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Gay & Bisex

011 SCENA MADRE


di CUMCONTROL
30.12.2019    |    4.569    |    3 4.4
""E perché no?" Disse mamma con cipiglio..."
L'ansia mi aveva levato il sonno.
Ero diventato nottivago.
Di notte ormai non dormivo più, ed accordavo le mie ragioni al sonno nelle ore di lezione. D'altronde nessuno più si occupava della mia erudizione. Ero formalmente stato espulso dalla scuola. Era questione di tempo, forse di ore, e me ne sarei dovuto andare.
Ero diventato ondivago e notturno, preferendo al letto i grandi varchi silenti dell'istituto. Amavo i silenzi, il tepore dei meandri opposti alla bruma là fuori oltre i vetri cattedrale.
Fuori le braccia degli abeti volgevano al vento il loro saluto perpetuo su ogni cosa animata e inanimata.
L'opale della luna poi velava d'azzurro le pietre e i dipinti, ed in terra si dilungavano le gotiche ogive radiose dell'astro.
Vagavo.
Vagavo e vagavo, fino a quando non mi fermai nel grande atrio.
Era da lì che un giorno ero entrato col cuore spaventato, ed una tremenda angoscia, presaga di qualcosa di infausto, mi occludeva la gola.
Ora quelle sensazioni mi tornavano prepotentemente in vita.

Si dice che il silenzio sia di chi s'accontenta, ma nel silenzio si ordiscono i delitti.

D'improvviso, da lontano, udii provenire un canto soave. Era voce di donna, voce melanconica e di calma. Il canto echeggiava dai corridoi clericali dal piano di sopra.
Era voce d'angelo. Rimasi incantato e immobile, e pareva il canto di una creatura celeste.
La voce era sempre più nitida.
S'accesero d’improvviso le cremagliere di luce azzurre dell'ascensore di cristallo. Le luci puntinate erano di un azzurro accecante.
Poi prese a muoversi la cabina dal piano di spora.
Scendeva lentamente come un'astronave scendeva, e la voce… cantava.
Corsi a nascondermi dietro una colonna inseguito da quel bagliore che lentamente, molto lentamente, preludeva all’atterraggio.
Il canto seguitava, melanconico, la luce saliva su per il colonnato, e poi più su sulle crociere nervate. Riparai dietro ad una colonna. Osservai il calare lentissimo della cabina di cristallo, e vidi apparire a poco a poco, i lembi di ampio abito. Poi il profilo di luce si rastremava nel profilo in un traslucido tessuto cupo di donna, poi quelle linee confluirono nella vita strettissima e fasciata, poi presero morbidamente a riallontanarsi salendo per il busto conico ed in fine vidi il collo, proteso, con un collare e pendagli ed in ultimo il capo, e sopra il capo un qualcosa di alto, di lucente e sofisticato.
Dalla sommità di questo traboccavano i capelli, a milioni, di un rosso sangue, e scendevano in una criniera di cascata sulle spalle.
Era la dea che cantava con una voce bellissima, soave, da incantare le bestie del mondo.

Posatasi finalmente la cabina, le porte si aprirono e nonostante le palpitazioni del mio cuore, ebbi la forza di guardare quella figura avanzare.
Le porte si richiusero alle sue spalle. Cantava. Il mio cuore era come impazzito. La luce della luna investì la sagoma.
Era mia madre.

Poi ultimò il verso con un acuto flebile e struggente, e si inchinò quasi come se fosse d'innanzi ad un pubblico acclamante.
Poi… Poi si ricompose, irta, inspirò rapita con una mano posata sul diaframma, e si guardò intorno.

Ciò che vidi dopo mi lascò senza parole.

"Un Deux Trois" pronunciò di scatto eseguendo tre ampi passi.
Ma cosa fa, mi dissi io.
Poi si accosciò tra due colonne come un samurai, poi sollevò la gamba, via la veste dalla coscia, e scosciata scorreggiò paurosamente.
Ma che cazzo fa! Mi dissi ancora basito.
Ma non fu tutto.
Dopo la loffia balzò sull'attenti, si voltò con un altro balzo, fece un saluto militare e poi di nuovo " Un Deux Trois ", su la gamba, olè, prrrr, scuregia.
C'era da non credere.


Si accesero le luci. Indietreggiai per nascondermi nella penombra sicura di una nicchia alle mie spalle.
Mamma ricompose il vestito, diede due colpetti di tosse, riassettò l'abito e congiunse le mani come in una misurata attesa.
Udii i passi del direttore che le si avvicinò. Era seguito da un ragazzo il quale evidentemente aveva trascorso l'intera notte in balia del vecchio. Il povero ragazzo aveva il volto imbrattato di una scura sostanza viscida, e pareva si fosse ripulito alla meglio.
- Buongiorno madame
- Buongiorno a lei direttore, oggi è il grande giorno, non è così? Santo cielo ma questo ragazzo ha mangiato del budino?
Il direttore nascose dietro di sé il ragazzo e poi lo ingiunse di congedarsi.
- Prego madame, prego da questa parte.
- Direttore lei non ha idea di come mi senta felice in questo luogo. Oggi è un grande giorno. Il giorno della cagna.

Il grande giorno?
Ecco, ci siamo mi dissi con voce tremula. Da che parte andava la mia vita, ero forse alla fine o forse sarei finito risucchiato dall'orice del mio destino?
Mia madre era venuta tra i monti per gestire personalmente la mia estromissione dall'istituto e a garanzia che io non facessi più ritorno in famiglia, a Roma.
Corsi in camera, ebbi freddo e mi inoltrai nei meandri delle mie coperte disfatte. Mi capita così, di provare un grande freddo e sonno quando mi assale la paura.
Il risveglio fu dei più terribili.
La porta si spalancò di scatto alle undici del mattino, e nella stanza entrò il professore di nuoto seguito da tre allievi muniti di sacchi di plastica.
Aprirono gli armadi e i cassetti, il professore levò via le coperte e mi trascinò nel bagno della mia cella ove mi voltò alle piastrelle e mi ficcò la minchia.
Io, innamorato di quell’uomo, ignorando la sua brama, mi affettai a dirgli che non ero in ordine, che da giorni non eseguivo i clisteri mattutini e che…
Non vi fu verso…Si accanì a schiacciarmi contro il muro e a rovesciare nel mio stabbio melmoso la viscida sostanza testicolare.
Poi mi fece inginocchiare tra la tazza ed il lavandino.
Ero atterrito, guardavo tra le gambe del mio professore quei tre ragazzi intenti a prelevare le mie poche cose che buttavano infondo ai sacchi di plastica.
Il professore mi prese il mento e indirizzò il mio volto al pube. Non disse nulla, salvo che dirmi “oggi i cessi son rotti”.
Sfoderò la minchia, tumida ma arresa al peso grave della sua stessa massa.
Con le dita guardandomi dall'alto con le labbra che accennavano ad un breve sorriso, egli sfiorò la tremula polpa del mio labbro inferiore. Poi ad uncino aprì la mandibola ed io ebbi un sussulto di piacere, già che un tempo quel mio professore si appropriava di me ed io lo amavo.
Dal terrore fiorì la gioia e mi sversò nel ventre l'acre piacere umano della sua sostanza vescicale.
Poi uno dei tre ragazzi accostò a noi, assai simile a lui nella complessione e nella statura. Anche lui aveva tendenza alla calvizie, aveva mandibola allargata e due profondi occhi glauchi e vagamente melanconici. Chiese al docente di approfittare della latrina umana ma il docente evidentemente in preda all'istinto possessorio dei veri predatori negò ogni istanza. Allora il ragazzo insistette e questa volta il mio professore dovette cacciarlo con malagrazia.
Mi sentivo felice di essere di nuovo suo, e quando estrassi la lingua per raccogliere le ultime gocce fuoriuscite dal cazzo, egli si ricompose dopo la scrollata, mi sputò in gola con una inedita nota di disprezzo che mi lasciò pensare.
Quando uscimmo dal bagno vidi oltre i vetri un falò acceso ed un gran movimento di allievi e professori.
Mi furono consegnati i tre grossi sacchi di plastica e seguito dal mio professore e dai tre, dovetti percorrere il lungo corridoio per uscire in cortile.
In cortile mi furono levati i sacchi di tutte le mie cose, ed il professore di matematica sopraggiunse lanciando i sacchi nel rogo.
Tra le volute di fumo nero io guardavo tutti chiedendo spiegazioni ma nessuno, dico nessuno, nessuno ebbe a rivolgermi la parola.

Tutto dei miei indumenti fu lanciato nel fuoco.

Protestai ed imprecai e poi udii chiamarmi. Mi voltai, vidi sopraggiungere il mio professore di nuoto. Gli implorai di spiegarmi cosa mi stesse capitando e per tutta risposta fui preso a schiaffi in faccia, davanti a tutti, in cortile, tra le volute di fumo.
Mi aggrappai a lui, alla sua compassione di uomo, ma lui tolse via l’ultimo appiglio del mio decoro. Levò la maglia del pigiama e con gesto sicuro finì anch’essa tra le fiamme.

E ricordo che mi disperai, nudo, in ginocchio davanti alle impassibili fila degli allievi e dei precettori. Sentivo il cuore scoppiarmi nel petto e fui costretto a stare in piedi nella mia piena nudità.
Disperatamente cercai con lo sguardo il mio uomo, il mio professore di nuoto che nel mentre s’era messo a contemplare le fiamme del falò. Non scorsi in lui alcun barlume di una qualche umana pietà.
Ricordo il mio pene ritratto, il brivido della vergogna, lo schiaffo della mia umiliazione….
Per che cosa poi… Per essermi innamorato di un mio precettore? Di aver violato la regola carnale delle orge e aver peccato di presunzione confidando nel bene di qualcuno?

Tutto in cortile taceva su quella folla inanimata di allievi e precettori.

"Ragaaaaazzzziiiiiiii" ...

Tutti ci voltammo esterrefatti verso il viale.

"Ragazzi perdonate il ritardo ma questa mattina avevo una grande occasione da non perdere".
E cosi vidi nuovamente mia madre.
La vidi scendere grave dalla breve scala di pietra che dal pianoro scendeva al prato delle violette.. Portava in capo una netta riga al centro e i capelli erano tirati e cinti in sommità da una bizzarra coroncina di rigido macramè corvino, cui spuntavano qua e là piccole guglie ricamate, pinnacoli e croci.
Indossava un abito scuro dalla ampia gonna lunga. Scendeva regale tenendosi i drappi improvvisando un’aria austera.
"Vi piace? L'ho preso questa mattina all'asta di beneficenza. Al consorzio bancario di Ginevra, pensate. È appartenuto alla regina Vittoria in persona. Come donna era una racchia. Ma che cacciottona doveva parere con questo abitino. Questo abitino abita ora un bel corpicino, il mio, non per dire, seducente. Non trovate? Ma che ve lo dica a fa’”.

Il direttore le si accostò davanti. Ella distese il braccio soave con un fare da ballerina ed egli si genuflesse servile a sfiorarle la mano.
"Contessa, questo vestito le si addice. Ho temuto che tardasse. Ma le ha giovato molto una breve sortita in città. Trovo che l’aria di montagna le giovi molto”.
Mia madre lo guardò trucemente. Poi, massaggiandosi il ventre con una mano, mentre con l'altra si manipolava i lombi, disse..
"Lei crede? Oh direttore lei è gentile con le signore, è un gran peccato questa sua vocazione alla sodomia, ma devo deluderla. Sono tutt'altro che briosa. Ma ha visto che cera che c’ho? Ho proprio una gan cera del cazzo. Non ho chiuso occhio. O direttore, è tremendo avere un marito come il mio. Un pederasta, si, un pederasta. Toglili il ragazzetto allora ti tocca fargli da moglie. Ma prestargli il culo…o il culo, questa fissa del culo”.
“La prego Contessa”. Il direttore si guardò attorno.
Mia madre sedette sulla panca in pietra come un’autentica regina, si guardò attorno, disse ma che bei fiori, e tirando di fumo si deflesse appena emanando una deflagrante scorreggiata.
Il direttore la guardò esterrefatto. A mamma la logorrea aveva preso il sopravvento, e massaggiandosi il ventre e i lombi aggiunse…
"Per carità è un buon marito. E’ venuto fin qui giustappunto per accompagnarmi, ma di far visita al monastero proprio non se la sente. Del figlio? Manco per il cazzo. Non ci sta stare da solo a casa. Cosa vuole, il ragazzetto lì, quella cosa lì che si tromba tutti i giorni ora sta a Londra, e siccome il maritino abbisogna sempre di un buco da chiavare, allora cosa vuole, debbo fare la mia parte... All'alba di stamane stavo ancora a fargli da serva, e quel birichino mi ha preso a male parole sa, cosa vuole è nervoso, e mi ha pure pisciata in culo. Una diarrea guardi che mi prende ogni volta che… Dio mio devo cacare, ma un cesso comodo in giardino?".
Poi si voltò verso tutti noi.

Finalmente mi vide.
"AmmmooOOOore"

Amore ripeté venendomi vicino.
"Bello come il sole. Ti han tenuto bene in quest' istit…. Ma guarda che bel cazzone ti è venuto. Si vede proprio che ti ho fatto io. Direttore scusi entro perché devo andare alla toilette"
"No!! " Esclamò il direttore.
"E perché no?" Disse mamma con cipiglio.
Il direttore si affrettò a dire che tutti i carichi e gli scarichi dell'acqua erano stati chiusi a causa del pozzo nero da svuotare.
"Ma cosa vuole che sia una cacata in più o una cacata in meno" e si diresse verso l'ingresso.
Il direttore la fermò, e lei stizzita disse…
"Senta direttore, vorrei vedere lei nelle mie condizioni. Sono cosi piena che rutto urina. Non sono abituata a farmi pisciare in culo, ergo ho la diarrea e non mi fermerà mica con questa storia dei cessi tappati!” .
Entrò e fu seguita da due allievi.
“Contessa ma dove va”… gridò il vecchio
La sentii correre ora da un lato, ora dall'altro. La sentii salire e scendere le scale strillando "devo cacare!!!!"..
Ma tutti i gabinetti erano stati sigillati, chiusi già dalla mattina, e la udii lontano scardinare le maniglie urlando "madoooooooo".
Poi non si udì più nulla.
Udimmo solo il cinguettio degli uccellini ma poi par che persin loro tacquero.
Silenzio...

Sfondò quasi una vetrata e fuoriuscì mia madre calpestano violette rincorsa dai due allievi. Strillava e correva avendo come obbiettivo un cespuglio di azalee in cui si tuffò a pesce con l'abito della regina.
I ragazzi corsero poi dentro l'edificio e vi riuscirono correndo con una tanica d'acqua e carta igienica.
"Aaaaaazzzzzz" esplose mia madre sotto le azalee e un fragore di scuregia e liquidi in eccesso la sciolse nella beatitudine del suo fogliame.
"Oaaaazzzzzz" ripete' ancora.
Vidi solo i due ragazzi in attesa fermi a pochi passi a guardare mamma giù nel cespuglio.
Poi strillo' ancora….
"O, la merdaaaaaaaaaa. O santo cielo ho sporcato il vestito demmmmmer'.. Cosa c'avete da ridere a ragazzì".
I ragazzi sghignazzanti le passarono la tanica e la carta.
Poi svettò dalle azalee, si ricompose e venne verso di noi col suo strascico regale inzaccherato di merda.

Ecco che dal piazzale giunse ad alta velocità un grosso furgone bianco, curvò e si fermò avvolto da un nembo di polvere bianca.
Scesero tre uomini. Un gigante dalla complessione robusta, uno smilzo con la faccia pustolosa ed in fine un nano. Si. Un nano, di nome Knifo.

Mia madre disgustata dal trio disse un misericordioso santo cielo. Andò verso di loro e rivolgendosi al nano disse…..
"Momola, Contessa Momola, attrezzature belliche, lieta".
Il nano fece che porgere le labbra al dorso della mano di mamma che ritrasse prima che la bestia potesse toccarlo.
Poi, indirizzando l'indice su di me disse...
"Ecco il pezzo".
Il pezzo? Mi interrogai.
Allora i tre uomini mi si avvicinarono, e mi studiarono il corpo con somma attenzione.
Poi mamma si affettò a seguirli, tirandosi di tanto in tanto il lembo dell’abitino per constatare con discrezione l’avvenuta evaporazione di un compromettente afrore di merda.
"Come vedete il fallo è di tutto rispetto. È perfettamente in grado di fottere, certo va ammaestrato un po', ma è un semilavorato che vi darà molte soddisfazioni". Esclamò mamma.
“Poi va beh, guardate che piedi nervosi. Ai maschietti piace molto no? Le fette intendo”.
Il nano si chinò sul prato e annusò lungamente il dorso di un mio piede fino alle dita.
Mia madre mise le mani ai fianchi.
"E allora?".
"Ancora un momento" disse il nano.
"O santo cielo quante storie. Senta qui ci sono due chiappe e in buco da disfo. E’ una cavalla, è addestrata, riceve senza problemi ogni calibro, salvo pugni o mazze da baseball naturalmente, ma ci si può arrivare. Gode di prostata, e dio solo sa quanto a voi maschietti piaccia udire il sollazzo della femmina sfondata, e poi mi riceve fino a un litro e mezzo di urina in culo senza dire mah. È sano come un pesce, piegati ninni mio, lasciati esaminare il buco del culo dai qui presenti".
Mi piegai ed aprii le chiappe senza pensare troppo a ciò che stava accadendo tanto mi sembrava tutta una farsa.
I tre si misero ad osservare, ed anche mia madre prestò l'occhio.

"È sano è sano, fidatevi" ripete' mia madre…. "ninni fai una scorreggia ai signori.. Vedrete signori cari che non annuserete nulla di marcio".
Io la guardai perplesso
"Mamma non mi viene".
"O ninni mio, tu spingi e non ti preoccupare, qualcosa esce sempre, vuoi spingere porco di un cane??".
Allora spinsi ma ciò che usci furono le gocce di latte del mio professore di nuoto.
"Santi numi" esclamò mia madre. Poi si voltò al direttore e disse..
“ Ma eiacula dal culo??".
Mi voltai dicendo a mamma che nel primo mattino ero stato inseminato.
"Ah, ok. No perché evidentemente qualcosa mi sfugge ancora dell'universo maschile. Spingi ninni mio, spingi fai vedere di cosa sei capace".

È così standomene piegato con le mani alle ginocchia, digrignai i denti, chiusi gli occhi e spinsi.
Sgorgò da me la lattea sostanza secreta dai testicoli del mio professore, e ciò che accadde dopo, ebbe dell’incredibile.

Uno dei tre, lo smilzo con la faccia butterata, si fece largo, si inginocchiò, mi afferrò i glutei e prese a leccarmi il buco del culo con avidità sorprendente.
Vidi mia madre voltarsi e mormorare un madonna che schifo.
Ma poi l’altro, l'energumeno dalla complessione robusta, spinse via lo smilzo. Lo smilzo protestò come si sarebbe potuto immaginare visto che pareva assai assorto nella degustazione, ma il bestione prese il suo posto con rude prepotenza. Sentii una corposa lingua bagnata di biascia ripulirmi la bocca del retto.
Anche il nano volle la sua razione e spinse via a sua volta il bestione. Ma il bestione pareva non voler rinunciare al lauto banchetto. Il nano allora estrasse la cintola dalle sue brache e prese a scudisciate il gigante che capitolò al quarto colpo.
Ecco che il nano ebbe per sé la pietanza, ma grugnì deluso per la penuria di sborra avanzata dal culo. Apparve irritato, per evidente causa di una deprecabile ingordigia dei propri compagni. Ma non demorse. Infilò le dita nel mio retto.
Le conficcava con decisione, le uncinava, le roteava al mio interno per poi estrarle. In seguito passò le dita nella propria bocca ripetendo il gesto più volte e mugugnando d’acquolina.

Mia madre emise un lamentoso sospiro.
“Ma quanto deve dura’ sta cuccagna!”

Poi il nano cavò fuori la minchia delle proprie brache e mi sospinse giù sempre più giù, fino ad inginocchiarmi sul prato di modo che potesse sodomizzarmi con agio e ad idonea altezza. Ovvio che fu difficile per me calibrar la quota del culo al suo mostruoso genitale ma il gigante che ci stava di fianco, ebbe a poggiare sui miei lombi il suo pesante stivale schiantandomi sull’erba.
Il nano allora mi si aggrappò’ ai dorsi e ansimando prese a puntare sul buco.
Mamma allora irruppe…

“No scusino! Scusino ma vi pare questo il contesto adatto per certe schifezze? Direttore tutto questo è immorale. Un po’ di creanza, vi prego. Per favore fate qualcosa”.
Allora sopraggiunsero dei ragazzi coadiuvati da alcuni professori che liberarono la cagna arpionata dal nano. Il nano fu strattonato, e parve non volesse levarsi via già che ormai mi stava dentro e si dimenava nella speranza di una subitanea sborrata.
Ma il nano fu disarcionato e costretto a rialzarsi proprio nel momento migliore, tanto che il cazzo prese a schizzare convulsamente senza controllo, macchiando per altro l’abitino di mamà.
“Emmmadonnaaaaaa!” strillò mamà.
Il nano avanzò prontamente le proprie scuse.
Poi si ricompose. Lo smilzo ci raggiunse che nel frattempo era andato a prendere un grosso borsone dal furgone che aprì ai nostri piedi.
Il borsone traboccava di banconote e mia madre disse..

“O bene. Affare fatto. Ma mettiamo in chiaro una cosa. Questo danaro andrà ai nostri benemeriti frati. Io non potrei mai permettermi di incamerare questo danaro già che trovo questo mercimonio assai immorale per una madre. Prendetevelo, abbiatene cura e fatene di lui un domani ciò che forse oggi di sé non conosce ancora”.

Io la guardai interrogandomi sul senso del suo proferir sibillino.
Poi fui prelevato dai tre. Io mi voltai ora a destra ora a sinistra. Poi supplicai mia madre.
Quei tre mi allontanarono da lei. Io implorai di tenermi con loro ma ella par che non udisse.
Fui trascinato al furgone e quando proprio fui di peso scaraventato dentro l’abitacolo mia madre sollevò un braccio e tutti si fermarono.
Dalla mano scese fluido il silenzio.

“Figlio”…

Il falò bruciava...

“Figlio, che male il tuo morso al seno. Io t’allevai come un capro ed ora t’immolo per solo amore. Va’ figlio, và. Non voltarti mai nella vita e mamma ti amerà per sempre”.

Poi ebbe come una crisi di pianto. Io fui sospinto nell’abitacolo posteriore del furgone. Mamma si mise ad urlare imprecando iddio. La portiera si richiuse ed io mi aggrappai alle sbarre della feritoia chiamando mia madre.
Mamma, io urlavo.

Ella allora prese la rincorsa verso il mio furgone, strillando la teatrale pena di madre. “Medea sono”, urlava, e i preti la trattennero mentre lei gettava in avanti le braccia. Oddio ripeteva, oddio devo cacare lasciatemi stare, urlava.
Poi depose alla fronte il dorso della mano e s’accasciò come cosa umana muore.
Nello scompiglio generale fu prelevata una barella, mamma fu deposta, e issata a venti braccia sollevate. La vidi di profilo col braccio pendulo sulle teste dei ragazzi, e quel suo corpo inanimato e afflitto fu condotto come in una processione fino alla soglia del monastero.
Il buio del portale ingoiò il corpo vestito di mia madre e l’ultima cosa che di lei vidi fu lo strascico ultimo del suo lembo di seta e velluto, velato dalla impronta della sua stessa merda.





HUNGARIAN RHAPSODY
Autobiografia di un libertino.

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