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La Notte della Regina - 2 parte

18.06.2025 |
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"Scesi dal taxi e notai una grossa auto nera ferma nel parcheggio alle spalle del David..."
Sotto un cielo di fine settembre, timidamente stellato e macchiato dalle prime calde luci di Firenze, scesi in strada per salire sul taxi. Il suono dei miei tacchi echeggiava nella stretta via di periferia. Tutto intorno a me la città si preparava per la serata, ignara della sottoscritta, della mia presenza, del motivo della mia uscita, della mia destinazione. Della mia crescente sete di passione.Un messaggio del mio Lui mi distolse dai pensieri.
“Sono su un minivan e siamo tutti mascherati - ancora emoji! - sentivo dire che arriviamo tra cinque minuti. Dove sei?”
“Salgo sul taxi adesso”
Mi rispose con un selfie preso dal basso e, molto probabilmente, di soppiatto. L’immagine era buia e sfocata, ma riconoscevo gli occhi del mio uomo dietro a una maschera nera che copriva tutto il volto. Accanto a lui un’altra figura maschile, ugualmente buia e sfocata e ugualmente mascherata. Aggiunse una emoji di un bacio.
Il taxi seguiva lentamente le sinuose curve d’asfalto, salendo verso il Piazzale. Quando il profilo del David apparve nel finestrino, e con esso l’inconfondibile skyline di Firenze, fui rapita dalla bellezza della mia città e, seppur per un istante, desiderai soltanto di farmi una bella passeggiata nel piazzale, da sola con i miei pensieri e i miei desideri. Volevo che l’attesa, il gioco mentale architettato da Mara, durasse più a lungo possibile. I miei passi nella via di casa, la salita al punto panoramico, le luci della sera, la città intera: era tutto un lento, appassionato preliminare che mi toccava nel profondo.
Scesi dal taxi e notai una grossa auto nera ferma nel parcheggio alle spalle del David. Sullo sportello potevo riconoscere il logo della regina, stavolta in bianco. Un uomo elegante attendeva in piedi accanto al mezzo. Mossi decisa i primi passi verso l’uomo, quando una voce chiamò il mio nome.
“Tesoro, che ci fai al piazzale tutta sola? E come siamo tirate! Che piani hai stasera?”
Quante possibilità c’erano di incontrare qualcuno di mia conoscenza nei dieci secondi tra il taxi e l’auto nera?
Quante probabilità c’erano di trovare - tra tutte le persone che conosco - proprio Emma, la mia collega e vicina di scrivania?
Emma e il marito erano appena usciti dalla loro auto e mi guardavano con curiosità. Sentivo i loro sguardi penetrare attraverso il mio cappotto, sbirciare dentro alla mia borsa. Pensai di dir loro che si sbagliavano, che era un equivoco e di correre verso l’auto nera. Poi mi convinsi che potevo fingere di non averli visti o sentiti. Per fortuna il mio lato razionale emerse con prepotenza.
“Ciao Emma, ciao Marco! Che ci fate voi? Avete lasciato i figli a casa e siete in libera uscita?”
“Beccati! - Fece Emma simulando con le mani due pistole - Abbiamo scaricato il pacco ai nonni stasera. Oggi sono dieci anni che siamo sposati, sicché… facciamo una follia! Aperitivo al piazzale, cena in Oltrarno e poi chissà, magari torniamo qui al piazzale a guardare le stelle”
Emma ridacchiava mentre raccontava il piano della loro “folle” serata. Sorrisi anche io, non tanto per il loro programma. Ammetto che per un attimo fui tentata dal proporre loro una insolita alternativa, solo per vedere l’effetto che sortiva ai due innamorati. Tentai di sganciarmi con un augurio di buona serata, ma Emma fu più veloce.
“E tu che fai? Il tuo uomo?”
“Io sto… facendo due passi al piazzale perché il mio Lui passerà a prendermi a momenti. Andiamo a cena fuori. Anche noi. Si. Sta tornando da Siena, per lavoro, e mi ha detto che sarà qui tra poco”
Mi si leggeva in faccia che stavo andando a fare qualcosa di proibito. A caratteri cubitali.
“Bevi qualcosa con noi, dai!”
Panico. Balbettai qualcosa, poi dissi che avrei dovuto fare prima una telefonata e che li avrei raggiunti subito.
“Intanto vieni con noi, puoi telefonare mentre camminiamo. Non ti ascoltiamo mica!”
Intanto l’uomo fuori dalla macchina nera stava iniziando a dare i primi segni di impazienza. Si guardava attorno, poi passava a guardare l’ora sullo smartphone, poi tornava a guardare i passanti.
“Il fatto è che…”
“Ma ora che siamo tra noi - Emma cambiò tono in modo brusco - che cosa ti aveva lasciato la Mara l’altro giorno sulla scrivania?”
Di nuovo il panico. Ecco che vedevo la serata finire nel peggiore dei modi. Io che perdo il passaggio, il mio uomo da solo, insieme a Mara e altri sconosciuti chissà dove.
“Dammi retta, lasciala perdere quella donna. È una ninfomane pazzesca, per non dire peggio! Sapessi in che giri è… certa roba! Mi raccomando, non ti ci perdere con lei perché poi iniziano a girare le voci… se le dai confidenza è finita!”
“Hai una collega ninfomane e non mi dici nulla?”
Le prime provvidenziali parole del marito cambiarono le carte in tavola. Emma lo bruciò con lo sguardo e lo investì con parole al veleno.
“Senti un po’ giovanotto, perché ti interessa così tanto la questione?”
Non prometteva bene per il gentil consorte. In compenso però si stava per aprire un portone per me.
I due iniziarono a battibeccare, allontanandosi da me e dirigendosi presumibilmente verso la loro meta alcolica. Li osservai sfilare accanto all’auto nera, Emma inviperita e il marito con sguardo abbassato. Agii con tempismo perfetto, nonostante i tacchi. In pochi istanti afferrai la maniglia ed entrai nell’auto.
Iniziai nuovamente a respirare quando l’autista, con gran mestiere, chiuse lo sportello dietro di me.
L’uomo, affascinante ed elegante, poteva essere sui cinquanta. Brizzolato e ben rasato, con voce profonda e modi cortesi.
“Ben arrivata - mentre sedeva al volante - Temevo non riuscisse più a staccarsi da quella spiacevole situazione”
Sorrisi ai suoi occhi riflessi nello specchietto. Intanto, fuori dall’auto Emma era tornata indietro a cercarmi. Sentii la sua voce ovattata sfilare. Disse qualcosa tipo “Dove è finita quella stronza?”
Mi lasciai andare sul morbido sedile in pelle, ma ebbi un sussulto quando la portiera accanto a me si aprì di scatto.
“Emma!” Gridai.
In risposta, il sorriso splendente di una ragazza con degli occhiali neri dalla grossa montatura.
“No, non sono Emma. Sono Lavinia e ho il compito di prepararti alla serata. Puoi partire Giorgio”
Il motore si accese, l’auto sfilò accanto a Emma che si abbassò per guardare all’interno.
Lavinia mi vide diventare piccola nel sedile e capì.
“Vetri oscurati. Avrà visto solo il riflesso della sua faccia curiosa e nient’altro”
“Meno male… Guarda stasera è…”
“Tra poco arriveremo a destinazione. La serata si svolgerà in un bellissimo attico nel centro di Firenze. Saremo sopra ai tetti della città, in una location splendida e molto discreta. Ad attenderci ci sarà il re e la regina. Io ti consegnerò alla regina, che ti porterà nel salone assieme all’altra ancella. Nel salone ci saranno già i venti amanti della regina, seduti su due lati. Dieci per parte. Domande?”
Si. Ne avevo mille di domande, ma non riuscii a farne nemmeno una. Dentro di me si riaccese piano quella luce calda e pruriginosa che scoprii quella notte in villa alcuni mesi prima.
“La regina farà accomodare tu e l’altra ancella ai lati opposti del grande futon che è al centro del salone. Dopodiché, accompagnerà il re al suo trono. Una volta fatto accomodare il re, andrà sul futon e potranno iniziare i giochi”
Le sue parole ronzavano attorno a me, mischiandosi con le luci di Firenze.
“A questo punto, gli amanti si avvicineranno al futon in fila indiana e potranno salirci sopra uno per volta. Qui inizia il vostro lavoro. Potete preparare gli amanti, usando la vostra bocca e le vostre mani. Solo la bocca e le mani. Ed è fondamentale che li prepariate… quanto basta. Non dovete esagerare - strizzò l’occhio - mi raccomando.”
L’autista mi gettò uno sguardo dallo specchietto.
“Una volta terminato il turno, ciascun amante deve tornare al proprio posto, non prima però di essere passato al vostro cospetto per una seconda operazione - la chiamò operazione, con freddezza e distacco - Voi dovrete stare sempre in silenzio e in ginocchio a bordo del futon e non salirci sopra. Tutto chiaro? Hai domande?”
Scossi il capo. Era tutto chiaro. Pensai al mio Lui che saliva sul futon.
“Togliti il cappotto. Sei vestita sotto? Adesso devi indossare solo quanto previsto dal dress cose. Questa invece - mi porse una maschera di pelle nera - devi indossarla prima di scendere dalla macchina. Se hai freddo puoi rimetterti il cappotto prima di scendere. Se hai domande, o se hai bisogno di aiuto una volta a destinazione o durante i giochi, io sarò a disposizione. Il gioco finisce quando il re e la regina usciranno dal salone”
Mi sfilai il cappotto ed esitai prima di togliermi i vestiti di nuovo davanti a degli sconosciuti. Feci un profondo respiro e iniziai a spogliarmi. Lavinia prendeva i miei abiti e li poneva con cura in una scatola che si trovava sul sedile accanto all’autista.
“Mi dovresti consegnare anche la borsa e il telefono. Ti consegnerò tutto a fine dei giochi. Una cosa importante: non ti è concesso parlare con l’altra ancella o con gli amanti.”
Il mio corpo nudo a contatto con la pelle del sedile in un abbraccio che si scaldava lentamente. Ebbi una punta di imbarazzo e chiesi a Lavinia di potermi rimettere il cappotto. La donna acconsentì, ripetendomi di consegnare il telefono.
Detti un ultimo sguardo ai messaggi.
Emma chiedeva dove fossi finita. Il mio Lui aveva scritto “Mi ha detto il ragazzo col 5 che c’è anche la sua ragazza stasera”
Consegnai il telefono alla ragazza che, sempre sorridente, chiuse la scatola e la poggiò sul sedile anteriore.
“Tu hai mai fatto questo gioco?” Le chiesi
“Non posso rispondere a questo tipo di domande. Mi dispiace”
“Certo capisco. Ma se sei qui significa che…”
“Se sono qui è per garantire il regolare svolgimento della serata. Tu puoi pensare solo a vivere l’esperienza al meglio”
L’auto rallentò e imboccò un vicolo sotto a un arco. Non avevo prestato particolarmente attenzione all’itinerario ma credo fossimo dalle parti di Santa Croce. L’autista fermò il veicolo nel mezzo dell’arco, accanto a un portone. La porta si aprì ed uscì un uomo identico all’autista.
“Siamo arrivati. Prima di scendere devi indossare la maschera. Ci rivedremo tra poco nel salone” mi disse Lavinia.
Infilai la testa dentro a quel tubo stretto e nero, inebriata dall’odore della pelle. Lavinia mi aiutò a sistemare i capelli, facendoli uscire da un foro sul retro e legandomeli in una coda stretta. La maschera avvolgeva la mia testa, aprendosi sulle guance e sulla bocca (oltre che sugli occhi), per poi richiudersi attorno al collo. Sulla nuca, poco sotto al foro per i capelli, un anello di metallo era cucito saldamente alla pelle nera.
Scesi dall’auto. Mi voltai verso la strada. Le auto solcavano con la luce dei fari lo spazio dell’arco. Passanti apparivano da una parte e sparivano dall’altra nel giro di pochi secondi. A dieci metri da me, la città viveva inconsapevole la sua serata.
Camminai verso la porta, mi accolse sorridente l’uomo in nero.
“Buonasera. Ben arrivata”
La macchina si allontanò. Entrai nell’androne.
Mi trovavo all’ingresso di una dimora storica fiorentina. Una enorme scalinata si arrampicava sulle quattro pareti. Al centro, sopra le nostre teste, un enorme lampadario gocciolava una calda luce arancio.
“Gentilmente vuole consegnarmi il cappotto?”
“Prego?”
“Dovrebbe consegnare il cappotto. Il re e la regina la aspettano al piano superiore”
L’aria fresca della stanza incontrò la mia pelle nuda mentre il caldo tessuto del mio cappotto veniva sfilato in modo discreto dall’uomo in nero. Rimasi immobile davanti alle scale fino a quando il portone non si riaprì e l’aria fresca da fuori mi carezzò la schiena e rese turgidi i miei capezzoli.
Era Lavinia, che col solito fare gentile si avvicinò a me e mi applicò qualcosa dietro al collo. Scoprii subito di cosa si trattava quando la vidi davanti a me con un lungo guinzaglio di raso nero nelle mani.
“Ecco fatto. Possiamo salire”
Scalino dopo scalino, iniziò la mia ascesa verso un nuovo gioco peccaminoso.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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