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Il Ricevimento


di DrCunnlingus
06.04.2017    |    16.712    |    3 7.9
"La penetrai con un dito, fino in fondo, quasi a toccarle l’anima, dapprima dolcemente, poi con maggiore ritmo..."
Non appena misi piede in quella villa maestosa, mi pervase un senso di nausea estrema. Ogni anfratto della casa ostentava una volgare ricchezza, propria di chi ricco lo diventa nel corso della sua vita.
Non riuscivo a credere di essermi lasciato convincere a partecipare al ricevimento, dove l’alta società milanese era presente in massa: giudici, avvocati, primari, tutto il potere borghese della città si era riunito come uno stormo di avvoltoi attorno ad una carcassa morente.
Entrai in un infinito salone, dove gli invitati arraffavano tartine e tintinnavano coppe di champagne con classe apparente. Discorsi strampalati saturavano l’aria, i bagliori accecanti dei gioielli in dosso a dame benestanti pregiudicavano la mia capacità di osservazione.
Mi avvicinai al tavolo dei rinfreschi, unico angolo della sala poco affollato, con l’intenzione di passare inosservato per tutta la sera; rabbrividivo al solo pensiero di dover interloquire con qualcuno, scambiare opinioni su argomenti che mi avrebbero sicuramente nauseato.
Un cameriere mi passò vicino con un vassoio pieno di coppe di champagne; si fermò davanti a me ma non abbastanza da impedirmi la visuale sul resto del ricevimento. Presi quattro bicchieri. Non volevo correre il rischio di rimanere sobrio e li buttai giù in quattro sorsi consecutivi. Ebbi il sospetto che fossero analcolici in quanto il mio stato mentale rimase immutato nei minuti successivi.
La situazione diventava via via più avvilente; agghindato come un damerino, rinchiuso nell’ultimo posto sulla faccia della Terra in cui avrei desiderato trovarmi, in balia di lupi famelici che mi scrutavano con la coda dell’occhio mentre discutevano tra loro di tassi di interesse, azioni in rialzo, politica economica e altra robaccia da ricchi annoiati.
Ero sfinito, esasperato, irritato quando, all’improvviso, tutto intorno a me si fece buio, buio pesto e sordo. Mi guardai attorno sbigottito ma non riuscivo a vedere nulla o udire alcun rumore.
Ed ecco che, dal fondo della sala, un punto di luce intensa si fece largo tra le tenebre opprimenti. Un punto inizialmente indefinito, sfuocato, senza forma. Provai ad estendere lo sguardo fino ad esso e la luce cominciò ad ingrandirsi e a perdere d’intensità. I suoi contorni formarono lentamente la silhouette di una donna sottile e statuaria, cinta elegantemente da un leggero abito bianco. Col passare dei secondi riuscii a definire sempre meglio la sua immagine e la vidi bellissima, con la delicatezza di un angelo. Irradiava fascino, raggi magnetici di bellezza incontaminata, che si stagliavano sulle pareti, sul soffitto, tutt’introno a me; mi sfioravano, mi accarezzavano, danzavano e mi tentavano, per poi sfuggirmi in un gioco di seduzione ammaliante.
Lentamente le tenebre scemarono ma la luce non tornò completamente. Ora intravedevo le figure in ombra degli altri invitati distratti e noncuranti di tale splendore.
La vidi appoggiata al piccolo camino sulla parete opposta, annoiata, triste, sola. Com’era possibile che nessun bifolco in doppiopetto si accorgesse di lei?
Bevve l’ultimo sorso di champagne dalla sua coppa e lo ripose sul vassoio di uno dei camerieri che transitava in quel momento. Si aggiustò il ricciolo scuro che baciava la sua fronte e, magicamente, posò il suo sguardo su di me.
Rimasi trafitto dai suoi occhi, un brivido mi percorse la schiena. Continuava a fissarmi, attendeva una reazione dal mio corpo imbalsamato. Sembrava non le interessasse altro di tutto ciò che la circondava. Risposi ai suoi sguardi in un gioco di parole sussurrate a distanza ma le mie gambe non volevano saperne di trasportarmi fino a lei.
Le sorrisi delicatamente, non volevo che gli altri si accorgessero di noi ed interrompessero quel momento; fu così che capì, si discostò dal camino e venne verso di me, lentamente, solennemente, silenziosamente per non danneggiare l’atmosfera ovattata. Quando mi fu vicina, però, cambio direzione ed uscì dalla sala.
In un istante, miriadi di sensazioni pervasero la mia mente prima di catapultarmi in una paralisi neurologica. Non so dire per quanto tempo rimasi immobile a fissare il vuoto, incapace di reagire; quando tornai in me decisi di seguirla, attratto da una energia magnetica che mi tirava a se ma, allo stesso tempo, inorridito al solo pensiero di aver forse perso le sue tracce per sempre.
Quando uscii dal salone ed entrai nel grosso atrio della villa, la vidi. Mi attendeva a metà di una lunga scala in marmo bianco, poggiata al corrimano.
Non appena mi vide, riprese a risalire la scala lentamente. La seguii con circospezione, senza, tuttavia, perderla di vista. Quando arrivai al piano superiore, la vidi entrare in una delle innumerevoli stanze.
Raggiunsi la porta socchiusa, la discostai lentamente ed entrai. Inspiegabilmente, la stanza, illuminata da una abat-jour che emanava una luce soffusa, era vuota di lei. Feci qualche passo in avanti e la cercai timidamente.
Sentii la porta richiudersi dietro di me, mi voltai e la vidi, raggiante come l’avevo lasciata.
Mi si avvicinò, mi accarezzò e mi regalò un leggero bacio sulle labbra. Ci guardammo negli occhi per un secondo e mi persi dentro di lei.
Mi prese le mani e le condusse sulla sua schiena, guidandole fino alla cerniera lampo del vestito. La aiutai a liberarsi del suo scampolo di seta finissima, che ricadde sulla moquette scura.
Era nuda, sinuosa e provocante, i seni floridi e la vita sottile, limpida e immacolata come una vergine. Rimasi incantato.

"Non hai mai visto una donna nuda?".

"Non una donna come te"


Mi sorrise e mi baciò nuovamente, questa volta con passione. Le mie mani percorsero la sua pelle liscia, sfioravano i fianchi, stringevano i glutei senza irruenza e risalivano verso seni sodi, giocavano con l’anello appeso al capezzolo destro. La baciai sul collo, risalendo a mordicchiare i lobi delle orecchie, mentre l’altra mano si insinuava dolcemente tra le sue cosce.
Le sfuggì un sospiro, sentivo la sua eccitazione crescere e la sua vita lubrificarsi.
La penetrai con un dito, fino in fondo, quasi a toccarle l’anima, dapprima dolcemente, poi con maggiore ritmo. I suoi gemiti crescevano di intensità esponenzialmente alla mia foga.
Ad un tratto, la mia mano si fermò bloccata dalla sua e venne ricondotta nel mondo di fuori.
Mi sospinse verso il letto e mi fece sdraiare. Si chinò verso di me, slacciò la mia cintura, abbassò la zip dei pantaloni e me li sfilò. Il mio membro in erezione cercava di liberarsi dagli slip. Lo massaggiò, lo accarezzò, lo mordicchio attraverso il cotone bianco e, finalmente, lo liberò in tutta la sua natura.
Cominciò a masturbarmi con foga, voleva restituirmi l’estasi che le avevo donato poco prima. Ne leccò la punta, il tronco, i testicoli, lo imprigionò tra i suoi seni, picchiettandolo di tanto in tanto contro i capezzoli turgidi.
Il piacere che mi provocava non è descrivibile con semplici parole, mai nessuna donna aveva mai saputo maneggiare il mio pene come lei stava facendo. Ebbi il timore di un orgasmo immediato ma non riuscivo a privarmi delle sua passione. Fortunatamente, si fermò un attimo prima del punto di non ritorno. Si arrampicò lentamente sul letto, si arrampicò sul mio corpo, percorrendone ogni centimetro senza mai staccarsene, finché non mi fu sopra.
Mi condusse dentro di lei e mi cavalcò con la fierezza di un’amazzone; mi guardava dritto negli occhi e gemeva e sospirava, aumentava il ritmo e diminuiva alternativamente. Non mi stava scopando, danzava su di me, danzava con me, conduceva lei i passi ed io la seguivo come un allievo alle prime armi.
Prese le mie mani e le portò ai suoi seni; li strinsi con veemenza, pizzicandole i capezzoli, portandola a quella situazione di dolore che non fa male alla mente.
Le molle del materasso cigolavano all’impazzata e per un istante ebbi il timore che qualcuno ci potesse sentire. Non sapevo chi fosse quella donna ma mi piacque pensarla come la padrona di casa, moglie annoiata di qualche industriale al piano di sotto. L’idea mi eccitò ancora di più.
Cominciai ad avvertire la sua stanchezza e decisi di condurre io il gioco. La rivoltai sotto di me e continuai a penetrarla con foga. Sentii le sue mani stringermi i glutei, le unghie graffiavano leggermente la pelle. Mentre la penetravo, le nostre lingue si incontrarono nuovamente e, per la prima volta, sentii il suo profumo inebriante. Era come se l’intera stanza fosse ricoperta di petali di rosa.
Eravamo entrambi quasi al culmine della libido, tra noi c’era sintonia come se ci conoscessimo da anni. Più la sentivo godere sotto di me, più aumentava il mio piacere e facevo di tutto per mantenere vertiginoso il livello di estasi.
Con le mani risalì lentamente la schiena, circumnavigò il mio torace e scese sull’addome, fino a raggiungere il fallo frenetico. Mi condusse fuori, si scostò da me e si mise a gattoni sul letto.
Voleva essere presa da dietro, la sua mano vogliosa mi chiamava a se. Non la feci attendere e la penetrai, afferrandole i fianchi con forza, per paura che potesse svanire nel nulla. Ripresi il ritmo, mi spinsi sempre più in profondità. Ero conscio che saremmo arrivati presto al culmine e mi concentrai ad imprimere indelebilmente quegli istanti nella mia memoria.
I suoi gemiti lasciarono il posto a grida di piacere intenso, sempre di più, sempre di più…
Sentivo il fluido della procreazione risalire velocemente verso la libertà, aumentai il ritmo dell’amplesso e, come per magia, entrambi venimmo nello stesso istante. Fu l’orgasmo più intenso e lungo della mia intera vita sessuale, talmente sconvolgente da stordirmi per svariati secondi.
Si lasciò andare e si sdraiò a pancia sotto, mi sdraiai sopra di lei.
Le nostre pelli sudate scivolavano l’una sull’altra, i respiri affannati si mischiavano in un unico sospiro. Chiudemmo gli occhi entrambi e ci addormentammo sfiniti.
Quando mi svegliai, la stanza era vuota e fredda. Mi ritrovai nudo, sopra le coperte soffici, illuminato da una debole luce.
L’immagine della mia dea era evaporata nella notte.
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