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022 ONDA CALABRA . LA PAUSA DI CUMCONTROL


di CUMCONTROL
03.07.2021    |    6.769    |    15 5.4
"Bisognava dare al popolo un segno di fratellanza, di appartenenza..."
Dovete perdonare la mia assenza.
Quando nel mese di gennaio ero preso a correggere le bozze della nuova manciata di racconti del mio HUNGARIAN RHAPSODY, ero un pochino scazzato perché il lavoro di correzione bozze mi scogliona assai.

Ma i miei lettori meritano i miei lavori, mi amano, mi adorano, tutti vorrebbero chiavarmi, ed il minimo che possa fare per loro è stare attento alla lirica dei miei testi, mai volgari, mai una parola oscena, nessuna declinazione sporcacciona nel mio narrare.

Sì che una domenica mattina, non avevo proprio voglia di correggere le mie bozze, mi sono messo a navigare su un sito porno, e ha colpito la mia curiosità un uomo, di truce fattezza meridionale, che sputava a più riprese su di uno specchio per poi leccarselo tutto.
Ma ce ne erano a decine di video simili, e siccome scorreva in basso il proprio contatto Telegram, mi sono deciso a scrivergli.

Ci siamo videochiamati. Un viso dolce, maschile, gioviale e pensate…. mi ha regalato una sana pisciata in diretta sulla videocamera.
Potete capire la mia emozione. Io non ci contavo, eppure… gli sono piaciuto, mi ha detto che lui è etero ma che di tanto in tanto preferisce farsi qualche maschio perché i maschi sanno fare bene le pompe.
Così mi ha tetto…

Ho tremato quando mi ha chiesto di incontrarci.
Perché proprio io, mi sono chiesto… Eppure è me che voleva incontrare.
Non volevo distrarmi dalle mie correzioni di bozza del racconto, peraltro di prossima pubblicazione, ma è stato più forte di me. Quel modo di sputare sullo specchio, non so…. Lo trovavo brutale, e romantico al tempo stesso.

Alle 17 del giorno dopo l’appuntamento. Parco Ruffini, Torino, non per dire, una location perfetta per un bocchino pre-aperitivo.
Gli accordi erano precisi. Io non avrei dovuto appalesarmi con ridacchiate gaie, abiti discinti e borsette a tracolla. Maschio insomma. Che pretese, manco fossi checca.
Lui d’altra parte avrebbe dovuto presentarsi con il cazzo ben in tiro, tuta da lavoro, e ascella ruspante.
Questa era stata una mia precisa richiesta.
E se non gli fossi piaciuto, avrebbe potuto girare i tacchi in qualunque momento, ampia libertà di scelta, ma se poco poco gli fossi garbato, la mia richiesta era perentoria: uno sputo in faccia ed io avrei capito che ci si poteva conoscere meglio.

Bene.
All’appuntamento mi sono presentato puntuale, niente tracolla ma solo un marsupio così, sulla spalla, con poche cose dentro. Nessuna risata gaia, serio, affabile ma serio.
Sono uscito dalla macchina salutandolo con un semplice UUhuuuu' e mi sono diretto verso di lui con aria da guerrigliero, niente sculettate, tutto da protocollo.
Lui si è voltato, ha gettato via la sigaretta e mi ha accolto con un gelido saluto da maschio alfa.

Come era lui dal vivo?
Bellissimo, occhi profondi, mediterraneo, tozzo come una serbatoio a GPL.
Insomma. Noi due abbiamo fatto due passi. Lui cosa vuoi………… un taciturno. Un calabrese.
Al ché per non farlo sentire in imbarazzo, e per infondergli un qualche senso di simpatica familiarità, mi sono gettato a pesce a parlar della soppressata calabreSSe.

Insomma. Un soliloquio. Per farlo sentire a casa e per mostrarmi brillante sull’argomento, mi son lasciata andare in aneddoti gentili, di arte culinaria, di squisitezze regionali, e di come quando a Tropea, nell’estate del 2012, deluso da un incontro andato a buca, mi sono massacrata il buco del culo con la soppressata in albergo, e di come in fine, sazia e sturata, l’ho poi gettata così, dalla finestra, a strafottere, nella piccolissima piscina turistica per sole signore.
Poi, mettendomi sotto braccio al mio bel Salvatore, sono scoppiato a ridere, come una gallina sono scoppiata a ridere, che dei piccioni che dormivano tra le fronde notturne, sono frullati via tutti facendo un gran fracasso tra i rami.
Forte no??
No.

Al ché lui ha sbuffato, e allora ho capito che dovevo essere più sobrio, e non gaia come mi aveva vietato di essere nella condizione dettata prima del nostro incontro.
.

Al ché abbiamo deviato per un vialetto gentile, mirabile, ove il tempo pareva appeso nell’incantesimo stregato delle fiabe, e siccome mi pareva che l'argomento della soppressata gli fosse di gran disgusto, ho ritenuto di affrancarmi dalle intemperanze narrative di una scrofa.

Ho deciso di strappargli un sorriso, raccontando di Barbara D'Urso. Cioè di quanto sia forte, di quanto la ammiri, di quanto sia brava e colta, e ucciderei mia madre con un ferro da stiro in faccia, pur di essere intervistato da questa regina della tv.
Ma lui niente. Lui zitto, mani in tasca, e la mente altrove.
Poi, a sorpresa, mi fa… dice:

- Queste scarpe devi averle pagate un patrimonio.
- Ti piacciono? Sono dei doposci di Hello Kitty. Pucciose non trovi?
- Fanno schifo
- Come scusa?
- Nei hai grano per buttare i soldi nel cesso. Di che ti occupi
- Guarda, è semplice.. mi occupo di arte
- Arte?
- Arte si. Scrivo. Scrivo su A69, sono molto seguita sai. Tutti che mi amano, mi scrivono dei commenti leggendari, delle struggenti mail private.
- Tipo
- Tipo che so, mi scrivono fai schifo, qualcuno mi scrive ma perché non ti ammazzi, altri invece un semplicemente curati
- E tu cosa rispondi?
- Io li amo tutti. E’ che sono un po’pigri.
- Perché?
- Maaaa che so. Mai che ti propongano una gangbang in abiti da coreana e che mi prendano a rutti.
- Capito
- Sputami in bocca
- Cosa?
- Sputami in bocca, con ci vede nessuno…


Insomma. Mi ha presa siii, denudata siii, poi ha afferrato la mia faccina con ambo le mani e mi ha riempito di pesanti racchie.

Poi quel porco mi ha voltala contro il platano, mi ha strappato via le mutandine, pensate, e mi ha inforcata, così, senza sputi, nell’ano, a crudo, e meno male che prima di uscire m’ero sparata in culo dello strutto con la siringa da pasticcere.
Io gli ho supplicato una sputata in gola, ma lui niente. Finocchio di merda, mi ha ruggito nella recchia e pigiando la minchia in trippa mi fa "E mo’ caca!”.

CRReTTino... Gli ho detto facendo spallucce con simpatica confidenza, già che tra noi vi fosse prerogativa di un simpatico rapporto. E devo dire che lui mi ha pisciata in culo.
Beh, in men che non si dica, ho sentito il mio pancino dilatare tutto e le mie cordiali viscere hanno preso a gorgogliare che veramente mi è venuta su come dire, quella cacarella affettuosa, quel senso di pena esuberante di una cacata negata, quella penosa occorrenza di cavarsi via quel tappo di carne dal culo.

Al chè ho iniziato a muovere il bacino, non tanto per fare la gattona ciccina, quanto piuttosto per liberarmi di quella minchia fattasi nel frattempo assai severa dentro di me. Volevo stapparmi per somma afflizione, e correr via così, per starnazzare a spurgo sul praterello, tanto stavo alluvionata dentro.

Ma egli, brutale maschio alfa di provincia, non solo ha voluto determinarsi a stringermi salda a sé, ma ha pure avuto la indecenza, è il caso di dire, di trombarmi con molta robustezza, con me che poverina stavo con tutta la sacca gorgogliante di pisciata che io avevo un unico pallino in testa. Cercarmi un cesso.
Certamente ho tentato la respirazione yoga tanto stavo ingrossata, ma quell’ arnese letale mi sbatacchiava a vacca.

Sborratomi finalmente in culo - e dio solo sa quanto ho pregato perché ciò avvenisse - sono stata graziata subitaneamente, poiché stappata di botto, sono stata lasciata libera di correre finalmente via per uno spurgo atroce su delle gentili azalee attorno alla fontanella del tritone.
Ciononostante ero colma di piscio fino al duodeno, infatti ho frollato tra le azalee, e piegatami in fine all’aiuola desolata poco più in là, mi sono spremuta sulla struggente bordura di lavanda nana, facendo peraltro al mio lui un ciao ciao con la manina, per distrarlo ovviamente dagli scorreggioni liquefatti, e lui frattanto mi ignorava, già che si puliva la minchia con la mia sciarpetta lasciata di là.

Ho pensato che non mi avrebbe mai più voluto rivedere. Scacazzare brodaglia di strutto sulla lavanda non è proprio il massimo per un avvio di relazione.
E invece…
Insomma. Salvatore ha preso a frequentare la mia casa. Povero, era stato sfrattato per morosità.
Voi potete capire che non c’era tempo di correggere le bozze della mia saga che sto pubblicando un po’ a fatica su questo sito. Ero occupato in questi mesi a stappargli la birra, a fargli da mangiare, a leccargli il buco del culo, i piedi, le ascelle e credetemi, ho dovuto fare l’angelo del focolare, tutta fornelli e dedita alla procreazione.
Tutte le volte che voleva chiavare? Prontaaaaa.

Povero. Dopo il lavoro veniva a casa molto stanco a tal punto da mangiarsi tre bistecche a sera, senza dire una parola, fissando il suo Striscia la notizia, mentre io di là in cucinino a spadellare.
Diceva che alla Hunzicher la cappotterebbe sulla sua moto.
Io facevo un po’ l’offesa. Ma ero fiera di avere un fidanzato etero.
Io ho spadellato molto per dargli energia, e per quanto io sia vegetariano convinto, non mi è costato molto fargli 4 etti di carne al giorno, basta che mi dava il cazzo.

Mi chiamava “u finucchiu” in quanto vegetariana, e sentirlo ruttare o scorreggiare con le mani sul pacco, ha infuso in me l’orgoglio di avere accanto un Uomo.


Poi il mio Salvatore ha perduto il lavoro all’autospurghi, insomma è lì che lavorava. A detta del principale non si presentava a lavoro per andarsene a mignotte.
Che andasse a baldracche non mi turbava affatto, anzi, un uomo fatto e finito bisognerebbe sempre lasciarlo libero di chiavarsi una bella fica di tanto in tanto, purché torni alla sera per chiavarti il culo.

Effettivamente sta storia delle assenze dal lavoro mi ha fatto pensare però.
A sera glie ne ho parlato, perché in un rapporto di coppia la comunicazione è tutto, infatti glie ne ho parlato e mi ha tirato du pizze che manco io avevo finito il discorso.
“Fatti i cazzi tuoi” mi ha detto.
Al che gli ho detto “Si hai ragione”, sincera proprio, e gli ho sfornato il timballo, servito la braciola di maiale, fritto le patate e.. mi sono lasciata pure pisciare nella recchia, quando a fine cena, se ne è venuto in cucinino a buttare il piatto nel lavandino.
Certo che la notte l’ho passata in bianco. Ma come si fa a dormire quando il tuo fidanzato sta coi nervi, cosi l’ho lasciato che poverino si sfogasse prendendomi a pugni in culo.
Piacevole, mai fatto il fisting, si dice cosi?
Insomma, 100 affascinanti sfumature di cacarella.

Il giorno dopo, ha chiesto 100 euro, e quando gli ho chiesto il perché del denaro, mi ha risposto che li avrebbe spesi in gratta e vinci.
Che carino. Sicuramente con le vincite si sarebbe fatto perdonare, e avremmo costruito insieme un futuro migliore.
Insomma, siamo andati avanti per un mese a botte di 100 euro al giorno, e siccome che aveva iniziato a bere - causa lavoro perso - non gli si è alzato più il cazzo.
Chiunque avrebbe potuto lagnarsi, ma io sono stato comunque sereno perché lui restava con me un uomo attento nel non farmi mai mancare i calzini in bocca al mattino appena sveglio.
Debbo dire che via via però le sue prolungate assenze mi hanno molto deconcentrato dalla scrittura dei miei racconti, e se proprio devo dirla tutta, mi ha messo anche una certa inquietudine.
Volevo vederci chiaro.

Ero disposto alla guerra. Che cazzo di fidanzato sarei stato io se il maschio di casa non avesse provveduto alle necessità primarie della nostra coppia.
Infatti lui è tornato, io gli ho chiesto che intenzione avesse, ma lui per tutta risposta mi ha tirato una lorda di dorso che quasi non mi spezzava il collo. Hai presente la tacchina?
Allora io gli ho detto che era un brigante, e lui si è seduto , si è levato gli scarponi - che quando si toglie gli scarponi è già più irritato diciamo - ma io niente, gli ho cavato i calzini con i denti, e per fagli vedere chi comanda a casa mia, me li sono pure messi a ciucciare.
“Fai schifo” mi ha detto. Tu pensa.
Ma io non ho risposo alla provocazione, e ho succhiato con cura dita, polpe e tallone.. e per dimostrargli la mia tenacia, mi sono arrotolato un suo calzino e me lo sono ficcato su per il culo.
A sfida.

Insomma. Ad un tratto..

Driiiiiiiiiiin

Indolentemente si è allungato a prendere il telefono. Hai presente lo scazzo?
Non diceva niente, ascoltava, fumava, ed io china a lavorargli le fette con la mia lingua vellutata.
Debbo dire che ho sollevato il capo soltanto tre volte, per fargli da posacenere di lingua, non una volta di più. Giuro. E bè che sono cretina?
Terminata la telefonata lui mi ha detto “Togliti”, e siccome a casa mia faccio quello che voglio, gli ho detto “No”.
Non avevo finito la leccatura, perché i talloni erano ancora luridi e quindi andava ultimata la pulitura, poiché non mi piace che a casa mia si vada in giro a piedi nudi lordandomi il pavimento.
Infatti ho afferrato il suo tallone, ho estratto la lingua, ma lui mi ha scalciato in cosi malo modo che sono finito contro la credenza un attimino impedita.
Sai cosa ha fatto? Se ne è andato.
Al cesso se ne andato, per fare cosa poi? Per pisciare nel lavandino come al solito.

Potevo decidere di infuriarmi ma ho deciso per la via “politica”.
Dapprima sono andato a bermi un bicchiere d’acqua che c'avevo la fiatella di cesso, e poi via, di là...

“Ammmore qualcosa no va?” gli ho detto sculettandogli alle spalle, così, a polsini allegri, giusto per farlo ridere un po’, ma lui mi ha detto “Fammi il biglietto che devo partire per la Calabria”.
Al ché voglio dire, ho chiesto come mai una siffatta repentina determinazione a partire, ma lui mi ha detto di non rompere le palle e vai a fammi il biglietto.

Poi, mi fa.. è morta zia Coletta.

Voi potete capire che mi sono interrogata sul conto di "zia Coletta"… ma non mi pare che me ne avesse parlato.
Fatto sta che gli ho scrollato il cazzo, e gli ho chiesto se potevo venire pure io al funerale di zia Coletta.
Mi fa… Dice… “Si, portati il libretto degli assegni e non farti conoscere”.
“Certamente” gli ho detto, e poi gli ho domandato …“Chi è zia Coletta?”
Salvatore mi ha mostrato una foto della famigerata zia.

Insomma. Dire che non fosse bella è un po’ forte come espressione. Comunque sia… barbuta, ecco, con un sopracciglio unico cha andava da occhio a occhio, folto come un cespuglio di ginepro.
A seguire…. un porro appiccicato sulla guancia, disastroso, mai visto un porro atroce così, grosso come una fava, con una antologia di pelacchi di ogni specie, corvini, ritti, crespi, ondulati, lisci, o a boccoli, a mazzi da 12.

Al ché mi son detta ma che razzisti siamo.
Se tu pensi è giusto, io credo che a certi cliché di bellezza la modernità capitalistica ci ha un po’ disabituato. Il glabro vince sul villoso. Il biondo sul moro, vedi Maria Teresa Ruta per esempio.
Zia Coletta poteva dirsi un sincero simulacro di bellezza mediterranea. Io credo che alla bellezza di zia Coletta mi ci dovevo preparare...
A Pizzo Calabro delle bellezze siffatte sarebbero state ordinarie. Magari la commessa di Sephora sul belvedere di Isola Caporizzuto mi avrebbe cordialmente accolto con una fava sulla fronte, con un cespuglio di sopraccigli corvini di commovente charme, e saremmo diventate così amiche che le avrei messo i bigodini ogni sera dopo l’aperitivo.
La hostess di terra dell’aeroporto di Lamezia poi, mi avrebbe sorriso candida con un una faccia colma di verruche, ma la sua cordialità avrebbe cancellato per sempre ogni mio preordinato concetto di grazia, a tal punto che avrei detestato il mio culetto senza un bel bubbone sebaceo con cui avrei fatto scoppiare il cazzo a tutti.
Insomma. Zia Coletta era da intendersi una donna dal caldo calore mediterraneo.
Anch’io volevo essere come zia Coletta. Una di loro insomma e forse il mio amore avrebbe senz’altro trovato in me l’uomo vero da amare.

Mentre stavo a pensare… lui mi fa, “Pezzo di merda ti muovi a fare sti biglietti”.
Allora sono corsa a fare il biglietti, poi ho aperto l’armadio, e mi sono crucciato non poco su che abito indossare ai funerali.
Volevo dare una immagine come posso dire.. tipo Lady Diana quando andava a vedere le bombe. Ecco.
Li per li ho cavato l’abito più consono a mio avviso che è una divisa molto giusta che se ci pensi mette in risalto la mia bella barba dai riflessi rossicci, forse brizzolata certo ma fa fascino.
L’abito era ok.
E’ l’abito che indosso nelle mie preformane di ballo su tik tok.
Insomma, l’abitino della studentella nipponica.

Ma poi è entrato Salvatore. Allora Salvatore mi ha guardato interdetto e ha detto… Dice… “Togliti stammerda di dosso”.
Uffa. Mi ha strappato il gonnellino, avreste visto come mi ha sgualcito il plissettato, e non contento mi ha cavato vie le mie paperine di lacca, mi ha chiamato Cessa, e mi ha ingiunto di vestire da uomo, e non è uscito dalla stanza fino a quando non ho annodato la cravatta.
Ma si.. mi sono cambiata.

“Come sto?” Ho fatto a Salvatore raggiungendolo nel cesso mentre stava facendo na bella cacata col telefonino in mano.
Infatti Salvatore mi ha detto… dice… Ora va meglio… ma mi ha strappato di braccio la borsetta lucida di pelle nera come la regina Elisabetta al funerale di Lady Dì.
Dalla finestra me l’ha buttata capite? Dalla finestra. E Salvatore mi ha detto testuale proprio…dice ….Non ce la fai proprio a non essere Cessa.
Cioè, hai capito? Mi ha buttato la borsetta dalla finestra.
Ovvio che ho strillato, ma non ho cavato che 2 lorde in faccia, guarda.

Ma andiamo alla sostanza.

Crotone . Ore 11.
Atterraggio perfetto.

All’atrio degli arrivi c'era la sua mamma e si sono abbracciati tutti, e c'erano anche i due fratelli, un tale Peppino e tale Michele, quest'ultimo assai gradevole di aspetto che sinceramente mi guardava con aria da convalidato pregiudicato.
Uno non per dire, che ti ribalta sul cofano diciamo, e ti sputa in culo, e ti ficca la minchia, e poi ti smonta, ti eviscera, ti fa una sbobinata di retto e poi ti dice vattene a casa puttanazza!
Insomma. Tutti si abbracciavano. Io me ne sono stato in disparte con piedi uniti, a fica chiusa, a reggere con ambo le mani la mia cappelliera, unico bagaglio ma trovo che portare la cappelliera faccia molto first lady in visita ufficiale.
La cosa che mi ha stupito, è che in macchina sta cazzo di madre non mi hanno cacato manco di pezza. Era raggomitolata nel suo quintale di grasso sul sedile anteriore, vestita a lutto e parlava con gergo molto locale ove distinguevo solo la locuzione “focu meo”, che ritengo essere una santona del luogo tipo Mamma Ebe.

Certamente l'ho odiata, si perché proprio non mi guardava in faccia. Se ne stava davanti di fianco al mio Salvatore che guidava. Ohu, ma che avesse detto che so, fatto buon viaggio? Quali palle vuoi leccare per pranzo? Hai preferenze? Per il clistere di questa sera ti va del piscio o solo camomilla?
Una villana guarda.
A parte il fatto che a nessuno è venuto in mente di fare una fermata ad un bar sulla strada, ma via, di corsa, dall’aeroporto all'obitorio per far subito visita a zia Coletta già bella che pronta nella cassa.

Intanto due fratelli di fianco ai miei rispettivi fianchi, mi hanno infuso un crescente bisogno cazzo, ma giunti al nosocomio ho dovuto prepararmi di spirito poiché mi aspettava lo strazio di massa al nostro arrivo.

Sbucati dalla macchina siamo stati attorniati da torme di uomini venuti a dar le condoglianze alla mia suocerina - nonché sorella di zia Coletta - mentre sullo sfondo non ti dico lo strazio delle comari.
Voi potete capire quanto fossi un tantino imbarazzato dall’evento, sebbene mi tenessi stretto alla mia cappelliera con una mano, mentre l'altra l'ho portata sul petto, cosi, non senza il mignolino alzato - non per dire - ma per dare un segnale distintissimo di finezza, in contrarietà a quel congresso nazionale di pescivendole.
Insomma. Uomini e ragazzi del paese vedendomi col mio mignolino sollevato, avrebbero sborrato nelle mutande senz’altro. Avrebbero cacciato di casa le loro addolorate consorti, e avrebbero fischiato con le dita, supplicando il mio perizoma, puoi immaginare quante coronarie avrei fatto saltare in aria se solo mi fossi levata via il tanga sul piazzale.
I maschi del paese si sarebbero ammazzati a colpi di revolver senz’altro pur di avere una notte con me.
Ma cosa mai farò agli uomini io.

Ora il mio erudito lettore capirà bene che anche io sono stata oggetto di condoglianze di massa, peraltro in barba al covid, e mi hanno afferrato le guance tutti quanti, e baciato con cordoglio, con strazio oserei dire, e i misteriosi giovanotti del paese che cari che sono stati.
Ero frastornata, anche perché in Calabria il dolore va condiviso in modo molto fisico, con baci e abbracci, e ammetto che mi strusciavo un po’ con tutti, per intercettare la minchia tra i più carini.
Ero così eccitata di buco, malgrado il grido delle prefiche più in là, sulle quali avrei volentieri sganciato qualche colpo di mortaio.
Poi ci siamo avviati all’obitorio, e devo dire che il mio fidanzato - che fino a quel momento mi era sembrato piuttosto distante da me - ora mi ha tenuto sotto braccio, che io ho capito subito che si sentisse tristissimo e volesse al contempo far vedere a tutti “La Affidabilità” del suo fidanzato, da sfidare con orgoglio le leggi morali di una civiltà retriva.
Io per tutta risposta procedevo lento sotto il suo braccio, come Kate col suo William, seguendo tutti verso l’ingresso dell’obitorio per dare l'estremo saluto alla defunta.

Sì che sfiorato il carro funebre abbiamo deviato.
Li per li ho pensato che il mio fidanzato volesse appartarsi un momentino con me, magari dietro al tiglio la giù, per farsi consolare da un profondo dolore.
Dopotutto doveva pur deporre le armi, e farsi d'un tratto bambino, al riparo da tutti.
Cucciolo mio...di fronte ad un dolore cosi vasto.
Io avrei senza dubbio tenuta la sua testa sul mio petto, lasciando che le sue lacrime intingessero il filato della mia giubba. Poi lui si sarebbe ripreso, si, e mi avrebbe chiesto il culo, si.
Ma come si fa a dare il culo dopo il viaggio quando nella cappelliera non c’hai una peretta. Ma lui avrebbe insistito piccolo cucciolo e allora avrei detto di si, lasciandomi pisciare in culo si, ed io a mordicchiare la corteggia del tiglio a trattener una suggestiva cacarella.

E invece no. Le cose sono andate un tantino diversamente.
Lui, l'omo mio, si è messo a parlare con gli addetti delle pompe funebri, ha chiesto infatti quanto faceva, loro hanno risposto 6000 e lui si è voltato verso di me e mi fa “6000”.
Oh certo. Ho firmato subito l'assegno e ne ho staccato pure un altro da 2500, infatti bisognava riconoscere la "mancia" , una sorta di sostanziale compenso io credo girato sotto banco per il "permesso speciale anti covid”.
Loro come dire hanno apprezzato molto il mio gesto, c'era un'aria di cortesia tra noi e quei becchini, cosi tanto ben gentili, infatti hanno risposto al mio casto sorriso gentilizio, con ridacchiate molto ma molto partecipi. Quei giovanotti in livrea, con quell’aria feroce, ma come ridevano, e mi guardavano sai, come a
dire, non so… “Bella la cavalla che dopo le esequie ti diamo la minchia che dopodomani cacherai birilli”.

Voi potete capire che ho dovuto aprir la cappelliera, e cavar fuori il ventaglino di seta per pija aria, tanto mi son sentita il buco del culo prolassarmi di piacere.
Ah questa Calabria.

Poi il mio amore mi ha detto … mi fa ... testuale proprio...”Dai Racchia che andiamo a piangere la zia”.

Insomma, entrata in obitorio, con tutta quella gente strepitante, mi sono sentito un tantino imbarazzato poiché nonostante la mia elargizione, più di qualcuno, sommessamente, sussurrava.. “E’ arrovatu u ricchiune”.

Come U ricchiune!
È li che ho capito che non ero ancora stato accettato del tutto dalla comunità calabra in oggetto.
Bisognava che il popolo mi amasse in qualità di prescelta di un esimio rappresentante di quella affascinante comunità precolombiana.
Insomma. Bisognava dare al popolo un segno di fratellanza, di appartenenza.
Non è stata forse abile Evita Peron nel conquistarsi il favore delle masse sbattendosi ad essere “una di loro”?

Infatti, entrato nella camera della morta, ho fatto un sommo respiro, e mi sono buttata a pesce sulla stupefacente Coletta morta come se non ci fosse più un domani.

Coleeeeeeeee - ho strillato non senza raccapriccio. Ero forte nell’interpretare questo dramma, ne ero pregna direi, per un profondo amareggio interiore, poiché avrei voluto una mise più consona alla parte da me interpretata. Utile alla disgrazia sarebbe stata una adeguata busta di fagiolini anziché la cappelliera da viaggio diplomatico.
Uno dice si ma che ci fai con la busta di fagiolini. Beh, avrei esitato sull’uscio della camera ardente con la busta, come una popolana vera richiamata al mercato e informata della morte di Coletta, e rovesciata in terra la predetta busta, mi sarei fiondata e gambaletto sdrucito, a mezzo polpaccio direi, con tanto di scarpa ortopedica e pezzi di prezzemolo tra i denti.

E così mi sono messa a strillare.
Suoni acuti, che ti posso dì, gorgheggi, seguiti da una lunghissima coda lamentosa come un’ambulanza che tutti avrebbero detto ammazza se questa non è degna.
A dimostrazione che le prefiche non valessero una emerita minchia se comparate a me che a pieno diritto ormai facevo parte del clan, mi sono data alla doglianza più sopraffine, agitando il collo e le mani di fatto aggrappate sul bordo bara, tanto che la medesima - la bara - si è messa a vacillare tutta sui cavalletti.
Ovviamente la melodrammaticità del gemito andava sovrascritto al dolore già di per sé scomposto delle comari. Insomma, ero finalmente meritevole di quella comunità.
Io, si, la Evita Peron di tutte le Calabrie.
E siccome non sono una scema, conosco l’ardore religioso di quei popoli, e ho urlato.... “Prendetemi per pazza siii pazza per Gesùuu”, disfando la deceduta tanto che il mio fidanzato sarebbe giunto a breve per piangere insieme e dimostrare a tutti che eravamo una coppia unita.

Sì che raggiunta dagli addetti del servizio mortuario e dal mio fidanzato ovviamente, sono stato trascinato via come una zuccheratissima merluzza.
Ovviamente io, immersa nel ruolo della prefica impazzita, ho urlato lasssaaaatam' ma mi hanno strattonata con molta energia.
Poi ho attraversato il corridoio trascinata a strascico da sotto le ascelle, e che stavo cosi tanto nella parte della disperata per zia Coletta da ricordare solo le luci del corridoio, gli estintori e gli schiaffi di tutti.
E quando sono uscita, il mio fidanzato mi ha sferrato un inaspettato calcio in culo che sono finita dritta dritta sotto il carro della morta.
Credo fossi nel pieno della lapidazione quando il mio uomo mi ha cavato dalla tasca portafoglio e libretto degli assegni.
Trombata in testa dalla mia cappelliera scaraventatami in ultimo, ho afferrato l’accessorio che ripeto non deve mai mancare in un viaggio diplomatico in luoghi esotici, e sono corsa via, così, come una sventurata cessa senza il suo spazzolone variopinto.

Correvo giù dal monte tutta sdrucita e mi ripetevo il mantra “coccodè quanto son cessa” che mi rilassa molto in situazioni di tensione fisica e mentale.

Sulla starale mi sono vista di dietro con la mia scucita siluette. Ma altera, si, mi davo forza camminando a mento in su, con la mia cappelliera, con in dosso un dolore grande…di aver ancora una volta nella mia vita….Ma si… Avevo dato tutto all’uomo sbagliato. Di me ancora una volta avevo dato il cuore, l’anima, il culo, e che cosa ci avevo guadagnato? Un funerale e una esecuzione sommaria perpetrata dal furore della folla.

Ma ho proceduto sul ciglio della strada sempre pronta ad andare avanti. Una donna vera... Scusate.. Un uomo vero procede per la sua strada senza mai guardarsi indietro e con la sicurezza si di aver amato.

Ho guardato il mare, e ho guardato tra me e le onde le sterpi rotolare via, sospinti da un giovane gemito di vento. Mortacci mia se so essere idilliaca.

Sì che afflitta ho chiamato il mio amico Graziano, il mio amico di sempre, con cui nelle sere d’estate amiamo trascorrere le notti a leccare culi. Al Cloacone per l’esattezza, il grazioso parco della periferia nord della nostra città presso cui – se ci va bene – facciamo una bella scorta di cazzi e scorreggiate sulla faccia.

- Pronto?
- Graziano vienimi a prendere, sono in Calabria, mi ha mollato.
- Ti ha picchiato?
- Si, ti prego vienimi a prendere.
- Sei una sprovveduta.
- Come?
- Ti mando dei soldi con la app. Fai il biglietto e vieni su
- Ho avuto paura
- E ti sta bene. Ma insomma Cum… Non si portano a casa sconosciuti qualunque con il pallino di fidanzarcisi.
- Ma lo sai che avevo bisogno di cazzo
- Ma sei in città non fai che andare a cazzi e ti va sempre di culo. Cos’è che ti manca eh?
- I piedi.
- Cum, sai che Evaristo, te li da in pasto per pochi spiccioli
- Chi?
- Evaristo, quel clochard che sta sotto i portici della Rai
- Si ma ha 75 anni
- E non te ne sei mai accorto?
- Si ma sempre Evaristo scusa
- Ma se ti sei fatti i piedi di tutti i camionisti del consorzio della Spurghi Speed S.r.l.
- Si ma quella è una municipalizzata. E poi volevo anche culi
- Non mi pare che manchino dei culi. Cosa credi che non si sappia qui in città che ti sei fatta prendere a scorreggiate nella cabina telefonica della Sip? Tu con questa tua ossessione della scorreggiata e della messa in piega permanente.
- E allora Ilary Blasy ? Io la volevo uguale
- Quella ha le extension. Cum, svegliati! Che credi si faccia una scorreggiata di redazione prima della diretta?
- Na, veramente?
- Vieni su. Hai da completare la pubblicazione della tua Saga. Mettiti in pace, fai la tranquilla e fai quello per cui sei portata. La letteratura. Ciao.
- Graziano… prondo. Prondo. Prondoo.

E niente. Graziano poche ore dopo mi ha poi messo i soldi nella app. E così ho abbandonato la Calabria.
In treno ho riflettuto molto sulla mia condizione. Ma si.
Stavo di fianco al finestrino e di tanto in tanto guardavo un simpatico vecchietto con la sua badante.
Come dev’essere bella l’età senile, ho pensato.
Si, lontano dalle passioni, e dagli errori.
Il vecchietto leggeva e la sua badante stava di fianco a scrivere sul suo telefonino.
Il viaggio è stato lungo.
Ho guardato fuori, ho pianto e mi sono detto Mai più.
La letteratura salverà il mondo dalle sue passioni. Si.
E’ così ho progettato il mio rientro, chino sul computer a scrivere e pubblicare in questo sito la mia bellissima saga.

HUNGARIAN RHAPSODY deve continuare…
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