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IL GIRONE DELLA M - ATTO TERZO - "LE TRE LINGUE"


di CUMCONTROL
04.02.2014    |    7.490    |    2 7.0
"Riky tratteneva la base del fallo di Paride ma non ci fu verso..."
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAzzzz!!
Ragazzi, se si vuole ogni giorno si impara qualcosa.
Ho imparato a farmi lo orecchiette alle cime di rapa. Mi sono messo a prepararle il tutto nel pomeriggio…. con calma e sorseggiando…..champagne. Di champagne delle volte ne faccio abuso.. lo confesso. Ma lo adoro dai. Delle volte me ne sto a digiuno e bevo solo champagne. Per tutto un giorno.
Mi inebria, e soprattutto dà lustro ai miei spiriti allegri :-)

Quello che adoro delle cime di rapa è l’aglio, e le acciughe squagliate nel soffritto. Per i più, è un incidente domestico imbattersi in flatulenze….dove si amalgama rapa, aglio, acciughe e effluvio di M.
Dai su, c’è poco da fare gli smorfiosi.. Io adoro abbandonarmi in flatulenze e mi inebria saturare il mio studiolo del lezzo caldo di M.
Poi c’è il mio studio, sapeste che meraviglioso è il paesaggio urbano che guardo da quassù. Tutto tetti e campanili. Imbiancati.
La luce calda del mio studiolo… e l’aria satura delle mie flatulenze..già, il luogo deputato alla creazione di Vere Opere Letterarie.

Megalomane? Buffone?
Dovreste sentirvi omaggiati di queste mie intimità.. ma l’umanità è boriosa della sua stessa ingratitudine 

Ok, ok, divago signori cari, divago.
Mi avete chiesto a pie sospinto il proseguito del mio racconto, in tanti. Direi quasi devotamente. La mail praticamente mi scoppia di missive sussurrate di esortazione da parte di chi mai e poi mai si permetterebbe di farlo in pubblico. Eppure.. ciò che sfugge alla mia mente eccitata, è perché mai occultarsi.
Chi come me ha provato ogni sorta di immoralità prova una certa spossatezza nel vivere esperienze ordinarie. Io cercavo l’eccezione, la corruzione delle carni, l’ asservimento e la mia alata creatura celeste ha messo in buon conto sul mio destino le esperienze che oggi avete l’onore di leggere.
Ma vi prego, non consideratemi un guru in materia. Non sono che un essere come voi. Un po’ eccentrico nelle visioni. Un po’ eccentrico. Ma come voi signori cari. C’è da crederci.

Dai ragazzi, ora andiamo al racconto.
Teniamoci per mano e affondiamo mollemente tutt’insieme, in questo buio oblio delle carni…

……..e della mente……..
questo tenetelo sempre a mente.


IL GIRONE DELLA M. - 3° PARTE - LE TRE LINGUE


E fu buio, vi ricordate? Avevo ultimato così la parte seconda dell’opera Magna del GIRONE.
E fu buio.
La candela si spense al soffio.
La notte s’accese nei lampi e nei fulmini di un temporale. Se fosse un film, alla scena del brindisi (vedi la fine del GIRONE DELLA M parte seconda) potreste assistere ai lampi fuori alla finestra e potreste sobbalzare a tuoni violenti.
Scrosciava impetuosa la pioggia lì fuori. Vedreste illuminare lenzuola bianche e disfatte, e tre corpi sul talamo a rivoltarsi come vermi. Quella fu per me una notte impegnativa.
Dovetti saziarli più e più volte. Il mio Riky ed il suo nuovo amico.

Soffocavo ritorto mentre i due insieme volevano sfasciarmi la gargana a colpi di cazzo. Cappelle robuste e falli che non mi fu dato impugnare per trattenere le spinte, perché il mio Riky mi voleva inerte, come sacco dell’immondizia dalla bocca vaporosa e arresa, cui scaraventarci dentro il suo palo di carne, e quello dell’amico.
L’amico puzzava nell’entro coscia. Puzzava di fatica e di sudore, commisto agli effluvi di una disonesta pulizia delle parti intime.
Tuttavia dovetti resistere a quei conficchi.
Nella foga dell’amico, riuscii appena a lambire le reni con le dita della mia mano. Esse scorsero sulle sue creste iliache, tese nella energia delle sue spinte. Le dita aderirono al suo sudore. Ma Riky se ne accorse ed impugnò i miei polsi per trattenermi inerte contro le lenzuola.
Stava dietro di lui, Godendosi tra i lampi quelle natiche di alabastro spremersi infondo alle tonsille dell’infelice innamorato. Lavorava sodo il suo amico. Senza darsi pace. Ci dava dentro ed io sotto le sferze delle nerchia mi smascellavo fino al punto di sentire tra le orecchie il ticchettìo delle mie cartilagini.

Poi mi entrò Riky, lasciando l’amico riposare. Riky affondò e mi parve di morire. Mi strapazzò afferrandomi per le orecchie. Capiva il mio Riky che più selvaggiamente saccheggiava la mia gargana e più le fauci tracimavano di saliva, rendendo agile l’affondo.
Sbroccai saliva. Sfilò la minchia e presi fiato. M’infilò le dita in gola sollecitandomi l’ugola con totale incuria. Ci metteva impegno nell’affondarmi le dita nella gola, lasciando roteare la mano. Io lo guardavo tra le ciglia mie semichiuse. I lampi accesero le migliaia di goccioline di sudore sulla sua fronte. Scorsi la grossa vena che come il dorso di un dinosauro gli si gonfiava a metà della fronte. Poi di nuovo il buio. I tuoni ed il frastuono. Nell’allargare oltre modo il mio cavo orale, Riky stava dando tempo all’amico di riprendere l’assalto.

“Mettiti comodo, anche tu hai il problema alle ginocchia?” gli disse. L’amico si teneva il cazzo e con le ginocchia stava prendendo posto attorno al mio capo. Riky gli porse il cuscino sotto il ginocchio dolente. Lui ringraziò.
Prese a fottermi la gola nuovamente ed io contavo il tempo perché venisse. Ma non veniva. Diede cenni di stanchezza l’amico, esercizio fisico lo stava sfiancando. Allora Riky giunse in soccorso nella spinta, tenendogli amorevolmente i fianchi r dando la stura agli affondi. All’orecchio gli sussurrava “Avanti toro, avanti”.

Io starnazzavo ma a loro non interessava. “Non ti toccare il cazzo coglione” mi diceva Riky, “a te deve solo interessare la nostra sborra”. Non avevo la forza di annuire, ne di respingere la loro foga.

Paride, uomo possente dalle cosce villose e robuste, glutei contratti e reni instancabili. Il profilo convesso del suo ventre mi dava qualche respiro. Era attento lui a contrarre il ventre mentre giaceva su di me ed io disteso contro le lenzuola incassavo i suoi colpi ripetuti.
No, Riky invece col suo ventre convesso, non si figurava minimamente d’aver cura di contrarlo. Egli soleva schiacciarmelo contro il viso e fermava il glande contro le mie tonsille, godendo all’inverosimile mentre mi dimenavo senza ossigeno.
“Devi stare fermo cazzo” mi urlava e poi si lasciava accarezzare la schiena ed i glutei da Paride che nel mentre, infoiato, si menava il cazzo.
Poi un lampo illuminò i loro volti in un bacio appassionato. I lampi illuminavano le loro lingue lucenti, le ciglia socchiuse e tricipiti contratti dall’esercizio fisico cui li sottoponevo nella mia inerzia.

Rotolammo giù dal letto nella foga di quell’amplesso. Riky si alzò in piedi, mentre Paride si preparava ad infilarmelo in bocca in una nuova posizione. Nel mentre Riky mi piantò il suo piede in bocca, infisso nella mia gola con le dita mi solleticava le tonsille. Sentii sulla lingua i sedimenti terrosi dei suoi piedi sporchi e mi graffiava il palato con le sue unghia. Poi levò via l’arto e la minchia di Paride prese a darci di nuovo dentro. Si baciavano quei due e l’uno dava il ritmo all’altro nella sferza dei reni.
Io lacrimavo invece. Non saprei dire bene perché smascellato ad oltranza sotto i colpi di due verghe impazzite o perché assistevo alla fine del mio amore.

Quando Paride s’avvide che ero alle stremo delle forze ebbe un moto di commiserazione e sfilò la verga dalla gola per darmi un minuto di respiro. Protesi il braccio verso il mio Riky, gli implorai di baciarmi “ti prego amore mio, un bacio sono mesi che non mi baci”. In tutta risposta la pianta del suo piede si schiantò contro la mia faccia e fui sfracellato contro il tappeto. “Ma non rompermi i coglioni, merda. Ma ti pare questo il momento di chiedermi un bacio?” e rideva, figurandosi brillante davanti al suo amico. Rise di una risata malevola. Fui acciuffato per i capelli e buttato di pancia contro il materasso.

Riky prese a sputarmi e massaggiarmi il buco del culo. Poi lo regalò al suo amico. Paride iniziò la spinta, ignaro che fossi vergine.
“Non ci riesco cazzo, è troppo contratto” disse Paride.
“Rilassati verme, rilassati cazzo” disse Riky, ed una scarica di schiaffi si abbatté sulla mia testa. Tra i tuoni, le botte sul capo ed un culo che andava rompendosi, mi abbandonai alla mia sorte.
Ma il cazzo di Paride, nonostante la spinta, non guadagnò un solo centimetro del mio retto contratto. “Aspetta, ci penso io”. Riky prese il suo posto, mi afferro con le mani la nuca stringendomi interamente contro di sé. Io mi inarcai. Ma niente. Riky s’arrese dando della Troia a mia madre.

“Aspetta facciamo così” disse Paride. Nella stanza buia illuminata dai fragori dell’acquazzone, vidi Paride distendersi a gambe divaricate e la minchia durissima e luccicante. “Fallo montare”.
Con le lacrime agli occhi provai a mettermi a cavalcioni. Riky tratteneva la base del fallo di Paride ma non ci fu verso. Allora Riky prese a tirarmi tanti di quegli schiaffi sul culo che sembrò impazzito. Io urlavo e mi aggrappavo ai pettorali di Paride. Mi accasciai su quel petto del tutto arreso. Riky prese poi a ridarmi schiaffi in testa “apri sto culo, cazzo”. Scoppiai in lacrime e Paride pose la sua mano a proteggermi la testa. Nel mentre mi teneva stretto a sé. “Lascia stare, non importa, a me va bene così”…

Riky scaricò sborra quella notte, per ben tre volte ed ingoiai. Paride, non fu da meno. E dovetti onorare l’ospite sconosciuto mandando giù ogni cosa.
Crollai distrutto in mezzo a quei corpi sudati, stanchi e ancora affannati. Posai la testa sul petto di Riky … “Vai via, non sei degno di me, pagherai caro per avermi fatto fare una così brutta figura, a casa mia”.

Mi addormentai in mezzo ai due.

Nel sonno, mozzai il respiro…. le mie dita le sentii accarezzate da altre dita..
Non le sue……
No…
Non le sue
…………………

Amici cari, a questo punto della narrazione l’autore dovrà compiere una digressione.
I più schizzinosi dovranno fermarsi qui, in questo punto preciso dell’opera scritta.
I degeneri, i sodomiti, i linceziosi del gusto e i morbosi potranno senza dubbio addentrarsi nel cuore remoto del Girone. Siamo alle ultime battute dell’opera in cinque atti.

Ai pochi si invita di conseguenza a prepararsi al vagabondare con l’autore nei circoli concentrici del suo Girone.
S’alzi il sipario.

E’ l’ora della merda.

……….

Al mattino ci alzammo quasi contemporaneamente. Riky volle assicurarsi che in bagno vi fosse tutto il necessario per la doccia di Paride, che il piatto doccia fosse ben mondato da ogni residuo delle docce trascorse. Paride fece la doccia, poi fu la volta di Riky, e poi la mia. Fu cosa inaspettata che Riky avesse riordinato il bagno prima del mio ingresso in doccia. Per un attimo presentii che le mie implorazioni della notte avessero reclutato in Lui le forme remote della sua compassione in capo alla mia persona.

Facemmo colazione insieme. C’era in cucina una frizzante aria di dopobarba e le nostre camice inamidate quasi dissimularono le indecenze della notte prima. Poi fu l’ora del congedo di Paride che doveva correre al lavoro. I due si baciarono con ardore e mentre li fissavo, Paride protese il braccio, mi afferrò per la nuca e mi coinvolse nel bacio a tre. Le nostre lingue vorticarono. Paride profumava di fresco. Io ci misi più trasporto ed inseguivo la lingua de mio Lui. Paride mi accarezzava i capelli. Riky mi afferrò il polso e mi fece frizionare il pacco di Paride. Poi fu il momento del commiato.

Rimasti soli, lasciai che il mio Riky preparasse gli attrezzi per la cucina. Gli invitati erano 46 per celebrare i miei quarant’anni, e non c’era da perder tempo. Rimanemmo in cucina in silenzio, affaccendati e muti. Lui si diede un gran daffare.
Io mi misi ad affettare la cipolla. Dovevamo preparare un soffritto pesante. Nelle lacrime della cipolla io mi voltai verso Riky col coltello in mano. Mi avvicinai a lui, mi inginocchiai e gli apri la patta. Presi a succhiagli il cazzo mentre egli stava davanti al tagliere a disossare grossi pezzi di vitello. L’uccello non si irrigidiva, io succhiavo avidamente, poi mi alzai ad inseguire le sue labbra ma il mio Lui volle sfuggirmi. Allora mi inginocchiai nuovamente. “Non ti eccito più amore mio?” gli chiesi, ed egli mi levò il capo e mi rispose “amore, abbiamo da fare. Prendimi la ciotola per mettere a macerare la carne”. Gli ricomposi i pantaloni e mi apprestai a compiere i suoi ordini.

Poi corse in soggiorno. Sfilò dalla cassa panca il cellofan e mi chiese una mano. Mentr’egli stava a sistemare il cellofan per terra gli toccai ancora il cazzo. “Senti, hai rotto il cazzo. Vedi di lavorare”. Lo aiutai a distendere il cellofan. Sistemammo i cavalletti ed il grosso asse.
“Allora lo vuoi fare” gli domandai con foce rotta da un senso di profonda mortificazione.
“Be adesso che fai, ti tiri indietro?”
“Ho paura. Sono tesissimo”..
“No, ora lo devi fare. Guarda che eri tu a dirmelo che ti eccitava. Ora quelli vengono qui per questo” mi disse.
“Ma a te piace vedermi così?”
“Così come?” mi chiese..
“così, Sommerso!!!”
“Si” mi disse “Nella fogna, e devi macerarci dentro, tutta la vita”,

………. Vogliate scusare l’autore, per una digressione che a suo parere è opportuna. Calma ragazzi, io so che siete abituati allo scorrere incessante di porcherie in una logica consequenziale del fluido narrativo. Ma l’autore vuole invitare ad una riflessione cerebrale che sospende la narrazione e la riprende rinnovandone le chiavi di lettura. E’ importante capire tutto sullo stato emotivo del nostro infelice.

Bene. Ora noi sodomiti sappiamo quanto ci è cara e vicina l’iconografia del San Sebastiano. Io in particolare ho sempre apprezzato la sofferenza erotica del Giusto. Ho sempre sognato di essere il tiro a segno nei ludi rituali combinati dai tanti ai danni dell’uno. Amici che gareggiano a trafiggermi coi dardi. Mhhh, adoro questa visione.
Il dardo da che mondo e mondo ha una certa attinenza con l’eros. Basti pensare all’espressione orgasmica di Santa Teresa D’Avila nel gruppo scultoreo del Bernini. C’è ampia letteratura in merito e la considerazione appena addotta non è riconducibile senz’altro alla visione eccentrica e delirante dell’autore, ma è spiegati da luminari del mondo dell’arte e della filosofia. Ma torniamo al San Sebastiano. Forse tutti non sanno che il povero Giusto non perì sotto le frecce. Dopo la lezione inflitta dai romani, il corpo morente del santo fu buttato letteralmente nella Cloaca Maxima. Poi va bè, fu recuperato da Irene e curato, ma questo non importa.
Perire in una cloaca per amore sarebbe per l’autore il desiderio occulto del nostro infelice protagonista. Anche perché non si spiegherebbe tanta accettata mortificazione da parte del medesimo…
Ok, perdonate la digressione. Possiamo riprendere..

Squillò il campanello.
Tommaso, uno degli invitati.
“Che ci fai qui, la festa è nel pomeriggio” disse Riky.
Tommaso disse “si, lo so, ma devo cacare… devo andare al lavoro e passavo di qui. Posso usare il tuo bagno?”
“Certo, vai pure”, rispose Riky.....
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