orge
Yara
di liberodigodere
14.08.2024 |
3.824 |
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"Morde e succhia con avidità i miei piedi..."
Vengo da una terra fredda ai confini del mondo, lontana nello spazio e nel tempo. La storia della mia gente, delle mie origini si è persa, annientata da una modernità che ha stuprato una cultura centenaria.Sono nata e cresciuta tra uomini e donne orgogliosamente uniti tra loro, fedeli ad una cultura tribale.
Mi hanno insegnato a rispettare ed aiutare con ogni mezzo gli umili ed i retti, ed odiare e rifuggire i corrotti ed i servi del potere.
Un tempo non lontano, gli uomini del nostro popolo morivano uccisi dagli sbirri o in carcere, mentre pochi anziani si spegnevano nel proprio letto.
Ora tutto è stato stravolto. Un’intera generazione è caduta sotto i colpi di assassini senza valori affamati di denaro e potere che seminano terrore e devastazione come branchi di lupi.
Sono l’unica sopravvissuta della mia famiglia, una delle poche della mia specie ancora in vita e l’unica speranza è stata una fuga senza possibilità di ritorno.
Ho attraversato un continente. Fame, freddo e paura sono stati i miei soli compagni di viaggio. Sono un fantasma senza identità.
Coloro che hanno tentato di ostacolare il mio cammino hanno conosciuto il gelo penetrante della lama che mio padre mi ha donato da bambina. Le orme che ho lasciato sono intrise del loro sangue.
Ho oltrepassato confini strisciando nel fango ed ora sono giunta così lontana da sentirmi finalmente salva, finalmente irraggiungibile.
Siviglia è la mia nuova casa. Ho trovato riparo tra altri sbandati e disperati come me. Le possibilità di sopravvivere senza finire per vendersi nell’angolo di una strada per un tozzo di pane non erano molte per una clandestina come me.
Ho scelto di ferirmi per rinascere, al costo di disprezzare me stessa. Ho scelto una nuova vita. Ho scelto un nuovo nome.
Ogni sera attraverso le strade più eleganti della città per raggiungere una dimora che si affaccia sul Guadalquivir dove mi occupo delle pulizie.
E’ un luogo in cui le regole vengono fatte rispettare in maniera ferrea da un servizio di vigilanza presente con discrezione fuori e dentro le mura garantendo una accurata selezione della clientela e ciò lo rende la più rinomata Casa di Piacere dell’intera Andalusia.
È un lavoro duro, ma solitario. Qui ognuno ha il suo ruolo.
Le coppie libertine vengono per incontrare loro simili e condividere notti di dissolutezza e voluttà.
Le puttane ed i gigolò attendono i propri clienti per soddisfare ogni loro più sordido ed inconfessabile desiderio.
Io devo solo ripulire le stanze dove si sono consumati gli amplessi di questo fiume di dannati che compaiono e svaniscono davanti alla mia figura muta.
La mia presenza è quasi impercettibile nella casa e faccio del mio meglio per mantenermi invisibile. Rimango in disparte nell’ombra ascoltando grida e gemiti fino a quando non vengo richiamata a svolgere il mio compito.
Così ora dopo ora, stanza dopo stanza, notte dopo notte, raccogliendo le tracce degli orgasmi vissuti e goduti da altri.
Nessuno mi ha mai fatto troppe domande. Nessuno fino ad oggi.
All’alba le mie mansioni terminano. Il sudore impregna i miei abiti, sto per raggiungere il portone quando alle mie spalle una voce di donna, tagliente, autoritaria, pronuncia con la fermezza di una condanna il mio nome: “Yara, fermati”.
Il sangue immediatamente si gela nelle mie vene. Istintivamente la mano corre alla ricerca della lama nascosta lungo il fianco, ma si ferma non appena sento il rumore di passi che si avvicinano.
Di scatto mi giro e mi trovo al cospetto di Madame Ines, la direttrice della Casa. In tutto questo tempo solo un paio di volte mi ero imbattuta in lei ed avevo fatto attenzione ad evitare di essere notata chinando il capo. Per la prima volta la sto fissando negli occhi.
Al crepuscolo sembra una ninfa uscita da una foresta. La sua pelle è chiara come la luna, il suo corpo è sottile e sinuoso, ed avanza sicura verso di me.
Sono senza via di fuga.
Mi sento in trappola. I suoi occhi verdi smeraldo, incorniciati da lunghe ciocche di capelli color del rame, mi scrutano profondi e glaciali.
Sono la vittima di fronte al proprio carnefice.
“Ti osservo da molto tempo. Ti muovi come uno spettro e non parli con nessuno. Ho interrogato il personale ed è stato difficile perfino conoscere il tuo nome. Dicono tu venga dalla Siberia. E’ così?”
Sono pietrificata. Riesco appena a fare un cenno impercettibile di assenso con la testa.
“Questo significa che sei una fuggiasca senza più radici, esattamente come lo ero io. Provengo dalla tua stessa terra. Noi due abbiamo un passato in comune. Voglio capire quanto sei scesa negli inferi fino ad oggi. Non desideri deludermi, vero?”
Muovo appena il capo per accennare un diniego, e mentre Ines mi prende per mano, un fremito scuote le mie membra. Per la prima volta dall’inizio del mio esilio un altro essere umano sfiora con dolcezza la mia pelle ed è come se una prigione di vetro che mi teneva lontana dal resto del mondo andasse in un istante in frantumi.
“Seguimi.”
Nessun diritto di replica.
Respiro a fatica. Obbedisco come un automa, rapita dalla donna che mi precede lungo la scalinata. Raggiungiamo una stanza al primo piano, mi conduce al suo interno e si siede in un angolo su una poltrona di velluto.
Rimango immobile al centro della stanza nell’ombra di un giorno che sta per accendersi, in attesa, come una naufraga alla deriva.
Il silenzio che avvolge l’alba che tarda a sorgere mi appare un supplizio. La brezza che soffia dal fiume in autunno sferza il mio volto. Detesto la mia inerzia, ma il pensiero di cominciare una nuova fuga frena ogni muscolo del mio corpo e mi trasforma in una bambola di pezza.
Sono carne e sangue plasmabile e questo Ines lo percepisce, quasi come fosse una belva a caccia della sua preda ferita. Mi osserva dalla testa ai piedi, le sue narici si allargano per fiutare il mio odore.
Mi invita con un cenno a denudarmi ed appena l’ultimo indumento cade, ed il pavimento di marmo trasmette un freddo gelido ai miei piedi, rimane a scrutare con la perizia di un cesellatore ogni lembo del mio corpo.
Si alza e si avvicina. Sento il suo alito alle mia spalle, sento il profumo della sua pelle confondersi con quello del sudore che ricopre la mia. Quando la sua mano sfiora i miei seni vorrei gridare ma le parole ancora una volta si strozzano in gola e l’unico suono che produco è un lamento sordo.
Osservo la mia immagine riflessa allo specchio mentre Ines comincia a gustare il mio sapore, e tutto ciò che fino ad un attimo prima mi appariva come torbido ed angoscioso improvvisamente scompare per lasciare il posto ad uno sconfinato, cieco piacere.
Comincia dalle mie labbra che morde con una brama a me sconosciuta. Prosegue nutrendosi della mia saliva torturando la mia lingua. Assapora il mio viso, si immerge nelle mie ascelle ed affonda il volto nei miei seni madidi.
Si ferma solo dinnanzi al mio ombelico che studia con minuzia.
Ma la sua immobilità dura solo un attimo. Si getta in ginocchio per assaporare la mia fica che in un attimo si dischiude e riversa sulle sue labbra un lago di umori. Li raccoglie con due dita e senza alcuna grazia penetra il mio culo fino alle nocche della mano.
Urlo dal dolore ma non mi sottraggo, anzi muovo il mio bacino per agevolare l’oltraggio che il mio corpo sta ricevendo.
Ines non è sazia.
Mi spinge carponi a terra. Morde e succhia con avidità i miei piedi. Sale a leccare il mio culo, infila la lingua al suo interno in profondità mentre non smette di spingere forsennatamente le sue dita dentro di me. Come invasata afferra e cattura indecentemente nella sua bocca il sapore di ogni parte del mio corpo.
Sente che sto per esplodere e mi ordina di dissetarla.
Un attimo dopo, la donna che per mesi ho schivato, temendola quasi fosse un essere superiore, raccoglie dal pavimento e porta al proprio palato le gocce dell’orgasmo che mi ha visto rinascere e che non è riuscita a trattenere sul volto.
Sono esausta, vorrei lasciarmi cadere sul pavimento, ma con una dolcezza finora sconosciuta Ines mi sorregge ed aiuta ad alzarmi. Mi abbraccia, accarezza il mio ventre e penetra di nuovo i miei buchi che ora sa di possedere.
Spesso l’osceno è considerato unicamente nella sua accezione negativa, una pulsione aberrante di uomini e donne malate.
La depravazione è letta come un elemento da biasimare, condannare, respingere con tutte le forze. Una moltitudine di esseri umani sceglie deliberatamente di percorrere l’intero cammino della propria esistenza senza neppure tentare di gettare lo sguardo oltre ciò che è universalmente riconosciuto come lecito, accettabile, morale.
Ma alla fine nulla è paragonabile al piacere di aver oltrepassato i propri limiti ed essersi spinta lì dove nessuno avrebbe creduto potessi arrivare.
Ines ed io abbiamo fatto una scelta differente dalla massa.
Per mesi il medesimo copione si ripete. Lo sguardo di intesa. Le scale. La stanza. Gli abiti che cadono a terra. I miei piedi nudi. Il sudore che scorre lungo la mia schiena. Una pozza di umori sul pavimento. La mia carne chiede ed ottiene piacere seguendo turpi rituali pagani. Il mio corpo viene legato, immobilizzato per ore in sessioni estenuanti, conosce le più laide e scandalose profanazioni. Lascio che Ines disponga di me senza opporre un singolo rifiuto. Lei è la Mia Signora.
Mai una volta mi è concesso di ammirarla nuda, di appagare la voglia di lei.
Mi convinco che ciò sia parte di un disegno più grande che non riesco ancora a comprendere.
Ogni volta mi rivesto in un silenzio assordante che tradisce sensazioni troppo effimere per trasformarsi in sillabe, ma oggi, al momento di uscire dalla stanza, la sua voce mi raggiunge con un sussurro: “Vorrei che stasera tu fossi accanto a me.”
Il mio sorriso le regala la risposta desiderata.
Il cielo terso e l’aria fresca di una primavera appena affacciata che mi accolgono in strada guidano il mio passo incerto da sonnambula fino alla pensione dove un letto sfatto in una squallida camera rappresentano ciò che chiamo casa.
La mente è ancora troppo scossa ed annebbiata da quanto accaduto per poter riflettere, incanalare gli avvenimenti secondo una logica di causa ed effetto e comprendere il ruolo che mi verrà richiesto di interpretare nello spettacolo della vita che sta per andare in scena.
Alla fine la stanchezza prevale e mi abbandono ubriaca di mille domande senza risposta.
Mi risveglio quando il sole ormai è basso sull’orizzonte ed i suoi raggi a fatica raggiungono l’unica finestra di legno marcio rimbalzando attraverso i vicoli dei bassifondi che mi ospitano.
Il cellulare squilla all’improvviso ed il display indica un numero sconosciuto. Rispondo ed una voce maschile all’altro capo mi comunica le coordinate per un incontro. Un’auto passerà a prendermi per condurmi in un luogo che ancora non mi è dato di conoscere.
Appena il tempo di incamminarmi e raggiungere il luogo convenuto, e lì, puntuale, una berlina nera si ferma a pochi metri da me. Salgo.
L’autista è schermato da un vetro oscurato e questo non fa che amplificare una sensazione di disagio che mi colpisce come un pugno allo stomaco.
Il tragitto non dura a lungo mentre il buio cala avvolgendo i miei pensieri sotto la sua fredda cappa. L’auto si ferma di fronte ad una maestosa villa appena fuori città.
Ad attendermi un uomo mi invita a varcare una porta d’ingresso secondaria e seguirlo. Si muove speditamente attraverso tortuosi corridoi debolmente illuminati.
Il nostro cammino attraverso questo labirinto termina in una sala sfarzosamente decorata con mosaici geometrici alle pareti ed arredata con solo un imponente baldacchino al centro e delle sontuose poltrone in pelle disposte lungo il perimetro.
Sento voci mischiate al tintinnio di calici provenire da una sala vicina. Una porta di servizio si apre su un lato ed Ines compare fasciata da uno splendido abito scarlatto.
Appena si avvicina il mio accompagnatore si dilegua.
“Questo sarà il nostro palcoscenico stasera. Regaleremo ai nostri ospiti una rappresentazione del piacere che non potranno dimenticare. Non aver paura. Le tue domande stanno per trovare una risposta.”
Nel pronunciare queste parole vengo presa per mano e condotta in una ampia stanza attigua.
“Quando sono fuggita ero smarrita e senza una meta come te. Ben presto compresi di riuscire ad esercitare uno straordinario dominio su uomini e donne. Non si trattava si sola bellezza o fascino. Siamo entrambe figlie di una terra di frontiera ed il sangue di innumerevoli razze si è fuso per dare linfa vitale alla nostra gente. Noi siamo creature elette, graziate da una sensualità innaturale.
I nostri corpi sono flessuosi, i nostri ventri deserti d’oblio, l’odore della nostra pelle, per una misteriosa alchimia, un’ambrosia che invita al peccato chiunque ne venga avvolto.
Ho saputo giocare le mie carte. Ho scelto accuratamente donne e uomini di potere a cui concedermi in cambio di ricchezze e protezione e li ho resi miei succubi, lasciando a tutti gli altri la mera illusione di potermi avere. Così ho costruito un impero basato sul desiderio.
Ora per me è giunto il momento per lasciarmi tutto alle spalle e cominciare una nuova vita. Se vorrai tutto questo potrà essere tuo. Dovrai solo dimostrare di esserne all’altezza. Oltre quella porta ci sono le persone più influenti della nazione, quelle che hanno permesso la costruzione di tutto quello che mi circonda, le stesse che tengo in pugno senza che loro neppure lo sospettino.
Devi solo varcare quella porta, fissare senza timore ciascuno negli occhi e dare loro prova di quello di cui sei capace. Solo così sarai venerata come hanno fatto con me e ti impadronirai delle loro anime come una febbre senza cura.
Ora finalmente il disegno è svelato.
Scelgo da donna libera di varcare sfrontatamente la porta che mi condurrà verso una nuova vita.
Scelgo di non farlo da sola. La mia domanda rivolta ad Ines non si nutre di parole ma solo di saliva che lascivamente abbandono sulle sue labbra.
La sua risposta trafigge con struggimento il mio sguardo. Il mio misero abito ed il suo sontuoso abito da sera cadono. Le sue estremità si liberano del cuoio che le teneva imprigionate.
Davanti a me ho una Dea. La carnalità della sua figura trascende ogni logica e pensiero.
Ines afferra di scatto il mio polso e spalanca di colpo la porta.
Nella sala che ci accoglie con luci basse il brusio di voci cessa all’istante del nostro ingresso.
Decine di uomini e donne elegantemente abbigliate e con i volti coperti da magnifiche maschere veneziane, trovano posto sulle loro poltrone.
Avanziamo altere senza il minimo indugio attraverso la sala come emblemi mistici della passione. Sostiamo davanti a ciascun ospite esibendo lubricamente i nostri corpi senza mai abbassare lo sguardo.
Procedono infine in direzione del baldacchino. Ci sono otto uomini nudi disposti su due dei lati. Ines mormora: “Il loro compito è darti tutto il piacere che vorrai prendere. Usali senza alcuna remora.”
I loro corpi sono perfetti. Ciascun muscolo è teso allo spasimo. Le pelli lucide e ricoperte di oli essenziali. I sessi già eretti e turgidi alla sola nostra visione. Ma per me ora sono solo accessori di carne da cui trarre godimento e niente più.
Nessuna emozione. Nessuna eccitazione.
Il mio desiderio, il mio unico pensiero è rivolto ad Ines.
Lascio che mi preceda e si sieda. Mi inginocchio ai suoi piedi e finalmente sono alla mia mercé. La mia lingua si insinua tra ogni falange, lambisce dorso e pianta mentre mi inebrio dell’odore di una pelle morbida come seta.
Risalgo lungo le caviglie, i polpacci, le cosce che divarico cosicché il suo sesso si schiuda per le mie fauci avide.
Finalmente il suo nettare incontra le mie labbra mentre gli umori cominciano a sgorgare e dissetarmi.
Risalgo lungo la linea dei glutei e l’abisso dei sensi si spalanca quando l’effluvio del suo culo mi raggiunge più potente di qualsiasi droga. Ines mi incatena a se inarcandosi per permettere di penetrarla in profondità e leccarne ogni lembo mentre le mie dita la violano depravatamente.
Tutto il mondo attorno è scomparso. Gli occhi degli spettatori puntati su di me sono immagini vuote. Esiste solo Ines ed il vortice delle pulsioni che alimenta nella mia mente sconvolta ormai preda della lussuria.
Con movenze feline mi scavalca e poggia il suo ventre sul mio seno mentre si avventa sul mio sesso. Con un cenno richiama due degli uomini finora spettatori inermi di un dissoluto rito saffico e guida i loro pali pulsanti di carne e sangue nella mia bocca e nella mia fica.
I miei occhi ruotano all’indietro. I due trovano presto il loro ritmo. La mia fica rimane aperta e grondante solo per permettere al cazzo dell’uomo che mi sta montando di violare il mio culo ed infine passare nella bocca di Ines. Ugualmente la mia bocca assapora gli umori del sesso e delle profondità delle viscere della Mia Signora depositate sul cazzo che l’ha appena dilatata.
L’amplesso procede fin quando i due si scaricano nei nostri orifizi. Ines ed io ci aggrovigliamo per non perdere neppure una goccia del seme che fuoriesce dai nostri corpi e assaporarne immondamente il gusto.
Un suo gesto impone un rapido cambio di scena. I due comprimari ci abbandonano e tre nuovi attori prendono il loro posto cominciando a scoparmi simultaneamente ogni buco possibile. Gli altri tre riservano il medesimo trattamento ad Ines.
La sala si riempie di grida e gemiti mentre le nostre carni pallide assumono un colore violaceo per gli oltraggi subiti.
Mentre viene penetrata senza ritegno Ines non distoglie lo sguardo da me. E’ l’archetipo del vizio e della perversione. Nella mia mente scatta all’improvviso un impulso irrefrenabile. Quegli uomini non sono degni di offendere il suo corpo.
Con uno scatto mi divincolo dalla morsa degli uomini che mi stanno abusando e mi avvento sui tre che stanno dominando Ines liberandola dal loro giogo. Mi frappongo tra loro e la Mia Dea mentre con furore inveisco contro di loro e graffio i loro volti.
“E’ tutto qui quello che sapete fare con i vostri ridicoli cazzi? Non ho neppure iniziato a godere. Siete dei luridi vermi incapaci. Avete intenzione di cominciare a scoparmi o devo chiedere a qualcuno dei presenti di farlo al posto vostro?”
Dopo un attimo di sgomento, la reazione non tarda a giungere.
I loro volti cambiano d’istante espressione e faccio appena in tempo a leggere l’ira fiammeggiare nei loro occhi prima di venire strattonata con violenza e fatta inginocchiare. Sono circondata.
A turno ciascuno di loro preme sulla mia nuca costringendomi ad ingoiare la propria verga fino alla radice. Mi sento soffocare. Sento salire i conati di vomito ma i bastardi sanno fermarsi appena un attimo prima che il mio stomaco ceda.
Si alternano nel violentare la mia gola trasformando il mio volto in una disgustosa maschera della loro libidine. So che questo è solo l’inizio.
Ho ottenuto ciò che volevo. Ho scatenato la loro collera, ed ora Ines può godere dello spettacolo dello scempio che questi sei animali faranno di me e di quello che la Creatura che ha plasmato ha appreso.
Vengo sbattuta con impeto sul baldacchino. Immobilizzata mani e piedi.
Non c’è più pudore. Non esiste più alcuna decenza. C’è solo sopraffazione.
Il mio sfintere diventa il loro bersaglio. Vengo deflorata senza pietà e forzata a ricevere due cazzi allo stesso tempo che dilatano le pareti del mio ano allo stremo.
Vengo brutalizzata con una foga inaudita per un tempo che non riesco a percepire. Non concedo mai loro la soddisfazione di una supplica per fermarsi. Il mio corpo lotta per opporre una resistenza al solo scopo di aumentare la ferocia dei colpi che mi infliggono.
La mia pelle ormai è cosparsa di lividi ma ancora nel mio sguardo c’è un lampo di sfida.
In un attimo in cui mollano la presa grido loro con tutte le forze: “ Quando inizierete a scoparmi davvero forte stupidi bastardi? Volete riempirmi di sborra o siete qui per farmi perdere tempo?”
Rimangono ancora una volta sbigottiti, ma non hanno ormai più le forze per punirmi come meriterei.
Con uno sguardo d’intesa mi rivoltano come un fuscello ancora una volta e mi ritrovo a terra a quattro zampe con il volto schiacciato a terra.
Le mie braccia sono bloccate dietro la schiena. È una posizione terribile da sopportare ma trovo inspiegabilmente ancora energie per resistere.
A turno stuprano il mio culo sprofondandoci dentro con tutto il loro peso. Uno dopo l’altro fanno strazio del mio corpo e con un grugnito disumano riversano nel mio intestino fiotti caldi di sperma. La sala è avvolta da un silenzio irreale.
Gli uomini lasciano la scena. Il sipario non è ancora calato però.
Mi alzo a fatica. Il mio corpo è martoriato dagli affronti subiti. Barcollo ma attingendo alle ultime forze residue mi incammino verso gli ospiti che circondano ammutoliti il baldacchino. Giunta al cospetto di ciascun gruppo raccolgo con due dita lo sperma che sta fuoriuscendo dal mio ano prima che scivoli lungo le cosce ed oscenamente lo porto alla bocca ingoiandolo.
Le ultime gocce le riservo ad Ines. Mi attende fiera al centro della sala. I suoi occhi sono colmi di ammirazione, mentre i miei sono carichi di lacrime al pensiero che sto per dire addio alla Mia Musa.
Un ultimo bacio.
Un’ultima volta il suo sapore.
Le luci si spengono.
Oggi nasce una nuova Yara.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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