tradimenti
La lezione della maestra


17.05.2025 |
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"E la vita, certe volte, bisogna davvero saper lasciarla andare..."
Il fiato sospeso. Sono chiuso in uno sgabuzzino. Fuori ci saranno 35 gradi. Non un alito di vento."Ciao" dice lui.
"Ciao" risponde lei.
Lui è il suo ex. Lei è la mia nuova fiamma. Siamo nell'appartamento dei suoi genitori. Il campanello ha rotto un momento di ordinaria siesta. Dobbiamo prendere un traghetto per andare a Ponza. Chi sarà?
Chi vuoi che sia in questo giovedì d'inizio agosto.
E' lui. Il suo ex. Non un ex qualsiasi. Stavano per convolare a nozze in quella Formia di grandi lavoratori e pochi svaghi.
Solo che lei voleva svagarsi. E si era fatta un appartamentino a Roma. Vicino a Cinecittà. Due stanze da letto, una cucina e un bagno. Aveva dato in subaffitto l'altra stanza a una romena. Non si sentiva neppure respirare.
L'ho conosciuta a una cena. Era sola. Io con un amico.
L'ho invitata al nostro tavolo perché una donna, da sola, in ristorante anche no.
Lei ha sorriso. Il mio amico un Baileys, io un Montenegro con un cubetto di ghiaccio, lei una vodka ghiacciata.
E' finita che ce la siamo giocata a testa o croce, o come diavolo si dice oggi con l'euro. Ho vinto io.
Ho vinto io e sono andato a prendermela a Roma.
Facendo impazzire, letteralmente, il cellulare con messaggini sempre più empatici.
Era un venerdì pomeriggio. Mi sono precipitato da lei. L'ho portata a cena fuori. Siamo risaliti in macchina. Direzione Firenze. Era già mezzanotte. Un'ora dopo, in un motel, una sosta per stemperare la stanchezza. Mi sono fatto la doccia. Lei era già sotto le lenzuola. Ho spento la luce. Mi sono fatto scivolare fino ai suoi piedi. Ho sfiorato le gambe. Nylon.
Sono risalito sotto le coperte. Autoreggente.
Amore, ho pensato. E sono andato di lingua. Lei voleva che mi alzassi. che la possedessi. Niente. Ho continuato di lingua respingendo le sue mani. Ha capito.
Si è messa comoda, la schiena adesso sulla testata del letto. E' stato un crescendo. Un respiro profondo. Ancora più profondo. Sempre più profondo.
Ha sborrato sulla mia lingua. Ho continuato a leccare la sua fica con un po' di peli umidi. L'ho fatta fremere. Vibrare.
"Basta. Basta. Basta" mi ha intimato. Le gambe le tremavano.
Solo allora, solo in quel momento le sono montato addosso. Pochi colpi, ben dati. Il liquido seminale sul suo pancino morbido.
Adesso sono qui. Nello sgabuzzino. Perché lei non ha ancora rivelato questa storia. Anche se con il suo ex non sta più da anni.
Siamo a casa dei suoi, perché doveva prendere non so bene cosa.
La casa è quasi come quella che mi sono immaginato la prima volta. Quando l'ho chiamata al telefono, dopo la prima scopata. Lei era tornata a Formia. L'ho chiamata al fisso, perché il suo cellulare era scarico. Le ho detto che pensavo a lei. Intensamente. Le ho detto che me lo aveva fatto venire duro. Le ho detto che avevo preso le mutandine di quella prima sera, me le ero portate vie come uno scalpo. E adesso, al telefono, mi stavo facendo una sega impugnando l'arnese con quel lembo di stoffa che chissà quante sborrate aveva salutato, prima di me. Lei mi ha detto che si stava eccitando. Ha iniziato a toccarsi.
"Cosa mi stai facendo fare..." ha detto. "Io mai..." ha ripetuto. Ha iniziato ad ansimare. E più ansimava più ansimavo. Finché ha sibilato solo "vengo".
"Anch'io le ho risposto" e mi sono pulito con quelle mutandine, mischiando la mia sborra con la memoria di quanti schizzi erano passati di lì prima di me.
Sono nello sgabuzzino e penso a quei rapporti nella posizione missionaria, sempre quella, che il suo ex le faceva fare.
Sono nello sgabuzzino e penso a quando lei a Roma, con un'amica, si è ritrovata a casa di un regista che si è fatto masturbare da quelle due amiche.
Sono nello sgabuzzino e penso a lei che incontra uno spagnolo che le ripete all'ossesso "corro" ogni volta che le sborra addosso.
Non succede niente. Lo sento. Convenevoli. Avrei voluto che succedesse qualcosa, per saperla libera di godere, sapendo che io ero lì vicino e non avrei potuto, neppure volendo, far niente.
Mi ha eccitato ieri sera sentirla parlare della sua collega. Una bella tipa. Alta. Poco seno, per i miei gusti. Una giovane sposa. Madre di una creatura di tre anni. Si è sentita sfiorita, mi ha detto. Ha finito col cedere alle lusinghe di un maestro di scuola, il maestro della sua piccola. Lui è riuscito a convincerla. L'ha sedotta. Sono finiti a casa di lui, al mare, da soli. Lei si è spogliata. Non oso immaginare cosa possa girare nella testa di una donna, sposa e madre, la prima volta che supera il limite dell'ipocrisia. Non oso immaginare cosa possa girare nella testa di una donna quando si spoglia, per la prima volta, davanti a un altro uomo.
Non oso immaginare cosa sia girato nella sua testa quando a quello non si è rizzato l'uccello e lei se ne è fuggita per la vergogna di sentirsi non desiderata.
Così mi ha detto la donna che adesso parla col suo ex mentre io resto immobile nello sgabuzzino.
Mi eccitano queste storie. Mi eccita, la mia lei, quando le racconta. Stefania.
Abbiamo iniziato a vederci i fine settimana. Tutti i fine settimana. Tutti i fine settimana a letto. Davanti al televisore. A guardare film porno per eccitarci di più.
A me piacciono quelle con le tette grosse, le ho detto. A me quelli col cazzo grosso, mi ha risposto.
Amore a prima vista.
E più che quelli scopano, più che mi si rizza. Più che quelle godono, più che lei si bagna. Le sussurro all'orecchio che vorrei vederla camminare, sculettando, davanti a un cantiere. Vorrei vederla rapire da mano avide di sesso. Vorrei sentirla gemere sotto i tocchi frenetici di chi vuole solo liberarsi la mente e svuotarsi i coglioni, su un corpicino così apprezzabile come il suo.
Ha delle imperfezioni, certo. Le ginocchia un po' si sfiorano e il polpaccio forse è un po' forte. Ma ha un culo che parla.
Ha una fica morbida e profumata. Ha un discreto seno e le piace da impazzire quando le mordo delicatamente i capezzoli. Quando la monto e le dico cose che solo in certi momenti puoi dire.
Quando le sborro in gola e lei beve fino all'ultima goccia. E' una divinità in questo. E ogni volta non posso che pensare quanta dedizione, quanta esperienza, quanto seme ha dovuto ingoiare per arrivare a questo livello di assoluta eccellenza.
Quando le entro nel culo con un filo d'olio extravergine d'oliva perché è setoso e agevola l'inserimento del mio salsicciotto teso tra quelle due colline. Come mi piace fare il culo alle donne, non potete capire. E' una questione cerebrale.
Prendere il culo di una donna significa essere il suo padrone in quei minuti di assoluto piacere.
Prendere il culo di una donna significa essere posseduti da una padrona così sicura di se stessa da spingere fino alla radice del cazzo per sentirsi troia.
Mi eccita, da morire, sentirle raccontare di quando si è ritrovata a casa di un uomo. E questo l'ha fatta sedere su una poltrona di pelle, nuda. Lui, nudo, su una poltrona, davanti a lei.
"Toccati" le ha detto. E lei ha obbedito. E lui ha iniziato a massaggiarsi il pisello, fino a farlo diventare barzotto.
Mentre lo racconta mi viene duro. Le dico, continua, continua a parlare. Lei si sta lisciando i capelli con la spazzola. In accappatoio.
"Non c'è molto da aggiungere" dice.
"Continua" le intimo. Mentre mi tiro una sega, in piedi.
Lei con occhi maliziosi mi guarda attraverso lo specchio. Vede che sono alle sue spalle.
"E sì, insomma" riprende. "Lui si masturbava, proprio come fai tu adesso. Io mi toccavo la fica. Ho sentito che si bagnava e alla fine il medio è scivolato dentro".
Uno, due, tre colpi secchi.
"E lui?".
"E lui... beh, insomma, gli era venuto grosso. Anche se era davanti a me, a qualche metro, lo vedevo. lo vedevo e avevo voglia. Tanta voglia. Ma lui niente".
"In che senso niente?".
"Niente, ha continuato a segarsi. Uno spreco".
"Prego?".
"Sì, uno spreco tutto quel bene della natura".
"Ti piaceva guardarlo?".
"Sì, in effetti... ma mi sarebbe piaciuto più sentirlo entrare nella fica".
Sto per venire, la guardo fissa negli occhi.
Lei si sta spalmando la crema sul collo. Fa scivolare l'accappatoio, mi mostra un seno, il capezzolo.
"E sai cosa ti dico?" accenna.
"Dimmi" la imploro.
"Lo aveva anche più grosso del tuo".
La sborra, il liquido cremoso, caldo, si spande sul suo corpo. Gocciola ovunque.
Lei impassibile prende una salvietta e mi pulisce il cazzo.
"Scherzavo, l'ho detto solo per farti godere di più" sussurra.
Quando penso a lei come a una troia lo faccio con rispetto assoluto, dogmatico.
Un'altra volta siamo a letto. Sono passati un paio di mesi da quando ci frequentiamo. Fine settimana di sesso puro.
Abbiamo appena finito di fare l'amore. O, meglio, scopare, vista la foga dell'amplesso.
Mi dice. "Non vedo la nostra storia proiettata nel futuro".
E' una rasoiata. Buttata lì, senza cattiveria. La realtà.
Lo scambio di parole non è dei più edificanti. Ma capisco che ci sono momenti nei quali rischi sempre di andare oltre. E, raggiunto un certo limite, so che devo fermarmi. Per rispetto. Per rispettare lei. Per rispettare me.
Non le scrivo neppure un messaggino. Lascio passare le ore, le giornate, anche se è duro pensare di perderla.
Ma va così. E la vita, certe volte, bisogna davvero saper lasciarla andare.
Passa un mese. Squilla il telefonino mentre sto lavorando. E' lei.
"Sai, domani passo da Firenze. Ci sei?".
"Che piacere sentirti".
"No, ho lasciato passare un po' di tempo. Perché era giusto così".
Ci vediamo, l'indomani.
La vado a prendere alla stazione. Andiamo a mangiare un boccone. Un discorso tira l'altro.
Ha deciso. Dopo tanti anni lascia Formia. Viene a vivere a Firenze. Perché ha deciso così.
Non si aspetta che l'accolga a braccia aperte. Ma quando glielo avevo proposto io, lei aveva sempre rifitutato.
Finiamo a letto, com'è naturale in questi casi.
A casa mia, ovviamente. Riscopro i suoi seni, fremendo. Le infilo la mano tra le cosce calde e trovo subito il pertugio umido. Infilo il polpastrello, mentre le succhio il collo. Lei allunga la mano, in cerca del mio uccello.
Lo sguaina che è già un pezzo di ferro. "Ciao" gli dice e si getta con le labbra aperte. La lingua circuisce il glande, con maestria. Pompa come una dea. I suoi pompini mi sono mancati in questo mese. Mi sono fatto le seghe pensando a lei.
Mi sono fatto fare i pompini da un paio di conoscenze, chiudendo gli occhi e pensando a lei. Sborrando in quelle gole, sui quei corpi, su quegli indumenti pensando a lei.
La faccio accomodare a cavalcioni sulla mia fava. Scopiamo con una veemenza che sposta la sedia sulla quale sono seduto.
Lei è un'amazzone. Struscia l'inguine sulla base della mia nerchia quasi la volesse spezzare. Gode. Gode come ha sempre fatto. Trattiene il fiato. Trattiene il respiro. Il volto si fa rosso. Le vene del collo s'ingorssano. Dice parole irripetibili, ansimando.
Si fa la doccia.
La osservo mentre si asciuga.
"Sai una cosa" spiega. "Quando ti ho detto che non vedevo la nostra storia... l'ho fatto perché un tuo collega mi stava tormentando di messaggini. Non era tanto per lui. Era per i miei pensieri. Perché se penso a un altro, mentre sto con un uomo... significa che...".
"Non ti preoccupare" ribatto, mordendomi la lingua. "Piuttosto, ci sei andata'?".
"La tua è una morbosa curiosità".
Mi confessa, mentre andiamo a cena, che Bobo l'ha invitata in un hotel. E' andato fino a Formia per lei.
Sai che sacrificio, penso io che laggiù sono stato decine di volte.
"Sì, siamo finiti a letto ma...".
"Ma?".
"Ma alla fine... sì, insomma. Non gli si è rizzato".
Il mio ego maschile è in trionfo. Non tanto per quello che è accaduto al povero Bobo, qualche cilecca può capitare... Ma per lei. Immagino la sua faccia. Come quella della sua collega. Del resto...
Inizia una settimana nuova. Fatta di messaggini. Foto piccanti. Telefonate nel cuore della notte.
Voglia. Tanta voglia di lei. Tornerà, tra pochi giorni, penso. Devo prepararle una sorpresa.
Ha dimenticato un indumento a casa mia. Glielo lavo e chiedo alla donna di servizio di stirarmelo.
Lei arriva venerdì pomeriggio e io sarò lì ad aspettarla.
Si porterà la valigia perché ha intenzione di restare qualche giorno. Per orientarsi, dice. Certo, sei benvenuta, penso.
Le dico che sarò ad attenderla alla stazione.
Quando scende e supera la barriera di controllo, sono lì. Lì con un pacchetto. C'è il suo indumento.
E dentro l'indumento un piccolo vibratore.
Lei arrossisce un po'.
"E' il mio benvenuto a Firenze" le dico guardandola dritta negli occhi.
"Un bel benvenuto" risponde sorridente.
"Sì, un benvenuto per farti star bene. Credo proprio che tu abbia ragione" replico.
"Su cosa?" mi chiede con un tono...speranzoso.
"Non vedo la nostra storia priettata nel futuro" le rispondo. Mi congedo e la lascio lì.
La vailgia poggiata a terra. Il sorriso che si spegne.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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