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Piera, la portiera


di Membro VIP di Annunci69.it RoccoSifredda
06.10.2021    |    9.393    |    3 9.0
"Neanche finì la frase che me ne arrivò un altro, con l'altra mano sull'altra guancia..."

Avevo smesso da giugno di abitare a casa con i miei, ma nel mese di agosto tornavo spesso a controllare l'abitazione e ad innaffiare le numerose piante lasciate da mia madre sul terrazzo. Mentre stavo potando le ultime foglioline secche squillò il telefono: era lei.
“Ciao, come stai? Tutto a posto?”, echeggiava dalla cornetta.
“Sì, ho quasi finito qui”.
“Senti, quando vai via lascia le chiavi a Piera”.
“Piera?! Mamma, chi è Piera?”
“Ah, ma come, non lo sai?! Piera, la portiera!... Ahahah!... Quella ragazza tanto carina che ha sposato Alberto, il portiere! Quella mi sa che ha trovato l'America... E lui è un mascalzone!… Mmm… Non mi ricordo se sia romena o polacca...”.
Mentre concludevo la conversazione con mia madre, liquidandola velocemente, la mia mente già andava perdendosi in più d'una congettura: Alberto, il portiere, era rimasto vedovo all'età di quarant'anni quando io stavo finendo il liceo e, considerando che ormai io ne avessi quasi cinquanta, su per giù avrebbe dovuti averne una settantina; e se Piera era realmente una ragazza – termine con cui mia madre in effetti chiamava pure le sue coetanee ottantenni – l'America mi sa che l'aveva trovata lui!
Chiudendo con l'ultima mandata la porta di casa dei miei, feci un balzo di spaventò quando dietro di me scorsi la presenza fin troppo silenziosa di un corpo alto non meno di un metro e ottanta, capelli lunghi e biondissimi, pelle chiara come la luna nelle notti estive ed un culo letteralmente scolpito nella pietra o nel marmo,
“Piera!”, disse lei, “Sono Piera, la moglie di Alberto, ho parlato con tua madre prima che partisse. Mi ha pure lasciato il tuo numero di scellulare. Le chiavi puoi lasciarle a me”. E, mentre cercavo di mettere a fuoco, aggiunse: “Bulgakov!” e, cercando di dare un senso alla mia faccia che assomigliava sempre più ad un grosso punto interrogativo, “Bulgakov, l'autore del libro che hai sottobrascio... 'Il maestro e Margherita', no? È nato a Kiev, come me”.
Non era magra, Piera, e soprattutto non era né polacca né rumena, ma ucraina - mamma, cazzo, ucraina! - ma quel culo, a due terzi di quei quasi due metri d'altezza, era stato messo lì a posta ad incorniciare due gambe lunghissime per essere proseguito da un vitino stretto stretto da vespa che culminava con due tettine dai capezzoli a spillo ed un collo lungo lungo.
Non ero timido, mai stato, ma ero abbagliato dal suo fascino, dai pantaloncini in microfibra aderenti e da una maglietta trasparente che non lasciava spazio alla fantasia. A staccare i miei occhi da quel culo fu la mano di Alberto che vi si avventò sopra quasi a voler marcare il territorio, come se sulle falangi avesse tatuata la scritta “ È MIA”. Altezza un metro e cinquanta, panza modello “Anguria di Maccarese”, capelli tutti presenti ma troppo neri per essere veri ed una irresistibile simpatia, arricchita da due baffetti bianchi da mafioso, facevano di Alberto uno strano oggetto del desiderio, al quale molte signore dello stabile non erano mai state immuni.
“Ahahah! Che state a combina'?! A belli!... Vie' qua, amore mio! Ahahah...”
Troppe lampadine fulminate, troppi lavandini otturati, troppi quadri caduti avevano richiesto le sue attenzioni su tutti i piani del palazzo, per essere veri. Ed anche Piera, pare, c'era cascata.
Mentre più tardi rientravo a casa il mio telefonino suonò. Era un SMS. “Mi passi a trovare domani? Alberto va al paese a mettere i fiori sulla tomba della moglie. È l'anniversario. Sarò triste”.
'Fanculo l'America, 'fanculo Alberto, 'fanculo le piante e mia madre! Viva il culo! Il culo di Piera!
L'indomani dal bar di fronte al palazzo, mentre nervoso sorseggiavo il quarto caffè, assistetti alla pantomima: baci e abbracci, abbracci e baci, roba che neanche fosse partito per la guerra; lacrime vere ed ancora baci e abbracci, abbracci e baci ed infine una bella soffiata di naso col fazzolettone estratto dal taschino sigillarono il commiato di Alberto. Forse fu solo una mia sensazione, ma potrei giurare che da lontano Piera mi avesse fatto l'occhiolino. Non lo so, non ne sono sicuro, ma voglio ricordare così.
Appena la Panda di Alberto svoltò l'angolo, presi coraggio e mi incamminai. Suonai alla porta ed il sorriso di Piera, appena rivelato dall'aprirsi dell'uscio, cancellò ogni mia ansia. Mi tolse dalla mano il pacchetto che le avevo portato in dono, lo scartò velocemente, selvaggiamente, come un felino fa con la sua preda. Neanche si accorse dell'altro pacchetto, le deliziose ciambelline al vino del forno accanto che tanto piacevano anche ad Alberto e che finirono in un angolo della sale. “'Cuore di cane'! Ma come fascevi a... È l'unico di Bulgakov che non ho letto! Lo sai che il padre di suo nonno e il mio erano amici? Be', amisci, disciamo si conoscevano... Anche se la storia vera non me la ricordo più... me la raccontava sempre mio padre per farmi addormentare, quasi una favola... Sei gentile... E sei anche carino... Cavolo, se lo sei...”
E mi baciò.
'Fanculo Alberto! 'Fanculo Bulgakov! 'Fanculo Zelens'kyj! Un pezzo di fica di poco più di vent'anni mi stava baciando. Un pezzo di fica venuto dall’Ucraina, venuto apposta per baciare me. Un pezzo di fica che ogni volta che biascicava quelle “c” me lo faceva diventare ancora più duro.
Mi ritrovai di colpo sul divano, con una lingua che mulinava nella mia bocca, con le mie mani incastonate su quei chiodi che erano i suoi capezzoli e con le mani di Piera che ravanavano nelle mie mutande.
A riportarmi alla realtà fu uno schiaffo. Lo schiaffo di Piera seguito dal suo: “Se non mi fai male non godo”. Neanche finì la frase che me ne arrivò un altro, con l'altra mano sull'altra guancia.
“Sai perché sto con quel vecchio? Sì, è buono, un santo, ma sci sto solo per due motivi: uno è perché mi mena, mi fa male, così io godo, cazzo se godo!” E mentre stava per avventarsi ancora contro di me, anche se le guance erano finite, riuscii a bloccarle le mani, la rovesciai sul divano e le infilai il cazzo in bocca.
Succhiava Piera, succhiava di gusto e bene, le piaceva il mio bel cazzo duro, ma quando i miei gemiti si fecero più rapidi ed intensi mi respinse, lanciandomi via da lei. Poi mi venne sopra e si impalò col mio cazzo nella sua fica. Le mie mani erano appena andate a finire come due calamite su quel culo scolpito che lei, accorgendosi di nuovo dell'accelerarsi dei miei gemiti, si alzò.
E mentre si metteva a pecorina sul divano, mi disse: “Sto con quel vecchio solo per due motivi: uno è perché mi mena, l'altro è perché ha un cazzo enorme e mi piace troppo quando mi sfonda il culo!”
E così facendo inarcò le chiappe svelando un buchino fin troppo profanato, rosso rosso e con un centro nero nero, quasi fosse aperto verso le viscere più profonde della terra.
Sarà perché era la prima volta che una donna si comportava così con me o forse perché Piera era davvero bella ed irresistibile, ma il mio cazzo iniziò a smosciarsi.
“Ma che fate?!... Ma mica sarete matti voi due?!”, disse Piera lanciandosi su di lui in una disperata operazione “S.O.S cazzo”. Lo avvolse con la su bocca morbida, con le sue labbra rosso ciliegia e lo accarezzò con la lingua riportandolo ad un'accettabile erezione. Quindi si rimise a pecora ed allungò la mano per afferrarlo ed infilarselo dentro.
Dire che il culo di Piera ingoiò letteralmente il mio cazzo, ora definitivamente duro, è dire poco. Piera fece appena un sussulto, tanto era avvezza a farsi inculare, ma andò in una specie di trance erotica, mentre io resistetti davvero poco: appena le mie due palle toccarono quelle due chiappe sode per la terza o quarta volta, quel buco di culo rosso fuori e nero dentro fu travolto da una valanga di sborra che quasi quasi fece fuoriuscire il cazzo.
Piera si girò rapidamente e mi baciò appassionata, poi si infilò le dita di una mano tra culo e fica e se le portò alla bocca, baciandomi ancora una volta. Il dolce delle sue labbra insieme al salato della mia sborra coronarono quello che non poteva essere più che un sogno.
Invece era vero. Così come era vero poco più tardi il borbottio di Albetto che apriva la porta di casa mentre per fortuna avevamo appena finito di rivestirci: “Ma porca puttana!... Nun me so' scordato le chiavi della cappella de famijia?!”...
Quando mi vide, non ci fece nemmeno troppo caso, ed il suo “Lelle', bravo che je sei venuto a fa' compagnia, questa è giovane, vòle gente giovane...” fu subito coperto come una carta vincente giocata a Scopone dal mio folle entusiasmo di aver individuato ed afferrato al volo il pacchetto di ciambelline: “Abe’!... Assaggia 'ste ciambelline che t'ho portato! So'no zucchero!... Hai visto che buchi perfetti che c'hanno?!?!”.
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