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Luca e Francesca dal dottore (Cap. 4)


di DottorErmes
07.05.2025    |    2.417    |    3 9.1
"Ermes rimase dentro ancora qualche istante, poi si staccò con grazia, togliendosi lentamente il preservativo con un gesto pulito, professionale..."
CAPITOLO 4 – Il Risveglio

Il ritorno alla coscienza non fu netto, ma si trascinò in una nebbia calda e appiccicosa. Luca aprì gli occhi a fatica, come se le palpebre fossero intrise di sabbia. Tutto era ovattato, e per un istante pensò di trovarsi ancora in sogno. Ma l’odore lo tradì.
L’aria era satura di un misto di sudore, lattice, disinfettante e qualcosa di più organico. Qualcosa di intimo. Lì dentro faceva caldo, ma non era solo temperatura. Era come se la stanza avesse assorbito ogni respiro, ogni gemito, ogni movimento.
Provò a muovere la testa. Un dolore sottile gli pulsava dietro gli occhi. E poi vide.
Il lettino. Francesca.
Nuda, con la pelle imperlata di sudore, le gambe leggermente divaricate, il respiro ancora corto. Sopra di lei, il Dottor Ermes, che la penetrava con movimenti controllati, precisi, quasi chirurgici.
La scena non era oscena, né disordinata. Sembrava... metodica. Silenziosa. Un protocollo in corso.
Luca spalancò leggermente gli occhi, istintivamente. Ma nessuno dei due si voltò. Nessuno sembrò notare che fosse sveglio.
Si guardò intorno. La stanza era perfettamente ordinata, come un ambulatorio elegante. Lo stesso ambiente in cui si era addormentato. Eppure ora sembrava diverso. Come se il mondo avesse ruotato su un asse invisibile mentre lui dormiva.
Francesca gemette piano, un suono che non gli apparteneva. Non così. Mai così. Era un suono di abbandono, di resa.
Il Dottore, invece, era immobile nel volto. Gli occhi fissi su di lei, il respiro regolare. Le mani sui suoi fianchi, ferme, rassicuranti. Ogni colpo era misurato. Non cercava il piacere, lo studiava. Lo regolava.
«Va tutto bene,» disse Ermes, con un tono basso ma chiarissimo, come se si rivolgesse a un’assistente silenzioso. «La muscolatura risponde, ma c'è ancora una leggera resistenza addominale. Stiamo sciogliendo il diaframma emotivo.»
Francesca ansimò, senza riuscire a parlare. Ma annuì, come sotto incantesimo.
Luca sentì un brivido salire lungo la schiena. Ogni istinto dentro di lui urlava di intervenire, di alzarsi, dire qualcosa. Ma il corpo non lo seguiva. Era come se una parte di lui avesse accettato il ruolo: spettatore silenzioso.
Ermes cambiò posizione leggermente. Sollevò una gamba di Francesca, poggiandola sul suo avambraccio. Le sue mani erano forti, stabili, mani di chi sa come si tocca, come si guida. C’era competenza in ogni gesto. E quel senso di autorità calma che non lasciava spazio a incertezze.
«Osserva come il bacino segue il ritmo,» mormorò, apparentemente verso nessuno. «Non c’è contrazione di difesa, il canale è aperto. Questo è un buon segnale.»
Francesca gemette più forte. Il suo ventre tremava, le mani stringevano le lenzuola. Il corpo si muoveva da solo, in risposta a quel ritmo lento, preciso.
Ermes non si fermava. Continuava con la stessa costanza, come se stesse completando una procedura. Il suo respiro era basso, controllato. Il sudore gli colava lungo la schiena, seguendo la linea scolpita dei dorsali.

Luca, ancora seduto sulla poltrona, si sentiva sempre più piccolo. Il suo corpo sembrava molle, incapace. Una gamba gli era addormentata. Provò a spostarsi, ma fece solo un piccolo rumore con la suola. Niente. Nessuno si voltò.
«Sta arrivando,» disse il Dottore piano, accennando un lieve sorriso. «Non fermarti, Francesca. Lascia che venga.»
E lei venne. Con un gemito spezzato, profondo, quasi implorante. Il corpo si tese, il ventre si contrasse, le dita si piegarono come artigli nel vuoto. Luca lo vide, lo sentì. Ma non era per lui.
Ermes rimase dentro ancora qualche istante, poi si staccò con grazia, togliendosi lentamente il preservativo con un gesto pulito, professionale. Lo ripose in un contenitore sterile. Si asciugò il petto con un panno, poi prese un blocchetto di appunti.
«La risposta fisiologica è stata ottimale,» disse, ancora una volta senza guardare Luca, ma come se stesse parlando davanti a lui. «Ora dobbiamo solo integrare il ricordo. Stabilizzare la percezione.»
Si chinò su Francesca e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Lei annuì piano, occhi chiusi, ancora scossa.
Solo a quel punto, Ermes si voltò. Guardò Luca. Non sorrise. Non si scusò. Solo un cenno con la testa, quasi impercettibile. Come un collega che riconosce la presenza di un altro operatore, meno esperto.
«Sta andando tutto nella giusta direzione,» disse, mentre si infilava una camicia pulita con calma. «Luca, sei sveglio. Bene. Poi parleremo anche con te.»
Come se tutto fosse normale.
Come se fosse stato solo testimone di una procedura terapeutica.
Come se nulla fosse cambiato.
E invece, dentro Luca, qualcosa era stato irrimediabilmente spostato.
Era ancora nella stanza. Ma non più al centro.
Era ancora nella relazione. Ma non più al comando.
Era solo.
Testimone di una trasformazione che non poteva più fermare.
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