschi e della mia famiglia io ero in errore. Avevo un difetto di fabbricazione. Ero differente da tutti loro, perché qualcuno aveva deciso che l’unico modo per fare sesso, innamorarsi e avere una famiglia era esclusivamente tra uomo e donna. E a me, le donne proprio non attiravano.
Questa presa di coscienza fu inizialmente un duro colpo perché mi fece sentire ancora più emarginato, solo e senza possibilità di confronto. Il continuo paragonarmi agli altri mi denigrava più di qualsiasi insulto ricevuto.
Il vampare dell’eccitazione, la frenesia ormonale ed il desiderio si spegnevano dopo aver raggiunto l’orgasmo. Ed un forte senso di colpa mi assaliva.
Negli anni successivi attraversai un amplissimo ventaglio di emozioni, un continuo sali e scendi sulla giostra dell’umore. Potevo ridere a crepapelle in mezzo ad una festa di compleanno e poi piangere silenziosamente con la testa sotto il cuscino nel segreto della mia camera. Parlare a mia mamma durante la colazione di quando avrei avuto una casa tutta mia, con una moglie, tre figli ed un alano, per poi fantasticare, con la fronte appoggiata al vetro del bus verso la scuola, di un bel ragazzo dagli occhi blu che mi portava a Mari Pintau sul suo motorino mentre gli cingevo la vita con le mie braccia. Urlare offeso verso un coetaneo che mi chiamava “finocchio” e la sera stessa masturbarmi sognando che lui stesso mi chiamasse allo stesso modo mentre mi penetrava a pecora negli spogliatoi della palestra.
Fu un periodo sconnesso dalla realtà di cui, tutt’ora, ho ricordi frammentati che sono riuscito a recuperare dopo anni di accettazione, viaggi profondi in me stesso e capacità di amarsi per come si è.

Ma gay significa anche “felice” e nonostante i patemi che la fase puberale comporta, ho avuto attimi di euforia e piccanti momenti di puro erotismo.
Con il gruppo dei maschietti, soprattutto in primavera ed estate, si era spesso in giro in bicicletta a fuggire dai compiti e dalle mamme apprensive.
Sembra quasi che tutti gli adolescenti debbano sperimentare almeno una volta nella vita un momento alla “Goonies”.
Durante queste scorribande era d’obbligo allontanarsi il più possibile dallo sguardo degli adulti, pedalando su strade sterrate, arrampicarsi per sdrucciolevoli scogliere e rifugiarsi in vecchi casolari abbandonati. Il mio gruppo ne aveva trovato uno nel mezzo della campagna cagliaritana, distante da percorsi trafficati, e lo aveva reso la nostra segretissima fortezza della perversione.
Qui l’adolescente medio poteva dare sfogo a tutta la sua mascolinità: spaccare bottiglie di vetro, abbattere a bastonate muri pericolanti, picchiarsi per il puro gusto della competizione fisica e dare sfoggio di tutto il proprio vocabolario di volgarità e oscenità senza filtri.
Io ero sempre titubante in questi momenti e preferivo non essere mai protagonista in prima fila, ma piuttosto un caloroso incitatore o una ragguardevole vedetta. Saranno i primi e gli ultimi anni in cui il mio esibizionismo ed il mio desiderio di essere al centro dell’attenzione verranno repressi.
In qualche occasione speciale, se un fortunato fra noi la recuperava nell’immondizia o riusciva a rubarla da un fratello più grande, poteva comparire una rivista porno (di carattere etero ovviamente). In quei momenti l’intero gruppo si animava e faticava a trattenere gli istinti.
Non so più chi, la prima volta, ebbe la peccaminosa idea di usufruire insieme del bottino e masturbarsi in compagnia: la famosa sega di gruppo.
Un misto di terrore e tentazione iniziò a serpeggiare fra noi. Un conto era girare nudi nelle docce per goliardia, un altro era mostrare la propria dotazione al massimo della sua efficienza. Ma, anche questo, faceva parte del processo di affiliazione all’interno di un branco di maschi e, quindi, nolenti o volenti, bisognava partecipare.
Eravamo 5 o 6 e lentamente iniziammo a calarci le braghe e le mutande. Con sommo sollievo non ero quello con la materia prima più risicata, anzi, ci fu uno strano chiacchiericcio sul contrasto tra il mio essere “effeminato” e l’abbondanza della mia carne maschia (grazie papà!).
Dopo qualche battibecco sul come affrontare la questione pratica dello sfruttare un’unica fonte visiva di piacere e mantenere una dovuta ed eterosessualissima distanza fra noi, prendemmo posto e iniziammo a toccarci singolarmente.
Io mi trovavo, in quanto elemento secondario del gruppo, troppo distante dal giornaletto perché potessi anche solo godere (segretamente) dei dettagli dei modelli maschili presenti nelle foto.
Ma avevo decisamente di meglio (almeno per un tredicenne arrapato) davanti agli occhi che potesse stimolare la mia fantasia: nemmeno nella più sordida immaginazione avrei sperato che tutti i miei amici potessero spogliarsi davanti a me ed esibirsi in silenziosi lavori manuali dei loro piselli pemettendomi di studiarli con tutta tranquillità.
Mentre tutti si concentravano sulle tette o le grandi labbra della donna nella rivista, il mio sguardo scorreva avido fra loro e si gustava i movimenti delle loro mani e l’alzarsi sempre più evidente dei loro membri, i loro visi concentrati e i loro gemiti trattenuti.
Con così troppi stimoli a disposizione fui tra i primi a raggiungere l’orgasmo, trattenendo il più possibile l’acutezza della mia voce appagata, ma anche quello con l’effetto speciale più spettacolare. Forse perché per la prima volta osservavo l’esito di una masturbazione al di fuori del mio.
Questo ridimensionò di un poco la mia figura all’interno del gruppo e distrasse l’attenzione dal mio reale interesse in quegli attimi segreti.
Questa pratica cameratesca si ripresentò in altre occasioni, con partecipanti differenti a volte o in numero più ridotto in altre, ma sembrava che il numero massimo consentito fosse quello originario. Probabilmente, oltre i sei membri, sarebbe stato “troppo gay”.
Divenni sempre più abile nel nascondere la direzione dei miei sguardi, a studiare la manualità con cui ognuno lavorava il suo membro, a protrarre l’orgasmo sempre più a lungo per provare il massimo del piacere quando i miei amici si esibivano nei fuochi d’artificio.

Stavo crescendo, il mio gusto in fatto di desiderio sessuale si stava raffinando e mi guardavo sempre più attorno alla ricerca di miei simili, perché ero certo della loro esistenza. Ormai Internet mi aveva donato gli strumenti per capire che la mia non era una condizione solitaria; fosse stata anche sbagliata e peccaminosa, non ero il solo a patirla. Il piacere che provavo a godere dell’estetica maschile e della sua fisicità cresceva esponenzialmente rispetto al senso di vergogna, paragonando il periodo trascorso.
Mentre alcuni dei miei coetanei iniziavano a relazionarsi fisicamente con l’altro sesso, appiccando la bandierina sulla casella delle prime esperienze, io rimanevo affamato. Bramavo sempre di più, nuove sensazioni, nuovi orizzonti sessuali da raggiungere ed iniziavo a non accontentarmi più di avere solamente il mio corpo a disposizione.
Non potevo assolutamente saperlo, ma si stava avvicinando il momento in cui avrei assaporato nuove pietanze e avrei nuotato in allettanti acque inesplorate.

Alla prossima puntata...
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