Il prezzo della bellezza

Lo vidi per la prima volta con quella sua aria da bravo ragazzo, preciso, gentile… un curriculum sentimentale perfetto. Sapevo subito che avrebbe detto di sì. A tutto.
Gli dissi fin dall’inizio le regole del gioco: se voleva me, con me venivano anche le mie libertà. Lui rise. Pensava fosse una battuta. Ma non scherzavo.
Era intelligente, tenero, laureato — perfetto per farci una storia, di quelle “serie”, come le chiamano. Solo che la mia serietà aveva contorni diversi: io non rinunciavo a me stessa per nessuno.
Gli spiegai che era inutile pretendere l’esclusiva: una come me è fatta per essere ammirata, desiderata, vissuta… anche altrove. E quando mi chiese, mezzo tremante, se un giorno avrei voluto sposarlo, gli risposi con un sorriso: “Se me lo chiedi, significa che ormai alle corna ti sei abituato. Forse ti piacciono pure.”
Stranamente non scappò. Rimase. E da lì iniziai a educarlo.
Con piccoli gesti, lo resi mio. Non con urla, ma con carezze e silenzi. Non c’era bisogno di dirgli cosa fare: lo intuiva, come un cane fedele percepisce il passo del padrone.
Non mi concedetti mai. Il desiderio lo teneva vivo. Gli altri uomini venivano e andavano, ma lui restava, a guardare. A immaginare. E più di tutto, ad obbedire.
Col tempo lo vidi cambiare. Più docile. Più devoto. Felice? Oh sì. Nel modo strano e intimo in cui sono felici quelli che rinunciano a se stessi per un ideale.
Forse era debole. O forse solo… innamorato alla mia maniera.
Lo capii presto: non era solo attratto da me. Era dipendente. Di quella dipendenza che non dà assuefazione, anzi — più gli toglievo, più mi desiderava. Era bello vederlo dimenarsi tra orgoglio e devozione, come un cagnolino elegante con il collare di seta… invisibile, ma ben stretto.
La mia bellezza non era solo un dono. Era uno strumento. Un’arma, se vogliamo essere onesti. E io sapevo usarla bene.
Gli facevo piccoli favori, come se fossero premi. Una carezza sulla nuca, una parola dolce sussurrata mentre passavo oltre… e lui si piegava. Sorrideva perfino. Nessun bisogno di darmi tutto: lo faceva da solo, felice di offrirsi.
Gli raccontavo dei miei amanti con naturalezza, talvolta con dettagli che nessuno dovrebbe tollerare. Lo guardavo negli occhi mentre lo facevo. Studiavo ogni reazione. E sorridevo dentro.
Quello che mi piaceva era la sua resa. Non forzata. Scelta. Lo aveva deciso lui di rinunciare a tutto pur di restarmi accanto. Io, onestamente, avevo solo accettato la sua offerta.
Alla fine, il gioco più sottile non era la seduzione. Era la consapevolezza che lui non avrebbe mai osato andarsene.
E io? Io continuavo a brillare, libera, beffarda e sempre più certa che nulla fosse più potente del desiderio mai appagato.