Prime Esperienze

Odore di...


di Giammarco1977
26.08.2023    |    10.691    |    9 9.6
"Rimasi senza fiato per quanto mi stava succedendo, ma non persi la calma: mi spogliai rapidamente, lasciando solo i boxer..."
Entrò nel bar mentre ero di spalle a prendere un caffè, e di scatto, mi fece girare il suo odore.
Non era quello del profumo che poi di lì a poco mi disse di usare, ma il suo odore, quello di… Immediatamente le feci spazio al banco. “Un tè, per favore e delle cartucce alle mandorle”, chiese.
Poco più di un metro e sessanta, snella, indossava un lungo giaccone di lana fucsia, sotto dei jeans attillati e un maglione largo che lasciava immaginare il seno turgido, piccolo, ma ben fatto. Capelli neri, occhi chiari, sui 40, lentiggini che le coloravano il naso e gli zigomi. Solo un’ombra di rossetto rosso su labbra piccole e carnose.
Per tutto il tempo che mi sembrò interminabile, fui rapito da quell’odore, sublime, certo, ma che non riuscivo a decifrare. Era qualcosa di silvestre, selvatico, come la terra bagnata dalla prima pioggia d’estate, o i pastelli e le matite che usavo per colorare da piccolo, intenso, freso e pulito come quello che avevo sentito in alcune aie in Bretagna.
Provai a tenere la testa fissa sulla tazzina del caffè, imponendomi di non guardarla, non volevo dare l’impressione di un assatanato, ma per quanto mi sforzassi di contenermi, alla fine cedetti e le parlai.
“Hai un buon profumo, cos’è?”, dissi. Lei mi scrutò mentre addentava una cartuccia e la accompagnava a un sorso di tè. “Di solito uso Roma, ma è da giorni che non lo metto. Comunque grazie”, rispose. Intuendo la sua disponibilità a intrattenere una conversazione e magari a instaurare una conoscenza, mi scusai per non averlo fatto prima e le dissi il mio nome. “Io sono Elena”, disse lei.
Dovevo correre in agenzia per del lavoro da chiudere con urgenza, e nonostante volessi passare lì con Elena quanto più tempo possibile, attratto dal suo odore, la salutai, andai alla cassa e pagai anche la sua consumazione senza però dirle nulla.
La mattina dopo ritornai al bar con la speranza di rivederla, ma niente. Ero tentato da chiedere al barista qualche informazione su Elena, ma non lo feci. Così fu per più di una settimana, tutti i tentativi di rincontrarla andarono a vuoto. Nel frattempo quell’odore mi era entrato nel cervello e non mi abbandonava, mi eccitava e mi faceva pensare sempre a lei.
Finalmente, era un venerdì mattina, la fortuna girò. Dopo aver consumato al solito bar l’ennesimo caffè e un cornetto, senza aver ritrovato Elena, andai alla cassa per pagare, e qui una inattesa sorpresa.
“Dottore, la sua consumazione è stata offerta”, disse la cassiera. “L’ha pagata Elena?”, chiesi. “Non lo so, era una ragazza che però ho visto poche volte qui da noi, non so come si chiami. Qui c’è anche lo scontrino”, disse.
Rimasi interdetto, contento per il gesto di cortesia, ma dispiaciuto per non averla rivista. Stavo per mettere lo scontrino in tasca, poi d’istinto lo girai e sul retro c’era un numero di telefono e il suo nome, Elena.
Non ci potevo credere, l’eccitazione si impossessò di me, mi chiusi il soprabito per nascondere una improvvisa erezione, la cappella mi pulsava. Uscito dal bar composi sul cellulare le 10 cifre. “Eccoti, come va?”, chiese, quasi sapesse già che quello fosse il mio numero.
Poche parole, ci accordammo per rivederci davanti casa sua, per le 21. Immaginerete come passai il pomeriggio, ancora non potevo crederci.
Finalmente fui lì e ci fu un’altra sorpresa. La chiamai per dire che ero giù ad aspettarla e di tutta risposta sentii il portone della palazzina in cui abitava aprirsi. “Terzo piano, lascio la porta ‘appoggiata’. Scusa, ho fatto un po’ tardi, sali”, disse al telefono.
Feci le scale lentamente, non ero arrivato alla porta che già ricominciai a sentire quel fantastico odore. Entrai e mi richiusi la porta alle spalle. L’appartamento era non molto grande, ma caldo e curato, parquet di rovere chiaro, pareti bianche, un paio di riproduzioni di Matisse. “Entra, sono qui in camera”, mi indicò.
Era seduta di spalle, a quattro zampe su un letto da una piazza e mezza, di spalle. Intimo di pizzo viola chiaro, reggicalze, calze, niente mutandine, niente reggiseno. Aveva acconciato i capelli con due codette a destra e a sinistra e con una coda classica.
Rimasi senza fiato per quanto mi stava succedendo, ma non persi la calma: mi spogliai rapidamente, lasciando solo i boxer. E ricominciò più forte: ad attrarmi era solo il suo odore, magnetico e indecifrabile.
“Sai perché sei qui?”, mi chiese senza abbandonare la sua posizione.
“No”, risposi.
“Sei qui perché sei riuscito a sentirlo…, non capita quasi mai”, disse.
Senza più parlare mi accomodai sul letto e come in estasi comincia a leccarle la schiena, a tirarle le codette, a mettere nelle mie mani i suoi piccoli e pieni seni. Cominciò a fremere e a inarcare la schiena, quando passai ad allargarle la figa con le dita, piano, prima soffermandomi sulle grandi labbra, poi stuzzicandole il clitoride. Sfilai i boxer, ormai pieni degli umori dell’eccitazione e la penetrai da dietro.
La montavo tirandole la coda centrale e lei gemeva come una puledra di razza, si contorceva. Le palle battevano contro le sue natiche e sussultava sotto i colpi. Poi all’improvviso venne, con le gambe che le tremavano. Sentii il suo breve schizzo che mi correva sulla cappella mentre tiravo fuori il cazzo. Ora, volevo il suo buchetto più stretto.
“Prendilo…”, mugugnò Elena sentendo la cappella umida appoggiata su una delle natiche di un culo sodo e accogliente.
Prima di penetrarla, però, passai ad allargare il buchetto e vidi la stella rossa “ricamata” che si era fatta tatuare intorno allo sfintere. Affondai il naso tra le natiche e fui in paradiso, sentii l’essenza di quell’odore che mi travolgeva, perché quello che stavo annusando e leccando era la fonte di quella fragranza che avevo sentito dieci giorni prima.
A questo punto, Elena mi chiese di stendermi, appoggiò il suo culo sulla mia faccia e si distese a farmi una pompa. Ero rapito dal suo sfintere, la lingua impazziva nel succhiarlo, con le dita chiavai di nuovo Elena nella figa. Venne di nuovo, con un fiotto più abbondante di prima che mi bagnò il petto. Lei continuò a succhiarmi il cazzo terminando il pompino e ingoiando la carica di sperma mentre io le possedevo il sedere con il naso, la bocca, le dita. E non fu tanto lei a darmi l’orgasmo, che partì dalla schiena e percorse le mie gambe, quanto quell’odore… ora sapevo cosa era… era odore di culo.
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