tradimenti
Una vigilia di Natale che non dimenticherò

29.06.2025 |
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"Ho sentito dei mormorii complici mentre attraversavano la casa verso le scale che portavano al piano superiore, alle camere da letto, e mi sono chiesto se lo avrebbe preso nel nostro letto o in una..."
Nota dell’autore:La trama di questo racconto, dai toni tragicomici e decisamente sopra le righe, mi è stata ispirata da una coppia di amici che, tra una risata e una confessione sussurrata, mi ha raccontato un episodio talmente assurdo da meritare di diventare una storia. Ovviamente, ogni riferimento a persone reali è (quasi) puramente casuale.
*****
Era la vigilia di Natale, e in tutta la casa non si muoveva anima viva,
Tranne me.
Camminavo nervosamente da una stanza all’altra, i passi pesanti sul pavimento vuoto. Il cuore mi batteva più per frustrazione che per freddo. La casa era pronta, decorata, calda. L’albero brillava in salotto. Ma qualcosa mancava.
Il cuore martellava, e il pensiero correva a mille.
La casa era vuota. Troppo vuota.
Dove c’era la mia famiglia? Dove diavolo erano Daniela e i bambini?
Dovevano essere qui. Dovevano aspettarmi. Doveva esserci l’odore di biscotti, le voci dei bambini, le risate. Invece, solo il ronzio del frigorifero e le mie maledizioni sottovoce.
Ero rientrato di sorpresa.
Ero stato lontano da casa per lavorare a un progetto che era in difficoltà. Avevamo una scadenza vincolante e un contratto che prevedeva sanzioni se il lavoro non fosse stato completato in tempo. Avrei perso il Natale con la mia famiglia e non ne ero stato felice. Mia moglie era stata molto comprensiva e aveva detto che avremmo festeggiato il Natale in famiglia al mio ritorno, il 5 gennaio. I bambini, naturalmente, avrebbero potuto scartare alcuni regali il giorno di Natale, ma lo scambio dei regali più importante sarebbe avvenuto al mio ritorno.
Mi ero ormai rassegnato a cenare allo Sheraton Hotel e a passare un'intera giornata davanti alla TV a guardare uno speciale natalizio dopo l'altro, quando ho ricevuto una telefonata dal mio direttore. Fu come se il destino mi avesse aperto uno spiraglio: “Vai pure a casa, ma il 27 ti voglio di nuovo qui,” disse il direttore, secco.
Avevo preso il telefono e avevo iniziato a chiamare le compagnie aeree per vedere se potevo trovare un posto così vicino alle vacanze. Ho ricevuto un "mi dispiace" da tutte tranne una. Mi hanno detto che erano al completo, ma che avevano avuto un'ondata di cancellazioni e mancate presentazioni e che se avessi voluto andare in aeroporto e mettermi in lista d'attesa, forse sarei riuscito a salire su un volo. Era il mio giorno fortunato, un piccolo regalo di Natale consegnato dal destino in persona. Alla fine, sono riuscito a salire su un volo.
Atterrato, ho preso un taxi e mi sono diretto verso casa, la mia villetta ad Agordo, in provincia di Belluno.
Avevo preso quel piccolo miracolo come un segno. Un gesto benevolo del destino. Il mio personale regalo di Natale.
E invece mi ritrovavo lì, in piedi, nel soggiorno di casa, immerso in un silenzio irreale, freddo come l’aria che filtrava dalle finestre. Nessun profumo di cena, nessuna voce. Solo l’attesa del nulla.
L’albero, decorato con cura dai bambini, sembrava fissarmi con ingenua allegria, ignaro della mia delusione. I regali sotto, ordinati e impacchettati, parevano in attesa di una festa che non sarebbe mai cominciata..
Presi il telefono. Chiamai mia madre.
“Amore! Ma sei tu?” fece lei sorpresa. “Non ti aspettavamo!”
“Dove sono? Daniela e i bambini?”
Un attimo di esitazione. Un fruscio.
“Perché Daniela non ha mai parlato di amiche del liceo. Nemmeno una volta in dodici anni.” Lo pensai. Ma non lo dissi. Ma lo pensai con una chiarezza feroce.
Chiusi la chiamata di colpo, con un nodo in gola che aveva il sapore del ferro e della vergogna. E già sentivo la rabbia salire, lenta ma costante, come l’acqua che invade una stanza da sotto la porta.
Quella frase, “amiche del liceo”, aveva stonato subito. Come una bugia mal costruita. Come un tappo che non chiude più.
E all’improvviso, un pensiero mi tagliò in due: “Se ha mentito su quello, su cos’altro ha mentito?”
Daniela non aveva più parlato con nessuna ex compagna da quando aveva abbandonato gli studi. E ora, all’improvviso, una cena con le “vecchie amiche”?
Mi sedetti. Cercai di calmarmi. Ma l’irritazione montava. Non era rabbia. Era un presentimento. Uno di quelli che ti fa tremare le dita e stringere la mascella.
La luna illuminava la neve quando i fari di un'auto, riflettendosi sulla finestra del soggiorno, annunciarono il suo arrivo nel vialetto.
Mi avvicinai alla finestra lentamente, come un ladro in casa propria. Sollevai appena la tenda. Due figure nell’abitacolo mostrava chiaramente un uomo e una donna seduti in macchina che si baciavano come due adolescenti. I due si tenevano abbracciati e si scambiavano lingue per quella che mi sembrò un'ora e, sebbene i finestrini dell'auto non si appannassero, io mi stavo certamente scaldando. Avevo la mascella serrata e le mani serrate a pugno così forte che sentivo dolore agli avambracci.
Ma l'uomo si era appoggiato allo schienale mentre la testa della donna spariva dalla vista. Non ci voleva uno scienziato per capire cosa stava succedendo.
Che quell’uomo si stesse facendo fare un pompino, e non uno qualunque, ma uno di quelli memorabili, come solo Daniela sapeva fare, era qualcosa che riuscivo a immaginare perfettamente. La scena si componeva nitida nella mia mente. Le sue dita che gli accarezzavano i testicoli mentre gli leccava la lunghezza e gli stuzzicava la punta del pene con la lingua prima di prenderlo in bocca e lavorarlo finché non gli fu in gola.
Potevo immaginare i pensieri che gli rimbombavano in testa, mentre lei lo stuzzicava, lo provocava, lo chiamava a venire con quel modo tutto suo, fatto di sussurri, respiri e parole sporche. Riuscivo quasi a sentire ciò che avrebbe provato quando Daniela gli avrebbe ingoiato tutto, fino all’ultima goccia, e poi lo avrebbe leccato piano, con cura, per pulirlo del tutto.
Vidi la sua testa scattare all'indietro e capii che si era appena sballato e un attimo dopo lei rialzò la testa.
Appoggiai la fronte al vetro, cercando di convincermi che stessi sbagliando. Non poteva essere lei. Doveva essere solo un’illusione, un gioco crudele della mente.
Ma non lo era.
Riconoscevo ogni singolo movimento. Quella foga controllata, quella dedizione. Era Daniela.
E sapevo esattamente cosa stava facendo. Perché l’aveva fatto a me, più e più volte.
Ora lo faceva a un altro. E io lo guardavo da fuori, come un estraneo.
Strinsi i pugni, finché le nocche non scricchiolarono. Sentii un bruciore salire lungo le braccia, come se il sangue stesse cercando una via d’uscita.
Dopo lunghi minuti, lui si abbandonò indietro. Aveva appena finito. Lei lo baciò, ridacchiando. Poi uscirono dalla macchina e si diressero verso casa.
Ci fu uno scambio di battute e poi vidi sia la portiera del passeggero che quella del guidatore aprirsi e capii che stavano entrando in casa.
Il mio stomaco era una fossa di serpenti.
Lasciai la finestra e scesi in cantina, dove tenevo tutta la mia attrezzatura sportiva. I passi pesanti, le idee nere.
Aprii l’armadietto e guardai le mazze da golf. Il putter era troppo leggero. Il ferro 9 troppo fragile.
Afferrai una mazza. La strinsi con forza. Era fredda, pesante, solida. Perfetta. Forse un po’ troppo per la situazione, ma, considerando l’umore in cui mi trovavo, andava più che bene.
Ho sentito la porta d'ingresso aprirsi e loro due entrare. Ho sentito dei mormorii complici mentre attraversavano la casa verso le scale che portavano al piano superiore, alle camere da letto, e mi sono chiesto se lo avrebbe preso nel nostro letto o in una delle camerette dei bambini.
“Lasciali spogliare e salire sul letto”, ho pensato, “e lascia che iniziassero ad accoppiarsi. In questo modo il mio ingresso sarebbe probabilmente passato inosservato finché non fossi stato abbastanza vicino da poter sferrare un colpo davvero potente con la mazza.”
Mi mossi furtivo come un’ombra. Salii silenziosamente le scale e mi fermai in cima. Sentii i lamenti provenire dalla nostra camera da letto e mi si strinse la mascella. Mentre mi muovevo silenziosamente lungo il corridoio, pensavo a tutte le cose che avrei dovuto fare una volta finito in camera da letto. Prima cosa: trovare un buco dove sparire fino al 26 mattina, perché dopo quello che avevo in mente per lo stronzo sdraiato nel mio letto, era certo che qualcuno avrebbe chiamato la polizia. Magari anche un’ambulanza.
Quindi il piano era semplice: restare in libertà almeno fino alle dieci del mattino del 26. Giusto il tempo per svuotare i conti, ripulire la cassetta di sicurezza e, se proprio andava di lusso, chiamare il servizio clienti anche il giorno di Natale e bloccare le carte. Spirito natalizio, versione vendetta.
Ma non avrei potuto fare nulla per impedire a Daniela di prendersi i bambini. Non avevo mai picchiato una donna e, per quanto potessi desiderarlo, non avrei iniziato con Daniela. Avevo pensato di cacciarli di casa, ma sapevo già come sarebbe andata. Con i tribunali dalla sua parte, avrebbe avuti i bambini comunque.
Avvicinandomi alla porta della camera da letto, decisi di aspettare di sentirli venire prima di interrompere la loro piccola festa. Era proprio appropriato, pensai, procurare loro il massimo del dolore proprio nell'istante in cui stavano godendo al massimo. Mi avvicinai al bordo della porta e poi mi misi con la schiena al muro ad ascoltare cosa stava succedendo in camera da letto.
Era davvero il momento giusto, pensai, di infliggere loro il massimo dolore proprio mentre stavano al culmine del piacere. Mi avvicinai lentamente al bordo della porta, poi mi appoggiai con la schiena al muro, cercando di captare ogni suono proveniente dalla camera da letto.
Lei gemeva e gridava acuti e lo sentii dire: "“Dio mio, sei sempre così stretta. Come fai dopo tutte le volte che ti scopo?”
Parole come pugnalate.
“Spingilo, dai, dammelo tutto. Fino in fondo!” gemeva lei.
Il letto che cigolava. Il mio letto.
Il colpo sordo di carne che sbatteva contro carne risuonava dalla stanza, un ritmo crudo e incessante che tagliava l’aria con una tensione opprimente, lasciandomi con un nodo alla gola e un senso di gelo dentro.
"Ci sono quasi", disse
Sollevai la mazza. Mi avvicinai alla porta. Il respiro corto. I denti serrati.
Proprio mentre stavo per allontanarmi dal muro, girarmi e varcare la porta per entrare in camera da letto, il mio cellulare squillò. L'avevo impostato sulla vibrazione prima di uscire dalla cantina perché non volevo che uno squillo del cellulare mi rovinasse i piani. Chi diavolo mi avrebbe chiamato a quell'ora della vigilia di Natale?
Tirai fuori il telefono dalla tasca e vidi che il numero sullo schermo era il numero di cellulare di Daniela.
Quella stronza mi chiamava per potermi parlare mentre il suo amante la scopava? Era così che si divertiva?
Mi infilai nella stanza dall'altra parte del corridoio, chiusi silenziosamente la porta e risposi al telefono.
"Ciao?"
"Ciao tesoro. Tua mamma mi ha appena detto che hai chiamato e che eri a casa."
"Dove sei?"
"Sono a casa dei tuoi genitori. Tu dove sei?"
"Sono a casa."
"A casa?"
"SÌ."
"Devi uscire da lì e venire qui e devi farlo subito."
"Perché?"
"Perché ho fatto un regalo di Natale a mia sorella. Dato che tu dovevi essere via e io passo la notte qui, ho detto a Chiara che lei e Andrea potevano usare casa nostra stasera invece di dover prendere una stanza in hotel. Le presterò la casa per una notte. Devi andartene da lì e venire qui così non gli rovinerai la serata."
Ho abbassato lo sguardo sulla mazza da baseball che avevo appoggiato al muro quando ho aperto il telefono e ho borbottato: "Rovinargli la serata, oh sì; non vorrei rovinargli la serata. Ci vediamo tra un po'".
"Sbrigati tesoro, ho un regalo da farti", disse e poi ridacchiò, "ma non fare troppo rumore o potresti svegliare i tuoi genitori. Ti voglio bene, tesoro."
"Anch'io ti amo."
Chiusi la telefonata.
E capii.
Capii quanto ero stato vicino a perdere tutto. Quanto il sangue era salito alla testa. Quanto il sospetto, la rabbia, l’orgoglio possano avvelenare.
Uscii da casa senza far rumore. Dal garage presi la vecchia bici. Pedalai al buio, nell’aria gelida, per tre miglia, in direzione della casa dei miei.
E mentre lasciavo il vialetto dietro di me, con le gambe che giravano lente ma decise, sussurrai:
“Buon Natale, Chiara e Andrea. Divertitevi. Finché potete.”
FINE
P.S.
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Alberto
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