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Le tre fasi. [Parte I]


di Tritone61
20.08.2019    |    11.166    |    7 7.6
"» Dicendomi questo, lei mi indicava prima il mio cazzo che duellava con la patta dei pantaloni e poi suo figlio che mi sorrise..."
Tutto era cominciato con una scorsa nei miei consueti siti d’incontri.
Questa con il nickname SignoraBonobo mi aveva incuriosito, anche perché lo pseudonimo contrastava con le foto nelle quali sembrava la classica donna perbenino: occhiali, sorriso aperto e un paio d’immagini che la mostravano abbracciata a due ragazzi, presumibilmente suoi figli, in gita nelle città d’arte o in mezzo alla natura.
Le mandai un messaggio e lei rispose subito. Chiacchierando scoprii che si trattava di una psicologa di una certa fama, addirittura figlia d’arte, visto che sua madre, prima della pensione, era stata a sua volta psicoterapeuta dell’infanzia e aveva pubblicato diversi libri di rilevanza internazionale.
Insomma, un personaggio del genere non poteva non aver scelto in piena consapevolezza quel SignoraBonobo che mi faceva immaginare di tutto, ma di cui non mi sentivo di parlare fino a che non fossimo entrati in confidenza.
E in confidenza ci entrammo già in quella prima conversazione, in cui rimanemmo a chattare fino a notte fonda.
«Sono indiscreto se ti chiedo perché ti sei scelta questo nickname?»
«Certo che no. Tu cosa conosci dei bonobo?»
«Be’, che sono scimmie molto intelligenti, geneticamente le più simili all’uomo e hanno l’abitudine di comunicare tra loro attraverso la sessualità.»
«Allora sai già tutto quel che serve sapere.»
«Tu ti comporti come loro?»
«Per alcune cose sì, è una tradizione di famiglia.»
«Cioè?»
«Parlarne, per giunta in chat, può far nascere troppi equivoci. Se davvero la cosa ti incuriosisce, dovresti provare a frequentarci un po’.»
«Davvero potrei? E come?»
«Vienici a trovare. Questo finesettimana saremo tutti dalla nonna, visto che lei ha la piscina e così possiamo dare inizio all’abbronzatura estiva. Dalla prima impressione mi sembri uno di cui ci si può fidare. E le mie prime impressioni raramente sbagliano.»
«Grazie. Sarete tutti? Tutti chi?»
«Io, mia mamma e i miei due figli, Paolo e Mara. Mio papà non c’è più e mio marito si è eclissato quattro anni fa.»
Così passai i tre giorni successivi con addosso quell’ansia piacevole, come quando senti brulicare sottopelle qualcosa che non riesci a definire.
Finalmente arrivò il sabato mattina e io, in viaggio dalle prime luci dell’alba, ero ormai prossimo alla meta che mi aveva indicato, là sulle boscose colline piemontesi. Per tutta la strada mi ero cautelativamente ripetuto: «Vedrai che essere bonobo per loro significa solamente che amano vivere all’aria aperta e si coccolano un po’.»
Percorsi l’ultimo tratto di strada sterrata e giunsi davanti al cancello della tenuta della nonna, rendendomi conto che si trattava di un luogo isolato, lontano dalla civiltà e dagli uomini.
Suonai e il cancello elettrico si aprì.
Lei mi venne incontro con addosso un costume da bagno intero di colore nero, che evidenziava una corporatura da quarantenne, con due belle tette, i fianchi larghi e un culetto prominente nel cui solco si era infilato il costume. Mi salutò con un abbraccio e mi disse:
«Hai visto che caldo oggi? Vieni di là, che siamo tutti in piscina.»
Arrivato dietro la villa, vidi la prima scena che mi provocò un sobbalzo: erano tutti e tre nudi. La nonna sui sessantacinque dall'aspetto più pingue della figlia, due tette enormi con i capezzoli grandi come sottobicchieri e un gran culone, stava spalmando la crema solare al nipote, il quale, con il suo fisico esile, se ne stava a pancia in su con il cazzo a tiro a gustarsi il servizietto della donna anziana. Lei era molto scrupolosa nell’operazione e non tralasciava nemmeno un centimetro di pelle: gli sollevava le braccia per spalmare le ascelle, gli apriva le gambe per dedicarsi all’inguine, gli maneggiava con cura le palle e gli spostava il cazzetto per passare sul basso ventre. Il corpo del ragazzo era completamente privo di peli, come del resto quello della nonna e della ragazza che lì accanto si stava pettinando i lunghi capelli castani, tra i quali sbucavano le sue tettine con i capezzoli gonfi. Quella scrupolosa depilazione li rendeva decisamente diversi dalle scimmie!
La mia mente era confusa, non sapendo se indignarsi per quel che vedevo oppure accettarlo come un fatto appartenente alla loro normalità. Una normalità, oltretutto, suffragata dalla scienza di cui le due donne erano specialiste. La mente era confusa, sì, ma l’eccitazione non le dava ascolto e cominciava a pervadermi.
Lucrezia, la SignoraBonobo, mi si avvicinò con un bicchierone di tè freddo e, mentre lo sollevavo per sorseggiare, vidi con la coda dell’occhio che provvide a liberarsi anch’essa del costume da bagno, mostrandomi a sua volta nitidamente le labbra della figa e le tette con i capezzoli dall’areola non molto grande, ma sporgenti e turgidi.
«E tu, non ti metti in libertà? Come avrai notato, non hai da sentirti in imbarazzo per le eventuali reazioni lì sotto: da queste parti non sono un problema per nessuno.» Dicendomi questo, lei mi indicava prima il mio cazzo che duellava con la patta dei pantaloni e poi suo figlio che mi sorrise.
«La repressione sessuale è una sovrastruttura che avvilisce la maturazione del corpo e della personalità.» Aggiunse la nonna dal suo posto e, forse per rendermi meglio l’idea di quel che diceva, scappellò fino in fondo il nipote e, a lingua larga, gli percorse il cazzo dalla base fino al meato, schioccandogli un bacetto sulla punta. Poi mi guardò sorniona.
Quindi per questa famiglia l’incesto era un’usanza accettata e praticata, chissà fino a che punto.
Mi spogliai e loro quattro intanto mi guardavano curiosi. Il mio cazzo era quasi a piena erezione, ma gli sguardi erano attratti da altro.
«Mamma, ho vinto la scommessa!» disse Mara.
«È vero, Claudio ha i cespugli di pelo al naturale. Però, se a lui piacciono così…»
La ragazza si alzò, mi si avvicinò, mi fece accomodare sulla sdraio e, con il pettine con cui stava sistemandosi i capelli, cominciò a passarmi il peli del petto, poi mi sollevò le ascelle, poi mi pettinò il pube. Le manovre portavano la sua chioma ad accarezzarmi il torace e l’addome, provocandomi i brividi lungo la schiena.
Con una vocetta giocosamente impostata disse: «Lo sa, signor Claudio, che il nostro servizio tosatura è molto rinomato? E, per lei, persino gratuito. Non vuole proprio approfittarne?»
Come rispondere? Lucrezia aveva detto nelle chat che di me si fidava, perciò non potevo deluderla facendo il ritroso, ben sapendo quanto delicata fosse la situazione che avevano deciso di condividere. Insomma, non potevo proprio sottrarmi al loro gioco: «Ma certo signorina, mi pare giusto adeguarmi nei modi e nell’aspetto alle abitudini della casa.»
Non aspettava altro! Si alzò, mise una mano a trombetta sulla bocca e annunciò: «Operazione tosatura in partenza, tutti ai loro posti!»
In pochi secondi, la nonna arrivò con una bacinella d’acqua e un asciugamano, Paolo con il rasoio e la bomboletta della schiuma, Lucrezia con un flacone di crema e Mara andò a prendere gli occhiali che subito si mise.
Io chiusi gli occhi e mi lasciai andare al gioco, che durò per un tempo indefinibile e del quale ricordo solo delle sensazioni indistinte e confuse, ma tutte deliziose.
La schiuma che mi spalmarono dappertutto, senza che io capissi di chi fossero le mani, il rasoio che delicatamente percorreva la pelle, le mani che mi spostavano, mi aprivano, mi giravano, mi ispezionavano, poi il risciacquo con una spugna e infine la crema emolliente, che arrivò attraverso le loro mani e le loro dita anche nei punti più appartati: nell’inguine, sullo scroto, nell’area tra palle e buco del culo, nel solco delle natiche. Era fino a quel punto tutto giocato sul filo dell’ambiguità tra un’operazione di rasatura piuttosto spigliata e un gioco erotico in piena regola.
Poi, non ci furono più dubbi: due bocche si misero a succhiarmi i capezzoli, una mano cominciò a menarmi il cazzo, un’altra mi accarezzava le palle e due dita ben incremate tentavano di farsi spazio nel mio buco del culo, come per esplorarlo.
Aprii gli occhi e Lucrezia mi disse: «Questo è il tuo premio perché sei stato bravo, senza muoverti e protestare.» Mi sorrise e venne a limonarmi, cercando la mia lingua con la sua e offrendomi un bacio molto bagnato. La stessa cosa fece la nonna, la cui saliva aveva sapore di fragola, poi mi sbausciò altrettanto generosamente Mara e infine, ormai sapevo che sarebbe successo, mi si avvicinò anche Paolo. Mi guardò e mi chiese: «Posso?» Io gli sorrisi e chiusi gli occhi. La sua saliva sapeva di menta e il dado era tratto.
«Che bello vedervi baciare.» Disse Mara. Intanto si era messa una mano sulla fighetta e si trastullava con la punta del dito medio il clitoride, non proprio con l’intenzione di farsi un ditalino, ma per reazione spontanea a quel che vedeva.
Io intanto pensai che, sebbene tutti sembrassero così disinibiti, si erano comunque sorpresi ed eccitati nel vedermi. Perciò anche io avrei potuto avere un ruolo da protagonista in quella situazione, non ero un semplice giocattolo a loro uso e consumo.
Per togliermi ogni dubbio, cominciai ad allungare le mani verso quei corpi dalla pelle liscia e resa scivolosa dalle creme. Accarezzai, strinsi, palpai e impastai tette, culi, braccia, cosce, cazzi, ventri, piedi, capelli, tutto quello che potevo e loro presto seguirono il mio esempio, finché finimmo in un’orgia di pastrugnate di tutti con tutti.
Quando le mani furono sazie, la nonna mi guardò con un sorriso compiaciuto, continuando ad accarezzarmi l’addome e le gambe.
«Questa depilazione non è una faccenda di moda, ma la condizione ottimale per ripercorrere insieme la prima delle tre fasi del piacere: la fase orale.»
«È la mia specialità.» Risposi io che adoro da sempre baciare, leccare e succhiare.
«Sì, l’avevo intuito da come hai risposto poco fa ai nostri baci. Ma adesso conosciamoci meglio.»
Gli altri tre intanto erano andati a cercare un po’ di refrigerio nella piscina, dove se ne stavano a mollo e ogni tanto si soffermavano per osservare quel che stavamo facendo io e la nonna.
«Assaggia la mia saliva.» E me ne fece colare un po’ in bocca. Era tiepida, non troppo densa e, come già sapevo, aveva aroma di fragola.
«Assaggia il mio cerume.» E si scostò i capelli dalle orecchie invitandomi a infilarci la lingua in profondità, fino a coglierne l’amarognolo e sentire l’odore che ricorda quello delle mele.
«Assaggia le mie lacrime.» E spalancò gli occhi vicinissima al mio viso. Erano azzurri con il contorno dell’iride grigio. Io portai la punta della lingua sul meato lacrimale e ne colsi una goccia.
«Assaggia il mio sudore.» E si sollevò le grosse tette, sotto le quali apprezzai il sapore salato dell’umidità che si era formata.
«Assaggia i miei umori.» E con le mani si aprì la figa fino a mostrarmi quell’intrico di labbra, pieghe e creste rese lucide dalla sua esaltazione. Sapeva di mare.
Nonostante io avessi un bel po’ più di anni di Mara, non potei fare a meno di comportarmi come lei: mentre mi dedicavo a questa libagione mi menavo il cazzo, staccandone la mano quando solo mi rendevo conto che la troppa eccitazione mi avrebbe potuto portare all’orgasmo.
«Sei bravo, generoso e senza inibizioni. L’istinto di Lucrezia non ha fallito.»
Io ero orgoglioso come uno scolaretto alla prima pagella di promozione e infoiato come un maiale.
«Sì, ma non credo che abbiamo finito.» Ribattei.
Lei spalancò ancora di più gli occhi, non capii se per stupore o per gioia. Adesso avrei preso in pugno la situazione.
«Ci sono ancora molti sapori da scoprire.» Aggiunsi per spiegare.
Le presi in mano un piede e mi misi a leccarlo. Dapprima feci scorrere la lingua ben aperta sulla pianta, poi passai tra un dito e l’altro e infine mi misi a succhiarne uno per uno, fino a concentrarmi sull’alluce. Lei mugolava.
«Sei fantastico. Se succhi così anche i cazzi, di sicuro dalle tue parti hai la fama di pompinaro.»
«Veramente non l’ho mai fatto.»
«Ah, no? Niente paura, ci pensiamo noi a farti colmare questa lacuna, vedrai. Ma c’è tempo.»
«Sì, c’è tempo. Prima voglio assaggiare un altro tuo liquido.»
Ma cosa avevo detto? La parte di me che stava in ascolto si stupì di questa dichiarazione. Non ero di certo nuovo alla pioggia dorata, ma l’avevo fatto solo con donne con cui intrattenevo un legame molto stretto e consolidato, andando per gradi. Mentre adesso avevo proposto a questa donna, che ovviamente capì al volo a cosa alludessi, di darmi da bere dalla sua vescica.
Sì mise a ridere dalla contentezza, si alzò in piedi, si aprì la figa mettendo in mostra il forellino e da lì cominciò a zampillare il flusso della piscia. Evidentemente l’occasione non fa l’uomo solamente ladro, ma anche porco: aprii la bocca e me la feci scorrere dentro, ingoiandone un po’ e un po’ facendola colare lungo le guance, sul petto, fin giù. Era calda, ma non eccessivamente salata, segno che la nonna aveva bevuto molto dall’ultima minzione. Fui io questa volta a farla sdraiare accanto a me e a baciarla per scambiare ripetutamente di bocca in bocca l’ultimo sorso che avevo trattenuto.
«E noi niente?» disse Mara e con gli altri due si misero intorno. Evidentemente questo gioco li aveva stimolati. Lei divaricò le gambe su di noi, facendo colare il suo rigagnolo di urina lungo la gamba destra e portando poi il piede davanti alle nostre facce, da cui io e la nonna leccammo per scoprire quell’aroma vagamente ammoniacale. Paolo invece si teneva il cazzo come un pennello, con il quale disegnava ghirigori sui nostri corpi. Lucrezia disse con un’aria fintamente affranta: «Mi dispiace, non immaginando questo sviluppo mi sono svuotata prima in piscina. Mi piaceva l’idea di vedere i miei figli sguazzare nella pipì della loro mamma. Però adesso…» e mi fece mettere supino, prendendomi in mano il cazzo, ma senza stringere.
«Dai, forza!» Io contrassi i muscoli pelvici e feci appena in tempo a vedere il getto che partiva dalla mia cappella. Lei me la prese in bocca e cominciò a bere tutto il mio liquido, mentre io la vedevo deglutire e sua madre teneramente le accarezzava i capelli, osservando compiaciuta. Nemmeno una goccia ne andò dispersa.
Nonostante avessi appreso poco prima che la piscina la usavano anche come orinatoio, Paolo decise di detergerci in un altro modo. Srotolò il tubo di irrigazione, aprì l’acqua e ci sottopose tutti a un lavaggio accurato, non potendo fare a meno di posizionarsi ogni tanto il tubo tra le gambe, come a simulare un cazzo iperbolico da cui usciva un getto fortissimo che indirizzava verso i nostri orifizi. Ci chiese di metterci tutti a quattro zampe e puntò il fiotto verso i buchi del culo. Quando fu il mio turno, mi resi conto che lo sfintere anale non ce la faceva a rimanere chiuso: sentii il flusso fresco dell’acqua che iniziava a pervadermi il retto e poi saliva verso la pancia. Le tre donne evidentemente sapevano cosa stava accadendo, perché, stringendo i denti e socchiudendo gli occhi, trattenevano l’acqua nella pancia, inarcandosi come gatte che si stirano.
«Uno, due e tre!» gridò Paolo e contemporaneamente si misero a spingere, spruzzando dall’orifizio posteriore l’acqua che si trascinava anche residui fecali che finivano sul pavimento piastrellato intorno alla piscina. Se lo facevano loro, potevo anche io liberarmi senza problemi della pressione che l’acqua fresca mi provocava nelle viscere. Così feci e lasciai a terra una buona traccia della mia merda. Paolo provvide anche a se stesso e, dopo questo clistere sommario generale, usò coscienziosamente il getto del tubo per lavare il pavimento, disperdendo le nostre deiezioni nella griglia di un tombino. Sebbene fossimo all’aria aperta, un odore inconfondibile che si andava ora attenuando mi sorprese: in quel contesto, con quella gente, anche la merda non era tabù, anzi, il suo lezzo concorreva a renderci ancora più intimi e più eccitati. Cosa mi stava accadendo?
«Adesso siamo puliti fuori e dentro, così non rischiamo di trovare ostacoli.» disse Paolo, che evidentemente aveva in mente quel che doveva ancora succedere.





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