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IL GIRONE DELLA M - SECONDA PARTE - "LO CHANTILLY"


di CUMCONTROL
09.12.2013    |    5.900    |    3 6.8
"Coi lembi asciutti mi ripulii alla meglio..."
Capitolo II
LO CHANTILLY

Hahahahaha, che ridere…

Perdonerete amici cari ma non ridevo sguaiatamente per voi.
Che insolenza ridere indecentemente lo ammetto e me ne scuso. Ma non trovate signori cari, quantomeno eccentrico riprendere il mio Girone della M con una franca risata, non credete?
Ridacchio perché per taluni la panna montata nello chantilly potrà evocare l’insito contenuto della mia narrazione. Ma questi qualcuno potrebbero forse imbattersi in un equivoco perché sarebbe davvero plebeo evocare la M con un povero dolcetto.

Da bambino ne mangiavo a volontà, e per me il povero chantilly richiama in vita la reminiscenza di un giorno solenne, intimo intimo da celebrare negli inverni rigidi nelle nostre dimore. Magari scaldate dal caminetto. Io ne ho uno di davvero delizioso, di camino intendo….e assaporo uno chantilly regalando letizia al mio palato, sublimandomi nelle note di Erik Satiè.
Solo pianoforte. Il pezzo? Vexation. Andate su you tube, e trascorrete minuti interminabili in compagnia dei vostri più reconditi pensieri. Pervertiti :-)

Dove eravamo rimasti? Ah si, alle mutande del mio Riky.
Francamente turbato dopo quell’atto descritto negli ultimi passi del mio primo atto (vedi parte prima del GIRONE DELLA M), non ebbi l’ audacia di lasciarmi nuovamente andare all’esperienza del mio palato sugli avanzi indigeriti del mio Riky.
E’ così. Per ognuno di noi le nuove esperienze forti sono dapprima repulse, poi le investighiamo nuovamente perché stanchi delle solite routine erotiche….e ne vogliamo, ne vogliamo ancora, nelle varianti che sono più consone ai nostri desideri del momento.

Pertanto conservai in un angolo nascosto della mia memoria i profitti di quella mia esperienza. La mia saliva s’era insinuata nelle micro tessiture del cotone, aveva reidratato lo sterco velato nelle sue mutande. E’ come se la saliva avesse riportato in vita quella pittorica velatura di escrementi sul tessuto bianco delle sue mutande e che andava acquerellandosi via via sotto il lento intingere della punta del mio pennello. L’alchimia della saliva aveva resuscitato le flebili esalazioni moleste e nell’aroma che ebbi davvero l’onore di gustare, vi individuai l’essenza stessa del corpo umano della mia ossessione. Il mio Riky.
Ma per qualche tempo misi da parte quella esperienza.


Essendo un salutista ed essendomi documentato accuratamente, mi diedi conto dell’assenza di ogni proprietà nutritiva della M. Diversamente è per il piscio, dove dalle creatina al calcio, c’è da stare davvero in forma.
No, la M ha degradato ogni proteina e pertanto non mi dilungo sull’argomento. Ai più dirò che consapevole delle malattie veicolate dalla materia fecale non mi capitò mai più di ricercare l’esperienza del gusto. Ma quella tattile si. E’ come se al contatto sui miei pori con il rifiuto escrementizio io sublimassi tutta la mia nullità, ed esaltassi la grandezza divina del mio Lui.

Ma torniamo alla descrizione dei fatti che seguirono.
Il mio lui si mise in testa dello sballo che avrei potuto procurargli alla visione della mia bocca straripante di piscio altrui. Mi accorsi che più mi degradavo più egli perdeva ogni stima di me, e forse inconsapevolmente se ne disinnamorava. Io ne pativo ma il piano inclinato sul quale scivolavo dritto dritto senza fine mi seduceva. Era l’ attuazione dei miei più appartati sogni, a prescindere dal mio Lui. E’ come se mi lasciassi trascinare dalla corrente, edotto delle sventure indotte dal mio svergognato destino, ma ciononostante compiaciuto della mia condizione naturale. E ringraziavo in cuor mio la sorte che mi fu data dalla fortuna di incontrare l’uomo che avrebbe messo mano al mio destino.

Nelle notti di quell’inverno, mentre me ne stavo disteso a gambe divaricate, con i gomiti ritorti e le braccia arrese nella morsa delle sue mani che mi stringevano i polsi, mentre egli mi sfondava la gargana a colpi di reni così forti da far rituonare la spalliera del letto, Riky mi ricopriva di ogni ingiuria. Ogni aspetto della mia più primitiva sfera affettiva andava oltraggiandosi. Malediva quella sozza donna che ebbe a donarmi la vita, si rallegrava all’idea che un giorno ogni mio parente, amico caro e persino conoscenti dei quali beneficiavo dei favori della loro stima avrebbero assistito alla mia degenerazione di vero verme. Ed io mugugnavo, imploravo di farlo, volevo giacere sulla riva di una cloaca e lasciarmi sommergere di merda da tutti loro. Il cazzo mi scoppiava, ma non potevo menarmelo.

Dovevo rovesciare il piscio dalla bocca per proferire un “grazie” mente mi ricopriva nel suo turpiloquio. Ma al “grazie” quasi implorante non potevo aggiungere altro perché quella sua cappella non sopportava di star fuori dalla mia bocca. E poi godeva nel vedere scivolare la sua verga nell’umido caldo, urinato e vischioso della mia cavità orale. Mentre mi stantuffava, nel punto in cui i miei tendini sul collo vanno congiungendosi sopra lo sterno, lì affluiva la mia prima bava, commista a piscio che la verga infoiata mi negava d’ingoiare. Poi l’incavo esondava, e l’amalgama scivolava in rivoli diretti verso la schiena, verso il petto. Il materasso su cui giacevo era un pantano di piscio e saliva. E quel porcile che andava creandosi attorno a noi mandava il mio Riky fuori di testa.

Non nascondo certo che in quella pozza io mi ci crogiolavo. In quel simbolismo che tendo a ritrovare in ogni evento di vita, nella comunione tra la mia bava ed il suo piscio io vi riconoscevo il matrimonio solenne delle nostre essenze, in un vero e proprio talamo nunziale.
Quando ebbe raggiunto l’orgasmo, la mia gola tracimò di sborra, e l’ultimo atto fu la deglutizione massiva del liquido spermatico e dell’urina del mio lui. Deglutire fu l’unico modo per respirare giacché esaurii le ultime riserve dell’ossigeno. E’ inutile dire quanto il mio Riky fu grande. Sono davvero pochi gli individui in grado di mantenere lo stato di erezione e nel contempo caricare d’urina la bocca del fortunato.

Di rado il mio Riky mi concedeva di sborrare. Lo feci un paio di volte. La seconda volta che mi azzardai mi afferrò per il collo e mi urlò di non farlo più. Io fui così impressionato da quella sua reazione che la vista delle sue vene rigonfie sul collo e sulla fronte, la morsa della mano e la forza bruta con cui scagliò il suo sganascione contro la mia guancia proprio nell’atto di sborrare mi persuasero che l’atto non era gradito.

Così dopo la mia deglutizione Riky a fatica si sollevò in piedi sul materasso, badando bene a non intingere i suoi calzini nel pantano che insieme avevamo creato. Riky soffriva di un problema ai legamenti, questo spiega la sua fatica con cui prese ad alzarsi in piedi. Mi eccitava vedere Riky tutto nudo e con i calzini ribassati alla caviglia. Balzò giù dal letto e si diresse in bagno a lavarsi, senza degnarmi di uno sguardo.

Lentamente mi cavai fuori anch’io da quella zuppa. Ritrassi le lenzuola. Coi lembi asciutti mi ripulii alla meglio. Mi apprestai ad aprire le finestre e riavvolsi le lenzuola sotto il mio braccio. In lavanderia, poco prima di caricare la lavatrice, piansi a dirotto ma sommessamente. Gemevo per l’assurdità della mia condizione cui solo io ne ero responsabile. Piangevo per l’amore che stavo perdendo. Per come quel rapporto si stesse mutando in una patologia per entrambi. Pativo l’assenza di ogni bacio e di carezze che insieme colmarono il mio disperato bisogno d’amore nei primi atti della nostra conoscenza.

Dalla camera da letto lo sentii bestemmiare. Corsi da lui. M’ingiunse di sistemare il letto, era tardi e doveva tornare a dormire. Quando il letto fu pronto vi ci si infilò, ed io con lui. Si voltò dall’altra parte, io lo abbracciai di schiena posando la mano sul suo cazzo ma le la levò. Emise un petto sonoro contro il mio membro ancora eccitato. Io mi strinsi ancora più forte a lui. Dalle lenzuola risalivano le esalazioni moleste ed io mi ci addormentai…

Il giorno successivo sarebbe stato il mio compleanno. Mentre Riky se ne stava attaccato al pc visitando chatt e siti di indicibile pornografia, lo raggiunsi alle spalle e timidamente e con un filo di voce gli chiesi di passare un giorno dalla mia cara mamma. Erano due mesi che non la vedevo e mi capitava sovente che in ogni mio triste momento io cercassi l’affetto primario dei miei familiari. Mi autorizzò. Presi il treno e raggiunsi la città.
La mia mamma fu lieta di accogliermi con tutto l’ardore di una madre che intravvede nello sguardo del figlio i disagi di un momento. Soleva dirmi che le mie espressioni da cucciolo col tempo non erano mutate.
Preparò gli chantilly con la cura e con la eccellenza di una rodata pasticcerà. Infagottò i dolcetti prelibati ed in serata me li porse. Sulla soglia di casa mi passò un secondo pacco. Il suo regalo.
“Aprilo in viaggio”..mi disse.
L’abbracciai e mi scivolò una lacrima. Ella l’asciugò con la mano, come da bambino. “Non farti umiliare da lui” mi disse sibillina. Io la guardai sorpreso.. Mi baciò sulla fronte, me ne andai..non aggiungemmo altro.

In treno piansi non più di mestizia ma di gioia filiale quando spacchettando il regalo distesi sulle ginocchia un maglione in cascemir. Era caldo e morbidissimo al tatto. Il rosso e l’arancio i suoi colori. Il rosso la passione, l’arancio la luce calda della pace domestica. Mia mamma conosceva i miei gusti. Aveva lavorato sodo nella vita e fatto tanti sacrifici per me. “Oh, quanto sacrificio ancora le sarà costato per questo regalo” pensai..
Era malata e ciononostante si trascinava ogni giorno al lavoro, alla mensa dei frati, e la notte consumava gli occhi a rammendare vestiti per qualche spicciolo. Il suo calore, trasfuso nel maglione di cascemir fu il più bel regalo, dopo i nove mesi al sicuro trascorsi quarant’anni prima nel liquido amniotico del suo ventre.

Rincasai all’ora tarda. Riky era alle ultime battute della cena. Cenava e dialogava insolitamente a lume di candela con un certo Paride che mi presentò. Fui cordiale. Lui ebbe a scrutarmi con aria divertita e i suoi occhi, nella luce tremula della candela, balenavano una cupidigia non dissimile a quella del mio Riky.
Fui deluso. Posai i miei chantilly sulla tavola e mi recai in stanza da letto a provarmi il maglione. Amareggiato lo indossai. Il rosso dominante del tramato tessile mi donava. E studiavo il mio volto allo specchio come risplendeva nonostante tutto. Poi passai in bagno, un bagno caldo ed indossai la tuta.

Andai in tinello e vidi il mio Riky svaccatamente seduto con il Paride anch’esso seduto con la gamba sulla tavola. Riky stava massaggiandogli intimamente il piede ancora ammantato del suo calzino mentre Paride parlava e si stringeva il pacco con entrambe le mani. Il tinello era saturo di fumo. Lo champagne scolato, i piatti carichi di mozziconi e vidi con sorpresa che avevano divorato i miei chantilly.
“Ma questi dolcetti erano per noi, domani, per la mia festa” dissi.
“Ma si domani ne prendiamo altri al supermercato” disse Riky.
“Ma checcazzo” e mi sfogai in pianti in cucina.
“Bella figura del cazzo mi fai fare davanti agli ospiti, sei un maleducato”..
Paride si alzò imbarazzato e prese ad infilarsi la scarpa. Poi Riky venne da me in cucina, mi abbracciò e mi disse “cos’hai, guarda che non abbiamo fatto niente” . Nell’abbracciarmi vidi Paride sull’uscio della porta che ci guardava.
“Dai su, è mezzanotte, è il tuo compleanno. Andiamo di la a brindare”, abbracciandomi mi accompagnò verso la tavola, poi aggiunse.. “cazzo, è finito lo champagne, va bè tanto tu sei mezzo astemio…. Brindiamo con altro”.

Io allora mi sedetti tristemente e tra le lacrime intravidi sulla tavola disfatta il mio solitario chantilly, nel centro geometrico di una coppa di vetro, vibrante nei contorni alla luce incerta della candela.
Riky persuase Paride a sfilarsi il membro dalla patta. Nelle nebbie dell’alcol Paride acconsentì. Le mani incerte ed esitanti sbottonarono la patta, tremavano le sue dita. E il membro nervoso del tale fece capolino in quella penombra cangiante d’arancio. Lo schianto violento del piscio contro il bordo concavo della ciotola provocò il vortice d’urina che corse verso il centro dell’invaso. Il mio chantilly fu colto alla base. Il vortice lo sollevò dapprima, si tenne in equilibrio instabile, si mosse in circolo ma poi si accasciò debolmente e crollò in silenzio alla sua base, fondendo la sua panna nell’urina in corsa circolare. Fu finito dal secondo getto l’ultimo chantilly di mamma. Fu proiettato dal mio Riky che devastò ogni residua forma e sostanza. I due si abbracciarono con il cazzo molle di fuori intenti nelle ultime contrazioni.

“Buon compleanno amore mio” mi disse Riky accostandosi al mio orecchio. “Brinda, brinda amore” e mi accarezzò la nuca.
Afferrai la ciotola, li guardai entrambi, il liquido fluttuava e la portai alle mie labbra. Risucchiai il mio agrodolce risucchiando timidamente, li fissavo ad occhi sgranati, loro mi fissavano abbracciati. Deglutii il primo sorso, poi il secondo poi ebbi a bere nella forma continua ed instancabile dell’assetato. Fino alla fine.

Riky con le dita raccolse il residuo semisolido dal fondo della ciotola e dolcemente le depose sul letto vaporoso della mia lingua. Paride muto osservava.
Rivoltandomi le dita nella bocca Riky proferì ancora “Dabbravo, mi hai fatto fare una bella figura. Buon compleanno amore mio…. Domani per te sarà una gran giorno”.

Soffiò sulla candela, la fiamma s’estinse.
E fu buio.
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