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Il letto bianco


di Membro VIP di Annunci69.it Ele66ele
21.05.2024    |    2.819    |    2 9.0
"Il segno è netto quanto improvviso..."
La serata sembra essere una delle tante.
Sembra, ma stasera c’è qualcosa di diverso.
La stanza è piena, come al solito. Corpi nudi che si muovono nell’ombra.
E’ diversa.
Il faro, l’unica luce nell’ampio salone, è diretto sul letto rotondo di pelle bianca piazzato al centro.
Lei è distesa al centro del letto, nuda come tutti gli altri. La luce la colpisce e sembra quasi che sia la sua pelle candida a tentare di rompere le tenebre.
Gli occhi, le attenzioni di tutti sono per lei.
E’ appoggiata con la schiena su alcuni cuscini, bianchi anch'essi, indifferente al mondo che la circonda.
Alcune figure, uomini e donne, sono sul letto accanto a lei.
Sono vicini, ma nessuno osa sfiorarla.
Le ombre si muovono intorno, in apparenza in modo caotico, in realtà gli occhi e le attenzioni di ognuno sono per lei.
La sala, che di solito adesso sarebbe il luogo di incontri, di amplessi, di ammiccamenti, di inviti, di gemiti sommessi e di urla disperate è diventata un tempio.
E lei, evidente motivo di tutto ciò, dimostra una totale indifferenza al mondo che la circonda.
La regina circondata dai sudditi veneranti che aspettano da lei un segno che non arriva.
Il movimento caotico davanti al letto si interrompe.
Si apre un varco e una figura avanza, lenta, uscendo dall’ombra e dirigendosi verso il letto.
E’ una donna.

La nuova arrivata è nuda, scalza, ma si distingue dagli altri per lo stretto collare di pelle nera a cui è collegata una catena di acciaio lucido che penzola fra i suoi seni terminando in una impugnatura nera a forma di fallo che oscilla all’altezza delle cosce.
La regina, senza rivolgerle lo sguardo, ne ha sentito la presenza.
Con un movimento lento ma deciso della mano ordina agli altri di liberare l’altare di pelle al centro della stanza.
Adesso è sola, davanti all’altra presenza, ferma sul bordo del letto, che continua a tenere lo sguardo basso.
Allunga un piede accarezzandole le cosce e risalendo lungo la pancia, su fino al petto quasi per testare l’eccitazione dei capezzoli dritti come chiodi.
Con il piede arpiona il fallo nero e lo porta a sé.
Lo tiene delicatamente con due dita, avendo cura che tutti possano apprezzare le forme dell’oggetto, e con un movimento lento lo porta alla bocca, alle labbra rosse, aperte e alla lingua che lo percorre per tutta la sua lunghezza.
Avvolge la catena intorno al polso, facendo in modo che l’altra si avvicini.
Un rito silenzioso che termina con le due bocche che si toccano in un bacio profondo, lungo, che la nuova arrivata sembra quasi di subire.
La allontana di nuovo. Adesso la schiava è in ginocchio sul letto fra le gambe appena aperte della regina.
Distende il braccio offrendo il fallo all’altra bocca, spingendolo in maniera decisa fra le labbra quasi fino a farlo scomparire alla vista.
Ritrae la mano, piano. L’altra reagisce restando incollata con gli occhi a cinque centimetri dalla punta lucida del fallo.
E’ una danza lenta e muta.
La regina porta il fallo fra le cosce, facendo scorrere la punta fra le labbra del sesso.
Il volto dell’altra è vicinissimo. La bocca aperta, la lingua estesa.
Aspetta solo che la mano della sua dea le ordini di dedicarsi a lei.

Le mani della regina sono ormai confuse fra i capelli corvini dell’ancella. Comandi quasi invisibili che guidano la bocca sulla strada del piacere.
Nell’ombra due figure avanzano verso il letto. Sono un uomo e una donna.
Si muovono senza indugio, quasi guidate da un comando soprannaturale.
Ogni gesto dei due è in perfetto sincronismo. I passi con cui si avvicinano, l’inginocchiarsi ai due lati della dea gaudente, le bocche dischiuse che si abbassano sul seno, aggrappandosi ai capezzoli ormai in evidente stato di eccitazione.
La lingua dell’ancella continua incessante il suo mantra muto, passando dalle pieghe delle labbra al clitoride, che solletica leggera per poi affondare un morso che provoca spasmi all’addome della regina.
E avviene l’inatteso. I due nuovi servitori, che regalano ulteriori brividi a lei, si nutrono al seno della sua eccitazione.
Il sesso della donna si contrae ritmicamente, quasi che una mano invisibile lo stia penetrando, mentre il membro dell’uomo è teso allo spasmo, il glande lucido e gonfio svetta sull’asta che oscilla con lo scroto gonfio, prigioniero di un’altra mano trasparente.
La tempesta arriva improvvisa, preceduta dai gemiti sommessi dei due. I corpi vibrano insieme mentre le cosce si imperlano degli umori di lei e gli schizzi dello sperma di lui raggiungono il ventre della dea.
E’ solo un temporale. La tempesta arriva subito dopo.
Riempiendo la bocca spalancata dell’ancella.

La lingua rossa dell’ancella diventa candida, mentre risale, diligente, dall’inguine della regina seguendo il percorso tracciato dagli schizzi di lui.
Scorre sulla pelle candida, si sofferma sull’ombelico, diventato un piccolo lago di eccitazione, per prosciugarlo.
Percorre le strade tortuose segnate dalle gocce che scendono dal seno, inerpicandosi fino alle torri che svettano altere per liberarle dalla patina dolce e candida.
Scende sul collo, seguendone le curve raccogliendo le gocce sin quasi al lobo dell’orecchio.
La sala è ferma, immobile silenziosa, nell’attesa che il rito si compia.
L’ancella si solleva, portando la bocca sopra quella della regina.
La lingua, ricoperta di succo bianco in equilibrio precario, esposta, come oscena reliquia, alla venerazione dei presenti.
Un movimento impercettibile, il bianco, lento, si allunga in una goccia che scende verso la bocca aperta della regina, atterrando sull’altra lingua.
Attimi in cui il dono viene soppesato, gustato, apprezzato.
Poi le bocche si uniscono in un bacio che lascia vedere le lingue invisibili che si rincorrono nello scambio atteso.
L’ancella si ritrae.
Quattro maschi, che hanno assistito alla sua opera, si avvicinano. I membri gonfi di eccitazione, il rosso gonfio delle punte che splende alla luce del faro. Sono accanto al letto.
La dea si tira su, si siede sul bordo del letto.
Con le mani ne soppesa i testicoli, quasi a volerne determinare il contenuto. Li stringe fra le dita, a turno.
Poi si abbassa, con la lingua disegna il solco alla base del glande, solletica le estremità.
Li abbandona, si direbbe in maniera annoiata o forse scocciata, negando loro perfino lo sguardo e portando gli occhi al soffitto.
E’ il segno.
Le mani dei quattro si muovono insieme, in un raptus sincrono, un crescendo nel respiro fermo della sala.
I quattro cazzi esplodono insieme, più getti che ricoprono ancora la pelle candida.
La regina sorride.
In attesa che l’ancella compia ancora il suo destino.

Sono identici.
Avanzano verso il letto con movimenti perfettamente sincroni. Identici in tutto, se non per il colore della pietra ovale che pende dalle catene dorate che portano al collo. Verde smeraldo per uno, di lapislazzulo per l’altro.
I corpi tonici si fanno largo facilmente fra gli astanti muti di fronte a questa nuova apparizione.
Sostengono uno scrigno di ebano finemente intagliato con scene che potrebbero essere tratte dal Kamasutra o da qualche altro trattato dell’ars amandi orientale.
La pelle scura dei due, probabilmente ricoperta da un qualche unguento, riluce lucida nel buio mettendo in evidenza i muscoli ben delineati.
Gli occhi della stanza sono attratti da altro. Ammirazione, invidia, desiderio, stupore per i loro membri che morbidamente oscillano, anch’essi insieme, ad ogni passo scoprendo alla vista le sacche oblunghe e piene dello scroto.
Un gesto leggero della regina e l’ancella si avvicina allo scrigno infilando il fallo in una apertura raffigurante una vulva dischiusa. Uno scatto, il coperchio lentamente si solleva.
L’ancella con movimenti sacri e lenti prende un oggetto e lo solleva con una mano davanti al volto mostrandolo prima di appoggiarlo sul letto accanto a lei. Due sfere lucide d’acciaio, grosse come noci, collegate ad un filo di cuoio nero.
La regina solleva le sfere e le porta fra le cosce aperte facendole scivolare languidamente sulle labbra umide, un cenno di assenso e un invito a continuare.
Il secondo oggetto è un fallo metallico, dorato, collegato a delle cinghie sempre di cuoio nero. Dopo averlo mostrato, l’ancella lo appoggia sul lettone.
Lei lo guarda senza toccarlo, sorride, un sorriso che invita a continuare e allo stesso tempo mostra la soddisfazione per la scelta e l’intenzione di dare il giusto merito all’oggetto più tardi.
Il terzo oggetto è un fallo d’acciaio. Splende alla luce mentre l’ancella lo solleva. La forma è arcuata e le due estremità, osservandolo meglio, sono la riproduzione artistica di due membri. Uno più lungo e massiccio dell’altro.
L’ancella lo porge delicatamente alla dea che lo soppesa, ne apprezza le dimensioni, poi si sporge verso i due portatori accostando l’acciaio ai loro cazzi morbidi apprezzando il fatto che le dimensioni siano simili.
Fa segno ai due di lasciare lo scrigno, che viene posato a terra. Porge la punta del dildo alla bocca dell’ancella, dalla parte più grande, il metallo si fa strada, nella bocca spalancata di questa, la riempie, le toglie il respiro.
Lo ritrae con un cenno della testa che indica i due.
La regina si sistema al centro dell’altare bianco, appoggiata ai cuscini con le gambe piegate. Aperte.
Il fallo lucido spinto fra le cosce scivola dentro mentre l’ancella, in ginocchio accoglie in bocca la carne morbida di uno dei due. Una mano stringe il membro, dopo aver scoperto la pelle rossa e lucida del glande, mentre l’altra soppesa i testicoli dell’altro.
L’acciaio si muove piano lucidato dalle labbra del sesso della dea che osserva compiaciuta l’opera della schiava. Le vene iniziano a mostrarsi gonfie sotto il tocco morbido della lingua.
E’ chiaro a tutti che la regina non sta solamente cercando il piacere.
Attende che l’opera dell’ancella le regali i membri gonfi e pulsanti di quei due.

Il fallo metallico ha compiuto la sua opera. Scivola fuori lento fra le cosce regali.
Le mani lo sostengono con maestria per evitare che le gocce calde che lo ricoprono scivolino giù.
Un cenno e il portatore d’ebano con la collana di zaffiro si inginocchia fra le gambe di lei, con il membro eretto in un reticolo di vene pulsanti e il glande lucido e gonfio. Osceno desiderio di oltre la metà di chi osserva.
Apre la bocca, accoglie la punta lucida succhiando quegli umori.
La bocca è dilatata allo spasimo. Lei spinge ancora dentro facendogli mancare il respiro.
E’ chiaro a tutti il seguito, così come è chiaro l’intento della regina: rimarcare, se mai ci fosse bisogno, che sarà lei a possedere lui, anche quando il bacino danzerà impazzito e lei si abbandonerà in gemiti e urla soffocate ai suoi colpi.
L’ancella le sistema i cuscini dietro la schiena, le solleva le gambe, aprendole delicatamente e facendo poggiare le piante dei piedi saldamente sulla pelle bianca.
Adesso lei è regina e trono allo stesso momento.
La punta rossa si avvicina alle labbra del sesso regale. Lui lo guida afferrandolo con una mano. Il pensiero di tutti va alle dimensioni della carne che svetta dal pugno chiuso, ancora ben più ampie di quelle eccitate degli altri maschi della stanza.
Sembra quasi che lui abbia timore a dilatare le pieghe umide e affondare il colpo.
Lei distende le braccia, porta le mani ai pettorali sodi, si aggrappa con le dita ai capezzoli rosa stringendoli fra le dita con forza.
Si allungano mentre li tira a sé.
I muscoli della schiena di lui si contraggono dalle spalle giù fino ai glutei, quasi come una molla che viene caricata.
Poi improvviso lo scatto.
Un sobbalzo del bacino e in un colpo solo quel magnifico cazzo scompare nel rantolo della regina.

Il cerchio della luna bianca, illuminata dalla luce solare del faro, riluce nella stanza.
E’ il sedere dell’ancella, carponi sul lettone, con le gambe appena dischiuse, le labbra strette intorno ad un capezzolo della padrona.
Lo succhia vorace mentre con una mano stringe l’altro fra il pollice e l’indice.
La regina in apparenza non se ne cura, la testa indietro, rivolta al soffitto, la bocca spalancata da cui emette respiri affannati che terminano in un gemito ad ogni colpo del bacino di lui.
Lento lo muove indietro facendo apparire le vene infinite del membro, lucide del succo di lei.
E quando fra le labbra sfinite appare il rosso del glande si ferma, per il tempo di un respiro, prima di farlo sparire con un colpo di reni rapido che termina in un lamento e nello sciocco delle palle che sbattono contro di lei.
Sono gli unici suoni della stanza.
Che si avvolgono nell’aria a quelli dell’ancella, trattenuta ai fianchi dalle mani aperte del secondo portatore, che sprofonda in lei in una perfetta antitesi di movimenti con l’altro.
La regina solleva la testa, volge gli occhi alla serva fedele, trova il suo sguardo.
L’attira a sé.
L’ancella alza la testa dal seno, attratta da una forza magnetica, porta la bocca, aperta a quella della padrona, altrettanto aperta.
I gemiti, i lamenti, i rantoli diventano sordi. Urlati nella bocca dell’altra. Urla intervallate dal mugolio delle lingue che si rincorrono incessanti.
La regina ritrae la testa e guarda l’altra, che risponde con uno sguardo muto di domanda, quasi implorando il permesso. Una richiesta che riceve un cenno di assenso proprio mentre il corpo di lui ricade sul letto facendo chiudere gli occhi della padrona.
La ragazza muove un braccio, dietro la schiena, afferrando con la mano l’asta che è dietro di lei. Le dimensioni della mano minuta fanno risaltare le oscene dimensioni del cazzo di ebano.
Lo afferra, ne blocca il movimento, lo muove, lo guida portando la punta in corrispondenza dell’ano fremente.
Lo schiude appena, più per confermare il suo desiderio che per intento pratico.
La mano si apre, lo abbandona.
Si rimette in posizione, abbassando la testa fin quasi a toccare la pelle bianca con la fronte.
Inspira profondamente e poi libera l’aria dai polmoni a bocca aperta.
E’ il momento.
Adesso.

Le mani aperte sul seno tentano strenuamente di fermarne le oscillazioni sotto i colpi incessanti.
Ad ogni spinta le unghie si aggrappano alla carne tremante, con il solo esito di aumentare l'eccitazione.
Lui ha abbandonato i colpi intensi di prima, ora il bacino si muove veloce e le sensazioni del membro che esce dalla carne sembrano intense quanto quelle quando entra veloce.
L’ancella ha il capo riverso sulla pelle del letto, bagnata dalla saliva che le cola lenta dalla bocca aperta.
Il compagno del primo dopo i primi colpi vigorosi con cui ha fatto cedere le residue resistenze del piccolo bocciolo adesso si muove appena.
E’ dentro di lei, la riempie con tutta la lunghezza del sesso, ormai invisibile, mentre sono evidenti gli effetti delle piccole e costanti oscillazioni che imprime.
Il seno ondeggia, e i capezzoli dritti strofinano sulla superficie del letto.
I due respiri sono affannosi. Il suono di chi riemerge dall’apnea cercando l’aria, e che dopo un attimo si rituffa, attratto dalle profondità del piacere.
La regina ha uno scatto, si solleva sulla schiena e afferra la serva per un braccio tirandola a sé e liberandole il sedere dal desiderato fardello.
L’abbraccia. Le bocche incollate in un bacio di ringraziamento che rinnova la sottomissione alla padrona.
E’ un attimo. Si muove ancora veloce. E’ in ginocchio ai piedi del letto e l’ancella la segue docile.
I due sono di fronte. Sull’attenti con i membri gonfi rivolti verso le bocche delle due donne.
Le labbra avvolgono le punte, si ritraggono, le lingue accarezzano la pelle rossa, solleticano gli apici.
I capelli adesso oscillano seguendo il moto delle teste che inghiottono a malapena quei pali carnosi. Le mani stringono i testicoli dei due, a voler guidare il momento dell’esito.
I due chiudono gli occhi insieme, i loro muscoli finalmente si rilassano.
Dall’angolo della bocca della regina un rivolo bianco scende cadendo sul seno.
Apre la bocca, per mostrare a tutti il contenuto, prima di abbracciare ancora la serva in un lungo bacio che completa l’orgasmo.

Le mani stringono con cura le sottili cinghie di cuoio nero sui fianchi. Le distendono per evitare che la stretta segni la pelle candida.
Poi passano sull’inguine, regolandole il maniera tale che la protesi dorata sia perfettamente parallela al pavimento.
Il metallo riluce, mettendo in evidenza le accurate sfaccettature che richiamano le vene dell’asta e il solco netto che la divide dalla punta ovale, lucida, ben più corposa del resto.
Adesso sì, è soddisfatta della sua opera.
La fa girare con delicatezza, e con sfrontata naturalezza la porta alla bocca, distende il dito indice e lo succhia dopo averlo infilato tutto fra le labbra rosse.
Con l’apparente intento di sistemare la cinghia che scompare fra le natiche sode, fa scorrere il dito nel solco, cercando le pieghe esauste del membro di ebano.
Lo spinge, in maniera delicata ma ferma, fino alla nocca e lo muove piano per darle il meritato sollievo. Ravvivando allo stesso tempo il ricordo e il desiderio del recente godimento.
La regina si è fatta serva.
Prende la mano dell’ancella e la fa distendere sulla schiena, nel centro del lettone.
Il fallo dorato adesso punta dritto al faro del soffitto, spargendo lampi di luce sulle pareti della stanza.
Con incedere regale sale anch’essa sul letto e si pone, in piedi con le gambe aperte sopra l’ancella, dandole le spalle.
Rimane immobile.
E’ il momento che tutti aspettavano.

La geometria è perfetta.
L’ancella divide perfettamente il cerchio del lettone, supina, con le braccia spalancate.
Il corpo della regina è la naturale estensione verticale del membro sintetico indossata dalla prima.
La folla degli spettatori, mossi da una forza soprannaturale ignota e invisibile, si è mossa, prima dividendosi in coppie e poi disponendosi a raggiera intorno al letto rotondo.
Le donne sono prone, appoggiate con i gomiti sulla pelle bianca, il capo chino. La metà maschile di ogni coppia è dietro di loro, in piedi, con il bacino eccitato appoggiato ai lutei femminili.
Immediatamente a destra delle gambe della serva, quasi a voler rimarcare la piena libertà del piacere ci sono due maschi. Uno dei due, da dietro, tiene saldamente l’altro con le mani incastrate sui fianchi. Dall’altro lato una donna, sdraiata, accoglie fra le gambe schiuse la testa bionda di un’altra.
L’aria è densa di attesa e di voglie pronte a lacerarla.
L’ancella muove il braccio destro. Porta la mano all’inguine facendo scivolare il palmo sul clitoride eretto prima di affondare tre dita nel lago del proprio sesso.
Solleva il braccio con un moto dalla lentezza sacra, facendo scivolare le dita nel solco delle natiche regali.
Gli occhi e il sorriso della regina segnano il momento in cui le punte delle dita, dischiudono il foro fremente e lo accarezzano dall’interno sciogliendo la tensione dei muscoli che dimostrano una finta resistenza.
La mano si muove placida mentre i muscoli della dea si rilassano, le spalle e le braccia abbandonate alla forza di gravità.
L’ancella ritrae le dita, accarezzando l’interno della coscia dell’altra.
La regina inizia a piegare le gambe, tenendo il busto dritto e lo sguardo fisso su un punto ignoto all’orizzonte scuro.
Le coppie, lente, iniziano la loro danza.

Il segno è netto quanto improvviso.
Un fulmine che illumina la stanza seguito dal tuono che rimbomba fra le mura.
Prima lo schiocco inatteso, poi la forma netta del contorno della mano dell’ancella che spicca, rossa, sul candore della natica destra della regina.
E gli spettatori attoniti attendono l’inizio del temporale.
Il segno è lieve, un movimento appena accennato, le ginocchia regali che si piegano ancora e portano lo splendore del culo a tiro dell’altra.
La mano aperta colpisce rumorosamente l’altro gluteo, il colpo seguito da un mugolio sordo di approvazione, di richiesta, di implorazione.
Il temporale atteso diventa sinfonia. Le mani della serva portano il ritmo, i gemiti della dea sono l’armonia che si sovrappone al primo.
Altri colpi si aggiungono al ritmo, le mani degli spettatori battono su chi hanno davanti.
La stanza risuona di lamenti imploranti, trattenuti come per non voler sovrastare quelli della regina.
Ormai i segni delle mani sono indistinti. Una macchia sfumata ma ben visibile sugli emisferi lattei.
Non basta, è solo l’inizio.
Le ginocchia si piegano ancora, lente.
Il brivido del freddo del glande metallico che si appoggia al caldo orifizio fremente dura solo un lungo attimo.
Le pieghe ancora strette della carne si distendono sotto il peso del corpo che si abbassa sull’asta.
Adesso è aperto, la punta è dentro, tutta, e la tensione trova un sollievo momentaneo rilassandosi nella piega che delimita l’apice del cazzo dorato dall’asta.
Lenta si abbandona ad esso.
Lo lascia scivolare nella sua intima profondità fino a quando le cosce non sono appoggiate a quelle dell’ancella immobile.
Con cura si distende portando la schiena sul seno morbido dell’altra.
Un braccio appare da dietro e la cinge sotto il seno quasi a volerlo sostenere.
L’altro braccio è davanti, la mano aperta tortura i capezzoli, scivola sul ventre e atterra piatta sul clitoride esposto dal sesso lucido e aperto.
Piccoli colpi leggeri raggiungono veloci la carne dritta e eccitata.
La regina freme, urla apparentemente sconnesse che sono ben chiare a tutti.
Il bacino voglioso inizia ad arrampicarsi sul cazzo metallico che la penetra, riempiendole il culo, arrivando dritto al cervello.

La musica è cambiata, altri strumenti guidano.
Il ritmo ora è dato dal respiro rauco della regina.
Il suono dell’aria che fuoriesce rumorosamente dalla bocca aperta svuotando i polmoni, mescolato ad un lamento gaudente.
Così ad ogni discesa del suo bacino lungo l’asta ormai lucida, prima che le natiche colpiscano l’inguine della serva immobile.
E a quel suono, appena dopo, fa da contrappunto una sinfonia di fiati affannosi e di gemiti.
Segno che, all’unisono, i membri di ognuno sono affondati penetrando l’altra metà della coppia.
E al ritmo della musica ora si sovrappone la danza.
Il corpo regale che si solleva scivolando sul fallo, si ferma in alto avendo cura che l’orifizio, ormai dedito al piacere, non si richiuda, e si immerge profondo in un abisso di brividi che si irradiano scuotendolo.
E la danza primaria è accompagnata da quella dei seni, ormai liberi da costrizioni, che oscillano, in antitesi alla chioma regale.
E questi gesti, non appena compiuti, sono seguiti dalla simmetria dei bacini che si spingono in avanti, delle braccia salde sui fianchi che li tirano a sé e delle teste che oscillano mosse dalla carne che replica la penetrazione con incedere incessante.
Una coppia si stacca dallo spettacolo, quasi come solisti che entrano in scena.
Lui la solleva di peso, con un gesto tale da far quasi sembrare che lei si sostenga solamente dall’incastro dei due sessi.
Sono davanti al letto, e il cavaliere si piega, ossequioso, offrendo alla regina la bocca e la lingua della dama.
Il dono è accolto dalle gambe aperte e dall’invito esplicito a posarlo sul clitoride per tentare di calmarne l’eccitazione.
I colpi del bacino di lui arrivano dritti alla lingua di lei che dopo essere scivolata sul suo obbiettivo affonda fra pieghe bagnate della vulva.
L’eccitazione ormai è spasmodica.
Un equilibrio nell’evidente momento che ne precede la rottura.
Un rantolo prolungato è seguito da tre brividi intensi che sfociano in getti liquidi che bagnano il volto della dama.
La regina, esausta, si accascia accogliendo il cazzo fra le sue natiche e fermandosi.
Guarda i due. La dama si libera dell’imbarazzo gaudente e spinge il cavaliere di fronte al trono regale.
Accarezza il membro che sinora aveva custodito con cura, tenendolo vivo e pronto per il finale.
Stringe l’asta con una mano mentre le dita affusolate circondano i testicoli.
Il dono liquido è ricambiato presto da tre lunghi schizzi che segnano la lunghezza della pelle della regina.
Compiuta l’opera, si piega e raccoglie sulla lingua le ultime gocce di latte denso, per portarle alla bocca della sua signora e per rimarcare la sua sottomissione con un profondo bacio.

La processione degli offerenti è incessante e sistematica.
Ogni coppia che si presenta al cospetto della regina pone sull’altare del suo piacere il frutto del proprio.
Tutte le volte le mani dell’ancella, con cura, spandono sul ventre esposto della padrona, sul seno e sul collo il fluido candido. Ormai però è un’opera vana e gocce caparbie scivolano sulla propria sottostante e da questa sulla pelle bianca del letto facendola risplendere alla luce.
Un’altra coppia.
Sono i due uomini. L’uno davanti all’altro.
Il cazzo del primo oscilla rigido ad ogni passo, mentre quello del secondo è ben nascosto fra le natiche del primo.
In quella posizione si piegano sul letto, e il membro eccitato scivola nel sesso regale senza l’aiuto di alcuna mano.
L’uomo si distende sulla regina, immobile, portando le labbra al collo di lei.
Il colpo di reni dell’ancella affonda metallico dritto nel culo seguito da un gemito regale.
Al secondo anche i due maschi si aggiungono.
I gemiti diventano lamenti di gioia, preghiere di desiderio, prove di obbedienza, sempre più rapide e profonde.
Il corpo della dea è scosso da un fremito inarrestabile. L’ancella tenta di contenerlo aggrappandosi al seno con le mani e stringendo i capezzoli fra le dita.
L’esito è un urlo strozzato nel silenzio, un ringraziamento scomposto e plateale per il regalo dei due che si rimettono in piedi, sciogliendo l’incastro anale che li univa, e salendo sul letto.
Sono in ginocchio accanto alla padrona e alla serva ancora intimamente distese.
Le ultime sono le due donne.
A turno portano le bocche al sesso di lei, baciandolo e facendole scorrere nel breve spazio che divide il membro dorato e oscillante dal clitoride.
Al sesto offertorio la regina apre le braccia.
Le due si posizionano, anch’esse in ginocchio accanto ai due.
Solo l’ancella continua imperterrita a muovere la sua appendice sintetica nell’intimo di lei.
Le mani dei quattro trovano la sincronia in un impeto masturbatorio sempre più tempestoso che culmina con il susseguirsi di schizzi che bagnano la pelle ormai zuppa.
I quattro si alzano, si inchinano appena rendendo omaggio, e raggiungono gli altri spettatori.
Il rito si è compiuto.
La regina si solleva. Per un attimo rimane sospesa, quasi indecisa fra la sensazione calma delle pieghe del buco che tornano alla originaria posizione e la voglia di tornare a spalancarle ancora.
Si alza è in piedi sul letto. Adesso da sola sull’altare, sacerdotessa, dea e vittima sacrificale.
Ciocche di capelli sono incollate al volto e le curve dei fianchi splendono lucide nel buio.
Due perle bianche resistono tenaci aggrappandosi alle punte dei capezzoli.
Le raccoglie con due dita prima che si stacchino e le porta alla bocca posandole sulla lingua.
Apre le braccia.
Il rito è finito, gli offerenti sfilano al suo cospetto inchinandosi a lei nell’ultimo saluto prima di sparire nell’ombra.
L’ultima è l’ancella che, prima del saluto, torna femmina svestendo il fallo dorato, che lecca accuratamente prima di depositarlo sul letto e inchinarsi a sua volta.
La regina è sola, in ginocchio sul letto, le mani tentano di placare la carne in fiamme o forse cercano di ravvivare il fuoco che ardeva finora.
Dal buio una figura si fa avanti.
“Mia Dea!”

Siamo soli.
Lei è davanti a me.
Sono ancora nell’ombra, ma sono certo che lei avrà riconosciuto la mia voce.
E’ splendida.
Stremata dal piacere, il trucco disfatto, ma gli occhi sorridono cercandomi.
“Ti aspettavo, sapevo che eri qui. E’ stato un bellissimo pensiero il tuo. Credo di non dover dirti che ho apprezzato ogni momento della serata. Così come posso dire che la serata deve ancora finire. Mancava qualcosa in tutto questo. Mancavi…” La sua voce riempie la stanza ormai vuota. Nostra.
Mi avvicino, esco dall’ombra.
Adesso i suoi occhi sembrano illuminare il buio.
“Eccoti! Il solito maleducato… Ti sembra questo il modo di presentarti a me? Qui? Adesso?”
“Non ti piaccio così?” Replico.
“No. Fermati lì, non avvicinarti. E spogliati prima, Ti voglio nudo. Spogliati per me.”
Mi spoglio, lento.
Lei tiene gli occhi incollati su di me.
E io non riesco a staccare i miei da lei.
E’ in ginocchio, e con fare noncurante si accarezza, il collo, le cosce, il seno. Pulisce la sua pelle candida da quel che resta degli omaggi ricevuti.
Poi, sempre con lo stesso sguardo, porta le mani alla bocca e lecca accuratamente le dita.
“Forza! Togli i boxer! In fondo merito anche io un tuo segno di apprezzamento!”
Lascio cadere l’ultimo scampolo di stoffa che mi nascondeva ai suoi occhi.
“Eccoti!” La voce si fa bassa “Credo che adesso un bacio me lo meriti.”
Mentre pronuncia queste parole si distende con la schiena sulla pelle bianca, punta le piante dei piedi, con le gambe divaricate, sul bordo del letto e solleva il bacino.
Offrendo ai miei occhi il suo sesso.
Dischiuso. Le labbra rilassate dalle recenti fatiche e lucide ancora.
Lo accarezza con una mano, piatta, cercando il clitoride con il palmo prima di affondare due dita.
Porta le mani al seno, disegnando con le dita il contorno delle areole prima di afferrare e stringere i capezzoli.
“Vieni.” La voce è lenta, bassa, quasi rauca. Una preghiera, un ordine, una implorazione, un comando.
Non mi interessa.
La mia lingua sta già assaporando la sua carne.
Affondo, vorticoso, per poi cercare e succhiare il suo piccolo cazzo eccitato.
E torno ad immergermi in lei.
Mi perdo.
Finché il bacino si solleva, si irrigidisce, e io mi fermo.
Inginocchiandomi con la bocca spalancata.
In attesa del suo dono.
Geme.
Mugola, soddisfatta, mentre sfrego il viso fra le sue cosce.
La barba corta scivola sulla carne morbida e bagnata.
Cerco il clitoride.
La stuzzico.
“Stronzo! Fai piano!” E’ un invito a continuare.
E io continuo.
Continuo a muovere il pollice ben piantato nel solco delle sue natiche.
Vibra, immobile.
“Fermo, aspetta! Adesso mi hai fatto venire voglia. E’ colpa tua…” Dice ridendo.
Si gira, piano, mettendosi a quattro zampe sul letto e regalandomi la vista della curve sinuose dei suoi fianchi.
“So che ti piace stuzzicarmi il culetto, continua, non voglio privarti di questo piccolo piacere. Però adesso fammi sentire quanta voglia hai di me.
Fammi sentire quanto è grande.
La voglio!
Tutta!
Dentro!”

C’è del bello in tutto questo.
Una estetica che non mi stanco mai di ammirare.
La geometria e l’armonia delle forme che si uniscono.
E ogni volta mi ci perdo a guardare lo spettacolo che si ripete.
La forma regolare della punta gonfia e lucida del cazzo.
Lo avvicino al clitoride, lo accarezzo spalmando la goccia trasparente appena accennata che lo sormontava.
Scivola, accarezzando i petali del sesso di lei.
Si ferma, in basso, per risalire aprendo le grandi labbra.
Ritorna giù, spingo appena, quanto basta per schiudere le piccole labbra e aprirgli la via.
Spingo piano.
Adesso al piacere degli occhi si aggiungono altre sensazioni.
La carezza vellutata della carne che finge di resistere alla mia voglia.
Cede. Docile.
Mi fermo. Mi piace sentire le labbra che si richiudono per un attimo quando la punta è entrata. La stretta alla base delicata e sensibile del glande.
Spingo. Piano.
Sento le vene, gonfie, che massaggiano la superficie della vagina adattandosi ad essa.
Mi sono sempre chiesto perché nel comune sentire è l’uomo, che in questi momenti, possiede la donna, quando in realtà è lei ad impossessarsi del membro maschile e a farlo suo.
Ecco, adesso è lei che guida. Muove il bacino indietro fermandosi solo quando sento la fitta della pressione delle sue natiche sode sulle palle.
La vista dell’asta bagnata che fuoriesce lenta è un altro spettacolo. L’umidità lucide esalta il reticolo delle vene. Peccato lei non possa vederlo, penso.
E’ un attimo.
Lo tiro fuori.
La punta scivola nel solco e si ferma sul buchino. Lo bagno con i suoi umori. Adesso brilla quasi alla luce, mettendo in evidenza le pieghe regolari della pelle intorno ad esso.
“Quanto ti piace il mio culetto?”
"Tantissimo, non immagini quanto, e soprattutto come, adesso.” Le rispondo d‘istinto.
Appoggio le mani aperte sui glutei. Li apro.
Mi piego e lo bacio, disegnando piccoli cerchi con la lingua intorno ad esso.
Lo sento fremere.
Lo succhio prima di spingere fuori la lingua.
Inizia a schiudersi.
“Nooo così no! Lo sai che…”
Non le rispondo.
Ormai le labbra sono incollate alla sua pelle e la lingua è padrona e schiava di lei.




























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